Autore Topic: Desocializzazione e condizione maschile  (Letto 10390 volte)

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Offline Vicus

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Desocializzazione e condizione maschile
« il: Settembre 21, 2017, 23:54:40 pm »
Dal libro di Matthew Fforde Desocializzazione, ed. Cantagalli, Siena.

Per desocializzazione non intendo quella di Charlie Brown "che aveva tanto bisogno di amici", ma la frantumazione del tessuto sociale che porta a superficialità nei rapporti umani e a relazioni insincere e false tra uomini e donne. Pochi possono capire queste righe, ma molti sono utenti di questo forum. Buona lettura.

La società contemporanea sta diventando sempre più "darwiniana", anche se attraverso modalità e per ragioni di cui abitualmente non ci rendiamo conto. La durezza e la severità della società post-moderna sembrano promuovere a posizioni di primo piano coloro che tendono a una maggiore insensibilità e asocialità. Sono proprio le persone con il più alto grado di resistenza alle imposizioni della desocializzazione, quelle che riescono a rimanere indenni dalle sue ferite; gli individui più orientati al perseguimento del profitto personale e meno distratti dalla sollecitudine e dalla cura per gli altri; quelli che sono pronti a fare ricorso a metodi che danneggiano gli altri e restano indifferenti al dolore che possono causare; e infine, le persone il cui sguardo è in minor misura diretto verso il bene collettivo, le meno interessate alle conseguenze delle proprie azioni. I duri, i sordi, quelli che hanno una pelle da rinoceronte, gli autosufficienti, quelli che rimangono ciechi e insensibili, quelli che ci hanno fatto il callo: sono loro che sempre più vanno a occupare posizioni influenti e di potere. Eppure sono i nemici della comunità: la loro sopravvivenza ai processi di desocializzazione comporta che ne diventino i paladini più convinti.
Terapie che peggiorano il male
Come i medici pre-moderni praticavano salassi ai malati di cui conquistavano la fiducia, la desocializzazione si riproduce anche favorendo una serie di terapie che peggiorano la malattia.
È così che nel loro travaglio le vittime della condizione di anonimia si volgono spesso verso cure psichiste e fisiologiste, oppure al conforto procurato dalla ricchezza e dal potere, o ancora al mondo del piacere sensuale, a unioni o matrimoni falsi, ad amicizie vacue, alle sabbie mobili dello pseudo-sociale, all'immaginario e al falsificato, o anche semplicemente all'aggressività. Inconsapevoli del fatto che all'origine della loro inquietudine c'è la mancanza di amore, i desocializzati sovente non sono in grado di articolare una risposta spirituale al loro disagio, e si rivolgono a terapie che peggiorano il male. Andiamo ad analizzare in dettaglio questo processo.
«L'assenza di legami colpisce con un'ampiezza straordinaria l'universo coniugale e familiare», ha affermato un altro relatore, «viviamo, in effetti, in una società disintegrata che [...] favorisce [...] lo sviluppo di personalità spezzettate che hanno grandi difficoltà a unificarsi psicologicamente e moralmente»". «Nel nostro tempo», ha dichiarato ancora un altro, «il sintomo più evidente della depressione è da ricercarsi nell'emarginazione dell'individuo a nella sua non rilevanza all'interno della società»".
Davanti alla perdita dei legami l'Homo sapiens, a causa della sua natura biologica e spirituale, soffre e si preoccupa — un aspetto assai rivelatore del fine dell'uomo in questo mondo.

Senza amore e verità, senza salute spirituale e sotto «l'affermazione di disvalori», l'interiorità dell'uomo cede e si piega. La presenza stessa di tutti questi fenomeni dovrebbe farci capire che vi è qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra società — il che è fin troppo evidente — e indurci a mettere in discussione la strada che abbiamo imboccato nei secoli recenti.
A livello individuale le persone saggiano altre forme di risposta che, tuttavia, sono di solito destinate al fallimento. (Segue)
« Ultima modifica: Settembre 22, 2017, 15:56:48 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline kautostar

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #1 il: Settembre 22, 2017, 03:30:48 am »
Molto interessante, e in parte mi ci ritrovo abbastanza in questo senso di solitudine e processo di "desocializzazione"...il problema è, come uscirne?

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #2 il: Settembre 22, 2017, 04:07:43 am »
Ti ci ritrovi? :hmm: Che significano per te le parole impiegate da Fforde: amore per la verità, salute spirituale, legami coniugali e familiari?
« Ultima modifica: Settembre 22, 2017, 15:57:42 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Ryu

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #3 il: Settembre 22, 2017, 20:42:50 pm »
Eccomi qua, una settimana fa circa è morta mia madre e rimasi tanto a riflettere su quanto mi sia fortificato. Altro che pelle da rinoceronte, sono indistruttibile, ma la fonte è un eccessivo meccanismo di autoconservazione affinato negli anni. Non ho avuto una vita felice, ma ho avuto molto perché me lo sono conquistato. Sinceramente vorrei farmi una famiglia e ricreare lo stesso ambiente amorevole in cui sono stato cresciuto, solo che poi c'è il mondo esteriore, quello che non ti accetta, perfino riconosce, come individuo. Quello che ti bullizza a 9-10 anni dove maestre scelte apposta tra le minoranze o tra le feminazi ti fanno credere che tu sia un portatore sano di non si sa quale peccato originario per il fatto di essere bianco e uomo. Quello che se ti succede un problema ed ha un pisello non trovi mai conforto per le questioni sentimentali, problematiche della vita, doppi standard. Quello che ti vessa. quello che ti umilia.

E allora impari... impari... impari...

Ma nel frattempo sei uomo, sviluppi una grandissima razionalità finita la pubertà e l'adolescenza. È tempo di diventare uomo, le emozioni non vanno più bene socialmente e - sebbene tu riconosca che non ci sia nulla di male nel provarle, né nel mostrarle - è sempre socialmente scoraggiato farlo. Arriva così il momento in cui il bambino, con qualche spruzzo di baffetti e barba, perde il suo charme da infante e non viene preso più in considerazione, coccolato. Anzi, viene sacrificato, scartato.

Poi arriva la prima grande competizione: la selezione sessuale, si è già alle superiori. E mentre il recinto che hanno creato per te fatto di scuola (che fa opinione, non educa) e anestetizzanti vari dal sapore dolce e dal fascino irresistibile (videogiochi, alcool, fumo, vizi vari) l'individuo viene lasciato solo a consumare palliativi di felicità che sono stati predisposti per lui.

Poi arriva la selezione sociale, non sessuale, arriva l'università o il mondo del lavoro e l'uomo, probabilmente in preda a una sindrome di Stoccolma circa il suo peccato originario, vede arrivare gli effetti delle prime asimmetrie, dei primi bias. Vede che deve sempre studiare il doppio se non il triplo di altre categorie che vengono fatte passare senza il minimo sforzo, vede che deve lavorare per far raccogliere i suoi sforzi a chi avrà una grande dialettica e parlantina e vede... che non potrà lamentarsi, che la posizione di chi fa da parassita del suo sudore non solo non può essere rimossa, ma si ritroverà tra due lame: la prima sempre più stringente, se non si affretta ad esaudire tutti i desideri e completare tutti i compiti, che non è obbligato a fare, ma di cui socialmente deve farsi carico, sarà punito, sarà degradato socialmente e l'altra lama è quella che lo stringe, che lo vede colpevole aprioristicamente, che se per caso abbozzi un principio di lamentela è sessista, razzista, tassista, interista.

L'uomo a quel punto prova a vedere se c'è qualcosa che non va in lui, se è vero che forse forse... ciò che si dice di lui, che in cuor suo sa di non essere vero, magari potrebbe sbagliarsi... magari è veramente il mostro che tutti hanno sempre temuto.

Allora inizi a misurarti con gli altri, a gettare su carta criteri oggettivi che ti possano permettere di valutare con obiettività se veramente... tu... sei solamente un bluff, un privilegiato, un pallone gonfiato da un ego smisurato. Espandi le tue conoscenze, affini le tue competenze, migliori tutto di te e alla fine diventi un monaco, un essere con una mente di ferro, privo di vizi, privo di debolezze, privo di paura, privo... d'emozioni.

Non vivi, sopravvivi.

Arriva la resa dei conti. Provi a vedere se vali, se veramente sei un impostore. E vinci. Vinci. Vinci. Non è nemmeno un'ossessione, è talmente tanto il divario tra te e chi "vive" che vinci sempre, porti a casa più "pezzi di carta", hai sviluppato abilità pazzesche, hai un intelletto straordinario.

Allora provi a vedere se è il tuo narcisismo a prendere il sopravvento, ti rimetti in gioco. E vedi che non è un'illusione, vedi che hai veramente raggiunto delle vette incredibili, ma non sono nulla, puoi fare molto di più. Poi di più. Poi di più. Poi di più.

Hai finalmente scoperto il segreto del miglioramento, ce l'hai fatta, ti sei sacrificato e hai raggiunto dei traguardi. È ora di condividere la tua esperienza con gli altri, provi a raccontare, ad argomentare, ad utilizzare la razionalità per tramandare i tuoi segreti e fare del bene, vuoi aiutare gli altri! Hai lavorato duramente, ma a te non costa nulla donare qualcosa a qualcuno.
Ne fai una missione, condividi tutto quello che hai, tutto quello che sei. Ma perdi. Perdi. Perdi. Perdi.

Ti ritrovi incredulo ad essere sconfitto da chi usa le fallacie, la retorica, le emozioni al posto della razionalità. Vai a fondo, capisci i meccanismi che stanno alla base di tutto ciò, diventi padrone di aree del sapere che non sono inerenti al percorso che hai scelto e vuoi spiegare agli altri, senza rancore, che si sbagliavano, che non è una diminutio ma si è umani, e gli umani talvolta possono ragionare in maniera fallace. Così spieghi a tutti il perché. E perdi. perdi. perdi.

Non solo perdi, vieni accusato, vieni vessato, vieni attaccato, vieni bullizzato anche se sei adulto ormai. La gente si eroga il diritto di entrare nella tua sfera ed esporti, e di farti danni reali a te, ai tuoi affetti, alla tua reputazione, alle tue finanze, alla tua carriera.
Perché? Perché sei diverso, ma non è colpa di chi ti attacca, non è colpa di chi ti ferisce. No, no. Sei tu che hai contravvenuto alle norme sociali... È COLPA TUA!

Vuoi reagire non è vero? Il tuo cervello razionale già sa cosa succede a chi reagisce dopo essere stato sconfitto. Vuoi denunciare le ingiustizie di chi non ha nemmeno una frazione della tua valenza ma sogghigna mentre si gusta la gloria effimera? Sai già come andrà a finire.

E sai già che le emozioni che ti governano, che ti impediscono temporaneamente di risorgere possono essere governate, e che sono un ostacolo. A. Te. Ora. Le sopprimi.

Decidi di non impegnarti più, decidi di non infrangere più nessuna norma sociale, decidi di approfittartene. Cominci a ragionare secondo una logica a "somma 0". Mors tua, vita mea. Sai che per la teoria dei giochi se tu non fai nulla ci sarà quel qualcuno che già ti ha ferito che continuerà a manipolare la gente portandola dalla sua parte, e alla gente, dopo tutto, sta bene così. Cerchi una prova razionale che possa invalidare la tua forma mentis, ma non la trovi. Trovi solo che ci sono due scuole di pensiero, non c'è un bene in sé o un male in sé.

Sai che hai due opzioni, sai che dipende da te. Puoi lasciarti andare, rifugiarti nella normalità e nella malinconia e sai che verrai punito per la tua debolezza al primo accenno. Oppure puoi continuare a far funzionare il meccanismo di difesa ed autoconservazione, dipende tutto da te. Anche se gli avvenimenti che portano alla tua felicità vengono più dal contesto che da te, dipende da te come affrontarli.
Sai che puoi mantenere questa situazione non idilliaca di forza estrema, che non è tutto scritto nella tua genetica, ma che puoi atteggiartici... finché non ce la fai. Fake it to make it.

Senza esagerare col nichilismo, non ne vale la pena, è una sentenza già scritta. Hai due vie, entrambe principalmente maligne ma con risvolti benigni. Puoi trovare conforto nella quotidianità, nella routine, nel ruolo prestabilito e far vincere quelli che hanno provato così duramente a riportarti giù in terra. Quelli che vivono per ostacolarti, perché sarebbe troppo difficile spiegare a se stessi come qualcuno del gruppo ce l'abbia fatta ed abbia scalato i vertici sociali. Puoi farlo, ma ti esponi al tradimento ed alla sofferenza, e tu lo sai. Sai che non c'è paradiso nel sacrificio. Come un soldato che va a farsi ammazzare mentre a casa è ad attenderlo una moglie infedele.

Oppure puoi essere il soldato psicopatico che non attende altro che trovare la morte sul campo di battaglia, unico posto a lui veramente familiare ora, dove è confortato nello sconforto. Continuare a non avere emozioni, a vivere fino alla fine giocando in difesa lasciando che la vecchiaia compia la sua missione.

Oppure puoi scegliere di seguire il cervello e sebbene il tuo cuore anestetizzato non risponda più, come una gamba dopo una caduta in moto, puoi scegliere di avere fiducia nel tuo "io" precedente, di credere in te stesso "precedente" ed affidarti alle priorità che ti eri dato, o che un familiare ti ha tramandato, e pur non essendo in grado di replicarle nella stessa forma decidi di seguire l'insegnamento...

Ma sappi fin da subito che non sarà facile per te se sei diverso, sappi che nessuna cosa ti accada ti metterà mai al riparo dalle aspettative che ci sono du di te. E non puoi esimerti dall'essere forte, perché è la debolezza il tuo più grande tradimento nei confronti del nuovo ruolo, che così a fatica hai ora conquistato, la stessa debolezza che ti ridarebbe tutte le emozioni che cerchi, l'affiliazione e qualche istante di fanciullezza dimenticato, se solamente tu le lasciassi avvelenarti il cuore. Avvelenartelo con lo stesso dolce, seducente sapore che ti condurrà ad altro insostenibile dolore, e tu lo sai.

D'altro canto non è a tutti riconosciuto il diritto universale a vivere...

Nel medioevo a causa della paura e dell'ignoranza alcune persone venivano messe al rogo come "streghe" e "stregoni", poi si è scoperto che nel caso in questione non è vero che fossero le streghe le più danneggiate da ciò, ma questa è un'altra questione.

Durante il nazismo, gli handicappati venivano scaraventati dai balconi.

Nel corso della storia c'è sempre un'organizzazione, un'istituzione, un gruppo che "stabilisce" qual è la morale. E c'è sempre, da parte di questo gruppo, una persecuzione nei confronti del diverso.

Ai giorni nostri la tecnica è stata affinata, c'è chi si autoconferisce una missione e nel nome del bene sociale combatte i cattivi, unilateralmente identificati come tali. Il cattivo nel 2000 è niente popò di meno che: lo psicopatico!
E allora via con le forze "del bene" che vanno a caccia, che emarginano, che puniscono con quanto più potere hanno (psicologi, sociologi, HR vari, "scienziati" sociali) chi presumibilmente abbia meno sensibilità nel provare emozioni. Magari per via delle botte prese nella vita ed ha scelto di reagire nel modo "corretto", socialmente meno dannoso, ossia di anestetizzare il proprio cuore per non commettere eccessi che tanto non sarebbero mai ascoltati e non produrrebbero effetti, ha scelto di incanalare la propria aggressività non in forma attiva, ma in forma passiva che si manifesta in una mancata aderenza alle norme sociali.
E le stesse norme sociali non sono altro che il risultato delle aspettative di chi è al potere, che designa i ruoli altrui nel contesto sociale, non sono ancore di salvezza per l’individuo, non tutte per lo meno.

Come il bestiame che scappa dal recinto, che viene fatto rientrare con la coercizione. Se l'individuo sceglie di non ubbidire più alle norme sociali e sceglie di spogliarsi dell'uniforme del posto sociale che gli è stata affibbiata, che se solamente si lasciasse cullare dalla malinconica acquiescenza gli sarebbe avvinghiata come una seconda pelle dalla quale non si potrà più staccare.

Dopo tutto, i mastini dell'ordine delle cose servono proprio a mantenere ciascuno al posto che gli è stato affidato alla nascita tramite una serie di variabili che lasciano poco spazio di manovra: status, famiglia, soldi, prestigio.

E se ci fosse una variabile impazzita che nel silenzio della sua esistenza macina traguardi per poi rivelarsi all'ultimo momento come una persona valente che "minaccia" l'altrui posizione, come fare per giustificare socialmente la sua cattura e ricollocamento nella posizione che "più gli compete"? Facile! Si inizia con la narrativa che lo psicopatico è dannoso per la collettività nel suo insieme. Il ché è anche possibile se egli decidesse di agire nell'oscurità, ma per ogni mostro di Firenze non ci sono migliaia di direttori generali d'impresa?

Non è forse vero che uno psicopatico, machiavellico e narcisista qualora scelga per tutta la vita di accettarsi come tale, ma di lasciarsi guidare solamente dalla razionalità piuttosto che dagli istinti incarni al meglio la figura del "sovrano illuminato" tanto decantata nel corso della storia?

La storia dell'umanità insegna che certi tratti definisco il vincente, ma non per questo sono da criminalizzare. La cosa che socialmente farebbe meno danni è insegnare fin da subito la verità.
Odio il femminismo perché amo le donne

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #4 il: Settembre 23, 2017, 00:12:49 am »
Sentite condoglianze Ryu.
E' incredibile come le vite degli uomini si somiglino. Se ne prendessimo atto e agissimo insieme il mondo migliorerebbe in un attimo. Ma di certe cose non si parla quasi mai nella normale vita sociale.
Hai dato un'eccellente descrizione di molti ambienti di lavoro, in particolare dei capi che si fanno belli col sudore degli altri. Il loro comportamento (sono loro gli psicopatici, per questo fanno carriera oggi come hanno scritto Fforde e altri) ha come unico fine di sfruttare, dividere e tener buoni i sottoposti.
Ricorda (e ricorda a loro) che il certificato di normalità l'hanno solo i pazienti dimessi da strutture psichiatriche.
Renderci zombie anaffettivi fa parte delle strategie di potere dell'ingegneria sociale (anche qui, sono opinioni espresse da diversi esperti).
Se puoi cambia lavoro, emigra o renditi autonomo, può valerne la pena ;)
Citazione
Sinceramente vorrei farmi una famiglia e ricreare lo stesso ambiente amorevole in cui sono stato cresciuto
La società occidentale è in rovina, la gente è incapace di costruire rapporti durevoli. Le donne in particolare perché viziate dalla culla e quindi meno esposte al darwinismo sociale. Mettersene una in casa non la renderà migliore.
L'unica strategia possibile, ripeto, è emigrare in Paesi più sani socialmente ed economicamente (le due cose vanno di pari passo), immuni dal declino pianificato dell'Europa.

Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #5 il: Settembre 23, 2017, 01:56:40 am »
(Segue)

La ricerca del "piacere"

L'individuo ferito nei propri sentimenti a causa della mancanza di amore e di comunità può anche essere tentato di contrastare questo dolore con la ricerca del piacere, praticamente un leit-motiv dell'edonismo contemporaneo. L'uso di droghe e stimolanti, il bere, le immersioni nel cinema e nella TV, la lettura di opere di evasione, il lasciarsi andare ai piaceri del consumismo o del sesso senza amore sono forme di comportamento diffuse nello stile di vita contemporaneo: dietro a tali scelte è presente spesso il tentativo di evitare quel senso di vuoto e di tristezza che nasce dall'assenza di rapporti autentici. Queste reazioni inoltre hanno tutte le caratteristiche della droga: la necessità di aumentare la dose per mantenere l'effetto. Scoprendo che i sentimenti arrivano a un punto in cui per attivarli ci vuole una stimolazione sempre maggiore, l'individuo di fatto sprofonda in un processo di "de-sentimentalizzazione", una china scivolosa che lo porta sempre più in basso. Tuttavia, la ricerca del piacere come reazione alla condizione desocializzata non si limita a portare l'individuo fuori strada rispetto alle soluzioni vere, ma lo fa aggrovigliare in un viluppo di modi sentimentisti di pensare e di vivere di cui diventa egli stesso promotore. Facendo ricorso all'edonismo, nel suo piccolo l'individuo infelice affila l'enorme coltello che lo ha ferito, e che continuerà a ferirlo. (Segue)

Questa è la ragione per cui non credo molto a chi afferma di essere felice per il solo fatto che non si è sposato e fa rafting nel Colorado. Può essere una strategia di sopravvivenza, non la soluzione che il libro indica nei capitoli successivi.
L'anticipo qui: ogni strategia che porta a farsi i fatti propri, a "disperdersi" peggiora la situazione. L'unica vera soluzione è ricostituire (con pazienza) un tessuto associativo e comunitario.
Penso inoltre che, a meno di non vivere su Marte, la vita sia più o meno la stessa per tutti, si può reagire ma chi dice di trovarsi bene in questo deserto prende in giro se stesso e gli altri.
« Ultima modifica: Settembre 25, 2017, 10:04:46 am da Vicus »
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Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #6 il: Settembre 24, 2017, 02:50:36 am »
(Segue)

I rapporti vuoti

Uno dei temi del presente studio è che per quanto l'uomo post-moderno vada contro ciò che dovrebbe essere, per quanto rifiuti la propria vocazione, è destinato a rendersi conto che non può farlo impunemente. In un modo o nell'altro dovrà pagare il prezzo per il cammino di disordine che sta percorrendo. La solitudine in senso stretto è forse la punizione più grande che l'uomo post-moderno già subisce. Per sfuggire a questa condizione, spesso assai grave quanto a impatto emotivo, molte persone nel mondo desocializzato di oggi instaurano rapporti o contraggono matrimoni non basati sull'amore bensì sull'interesse individuale. L'idea è trovare qualcuno che possa essere usato per fornire compagnia e mettere fine allo stato di solitudine. Forse questo è uno degli errori contemporanei più diffusi, ma non costituisce certo una soluzione, anzi può aggravare il problema. L'altro viene utilizzato come strumento per raggiungere un fine, e nel rapporto c'è poco di autentico. Poiché non vi è amore, non può aver luogo un'unione spirituale e fisica autentica, il vero antidoto alla solitudine. È un atto di opportunismo che non porta da nessuna parte, e anzi ricorda all'individuo cos'è che gli manca davvero, perché gli mette sempre davanti la realtà di ciò che non c'è. Lungi dall'essere sfuggito alla solitudine e dall'aver risolto il problema, l'individuo cade per così dire dalla padella nella brace, e si trova a dover vivere nella menzogna, a sopportare la falsità, a calarsi in un rapporto che nel profondo è vuoto — tutti elementi che mettono in luce il suo vero stato di mancanza di amore. Davanti a lui c'è l'esatto opposto di ciò di cui ha bisogno, quindi non è semplicemente tornato al punto di partenza ma è addirittura regredito.
Il desiderio di sfuggire alla solitudine in senso stretto porta anche a stringere amicizie insincere e false. L'amicizia, come l'amore, è antica quanto il mondo ed è probabilmente la seconda pietra angolare della comunità umana. L'amicizia è il luogo dell'espressione della virtù, del perseguimento di un progetto comune, la conquista dell'appartenenza, e fra i suoi benefici principali si contano la buona compagnia, l'aiuto reciproco e la partecipazione. La storia umana è marcata dalla sua presenza costante, anche se stranamente gli storici dedicano scarsa attenzione allo studio della sua evoluzione. È stata però ripetutamente evocata in opere letterarie e artistiche, nei proverbi, e accompagnata da precetti e princìpi ricchi di saggezza. Una caratteristica fondamentale della condizione di anonimia è stata anche la perdita dei legami amicali. Sembra sia andata perduta una parte notevole della conoscenza, della pratica e delle convenzioni dell'amicizia, e questa è un'altra forma di deculturalizzazione. Le pseudo-amicizie nate per contrastare la solitudine hanno molte caratteristiche in comune con le false relazioni che si stabiliscono fra uomini e donne; vi si riscontra lo stesso impegno in ciò che non è autentico e lo stesso svuotamento dei punti vitali di potenziale contatto umano. Si tratta di rapporti la cui falsità non fa che mettere in luce ciò che manca e ciò che ha ingenerato questo stato di cose. Inoltre la fine delle amicizie e la loro transitorietà è un ulteriore tratto tipico del modo attuale di vivere, come il divorzio nel matrimonio o le "coppie" di fatto che vanno e vengono: è all'opera il medesimo processo, una fuga egoistica dall'isolamento che dà luogo a rapporti fragili ed egocentrici i quali non fanno altro che riportarci al punto di partenza, se non ancora più indietro. (Segue)
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Online Frank

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #7 il: Settembre 24, 2017, 08:49:15 am »
Citazione
instaurano rapporti o contraggono matrimoni non basati sull'amore bensì sull'interesse individuale

L'amore?
Scusa Vicus, ma in passato ci si sposava "solo per amore" ?
E i matrimoni combinati, che tuttora esistono e persistono in varie parti del mondo non occidentale?
Son forse "rapporti d'amore" ?
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #8 il: Settembre 24, 2017, 20:53:05 pm »
Non è l'amore romantico ma quello di un uomo e una donna che decidono di fondare una famiglia.
Restando fedeli all'impegno di condividere tutto della vita (anche nei famigerati matrimoni combinati), negli anni si instaura un affetto molto più vero e profondo della "passione" che vediamo nei film.
E' quel che vediamo nelle generazioni passate, e anche oggi per lo più fuori dall'Occidente.
L'autore vuol dire che oggi le persone (le donne specialmente) sono immature ed egocentriche (v. anche post di Salar sui cani) e incapaci di instaurare e mantenere un rapporto autentico e stabile.
« Ultima modifica: Settembre 24, 2017, 21:14:48 pm da Vicus »
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Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #9 il: Settembre 24, 2017, 21:18:33 pm »
(Segue)

L'evasione

Un'altra reazione diffusa a tale condizione è la creazione di ruoli e immagini come meccanismi consolatori. Infatti lo stile di vita post-moderno è spesso caratterizzato dall'interpretazione di ruoli. Le persone diventano ciò che non sono perché il contesto culturale non permette loro di essere se stesse. Si cerca quindi conforto nell'invenzione — una reazione, questa, sorretta dalle idee e dagli atteggiamenti promossi dal cinema, dalla televisione, dalla realtà virtuale, che contribuiscono a formare una parte di quel gusto per la fantasia diventata tipica dell'uomo post-moderno. Questa propensione a interpretare una parte, a inventarsi un ruolo, a proiettare un'immagine, sfugge all'autenticità, comporta la creazione di rapporti — e quindi di un ambiente per gli altri — basati sulla falsità, sulla recita, e dà luogo a un artificio costante che colpisce al cuore la comunità: la vita con gli altri non si fonda su ciò che è reale, ma è intrisa di elementi fasulli. Inoltre, la persona che adotta questa soluzione per rimediare alla perdita di legami sociali non fa che tornare al punto di partenza, perché non riesce a rapportarsi con gli altri in modo autentico. Al tempo stesso, proprio come il coniuge, il "partner" o l'amico falsi, il suo comportamento produce l'effetto di desocializzare coloro con cui entra in contatto, privandoli della possibilità di interazione autentica. Recitando, coinvolge gli altri in una simulazione precaria che offende la realtà, e mancando di sincerità con se stessa, finisce per colpire e danneggiare, tramite vari meccanismi, la propria interiorità, ovvero il punto di partenza vitale per un più ampio benessere sociale. (Segue)
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Offline giacca

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #10 il: Settembre 25, 2017, 06:58:48 am »
Non è l'amore romantico ma quello di un uomo e una donna che decidono di fondare una famiglia.
Spero che non si riduca solo a quello. Nel romanticismo non ci vedo niente di male, e oggi è difficile anche fare la famiglia a 2 visti i prezzi delle case inaccessibili.

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #11 il: Settembre 25, 2017, 09:50:04 am »
Spero che non si riduca solo a quello. Nel romanticismo non ci vedo niente di male, e oggi è difficile anche fare la famiglia a 2 visti i prezzi delle case inaccessibili.
Concordo ma la prova più grande di amore è trascorrere tutta la vita insieme, cosa di cui oggi la gente è manifestamente incapace.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #12 il: Settembre 25, 2017, 09:54:29 am »
(Segue)

Il narcisismo

Chi potrebbe negare che viviamo in un'epoca di narcisismo? Paradossalmente, una delle caratteristiche della condizione desocializzata è la tendenza a vivere nello sguardo degli altri, che diventano specchi nei quali l'individuo si osserva e si ammira — una risposta abbastanza comune alla mancanza di amore e di comunità. Privo della considerazione, della stima o del rispetto che vorrebbe o di cui ha bisogno, l'individuo spesso si imbarca in un progetto ingannevole tramite cui si presenta agli altri nella luce più favorevole possibile; falsifica la sua vera natura in modo da guadagnarsi l'ammirazione e assicurarsi una soddisfazione personale. Quando riesce ad ingannare gli altri sulla sua natura, carattere e qualità, trae gratificazione dalla percezione erronea che gli altri hanno di lui. Finisce per vivere di ciò che la gente pensa e dice di lui, piuttosto che della verità su se stesso, e il suo punto di riferimento diventa il modo in cui viene percepito dal punto di vista degli altri (importante punto di collegamento con il relativismo). Questo atteggiamento è connesso con la prospettiva societarista perché, essenzialmente, ciò che l'ambiente umano ritiene vero diventa la realtà, l'apparenza diventa la sostanza, la maschera si sostituisce al contenuto. L'umanismo ci mette del suo perché ciò che conta, alla fin fine, è l'ottica di questo mondo piuttosto che le verità dell'altro. Tutta questa pratica — oggi così diffusa — naturalmente comporta una spinta alla deformazione della realtà. Che una persona abbia talento, sia bella, onesta o intelligente, profonda o capace, ricca o potente, non importa: ciò che conta davvero è che sembri tale agli occhi della gente. La verità viene negata e tradita, e viene fabbricato uno stile di vita all'insegna dell'inganno. È così che, alla base dell'individualismo egoistico, troviamo una propensione a fingere, e questa è un'altra ragione per la quale ci troviamo spesso circondati dalla falsità. (Segue)
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #13 il: Settembre 26, 2017, 02:35:18 am »
(Segue)

L'autoisolamento

Fra le reazioni all'ambiente desocializzato si annovera anche il ritrarsi dal contatto e la riduzione al minimo dei contenuti dell'interazione: per diminuire il dolore — reale o potenziale — dell'impatto con l'ambiente sociale, le persone si desocializzano volutamente. A monte di questa strategia stanno tre motivazioni principali, che contribuiscono tutte a rinchiudere ancora di più l'uomo post-moderno nella sua gabbia solitaria. Per prima cosa, la paura dell'aggressività, dell'incostanza, dello sfruttamento, dell'infelicità, delle critiche e della severità di cui spesso sono portatori i rapporti col prossimo. Una risposta molto semplice è quella di sottrarsi al contatto, o assicurarsi che esso sia molto superficiale. Si evita il pericolo. In secondo luogo, il desiderio di sentirsi importanti può indurre riluttanza a impegnarsi nei rapporti, perché questi possono minare il proprio senso di superiorità, o ad assicurarsi che essi siano così svuotati da impedire la comparsa di fattori che possano metterlo in forse. In terzo luogo, dato che spesso manca il comune accordo sul modo 'in cui le relazioni andrebbero stabilite e sostenute, e poiché queste sovente comportano un alto grado di rischio, l'idea e la pratica del contatto generano insicurezza e incertezza. Una reazione ovvia a questo disagio è l'allontanamento dai rapporti interpersonali tout court o il loro confinamento nella massima vacuità. Nell'insieme, quello che succede è che per contrastare la malattia si sceglie la malattia; lo stesso male viene impiegato per tenere alla larga il male. (Segue)

Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline freethinker

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Re:Desocializzazione e condizione maschile
« Risposta #14 il: Settembre 29, 2017, 10:17:44 am »
(Segue)

L'autoisolamento

Fra le reazioni all'ambiente desocializzato si annovera anche il ritrarsi dal contatto e la riduzione al minimo dei contenuti dell'interazione: per diminuire il dolore — reale o potenziale — dell'impatto con l'ambiente sociale, le persone si desocializzano volutamente. A monte di questa strategia stanno tre motivazioni principali, che contribuiscono tutte a rinchiudere ancora di più l'uomo post-moderno nella sua gabbia solitaria. Per prima cosa, la paura dell'aggressività, dell'incostanza, dello sfruttamento, dell'infelicità, delle critiche e della severità di cui spesso sono portatori i rapporti col prossimo. Una risposta molto semplice è quella di sottrarsi al contatto, o assicurarsi che esso sia molto superficiale. Si evita il pericolo. In secondo luogo, il desiderio di sentirsi importanti può indurre riluttanza a impegnarsi nei rapporti, perché questi possono minare il proprio senso di superiorità, o ad assicurarsi che essi siano così svuotati da impedire la comparsa di fattori che possano metterlo in forse. In terzo luogo, dato che spesso manca il comune accordo sul modo 'in cui le relazioni andrebbero stabilite e sostenute, e poiché queste sovente comportano un alto grado di rischio, l'idea e la pratica del contatto generano insicurezza e incertezza. Una reazione ovvia a questo disagio è l'allontanamento dai rapporti interpersonali tout court o il loro confinamento nella massima vacuità. Nell'insieme, quello che succede è che per contrastare la malattia si sceglie la malattia; lo stesso male viene impiegato per tenere alla larga il male. (Segue)

Vicus, trovo molto stimolante il topic che hai aperto, in particolare mi ha colpito questo passo sulla desocializzazione "volontaria".
Infatti mi sono reso conto che, nonostante io abbia quelli che definirei "normali" contatti umani, personalmente tendo ad evitare (con fastidio) le persone che, già al primo contatto, snocciolano un repertorio di luoghi comuni politicamente corretti, del tipo:

- troppe donne violentate, è colpa di noi uomini;
- Trump è il peggiore presidente Usa di tutti i tempi: basta sentire quel che diceva delle donne;
- Papa Francesco è il miglior papa di tutti i tempi, perchè sta modernizzando la Chiesa;
- Tizio è un sindaco di destra: anzichè usare i soldi del bilancio comunale per tappare le buche in strada, li userà per finanziare la caccia al nero;
etc. etc. (si potrebbe andare avanti per ore).

Questo mi porta ad un isolamento di fatto, in quanto, se dico quello che penso senza peli sulla lingua, mi sono giocato ogni successivo rapporto, ragion per cui spesso mi riduco ad un rapporto sociale estremamente superficiale :cry:

Probabilmente è sbagliato, il fatto è che proprio non riesco a considerare desiderabile il colloquio con persone che sembrano la fotocopia sbiadita di una pagina di Repubblica o di Avvenire. :doh:
Those who would give up essential liberty to purchase a little temporary safety deserve neither liberty nor safety.
Benjamin Franklin, Historical Review of Pennsylvania, 1759