Da quindici mesi le pari opportunità non hanno un ministero dedicato.
A questo punto viene sempre più naturale domandarsi se la vacatio sia studiata a tavolino e se presto ci verrà messa una toppa, tanto per non offrire più il fianco ai detrattori di questo governo.
Resta un mistero come possa essere considerata secondaria un’assenza così lunga attorno a una materia oggi strategica in Europa e anche nel mondo, una materia che da prestigio a chi se ne occupa, in Europa e nel mondo, con senso civico e dedizione.
La mancanza di un Ministro che vigili sulle pari opportunità in un momento storico in cui gli stati sovrani stanno prendendo sempre più coscienza della mancanza di uguaglianza sociale e prestando sempre più attenzione ai diritti per tutti, alle discriminazioni e alla violenza per orientamento sessuale, è una mossa poco comprensibile, oltre che poco lungimirante e inopportuna.
Saremmo stupidi a non puntare su una giocata dall’esito scontato.
Ne avremmo solo che da guadagnare come paese, innanzitutto in immagine, cosa tanto cara a ogni primo ministro, soprattutto se agli inizi.
E allora perché lasciare senza guida le pari opportunità e orfano un ministero se nel paese aumenta la domanda di uguaglianza e le organizzazioni internazionali mondiali ed europee raccomandano l’introduzione di norme che tutelino i più deboli da atti di bullismo e nostalgie pericolose?
Perché gettare alle ortiche un’opportunità di crescita collettiva solo perché, anche in questo caso, è necessario trovare un accordo su un nome che accontenti tutti, che faccia senza disfare?
Oggi esistono un Dipartimento delle pari opportunità, con un capo dipartimento, e un ufficio a tutela delle differenze (l’UNAR), che dovrebbero tutelare tutta la vasta materia e ispirarne la regolamentazione ma che nello specifico non hanno responsabilità chiare anche perché non esistono leggi che coprano a sufficienza tutti i delicati aspetti della materia stessa.
Se andate sui siti, facendo eccezione per i numeri verdi finalizzati all’assistenza, una serie di articoli poco aggiornati e un’area “contatti”, non c’é nulla che denoti un’attenzione elevata, un percorso strutturato, né un punto di arrivo.
Sebbene si riesca quantomeno a comprendere la latitanza in materia di diritti civili, vista la naturale complessità dei rapporti tra le parti di una maggioranza così eterogenea, tuttavia non si riesce ad accettare la negligenza nell’attribuire il dovuto interesse ad un’area che potenzialmente darebbe civiltà e onori a un paese intero.
E darebbe anche oneri a chi ne è a capo. Avremmo un referente principale, da seguire, consigliare, stimolare, molto più che un numero verde con cui parlare.
Nel momento in cui, come successo venerdì scorso nel palazzo delle Nazioni Unite, viene approvata, anche con l’appoggio italiano, una risoluzione in cui si chiede all’Alto Commissario per i diritti umani di redigere una relazione che ne evidenzi le violazioni in tema di orientamento sessuale e identità di genere, avremmo un gruppo di lavoro a cui rivolgerci per denunciare le anomalie, con un responsabile che le raccolga e le analizzi e da cui aspettarci delle risposte, delle azioni strutturate.
Invece oggi tutto si ferma in fase di raccolta, nulla viene commentato, ben poco viene evidenziato e tutelato.
Abbiamo soltanto un Presidente del Consiglio con la delega in questa materia, che teme di delegare la responsabilità della materia stessa perché ha paura di non riuscirne a controllare l’indirizzo, che parla poco di questi argomenti e che non ha tempo di affrontarne gli aspetti delicati ancora scoperti, se non, dice lui stesso, alla fine della legislatura.
http://www.giornalettismo.com/archives/1618415/un-paese-senza-pari-opportunita/