La donna tradizionale, tabù da rivedere?

Donna tradizionale

Parlare di donna tradizionale suscita un riflesso pavloviano di ripulsa: viene associata alla Shari’a o al Medio Evo, alla rinuncia all’aspirina e all’acqua corrente.
Tuttavia in alcuni paesi del Nord Europa, considerati moderni ed avanzati, molte donne lasciano il lavoro per dedicarsi alla nuova famiglia. Si tratta spesso di donne con elevato livello di istruzione, insegnanti, medici, e il più delle volte sono famiglie molto riuscite.
Come recitava una pubblicità, “We have no nirvanas”: si è abolita la vita interiore, gli stimoli incessanti provenienti dai media ci impediscono di riflettere, di guardare in noi stessi, non si sa più cosa sia un essere umano. La nostra è la civiltà del vuoto di valori umani e culturali, dove conta solo la produzione. Il lavoro è il narcotico per la noia, e la noia lo sprone per il lavoro. Per questo l’idea che occuparsi della famiglia sia un fardello per la donna ha attecchito così bene.
In tale contesto non sorprende che le donne in carriera considerino il figlio come uno status: un oggetto sociale da nutrire, vestire ed esibire ma, per il resto, una seccatura. Non trovano alcuna gratificazione nel crescere un essere umano, perché sono persone vuote che non hanno nulla da trasmettere, invece di essere sentinelle dell’invisibile, un legame tra cielo e terra.
Mentre pare che gli uomini comincino a rendersi conto della irrilevanza delle loro mansioni lavorative (anche i lavori di concetto sono sempre più sostituiti da software) le donne, ammesse da poco in massa a professioni un tempo maschili, sembra provino ancora enorme gratificazione in compiti burocratici.
La nostra è una cultura misogina e sempre più artificiale, che ha condizionato le donne a considerare il loro ruolo naturale un handicap, a partire dal ciclo mensile fino alla cura della prole. Per tornare liberi, dobbiamo prendere coscienza che siamo culturalmente intossicati.
Si è distrutto il sentimento materno, perché non si può far nulla della donna se questa ha dei bambini.
Lungi dall’essere state liberate, le donne sono state isolate, perché la famiglia era un centro di vita sociale.
Un secolo fa si iniziò a sferrare l’attacco all’unità familiare e Proudhon fece notare che le argomentazioni si riducevano a una sola, e cioè che la famiglia costava troppo. Entro la fine del secolo XIX gli industriali e gli uomini d’affari avevano in pratica già adottato tale argomentazione, offrendo posti di lavoro alle donne. Perché metà della popolazione dovrebbe trovarsi in uno stato di semi-libertà dal lavoro quando può essere impiegata a far scendere di conseguenza i salari maschili? Tale è la logica economica del femminismo.
Alla donna che lavorava furono fatte indossare gonne corte da adolescente e le fu detto in grandi campagne di stampa che era finita l’eterna tirannide dell’uomo. Oggi le si dice ogni tanto di allungare o accorciare i vestiti a seconda delle esigenze del mercato, e lei ubbidisce. E con questo tipo di operazione risorse considerevoli vengono sottratte a chi potrebbe altrimenti provvedere agli anni a venire senza necessità di lavorare in due.
L’attuale funzione della donna è quella di passacarte precaria, e oggetto di consumo sessuale dal 1° gennaio al 31 dicembre.
Si gettano le donne sul mercato del lavoro per aumentare l’offerta e ridurre i salari, e quando il pesce ha abboccato si abbreviano i congedi per aumentare il PIL.
Tutte le associazioni per i cosiddetti diritti della donna sono nate e manipolate per limitare la demografia in tutti i paesi del mondo, perché è un intralcio ai commerci e una minaccia per alcune economie. Talvolta si sterilizzano interi villaggi con l’acqua potabile senza tante discussioni.
Come diceva Baudelaire: il borghese è pronto a vendere la donna e la sua cassaforte è più preziosa del ventre della propria moglie.
Viviamo in un’anti-civiltà: non di nani sulle spalle di giganti, ma di nani che si prendono per giganti.
Se ci hanno imbrogliati come indiani e per gingilli di vetro abbiamo ceduto i nostri tesori, che non sia forse il caso di riprendere in considerazione un’organizzazione sociale che risulta ancora valida in tutte le culture stabili?
Alcuni considerano seriamente questa ipotesi, ad esempio Dag Tessore. Che sia una opportunità per discuterne?

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