Autore Topic: PAS  (Letto 26834 volte)

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Offline Cassiodoro

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Re:PAS
« Risposta #30 il: Agosto 18, 2012, 17:13:11 pm »
.........
Chi legge vuole sapere se c'è un modo per distinguere un rifiuto motivato da violenze oppure no.
........
No, questo è una ipotesi provocatoria di voi che volete fare (falsa) informazione.
Chi si interessa di PAS ha letto i metodi per effetuare la diagnosi di PAS, solo i detrattori non ne divulgano il metodo di accertamento.

Continuate ad insinuare che dietro il lavoro di Gardner e gli altri non ci sia un metodo,  ma sia stato tutto provocato "a tavolino" per danneggiare la madri e proteggere i padri violenti, cosa che, come già vi ho dimostrato, non è nelle intenzioni di chi vuole introdurre la PAS, o nell'elenco delle malattie o nei tribunali.
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Offline Cassiodoro

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Re:PAS
« Risposta #31 il: Agosto 18, 2012, 17:47:28 pm »
Da  “Introduzione  e  commenti  sulla  Pas”  1998  pag.  7 di  GARDNER   
“qual  è  la proporzione delle madri rispetto ai padri che sono validi programmatori della PAS? Le risposte – dei cinquanta professionisti interpellati di salute mentale e legali - oscillavano da un 60% ad un 90% dei casi in cui le madri erano alienatori primari. Solo una persona sosteneva un rapporto di 50-50 e nessuno sosteneva che si trattava del 100% delle madri”
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Offline Cassiodoro

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Re:PAS
« Risposta #32 il: Agosto 18, 2012, 17:59:34 pm »

IL PADRE MALEVOLO
ESISTE?
Le relazioni nel conflitto familiare

Una storia ….  un caso… una sindrome di padre malevolo?
 
“Quando  sua  madre  avvia  le  pratiche  per  la  separazione  Francesca  ha quindi  anni,  Paolo,  suo  fratellino,  ne  ha  quattro.  Tutto  e’  esploso  con  un messaggio che Francesca trova sul cellulare della mamma proveniente da un amico ch’ella pensa essere un “amante”, poiché da tempo avverte che il rapporto tra mamma e papa non funziona. Nascono liti tra i coniugi, i figli assistono  alle  scenate,  il  marito  non  perde  occasione  per  denigrare  la moglie,  incolpandola  agli  occhi  dei  figli  anche  di  eventi  accidentali,  la quale  dapprima  reagisce  alle  provocazioni  riversandogli  addosso  tutti  i risentimenti di una vita di sottomissione e solitudine  fino ad allora tenuti dentro, poi, realizzando che la figlia nel conflitto e’ schierata contro di lei in  difesa  del  padre  tradito  e  offeso,  non  reagisce  più  alle  provocazioni, adotta  la  tattica  del  silenzio,  con  contemporanei  messaggi  metaverbali  di disprezzo e disapprovazione. Inizia a questo punto la lotta per la conquista del piccolo Paolo, contesto e preteso dal padre ad ogni costo “con le unghie e  con  i  dent”i.  Rapito  dal  letto  durante  la  notte  e  trattenuto  a  se  stretto prima  che  la  mamma  si  fosse  alzata  per  poterlo  accudire  e  portare  di persona  all’asilo,  ripreso  all’uscita  cercando  di  arrivare  prima  della mamma per evitare scenate di pianto alla sua vista e poi tenuto ancora dal padre rigorosamente in braccio a casa per tutta la sera perfino durante la cena per poterlo coricare al posto della mamma. In attesa dei provvedimenti provvisori rinviati all’esito della ctu disposta stante la volontà espressa da
Francesca  di  rimanere  con  il  padre  e  le  richieste  di  questo  di  avere l’affidamento  esclusivo  di  entrambi  i  figli  nonostante  l’entrata  in  vigore della normativa sull’affidamento condiviso, la situazione in famiglia diventa sempre più insostenibile. La madre denigrata ed insultata anche dalla figlia, dalla quale e’ perfino in due occasioni spintonata e fatta cadere,  alterna la permanenza  presso  l’abitazione  coniugale  con  quella  presso  la  casa  dei propri genitori. Nel frattempo vengono emanati i provvedimenti provvisori  sulla  base  dei  suggerimenti  offerti  dal  perito  d’ufficio  che  comportano l’affidamento condiviso dei figli, la permanenza degli stessi presso la casa coniugale  assegnata  al  padre,  e  le  visite  alla  madre  per  tre  week-end  al mese  oltre  un  giorno  infrasettimanale.  Da  qui  inizia  un  travaglio  di disperazione:  la  madre  in  situazione  di  netta  inferiorità  economica  deve
prendersi  in  affitto  una  casa  e  rifarsi  tutto  il  corredo,  e’  costretta  ad esperire   azioni   legali   per   ottenere   il   pagamento   dell’assegno   di mantenimento,  non  vede  piu’  la  figlia  che    rifiuta  da  subito  qualsiasi rapporto con la  madre e con i nonni materni, e gradualmente anche Paolo comincia a mostrare verso la madre segnali  di rifiuto con espressioni quali "con te non ci sto, tu sei malata”. Nonostante siano stati disposti supporti psicologici per tutto il nucleo familiare, nessuno fa niente. Anche Francesca
segue  solo  qualche    sporadica    sessione    da  una  psicologa  senza  alcun seguito non appena raggiunta la maggiore età. La conflittualità emerge alta dalle  ripetute  istanze  depositate  da  ambo  le  parti  per  la  modifica  dei provvedimenti provvisori, il padre non fa nulla per riavvicinare la figlia alla madre,  e  rifiuta  qualsiasi  tentativo  anche  nelle  occasione  quali  le  feste  di compleanno o  natalizie, stacca la linea telefonica della figlia ed ogni volta che  la  madre  chiama  sul  fisso  di  casa  egli  le  dice  che  lei  non  le  vuole parlare.  I  regali  inviati  dalla  madre  vengono  buttati.  Ogni  decisione riguardo  ai  figli  viene  presa  all’insaputa  della  madre  alla  quale  non vengono date le informazioni scolastiche, ne’ i riscontri di profitto ottenuti solo  tramite  l’intervento  dei  legali.    Agli  assistenti  sociali  incaricati  di monitorare  la  situazione  la  figlia  dichiara  che  la  madre  l’ha  sempre maltrattata  fisicamente  e  moralmente.  Nulla  di  tutto  cioè emerge però dai testi somministrati alla minore in sede di perizia.” 
I  due  partners  sono  concentrati  sulla  loro  relazione,  ricorrono  ad  attacchi personali,  a  coercizioni  reciproche,  a  sospetti  ed  invidie,  incrementando  il conflitto.
Il padre dichiara ai servizi che fino a poco tempo prima aveva  delegato la gestione   dei   figli      alla   moglie,      senza   limitarne   l’intervento,   non riconoscendo  difficoltà  e  i  problemi  personali  della  moglie  che  invece  riconosce oggi. Dalle dichiarazioni della moglie il padre ha manipolato Francesca da molto tempo prima che si avviasse il procedimento di separazione, attirandola a
sé,  creando  un’unione  di  solidarietà  contro  la  madre,  proferendo  frasi denigratorie  della  figura  materna  ridicolizzata  con  epiteti  offensivi  a  cui seguivano  sarcastiche  risate  davanti  ai  figli,  addirittura  modificando  lo stato delle cose per far apparire la madre pazza o visionaria, mentre lui il miglior genitore.
Siamo in presenza di un caso di padre malevolo?


http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/anno%20XI,%20n_1,%202010/TESINA%20PADRE%20MALEVOLO%2017%5B1%5D_02_08%20daniela%20pallotta.pdf
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Offline COSMOS1

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Re:PAS
« Risposta #33 il: Agosto 18, 2012, 19:07:10 pm »
Citazione

 Leggo in giro che la Pas si compone di una sintomatologia scarsa, casistica indimostrabile, generalizzazione di comportamenti che di sicuro ledono il benessere psicofisico dei singoli ma di per se' non realizzano una casistica che determina il riconoscimento di una malattia. Un comportamento sbagliato dopotutto è solo un comportamento sbagliato. Se è dannoso diventa una forma di maltrattamento ma non una malattia.

Uno degli argomenti a detrazione è:

Gardner dice che un sintomo grave sia il rifiuto del genitore. Si stabilirà sempre che quel rifiuto dipenda unicamente dall'influenza nefasta esercitata dall'altro genitore?
Quali sono gli strumenti scientifici che si possono usare per capire l'origine di quel rifiuto?
Con quali strumenti si distingue un rifiuto per alienazione da un rifiuto perché vittima di violenze?

"Ci hanno rubato l'oro dell'evidenza e lo hanno perduto" Lanza del Vasto, Principi e Precetti

perchè giocare a fare ammunìa? quando le cose sono chiare perchè complicarle? ci sono interessi ad intorbidare le acque?

1 se i sintomi della PAS fossero scarsi (dal punto di vista dell'uomo qualunque, non dello psichiatra) di che discutiamo? chissenefrega? è proprio perchè i sintomi sono gravi e compromettono pesantemente la vita e il benessere di più persone che ne discutiamo. Certo che se di fronte ad un bambino che si comporta in modo "strano" si chiudono gli occhi, nessun sintomo vale più. Dopo però qualcuno me lo deve spiegare perchè i figli di divorziati hanno una probabilità doppia o tripla di non finire la scuola, di finire in carcere, di usare sostanze stupefacenti. Ora, visto che l'esito della discussione sulla PAS tra noi e in Italia in genere non servirà a modificare la prossima edizione del DSM, il problema è che questa sofferenza merita un nome, non si può dire che non ha un nome per dire che non esiste.

2 un bambino rifiuta un genitore. Che valore dobbiamo dare a questo fatto? se il rifiuto è motivato dobbiamo rintracciare nel genitore rifiutato comportamenti adeguati a giustificarlo. Il puro e semplice rifiuto non significa nulla circa il comportamento del genitore. Anche senza andare a colpevolizzare l'altro genitore, insisto. È normale che qualunque essere umano ritenga di avere ragione, perciò volente o nolente trasfonderà questa convinzione in coloro che ha vicino, quindi la madre convincerà i figli che ha fatto bene a lasciare il marito, e viceversa. A seconda della capacità persuasiva di ciascuno, i figli potranno rifiutare il rapporto con l'uno o con l'altro. Ora: IN TUTTE LE CIVILTÀ NOTE LA CREDIBILITÀ DEGLI ESSERI UMANI È IN RELAZIONE CON L'ETÀ!  Se un bambino rifiuta il rapporto con un genitore, questo rifiuto va trattato come vi pare ma non può essere considerato una scelta adulta e consapevole, non più di qualunque altra scelta.
Se si ritiene che il rifiuto del bambino sia motivato da un comportamento patologico/violento del padre, questo comportamento va PROVATO! Nel nostro universo culturale chiunque è innocente fino a prova contraria. Il rifiuto del bambino non è una prova. Se proprio si vuole è un sintomo da studiare, è un indizio da interpretare.
Non si può ribaltare l'onere della prova: poichè tuo figlio non ti vuole vedere tu devi dimostrare che non sei violento!  :mad:
Oltretutto in pedagogia chiunque sa che il credito incondizionato alle affermazioni dei bambini è il modo migliore per far crescere dei piccoli despoti, squilibrati e insicuri. I bambini hanno bisogno di figure di riferimento, se queste figure di riferimento sono alla loro mercè (perchè con un semplice sguardo o balbettio possono sottrarsi al controllo dei genitori) il rapporto educativo salta.

È una questione di una semplicità lapalissiana, il termine PAS ci serve solo come etichetta, ma qualunque persona di buon senso sa che i capricci dei bambini non vanno assecondati. I contadini di un tempo non si sarebbero mai lasciati menare per il naso in questo modo.
Il termine PAS è uno strumento utile per identificare una situazione e per indicare una modalità di intervento adeguata. Poichè non c'è un disturbo metabolico, infettivo, etc., non ci saranno farmaci di quel tipo. È un disturbo affettivo/comportamentale/emotivo. Va affrontato tenendo conto che la causa è nell'interazione tra la psiche del bambino (diversa da quella di un adulto) e un ambiente. Poichè l'ambiente è alterato e compromette la normale crescita del bambino e poichè la correzione dell'alterazione (la conciliazione dei genitori che sarebbe la cosa migliore dal punto di vista della crescita del bambino) non è possibile (per definizione, sennò che discutiamo a fare? fa parte dei dati di partenza) si devono introdurre ulteriori elementi che in un ambiente normale non servirebbero.
Considerare il rifiuto del bambino un fattore patologico è il modo migliore per inquadrarlo e intervenire, anche se la realtà è che è una risposta normale ad un ambiente patologico. Perciò la quadratura del cerchio è la seguente: si deve studiare una modalità di intervenire su una risposta normale ad un ambiente patologico, cambiando la risposta e non l'ambiente per ottenere una risposta analoga quella che si darebbe in un ambiente normale!
L'elemento da introdurre è che i genitori restano i genitori anche se sono separati e il bimbo non può sottrarsi alla loro potestà di propria iniziativa. Qualunque opinione contraria va contrastata per legge, che sia della madre, del padre, dei giudici, degli assistenti sociali, etc.
Questa è la norma.
L'eccezione (genitore violento) va provata caso per caso.
La norma è che chiunque di noi può andare a prendere il caffè al bar quando vuole. Se qualcuno di noi è gravemente malato a rischio infettivo e va isolato, deve essere provato. Non è sufficiente che lo affermi un bambino.
Se non ci sono strumenti per provare che quel genitore è violento, ci si deve comportare come se non lo fosse. Non si può invertire l'onere della prova! Chi fa una affermazione la deve provare. Non si può chiedere ai sostenitori della PAS (i quali sono convinti che l'accusa di violenza sia strumentale nel 99% dei casi) di provare la violenza!  Saranno gli avversari della PAS a dover mettere a disposizione strumenti scientifici, metodiche di indagine e quant'altro adeguatamente supportate da evidenze scientifiche per dimostrare ciò che affermano (che il rifiuto del bimbo è motivato dalla violenza del genitore rifiutato).
Noi sosteniamo che non si può dimostrare scientificamente l'esistenza dei fantasmi. Non puoi chiederci di fornirti la prova dell'esistenza dei fantasmi per poterli distinguere dalle persone normali. Noi riteniamo che quanlunque persona che incontriamo per strada sia una persona in carne ed ossa e che l'onere della prova contraria non spetti a noi.*
In ogni caso, dal punto di vista statistico e probabilistico è chiaro che nella maggioranza dei casi si tratta di una sofferenza psicologica e non di violenza subita, per cui, anche dal punto di vista della serva, si deve provare l'eccezione e non la norma.


* PS rileggendo qs intervento mi rendo conto che davvero abbiamo perso il contatto con la realtà! Se c'è bisogno di provare un comportamento violento, siamo fuori dal mondo! Che una persona sia violenta si vede a colpo d'occhio: basta guardare un bambino per capire come ha vissuto le ultime 24 ore! Insomma, una domanda del genere è davvero demenziale! Una violenza che non lascia segni, difficile da provare, è un non-senso. Buona solo per menare il can per l'aia.
Dio cè
MA NON SEI TU
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Offline FikaSicula

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Re:PAS
« Risposta #34 il: Agosto 19, 2012, 00:16:19 am »
No, questo è una ipotesi provocatoria di voi che volete fare (falsa) informazione.
Chi si interessa di PAS ha letto i metodi per effetuare la diagnosi di PAS, solo i detrattori non ne divulgano il metodo di accertamento.
Continuate ad insinuare che dietro il lavoro di Gardner e gli altri non ci sia un metodo,  ma sia stato tutto provocato "a tavolino" per danneggiare la madri e proteggere i padri violenti, cosa che, come già vi ho dimostrato, non è nelle intenzioni di chi vuole introdurre la PAS, o nell'elenco delle malattie o nei tribunali.

Dunque, no. Ho già tolto di mezzo quei pregiudizi. Non ho alcuna idea preconcetta. Nessuna tesi da dimostrare. Stiamo solo parlando di Pas e di bambini. E' una domanda che c'è. Chi legge vuole sapere. Io devo darne conto. Lo devo spiegare. Devo raccontare perché quella versione tu la trovi ridicola, falsa, pretestuosa. E' il nodo da sciogliere prima ancora di parlare di scientificità della Pas o di credibilità delle fonti.

Dicevo: non serve che si tirino fuori percentuali di false accuse perché fosse anche un solo bambino che rifiuta un genitore, non sto specificando il sesso, perché ha subito violenza è necessario rispondere a chi ti chiede se ci può essere un margine di errore. Se non si rischia di interpretare il rifiuto come alienazione quando invece era frutto di violenze.

Mi dici che devo riferirmi al modo di tracciare i sintomi. Ovvero al metodo che serve per realizzare la diagnosi.

Leggo da qui http://lnx.papaseparati.org/psitalia/pas/che-cosa-la-pas.html (ma va bene qualunque altra fonte) che:

Citazione
Perché si possa parlare di PAS, però, è necessario che l’astio, il disprezzo, il rifiuto non siano giustificati (o giustificabili) da reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore non affidatario.

E io ne prendo atto. Dunque mi si sta dicendo che se non c'è alcuna giustificazione al rifiuto sarebbe Pas. E sulla base di cosa si realizza una diagnosi di Pas?

Citazione
La diagnosi di PAS si basa sull’osservazione di otto sintomi primari nel bambino. Il primo sintomo è la "campagna di denigrazione", nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore affidatario verso l'altro genitore. In una situazione normale, ciascun genitore non permette che il bambino esibisca mancanza di rispetto e diffami l'altro. Nella PAS, invece, il genitore programmante non mette in discussione questa mancanza di rispetto, ma può addirittura arrivare a favorirla.

Lui lo chiama un sintomo. Io lo chiamo comportamento. Ma assumo l'informazione e la darò per come la leggo.

Citazione
Il secondo sintomo è la "razionalizzazione debole" dell'astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o, anche, solamente superficiali. Ad esempio, come scrive Gardner: "non voglio vedere mio padre perché mi manda a letto troppo presto", oppure "perché una volta ha detto cazzo".

Non so se si possa pretendere da un bambino una reazione tanto adulta da produrre anche spiegazioni sensate. Certe volte una reazione apparentemente insensata di un bambino che non sa formulare frasi a spiegazione delle proprie emozioni può nascondere un trauma. Dunque come si indaga quell'eventuale trauma? Se un bambino dice non voglio vedere mia madre perché arrrrrgh e dopo l'urlo il silenzio si tratta di una reazione insensata? Superficiale? Non sono domande retoriche. Sono cose oggetto di contestazione e io devo dare le due versioni della storia.

Citazione
La "mancanza di ambivalenza" è un ulteriore elemento sintomatico, per il quale il genitore rifiutato è descritto dal bambino come "tutto negativo", mentre l'altro genitore è visto come "tutto positivo".

Anche qui si pretende dal bambino un equilibrio che neppure da un adulto si pretenderebbe. Si critica un comportamento. Una opinione. E' ancora Gardner che decide che un bambino, la cui capacità di visione delle complessità al di là delle dimensioni binarie, tutto o niente, è di là da venire, debba essere quasi adulto prima del tempo.

Citazione
Il “fenomeno del pensatore indipendente" indica la determinazione del bambino ad affermare di essere una persona che sa pensare in modo indipendente, con la propria testa, e di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione senza influenza del genitore programmante.

E questa cosa è in contraddizione con la precedente. Dunque un bambino non può esprimere una opinione negativa di un genitore sia che lo faccia ripetendo a memoria le opinioni altrui sia che lo faccia usando proprie parole, propri contenuti, proprie convinzioni. Si può obbligare un bambino/ragazzino ad amare un genitore?

Citazione
L’ "appoggio automatico al genitore alienante" è una presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore affidatario, in qualunque genere di conflitto si venga a creare.

In relazione ad altri abusi ho letto in alcuni libri di psicologia che spesso i bimbi si esprimono a favore dei genitori maltrattanti. Mi sembra plausibile. Poi esistono i casi in cui  i bambini si affidano ai genitori che sembrano difenderli perché dei genitori molesti hanno paura. Come è possibile che Gardner non valuti un eventuale sintomo del genere per accreditare il rifiuto di un bambino?

Citazione
L’ "assenza di senso di colpa" è il sesto sintomo: questo significa che tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore escluso, avvengono senza sentimenti di colpa nel bambino.

Non so come si faccia a diagnosticare l'assenza di senso di colpa o quale caratteristica oggettiva al senso di colpa, che talvolta può essere un sentimento negativo specie in chi immagina di essere responsabile per la violenza subita, si voglia attribuire ma prendo atto di ciò che dice Gardner.

Citazione
Gli “scenari presi a prestito" sono affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente venirne da lui direttamente, come l'uso di parole o situazioni normalmente non conosciute da un bambino di quell'età per descrivere le colpe del genitore escluso.

Questa mi pare plausibile. Se ripete cose che arrivano da un adulto si vede. Si capisce.

Citazione
Infine, l’ottavo sintomo è l' "estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato", che coinvolge nell'alienazione la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o un compagno) del genitore rifiutato.

Dunque se oltre ad usare un rifiuto al genitore un bambino lo manifesta nei confronti della sua famiglia, presumo i nonni, per Gardner è un sintomo.

Sto facendo obiezioni che avanzerebbe chiunque. Gli scienziati lo farebbero in modo diverso, forse. Io faccio l'avvocato del diavolo. Sto ripetendo a memoria cose che vengono scritte, pensate, dette.

Continuo.

La Pas, una sindrome, dunque una ipotesi di una malattia oggi definito un disturbo (disorder), sembrerebbe basata su queste intuizioni d Gardner.

Per alcuni/e queste sembrano solo le sue opinioni personali. Lui deduce che dalla somma di questi comportamenti si realizzerebbe una diagnosi. Alcuni scienziati mettono in dubbio la sua teoria già a partire dai sintomi.

Per altri/e tutto ciò rappresenta la risposta ad una serie di bisogni che altrimenti non troverebbero compensazione. Sembra proprio vero, anzi lo è. E' proprio così, direbbero alcuni/e.

Quante altre sindromi eventuali possiamo comporre mettendo assieme una serie di opinioni su determinati comportamenti?

Come si stabilisce l'oggettiva scientificità di un sintomo? La differenza tra ciò che sicuramente è un sintomo o altrimenti è solo l'opinione di un singolo?

Di questo ho letto nei testi dei detrattori/trici. Posto che non posso scrivere che devono crederci per fede, che risposta porto che dia la misura di quello che a voi sembrerà sicuramente un errore?

Offline FikaSicula

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Re:PAS
« Risposta #35 il: Agosto 19, 2012, 00:58:07 am »
I giudici, per prendere decisioni, si avvalorano delle consulenze di specialisti, in ogni settore, mai sentiro parlare dei "periti del tribunale"? Per diagnosticare la PAS un giudice non si basa solo sull'accusa generica di un genitore, ma si rivolgerà ad uno specialista, come previsto da Gardner.

Ma è il giudice a chiedere la verifica alla psicologa dell'esistenza di una malattia. Non il contrario. Una malattia dovrebbe essere credo innanzitutto diagnosticata da un medico. Fuori da un tribunale. Una malattia dovrebbe essere tesi riconosciuta a consolidata nel contesto scientifico piuttosto che in un parlamento. Come è possibile che il riconoscimento di una malattia venga contenuto prima in una legge se non sta ancora in nessun manuale diagnostico pediatrico, nel dsm eccetera?

Abbiate pazienza. Queste sono le tesi contro. Ve le devo enumerare.


Citazione
Prima della "terapia della minaccia" deve essere redatto il “Transitional site program” che è, in pratica, un programma di riavvicinamento gestito fra il bambino ed il genitore alienato. Il programma prende il nome da un “luogo di transizione” (transitional site, in inglese) nel quale i due soggetti (bambino e genitore alienato) interagiscono fra di loro, in modo sempre più stretto col passare del tempo, così che il bambino possa accettare, senza traumi, una forma di convivenza col genitore alienato nella casa di quest’ultimo. [...]
..........................
I genitori, inoltre, devono temere la minaccia (e non esito ad usare questa parola) dell’applicazione di una  o  più  delle  sanzioni  indicate  in  tabella,  in  caso  di  mancata  adesione  al  programma delle visite stabilito
..........
 Un terapista PAS deve essere capace di dire, a un genitore alienante: “se lei non mi scodella il bambino a casa di suo marito  alle 17 in punto di venerdì prossimo, andrò dal giudice e chiederò che le vengano affibbiate le sanzioni scritte nell’ordine del tribunale”.

Non dovrebbero essere le decisioni del giudice a dover essere rispettate? Se l'affido è condiviso e lei non rispetta orari/condivisione dovrebbe già di per se' essere sanzionabile, no? Perché serve anche la Pas per ottenere il rispetto della condivisione?

Domanda: nel ddl si scrive che la Pas diventa motivo di esclusione dall'affido più che di sanzione. Non diventa dunque uno strumento punitivo e immediato che non rispetta il "Transitional site program"?


Quello di cui lei parla è un modo di indagine sbagliato ma che non centra nulla con la validità del concetto di PAS. È lo stesso se uno prescrive delle medicine ad una persona senza averla vista, la persona sta male o peggio muore e sulla base di questo si dice che la medicina non è una scienza.
Mi sembrano due cose diverse.
Per ciò che riguarda la questione della psichiatria il problema sono gli effetti del maltrattamento, non il maltrattamento in se. Se il minore sviluppa dei disagi psicologici molto forti allora il ricorso ad un intervento psicologico mi sembra plausibile . Voglio ricordare che in tema di affido la perizia è psicologica non psichiatrica (non capisco cosa centra la "psichiatria"). La perizia psichiatrica è impiegata nel processo penale.

Bene. Gliene do atto. Dunque posso distinguere metodi di indagine sbagliati dal concetto di Pas.

Citazione
Faccia attenzione perché gli elementi che sono riconducibili alla PAS non sono semplicemente il rifiuto da parte del bambino di vedere il genitore. Gardner a questo proposito è molto chiaro. Perché sia ventilata l’ipotesi di una PAS occorre che: 1) il bambino sia ossessionato con l’odio verso il genitore avverso; 2) il bambino parli vilificando il genitore in ogni modo possibile e usando un linguaggio altamente carico di disprezzo senza alcun sentimento di imbarazzo, colpa o rimorso; 3) il linguaggio impiegato dal bambino non solo è identico e senza alcuna evoluzione ma quasi sempre è del tutto simile a quello del genitore “amato” in modo acritico e incondizionato; 4) quando viene chiesto al bambino i motivi di così tanto odio e disprezzo verso il genitore non riescono a spiegare o forniscono spiegazioni che non giustificano tale odio. Il minore inoltre passa dal denigrare il genitore alienato al denigrare tutta la sua famiglia, indipendentemente dalla qualità della relazione precedente e lo fa senza mostrare alcuna ambiguità verso i suoi sentimenti e lo fa asserendo continuamente che queste valutazioni sono solo le sue.

Di questi punti, tutti e otto dicevo prima argomentando i temi a detrazione in risposta a Cassiodoro. Se mi fa la cortesia di sottolineare le contraddizioni delle risposte a detrazione che io ho descritto la ringrazio. Per una equilibrata trattazione della materia aiutatemi ad argomentare risposte alle tesi che voi definite "negazioniste".


restringiamo la discussione al caso emblematico del figlio che non vuole vedere uno dei due genitori. L'opinione del bambino va tenuta in considerazione? così come viene espressa? o va interpretata? contestualizzata?
[...]
È evidente che le affermazioni di un bambino vanno contestualizzate e che le civiltà umane attribuiscono alle opinioni dei bambini un peso relativo all'età.
Ora, poichè non ci sogniamo di comprargli la moto, dobbiamo chiederci perchè dovremmo consentirgli di non vedere uno dei due genitori. Guidare una moto di 250-500 cc  è meno pericoloso per un bambino di 10 anni rispetto a non vedere il proprio padre. [...]
Certo i sospetti e le ipotesi non vanno trascurati, eventualmente si attiverà un programma di sorveglianza discreta, si monitorerà lo sviluppo (facendo anche qui attenzione a certe derive giudiziarie, per le quali il disegno di una casa rotta è la prova di una violenza sessuale). Ma in assenza di prove in senso contrario lo sviluppo del bambino ha la precedenza.
Come non si cerca il consenso del bambino per negargli la moto, non si può cercare il suo consenso per affidarlo ad entrambi i genitori. Mi rendo conto che soprattutto in fase di separazione le donne tendano a sminuire l'importanza della figura paterna (soprattutto ma non solo). La cosa grave è che lo facciano anche le leggi e i giudici.

Con tutto ciò, cosa c'entra la PAS? è una etichetta che serve per identificare un insieme di dati di fatto, di evidenze, di situazioni, certe anche se non necessariamente univoche scientificamente.
[...] Forse tra qualche anno qualcuno dimostrerà nel cervello dei bambini soggetti alla PAS una alterazione ormonale o neuronale o ... Non importa, non possiamo aspettare che la cosa sia dimostrata e definita. Abbiamo bisogno adesso di una etichetta che descriva una situazione di conflitto nella quale si verificano di frequente situazioni di un certo tipo. In definitiva se ogni volta che un medico di base scrive su di un certificato di malattia "sindrome ansioso-depressiva" dovesse sapere cosa scrive e dovessimo avere a che fare con una malattia ben classificata, i medici di base sarebbero tutti in galera. Ma l'etichetta serve, anche se è imprecisa.
Poichè è ridicolo sostenere che i bambini non subiscano pressioni psicologiche nel corso di un conflitto di coppia, è altrettanto ridicolo e controproducente prendere le affermazioni di un bambino come una scelta ponderata, matura e ragionata. Diamo un qualunque nome a questa sofferenza psicologica e partiamo dall'assunto assoluto che è nell'interesse dei bambini mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, anche contro la volontà di tutti (bambini, giudici, assistenti sociali e genitori compresi!).
Questo dovrebbe essere il compito della legge.

Credo esistano carte e diritti per i bambini che attestino che la loro voce non possa essere ignorata. Se ignoriamo la voce dei bambini, al di là dei casi di mala giustizia, come facciamo a sottrarli alle violenze? Se un bambino torna a casa da scuola e dice "maestra bua" bisogna credergli? Quanto meno abbonargli il dubbio? Verificare?

Rispetto alla credibilità o meno di un bambino poi mi pare di aver letto che si richiede che i bambini possano essere partecipi e coinvolti nel procedimenti giudiziari in caso di affido. Dunque li si considera affidabili quando? E inaffidabili quando?

Dopodiché in linea di principio sono d'accordo. I bambini non possono certo immaginare di far fuori un genitore per sciocchezze. Ma allora diciamo chiaramente che oltre a intervenire sugli acquisti, le scelte scolastiche o altro noi dobbiamo intervenire sulle sue relazioni. Già lo facciamo. Solo che qui si parla di intervenire medicalizzando un conflitto.

E' onesta l'affermazione secondo cui si dice che intanto serve una etichetta a delineare qualcosa di negativo. Il dibattito infatti non è sulla negatività dell'assenza di relazione con il genitore ma proprio su quell'etichetta.

In termini scientifici è come dire che intanto uso il cortisone per curare, che so, un problema all'epidermide in assenza di un farmaco che rappresenti una soluzione precisa. E le conseguenze? Si possono misurare le conseguenze di un aggiustamento in corso d'opera quando l'oggetto della questione sono i bambini?

Meglio una soluzione imperfetta, fallibile, che una non soluzione?

Offline FikaSicula

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Re:PAS
« Risposta #36 il: Agosto 19, 2012, 01:39:02 am »
ci sono interessi ad intorbidare le acque?

Affatto.

Citazione
2 un bambino rifiuta un genitore. Che valore dobbiamo dare a questo fatto? se il rifiuto è motivato dobbiamo rintracciare nel genitore rifiutato comportamenti adeguati a giustificarlo. Il puro e semplice rifiuto non significa nulla circa il comportamento del genitore. Anche senza andare a colpevolizzare l'altro genitore, insisto. È normale che qualunque essere umano ritenga di avere ragione, perciò volente o nolente trasfonderà questa convinzione in coloro che ha vicino, quindi la madre convincerà i figli che ha fatto bene a lasciare il marito, e viceversa. A seconda della capacità persuasiva di ciascuno, i figli potranno rifiutare il rapporto con l'uno o con l'altro. Ora: IN TUTTE LE CIVILTÀ NOTE LA CREDIBILITÀ DEGLI ESSERI UMANI È IN RELAZIONE CON L'ETÀ!  Se un bambino rifiuta il rapporto con un genitore, questo rifiuto va trattato come vi pare ma non può essere considerato una scelta adulta e consapevole, non più di qualunque altra scelta.
Se si ritiene che il rifiuto del bambino sia motivato da un comportamento patologico/violento del padre, questo comportamento va PROVATO! Nel nostro universo culturale chiunque è innocente fino a prova contraria. Il rifiuto del bambino non è una prova. Se proprio si vuole è un sintomo da studiare, è un indizio da interpretare.
Non si può ribaltare l'onere della prova: poichè tuo figlio non ti vuole vedere tu devi dimostrare che non sei violento!  :mad:
Oltretutto in pedagogia chiunque sa che il credito incondizionato alle affermazioni dei bambini è il modo migliore per far crescere dei piccoli despoti, squilibrati e insicuri. I bambini hanno bisogno di figure di riferimento, se queste figure di riferimento sono alla loro mercè (perchè con un semplice sguardo o balbettio possono sottrarsi al controllo dei genitori) il rapporto educativo salta.

Ma infatti io parlo di verifica del rifiuto e non di verifica del genitore rifiutato. Sono d'accordo sul fatto che la violenza va provata. La verifica del rifiuto è ascolto delle motivazioni del minore. E' una indagine accurata. E' la non trascuratezza nei confronti dei bisogni di un bambino. Non c'è di peggio per un bambino traumatizzato che non essere creduto. So ciò che dice la pedagogia. So anche che la stessa pedagogia e la psicologia infantile affermano che i bambini bisogna ascoltarli.

Metti un caso di violenza in cui un bambino parla poco, non si esprime, neppure dice, non afferma, porta dentro di se' la vergogna, il senso di colpa, perché è così difficile dire di essere stati abusati, nel momento in cui trova il coraggio  io so che ci sono dei dispositivi che distinguono una bugia dalla verità. O quanto meno questo è quello che leggo.

So cosa si vuole dire:

i casi di violenza vengono trattati con un principio di colpevolezza a priori. Se metti una lettura di genere aggiungi che sei colpevole in quanto uomo. Dunque bisogna capovolgere questo meccanismo che ti obbliga a restare a difenderti da accuse dove la prova sarebbe l'affermazione del bambino o di sua madre.

Allora, se così è, mi serve uno strumento affinché non si passi da un estremo all'altro. Dal totale credito alle affermazioni di un bambino alla totale negazione.

Citazione
È una questione di una semplicità lapalissiana, il termine PAS ci serve solo come etichetta, ma qualunque persona di buon senso sa che i capricci dei bambini non vanno assecondati. I contadini di un tempo non si sarebbero mai lasciati menare per il naso in questo modo.

I contadini di un tempo per il mancato ascolto dei bambini hanno anche fatto tante sciocchezze. Non può sempre essere che era meglio quando era peggio. Tra l'ascolto e la riduzione alle richieste e ai bisogni tutti al livello di capricci ci deve essere una via di mezzo.

Citazione
Considerare il rifiuto del bambino un fattore patologico è il modo migliore per inquadrarlo e intervenire, anche se la realtà è che è una risposta normale ad un ambiente patologico. Perciò la quadratura del cerchio è la seguente: si deve studiare una modalità di intervenire su una risposta normale ad un ambiente patologico, cambiando la risposta e non l'ambiente per ottenere una risposta analoga quella che si darebbe in un ambiente normale!
L'elemento da introdurre è che i genitori restano i genitori anche se sono separati e il bimbo non può sottrarsi alla loro potestà di propria iniziativa. Qualunque opinione contraria va contrastata per legge, che sia della madre, del padre, dei giudici, degli assistenti sociali, etc.
Questa è la norma.
L'eccezione (genitore violento) va provata caso per caso.

Registro. Ok. Mi pare una ottima sintesi.

Citazione
Se non ci sono strumenti per provare che quel genitore è violento, ci si deve comportare come se non lo fosse. Non si può invertire l'onere della prova! Chi fa una affermazione la deve provare. Non si può chiedere ai sostenitori della PAS di provare la violenza!  Saranno gli avversari della PAS a dover mettere a disposizione strumenti scientifici, metodiche di indagine e quant'altro adeguatamente supportate da evidenze scientifiche per dimostrare ciò che affermano (che il rifiuto del bimbo è motivato dalla violenza del genitore rifiutato).

Anche questa è una tesi legittima. Va descritta in quanto tale. Hai risposto alla domanda che facevo.

Citazione
Noi sosteniamo che non si può dimostrare scientificamente l'esistenza dei fantasmi. Non puoi chiederci di fornirti la prova dell'esistenza dei fantasmi per poterli distinguere dalle persone normali. Noi riteniamo che quanlunque persona che incontriamo per strada sia una persona in carne ed ossa e che l'onere della prova contraria non spetti a noi.*
In ogni caso, dal punto di vista statistico e probabilistico è chiaro che nella maggioranza dei casi si tratta di una sofferenza psicologica e non di violenza subita, per cui, anche dal punto di vista della serva, si deve provare l'eccezione e non la norma.

Capito il punto.


Citazione
* PS rileggendo qs intervento mi rendo conto che davvero abbiamo perso il contatto con la realtà! Se c'è bisogno di provare un comportamento violento, siamo fuori dal mondo! Che una persona sia violenta si vede a colpo d'occhio: basta guardare un bambino per capire come ha vissuto le ultime 24 ore! Insomma, una domanda del genere è davvero demenziale! Una violenza che non lascia segni, difficile da provare, è un non-senso. Buona solo per menare il can per l'aia.

Non sempre è così. Ci sono violenze che non lasciano segni visibili. E le persone violente non ce l'hanno sempre scritto in fronte. Così come le prove che un bambino porta per i traumi subiti sono diverse e non sempre tangibili, senza tener conto del fatto che esistono comunque genitori che ignorano i segnali (o li nascondono) dei figli per giustificare se stessi.
Sto pensando ad una signora che ho conosciuto tanto tempo fa e che sgridava suo figlio dalla mattina alla sera. Non c'era attimo che non la si sentisse sbraitare. In realtà non lo picchiava. Lo umiliava. Il bambino a scuola era taciturno, timidissimo, poi faceva delle cose orrende, ripeteva gesti, parole. L'insegnante chiamava la madre e chiedeva lumi. La madre diceva che era così da qualche tempo e che la faceva impazzire, che proprio non riusciva a tenerlo a bada. Balle. Ecco, esistono anche genitori così.

Scusate lunghezza e forse scarsa chiarezza (spero di no). Sono molto stanca e non connetto molto ma ho provato a rispondere agli interventi cosicché si possa andare avanti nella discussione.

Alla fine di questo ulteriore giro di interventi io farò una sintesi puntuale delle vostre risposte, argomentate, precise, senza tralasciare nulla, e quella sarà la parte che riguarderà voi nel mio articolo. Siete voi che la state raccontando.

Appena finita questa tappa Cassiodoro, si, io voglio saperlo e raccontarlo come stanno i figli e i genitori che loro malgrado non possono stare insieme.

Buonanotte.

Offline Cassiodoro

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Re:PAS
« Risposta #37 il: Agosto 19, 2012, 02:13:55 am »
Appena finita questa tappa Cassiodoro, si, io voglio saperlo e raccontarlo come stanno i figli e i genitori che loro malgrado non possono stare insieme.
Io avrei cominciato dai bambini, dai loro disagi, poi passerei ai genitori esclusi, e se avessi trovato dei dati concreti passerei a discutere pro o contro la PAS

http://www.alienazione.genitoriale.com/%E2%80%9Cla-sindrome-di-alienazione-genitoriale%E2%80%9D-di-isabella-buzzi/

Questo articolo di Isabella Buzzi è un testo fondamentale per la ricerca in materia di alienazione genitoriale in Italia.
E’ stato pubblicato nel 1997 ed è citato nel documento presentato da William Bernet nel 2010 per l’inclusione della PAS nel DSM-V come la prima ricerca a carattere scientifico in Italia sulla PAS. La dottoressa Buzzi analizza le premesse che permettono il verificarsi dell’alienazione genitoriale descrivendo l’evoluzione attraverso cui un minore da una situazione di normale attaccamento ad entrambi i genitori può arrivare alla situazione patologica di alienazione genitoriale.
Buzzi I.: “La sindrome di alienazione genitoriale”. In Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffré, Milano, II Ed., 1997, pp 177-188
La sindrome di alienazione genitoriale
ISABELLA BUZZI
Dottore in Psicologia e mediatrice nei casi di separazione e divorzio, collabora con il Dipartimento di Psicologia e con il Centro Psicologia Giuridica dell’Università Cattolica di Milano.
Sommario:
A) Premesse al suo verificarsi.
B) Dall’attaccamento ad entrambi i genitori alla sindrome di alienazione genitoriale.
C) Gli effetti della sindrome di alienazione genitoriale sui figli.
A) Premesse al suo verificarsi.
La sindrome di alienazione genitoriale non è rara nelle famiglie io cui i genitori si separano (Gardner, 1989a; Clawar & Rivlin, 1992) in quanto molte delle risposte personali di genitori e figli finiscono col colludere (dal latino colludere, giocare insieme. Nell’ambito di una relazione interpersonale, nell’accezione di intesa spesso inconscia e non ammessa, di gioco comune inconscio, tra due persone (genitore e figlio), le quali vi ricorrono e la mantengono ai fini di difesa e di superamento delle angosce e dei sensi di colpa da cui sono accumunati. Attraverso la collusione i due si sentono ineluttabilmente connessi l’uno all’altro (per maggiori approfondimenti sui rapporti collusivi vedere Jürg Willi, 1993) ed è questa una delle premesse fondamentali al suo verificarsi.
Vi sono risposte genitoriali ìnfluenzanti la relazione genitore-figlio dopo la separazione da considerarsi assolutamente normative (cfr. Parkinson, 1995; Everett & Volgi. 1995; Wallerstein & Kelly, 1980; Gardner, 1989a; Jhonston & Campbell, 1988). Essi sono più nervosi a causa della situazione quindi anche più irritabili e perdono più spesso la pazienza. Accade che cadano in depressione e che di conseguenza si curino anche meno dei figli o che siano meno disponibili emotivamente, oppure che facciano dei figli i propri confidenti, occupandosi molto meno dei loro problemi personali di bambini. Molti genitori disciplinano meno i figli in quanto hanno forti sensi di colpa e vorrebbero discolparsi rendendosi più attraenti. Molti genitori affidatari discutono della separazione con amici e parenti alla presenza dei figli senza curarsi del fatto che essi possano essere in ascolto.
I genitori che non vivono con i figli (i non affidatati), sovente finiscono col perdere contatti con i propri figli, il loro senso di colpa per aver spezzato l’unione familiare li allontana e non collaborano più con il genitore affidatario. Molti di essi stanno anche tre o quattro mesi senza vedere i figli subito dopo la separazione. In questo clima familiare diventa impossibile per i figli parlare del genitore assente e si crea per forza di cose un’alleanza temporanea.
Alcune risposte genitoriali sono però più pericolose e non sono da considerarsi come normative in quanto hanno lo scopo di separare il figlio dall’altro e di cementarlo a sé. Lo svilupparsi di un forte biasimo morale nei confronti del coniuge assente e il dare libero sfogo alla propria indignazione, il mettere in atto comportamenti più o meno indiretti di vendetta, il dimostrarsi spaventati quasi paranoici, quando i figli stanno con l’altro genitore, sono elementi che dimostrano quanto ritengano l’altro genitore pericoloso per i figli. A queste azioni si aggiungono le imposizioni dopo le visite al genitore non affidatario: ispezioni. interrogatori, inquisizioni, ecc. unite all’annuncio esplicito e ricattatorio del proprio timore di perdere il figlio, ad esempio: “Se perdessi anche te sarebbe meglio morire!”.
Anche le risposte dei figli sono in grado di influenzare la relazione genitore-figlio dopo la separazione (cfr. Kalter, 1990; Wallerstein &. Kelly, 1980; Clawar & Rivlin, 1992; Gardner, 1989a; Everett & Volgi, 1995). Molti di essi esprimono la loro rabbia apertamente (se molto piccoli invece sembrano utilizzare più facilmente meccanismi quali la rimozione e/o lo spostamento verso gli oggetti transazionali). La rabbia che essi sperimentano porta distanza o confusione nella relazione genitori-figli, questi ultimi sentono inoltre la necessità di colpevolizzarsi o di colpevolizzare qualcuno, sovente il genitore che ha apertamente voluto la separazione. I figli più grandi biasimano moralmente i genitori per quanto sta accadendo, diventano intrattabili e chiusi, cadono in depressione e finiscono col non comunicare più o con il farlo male. Gli adolescenti normalmente finiscono con l’estraniarsi dalla relazione coniugale dei genitori.
È identificato come sano il comportamento di quei figli che temporaneamente si alleano con il genitore che sentono più simile a sé, ovverosia quello che pensano sia vittima della separazione. Vogliono prendersene cura e aiutarlo a superare la crisi e, a meno che non siano risposte estreme o prolungate, sono da considerarsi come risposte normative positive. I figli più sani e meglio adattati tuttavia finiscono col dimostrare uno spiccato desiderio di essere giusti ed equilibrati con entrambi i genitori, si dissociano dalla lite coniugale e a volte da entrambi i genitori, se sono adolescenti o giovani adulti accelerano il processo di distacco dai genitori e trascorreranno molto più tempo fuori casa.
Sono invece i figli più fragili che incominciano progressivamente ad alienare il genitore con cui non si sono alleati e che possono rientrare nella normalità solo se la separazione verrà gestita bene dai genitori.
B) Dall’attaccamento ad entrambi i genitori alla sindrome di alienazione genitoriale.
Vi è un continuum dell’attaccamento/alienazione genitoriale (Kelly, 1994) che può scattare quando i figli hanno 8/9 anni in quanto i figli più piccoli non hanno capacità cognitive sufficienti per essere buoni alleati e sono meno affidabili, anche se a livello empatico possono dimostrarsi molto più vicini al genitore che si prende cura di loro. La sindrome è infatti tipica dei figli adolescenti e può riscontrarsi anche in figli di 20 anni o più. Come possiamo osservare nella figura 1, il passaggio dall’attaccamento verso entrambi i genitori alla sindrome di alienazione genitoriale vera e propria è piuttosto articolato.
Possiamo osservare che vi sono dei caratteri distintivi dei quattro punti di passaggio.
1.   Figli senza preferenze. Figli che hanno un uguale attaccamento per entrambi i genitori. esprimono lo stesso piacere e uguale confidenza con ciascuno di loro e non esprimono preferenze sul genitore con cui vorrebbero trascorrere la maggior parte del tempo. In effetti. questi bambini esprimono il desiderio di trascorrere la maggior parte possibile di tempo con entrambi i genitori.
2.   Figli con un’affinità elettiva per uno dei genitori. Si tratta dei figli che non esprimono una preferenza per un genitore rispetto all’altro, ma a causa della personalità o del temperamento del bambino o del genitore, di uno speciale bisogno del bambino, o di un cambiamento delle circostanze esterne possono essere indotti a provare maggiore affinità per un genitore in particolare. Questa affinità tuttavia può essere sia costante, attraverso i diversi momenti della crescita del bambino, oppure può spostarsi da un genitore all’altro nel tempo. in relazione alle circostanze e ai cambiamenti nelle vite di figli e genitori.
3.   Figli allineati con uno dei due genitori. Sono figli che identificano e scelgono il loro genitore preferito o che discriminano in genitore “buono” e genitore “cattivo” come risultato della separazione quando tale categorizzazione non esisteva prima della separazione. Solitamente questa scelta viene fatta a favore del più debole, del più rabbioso o ferito, e risulta essere un bisogno cosciente del bambino quello di prendersi cura di quel genitore. Può anche essere un espressione della rabbia del figlio e dei suoi sentimenti feriti per il fatto di essere stato “abbandonato” da un genitore, sentimenti alimentati dal genitore con cui si sono alleati. Sotto la superficie, comunque, questi bambini provano affetto per entrambi i genitori e mentre possono avere delle resistenza a trascorrere del tempo col genitore “cattivo”, di solito accettano le sue visite e si divertono, nonostante lo esprimano raramente al genitore preferito. Nonostante possano mostrarsi di cattivo umore e essere chiusi o scontrosi col genitore che non vive più con loro, specialmente quando l’altro è presente, non esprimono sentimenti di rabbia ne si lamentano mai direttamente con questo genitore, ma esprimono la maggior parte delle lamentele con il genitore cui sono affidati e col quale si sono allineati.
4.   Figli alienati da un genitore. Si tratta dei figli che hanno scelto uno schieramento di parte durante il divorzio e che rigidamente si rifiutano di avere una qualsiasi relazione con l’altro genitore, che diventano quasi ossessionati dalla rabbia e dall’odio nei confronti di quel genitore. Essi sono stati e si sono alienati, e non sono affatto ambivalenti: lo rifiutano, e quasi sempre hanno subito un “lavaggio del cervello”. Sono assai rari i bambini appartenenti a questa categoria, che scelgono di non trascorrere mai un po’ di tempo con il genitore perché abusante o affetto da qualche patologia (in questi casi si tratta di una preferenza realisticamente non ambivalente ed è assente l’atteggiamento caricaturale e il tono ripetitivo delle lamentele, ma si dimostrano lucidi e sobri). La maggior parte dei figli alienati, comunque, ha avuto una normale relazione col genitore alienato prima della separazione, e in seguito ha completamente assorbito e fatto proprio il punto di vista del genitore “preferito” nei confronti del genitore alienato. Questi sono solitamente bambini che hanno un età compresa tra i 9 e i 15 anni al momento della separazione, e che si oppongono con forza e veemenza al genitore alienato senza apparenti espressioni di colpa o di ambivalenza. Essi elencano le proprie critiche e la propria avversione in presenza di entrambi i genitori con modalità ripetitive, sovente utilizzando le stesse parole utilizzate dal genitore preferito per descrivere le trasgressioni e i difetti del genitore alienato. Il loro linguaggio è quasi sempre pomposo e la scelta dei termini molto ricercata (da adulti).
L ‘identificazione della sindrome di alienazione genitoriale è legata ad una serie di presupposti, anche se occorre premettere che sono le risposte stesse alla separazione a creare le condizioni circostanziali perché la sindrome possa svilupparsi e che, tra l’altro, le modalità educative assunte dai coniugi prima della separazione non sono predittive della relazione educativa successiva. Si sa che a volte la relazione tra genitore non affidatario e figlio si rafforza dopo la separazione, più sovente sembra indebolirsi e diventare più superficiale, oppure sembra restare identica, quindi è difficile fare previsioni. Tuttavia sappiamo che molto può dipendere dalle modalità di affido da un lato (Buzzi, 1995) e dall’altro dalle strategie difensive e le dinamiche collusive presenti nella famiglia durante il conflitto della coppia coniugale (Jhonston & Campbell, 1988).
La sindrome di alienazione genitoriale inizia e viene mantenuta dal genitore affidatario il quale dà atto ad una serie di tecniche di programmazione, ovverosia attinge ad un sistema di credenze, quali i valori morali, religiosi, filosofici, personali, sociali, ecc. diretti a “demolire” il genitore bersaglio per raggiungere uno scopo: distruggere la relazione tra l’altro genitore e il proprio/i figli (Clawar &. Rivlin, 1992; Gardner. 1989b).
Ci sono 5 fasi nella programmazione:
•   guadagnare accondiscendenza: è per questo motivo che il bambino deve essere giunto ad un livello di sviluppo cognitivo e morale sufficiente per la programmazione;
•   testare come funziona la programmazione: sovente attraverso domande dirette come: “Sono un buon genitore?”;
•   misurazione della lealtà;
•   generalizzazione ed espansione del programma sulle persone che si sono alleate all’altro genitore e sugli oggetti o gli animali che gli appartengono;
•   mantenere il programma.
La cosa positiva di questa sindrome è che se il genitore programmante ferma la programmazione la sindrome scompare. Dapprima i figli non vogliono ascoltare o si limitano a tacere, poi nel tempo finiscono col cedere perché e difficile per un figlio che già soffre personalmente restare insensibile alla sofferenza del genitore programmante, inoltre l’adulto riesce con maggior forza a dare voce alla propria sofferenza e ai propri bisogni. Per tutti questi motivi finiscono col cedere alla programmazione soprattutto i bambini psicologicamente ed emotivamente più fragili e meno difesi o che entrano nella separazione dei genitori con molti problemi ancora irrisolti.
Per riuscire ad inculcare il programma appena accennato vengono selezionate delle tecniche di “lavaggio del cervello” precise, quali :
•    la negazione dell’esistenza dell’altro
•    ripetuti attacchi all’altro in forma indiretta, subito negati
•    il mettere sempre il figlio in posizione di giudice dei comportamenti scorretti dell’altro
•    la manipolazione delle circostanze proprio favore e a svantaggio dell’altro
•    la disapprovazione dell’altro con lo spostamento verso la sua “malattia”
•    il costante tentativo di allearlo con il proprio pensiero e giudizio
•    il drammatizzare gli eventi facendone una “tragedia della moralità”
•    il minacciare un calo d’affetto nel caso il figlio si riavvicinasse all’altro
•    il ricordare costantemente di essere il genitore migliore
•    il far cadere dall’alto le proprie azioni positive e il proprio amore
•    il sottolineare di essere l’unico capace di prendersi cura dei figli (l’altro è inaffidabile)
•    il riscrivere la realtà o il passato per creare dei dubbi nei figli sul rapporto con l’altro.
Le motivazioni dei genitori programmanti nascono dal loro bisogno di vendicarsi dell’altro o dal profondo rifiuto che sentono nei confronti dell’altro genitore (peggiore se a causa di un tradimento o una profonda umiliazione personale. ma accade anche quando l’annuncio della separazione non ha repliche ed è definitivo, in quanto getta nella disperazione).

Anzitutto è presente un autoconvincimento delle proprie ragioni cui si affianca un meccanismo simile a quello del nemico, che porta a innalzare la propria autostima grazie alla lotta per la dimostrazione di essere moralmente migliori dell’altro, e quindi educativamente migliori. Con l’abbandono da parte del coniuge insorge anche la conseguente messa in dubbio della propria identità, l’unica certezza rimasta è quella di sapere di essere un genitore, un buon genitore. Difatti, dopo l’abbandono da parte del coniuge la paura più grande è quella di perdere i figli o di essere abbandonati anche da loro, quindi alcuni genitori (quelli psicologicamente più deboli), cercano di averne il controllo più totale. Esternano un amore di tipo possessivo e controllante. Se gli amici i parenti o l’avvocato cercano di mitigare il loro comportamento competitivo e paranoico, o si dimostrano apertamente dissenzienti, vengono allontanati o licenziati. A ciò si aggiunge sovente una forte gelosia nei confronti del nuovo partner dell’altro, il quale è spesso identjficato come un rimpiazzo di sé.
In tutta questa tempesta emotiva sovente i genitori programmanti finiscono col perdere di vista i sentimenti personali dei figli e col proiettare su di essi i propri sentimenti per assicurarsene il sostegno: “Se vai a stare con tuo padre come farò a sopravvivere? Non avrò più l’assegno di mantenimento e per non morire di fame dovrò trasferirmi e quindi non ci vedremo più”.
C) Gli effetti della sindrome di alienazione genitoriale sui figli.

Gli effetti della sindrome di alienazione sui figli dipendono:
a) dalla severità del programma;
b) dal tipo di tecniche di lavaggio del cervello utilizzate;
c) dall’intensità con cui viene portato avanti il programma;
d) dall’età del figlio e dalla sua fase di sviluppo, oltre che dalle lue risorse personali
e) dalla quantità di tempo che essi hanno trascorso coinvolti nel conflitto coniugale.
L’impatto della sindrome comunque, non è mai benigno perché coinvolge manipolazione, rabbia, ostilità e malevolenza, a prescindere dal fatto che il genitore programmante ne sia più o meno consapevole. Ciò che si ottiene sui figli è sempre un grave lutto di una parte di sé.
Sappiamo bene che alcuni figli continuano a sperare nella riunione dei genitori (come recupero della perduta infanzia), e in questi casi di alienazione si assommerà la vergogna per aver volutamente perso un genitore. Quando i ragazzi alienati ricostruiscono l’accaduto e lo disvelano a se stessi finiscono per escludere anche il genitore programmante, rischiando una seconda perdita.

Il genitore bersaglio infatti, in principio rimane come disarmato di fronte alla volontà di allontanamento dimostratagli dai figli e nella sua posizione di debolezza, passa dalla rabbia, alla protesta, alla confusione e alla depressione.

Progressivamente molti genitori bersaglio finiscono per desistere nei loro tentativi di vedere i figli e di trascorrere un po’ di tempo con loro per riuscire a mantenere, o addirittura a sviluppare, una relazione d’intimità, questo in seguito peserà nell’eventuale processo di riavvicinamento voluto dai figli e aumenterà le difficoltà di rapporto legate all’estraneità venutasi a creare.


I ragazzi alienati che testimoniano contro il genitore bersaglio si ritroveranno a dover lottare in futuro con forti sensi di colpa, cui si affiancheranno le paure di abbandono e della perdita dell’amore del genitore programmante.
Sovente i figli escono da questa ambivalenza con strategie autodistruttive, autocolpevolizzanti e autolesioniste. Sembra inoltre che figli alienati tendano a diventare genitori programmanti.

Dal momento che durante la programmazione questi ragazzi possono sviluppare potenti sentimenti di ostilità e hanno carta bianca nel darne libero sfogo, si presentano come soggetti che si introducono volontariamente nei conflitti con modalità antagonistiche, possono essere irrispettosi, non collaboranti, ignoranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili, vanno male a scuola, fanno della manipolazione uno strumento relazionale. Non è raro che in questi casi aumenti anche l’ostilità manifesta tra fratelli.
Questi ragazzi presentano quasi sempre disturbi dell’identità, sovente della sfera sessuale, e sono più vulnerabili alle perdile e ai cambiamenti, regrediscono a livello morale e continuano a operare anche oltre l’adolescenza una netta dicotomia tra “bene” e “male”.

Le regressioni possono essere presenti anche in altri ambiti di sviluppo in quanto il processo psicologico in atto è molto costoso, quindi possono presentare un’ampia confusione cognitiva, una dissonanza ingestibile tra realtà e programma, e la creazione di genitori immaginari a sostituzione del genitore perduto. Sono tuttavia solo i figli più dipendenti e quindi i meno autonomi a essere vulnerabili alla programmazione, così come quelli con bassa autostima, quelli che si sentono colpevoli per qualcosa che pensano di aver fatto, quelli che già avevano problemi emotivi o psicologici al momento della separazione.

A complicate il tutto c’è l’effettivo abbandono da parte del genitore bersaglio dei tentativi di visita ai figli. Il suo allontanamento crea una situazione di assenza di confronto con la realtà, se infatti viene a mancare il contatto con l’altro genitore è più facile cadere vittime della programmazione perché non può esserci esame diretto e confronto tra programma e realtà.
Socialmente si presta ancora troppo poca attenzione alla qualità del rapporto dei figli col genitore non affidatario, soprattutto se questi si e allontanato a causa di una nuova relazione affettiva. Il biasimo sociale. per quanto comprensibile, è assai pericoloso per lo sviluppo dei figli in quanto innesca una alleanza sociale col genitore programmante.

Al contrario di quanto comunemente si pensa, tuttavia, coloro che lasciano la famiglia non intendono separarsi dai figli ma solo dal proprio coniuge e andrebbero perciò aiutati affinché la loro separazione dai figli non avvenisse mai.
« Ultima modifica: Agosto 19, 2012, 02:23:56 am da Cassiodoro »
"Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante" - "Ah sì? E cosa ha capito?" - "Che vola solo chi osa farlo"

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Re:PAS
« Risposta #38 il: Agosto 19, 2012, 03:05:18 am »
Citazione da: FikaSicula

Mi dici che devo riferirmi al modo di tracciare i sintomi. Ovvero al metodo che serve per realizzare la diagnosi.

Leggo da qui http://lnx.papaseparati.org/psitalia/pas/che-cosa-la-pas.html (ma va bene qualunque altra fonte) che:

In allegato la tabellina riassuntiva di Gardner per la diagnosi della PAS, con le considerazioni aggiuntive.

Sei un po superficiale quando non consideri il comportamento come un sintomo.
 

La sindrome di alienazione genitoriale
 
Guglielmo Gulotta* Professore universitario di "Psicologia Giuridica", Università degli Studi di
Torino.   

3. Criteri per una diagnosi differenziale 
 
........
Indipendentemente dalle accuse - spesso volutamente esagerate - che i partners in conflitto si scagliano nei processi per separazione personale con addebito, quasi tutti i separandi fanno attribuzioni di tipo self-serving ai danni del coniuge: la realtà che il genitore inculca nel figlio è spesso la sua reale realtà soggettiva, ricostruita per giustificare e per giustificarsi (Fincham et al., 1990; Harvey et al., 1992). Se questo è così comune, come distinguerlo da ciò che artatamente il genitore dice e fa per "alienare" il figlio? Dove finisce l'influenza educativa e dove inizia la programmazione? Quando ci troviamo di fronte ad una   preferenza, per così dire, "naturale", e quando invece essa è condizionata?   

Proviamo ad individuare alcuni criteri distintivi di quest'ultima (oltre alle indicazioni riportate
nella tabella successiva):   
- il figlio cambia bandiera dopo l'affidamento provvisorio e senza una plausibile ragione;   
- le critiche/accuse all'altro genitore appaiono inconsistenti, esagerate, contraddittorie o contraddette dai fatti;   
- le critiche/accuse appaiono stereotipate, prive di dettagli e copia-carbone del pensiero di uno dei genitori;   
- le critiche/accuse sono estranee all'ambito di esperienza di un bambino di quell'età (per esempio, un bambino di 6 anni che critica il padre perché "è incapace sul lavoro, si appoggia sempre agli altri, non sa farsi valere");   
- formulazione di critiche/accuse che contengono informazioni che solo l'altro genitore può aver fornito ("Tua madre frequenta altri uomini quando noi non la vediamo"); 
- ansia e paura nell'incontrare l'altro genitore in assenza di ragioni concrete (ad esempio, perché una figlia dovrebbe avere paura del padre dopo la separazione se prima non ne aveva?); 
- preoccupazioni volte a tutelare, senza una ragione specifica, un genitore rispetto all'altro; 
- ricerca di informazioni sul genitore bersaglio e/o considerazione delle informazioni sul genitore programmatore come segrete, da non divulgare;   
- partigianeria a favore del nuovo compagno del genitore rispetto all'altro genitore biologico;   
- presenza di razzismo familiare ("Noi siamo i Rossi, brava gente; i Bianchi invece sono dei buoni a nulla e prepotenti"; "Così è tuo padre e così è tuo nonno");   
- ritenere che un genitore sia soltanto vittima e l'altro soltanto colpevole o responsabile con una visione manichea e senza sfumature.

Tecniche di induzione della PAS e di brainwashing   
- Negazione dell'esistenza psicosociale del genitore bersaglio (non parlare mai del coniuge, non farlo vedere al figlio, togliere le sue foto dalla casa)   
Negazione della critica verso il genitore bersaglio (criticare il coniuge davanti al bambino e, quando questi ripete la critica, attribuire a lui la fonte della critica)   
Distruzione dell'immagine del genitore bersaglio (parlare solo in modo negativo del coniuge)   
Manipolazione della situazione (dare false informazioni al coniuge sul figlio in modo che insorgano conflitti o fraintendimenti tra i due)   
Marcamento delle differenze (far risaltare le differenze tra il coniuge bersaglio e se stessi od il figlio)   
Induzione di alleanza (soddisfare tutti i desideri del figlio e/o quelli non soddisfatti dal coniuge)   
Creazione di alleanze con persone frequentate dal figlio (insegnanti, amici…)   
Induzione del senso di colpa (convincere il figlio che se farà certe cose significa che non vuole più bene al genitore programmatore)   
Induzione del dubbio (far credere al figlio che l'amore dell'altro genitore è falso, interessato…)   
Induzione della paura (dire al figlio che i suoi contatti col genitore bersaglio sono pericolosi per qualche motivo)   
Ricostruzione della realtà (manipolare la storia familiare: "se sei nato è merito mio, tuo padre non ti voleva", quando magari il padre voleva solo aspettare un anno per sistemarsi professionalmente)   
Punizione e ricompensa (minacciare/punire o premiare il figlio se…)   
Promessa (promettere al figlio che il genitore programmatore migliorerà la sue condizioni di vita)   
Doppio legame (comunicare in modo contraddittorio per rendere il figlio suggestionabile all'indottrinamento)   
Mistificazione (manipolare i sentimenti del figlio) 

Effetti a breve e lungo termine sul bambino   
Possono essere molto diversi a seconda delle tecniche utilizzate, della loro intensità e durata,
delle risorse e dell'età del bambino, del fatto che egli creda o meno a quanto gli viene
propinato.   
   
In generale, gli effetti possono essere:   
•     Aggressività   
•     Mancanza di controllo e acting-out   
•     Problemi scolastici   
•     Paura immotivata del genitore bersaglio   
•     Ostilità verso amici, parenti, opinioni, azioni… connesse al genitore bersaglio   
•     Confusione emotiva e/o intellettiva   
•     Disordini alimentari, del sonno, dell'attenzione e psicosomatici in generale   
•     Dipendenza emotiva   
•     Bassa autostima   
•     Fobie   
•     Regressione   
•     Eccesso di razionalizzazione   
•     Futuro carattere manipolatorio e/o materialistico   
•     Depressione   
•     Comportamenti autodistruttivi e/o ossessivo-compulsivi   
•     Tossicodipendenza e alcoldipendenza   
•     Problemi sessuali, di identità di genere, relazionali, emotivi   
•   Disturbi dell'identità   
•     Egocentrismo   •     Narcisismo   
•   Falso Sé   
•   Nei casi più gravi si rilevano anche sindromi di tipo psichiatrico (es. schizofrenia, psicosi paranoiche…) 
« Ultima modifica: Agosto 19, 2012, 03:15:51 am da Cassiodoro »
"Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante" - "Ah sì? E cosa ha capito?" - "Che vola solo chi osa farlo"

Offline FikaSicula

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Re:PAS
« Risposta #39 il: Agosto 19, 2012, 08:30:27 am »
In allegato la tabellina riassuntiva di Gardner per la diagnosi della PAS, con le considerazioni aggiuntive.

Sei un po superficiale quando non consideri il comportamento come un sintomo.
 
[...]
•     Tossicodipendenza e alcoldipendenza   
•     Problemi sessuali, di identità di genere, relazionali, emotivi   
•   Disturbi dell'identità   
[...]

Grazie per i dati. Può essere tutto quello che dici tu. E perdona la parentesi ma penso sia tutto sommato positivo che in questa discussione/intervista io possa scrivere/dire di essermi beccata solo un "sei un po' superficiale" :)

Riguardo a Gulotta sto leggendo, perché mi è capitato in mano per altre ragioni, il Compendio di psicologia giuridico-forense, criminale e investigativa.

Tra le cose che lui descrive nel passaggio che riporti tu mi lasciano dubbi le valutazioni in tarda età di un ragazzo/ragazza. Tossicodipendenza e alcoldipendenza sono fatti che possono derivare da tanti motivi. Giudicarli sintomi da mettere in relazione alla Pas mi pare una forzatura.
E riferirsi all'identità di genere come "sintomo" mi pare costituisca un pregiudizio nei confronti dell'omosessualità in genere come se essere lesbiche, gay o trans fosse sbagliato di per se' e fosse necessario impedirlo/prevenirlo. Su questo mi permetto di dissentire.

Comunque sono in ascolto di altre risposte.

Vi leggerò stasera. Grazie del tuo/vostro tempo.

Offline doctordoctor

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Re:PAS
« Risposta #40 il: Agosto 19, 2012, 10:06:08 am »
Rispondo per ora a queste considerazioni perché non ho molto tempo


Lui lo chiama un sintomo. Io lo chiamo comportamento. Ma assumo l'informazione e la darò per come la leggo.

Viene usato il termine sintomo per ricondurlo ad una sindrome, in quanto Gardner aveva intenzione di conferire uno statuto scientifico alla PAS. Per alcuni sostenitori di tale condizione la PAS non dovrebbe essere considerata una sindrome quanto piuttosto una distorsione relazionale poiché agisce su più livelli (biologico, psicologico e sociale). Usare il termine sindrome può rischiare di allargare a dismisura i confini di inclusione/esclusione oppure restringerli. Ad ogni modo in psicologia e in psichiatria i criteri diagnostici sono quasi sempre comportamentali per una precisa scelta politica (ad esempio nella bulimia le abbuffate sono un comportamento e rientra tra i criteri diagnostici del disturbo).

Non so se si possa pretendere da un bambino una reazione tanto adulta da produrre anche spiegazioni sensate. Certe volte una reazione apparentemente insensata di un bambino che non sa formulare frasi a spiegazione delle proprie emozioni può nascondere un trauma

Questo è vero ed è proprio qui il motivo per cui viene inserita tra i criteri: anche negli episodi di abuso i minori possono rifiutarsi di vedere i genitori ma non dicono "non voglio andare dalla/dal mamma/papà perché mi manda a letto presto". Si tratta di scuse palesemente implausibili, che non giustificano in alcun modo l'odio del minore. L'esempio fatto da lei " Se un bambino dice non voglio vedere mia madre perché arrrrrgh e dopo l'urlo il silenzio" non rientra nella PAS perché denota mancanza di controllo e paura, al contrario del minore alienato che invece ha opinioni ben precise e costruite al riguardo e manifesta biasimo e odio, non paura nei riguardi delle reazioni del genitori alienato.

Anche qui si pretende dal bambino un equilibrio che neppure da un adulto si pretenderebbe. Si critica un comportamento. Una opinione. E' ancora Gardner che decide che un bambino, la cui capacità di visione delle complessità al di là delle dimensioni binarie, tutto o niente, è di là da venire, debba essere quasi adulto prima del tempo.

Attenzione! La mancanza di ambivalenza porta a gravi psicopatologie dato che ha profonde ripercussioni sul sistema emotivo, cognitivo e comportamentale (scusi il tecnicismo). In primo luogo nelle famiglie sane si insegna ai bambini che possono trovare nelle persone caratteristiche belle e brutte. In secondo luogo già alla scuola elementare i bambini sono in grado di dire che cosa piace loro delle insegnanti e che cosa non piace (ambivalenza), ossia hanno una rappresentazione della persona dotata di caratteristiche mutevoli, positive e negative (così come anche dei loro compagni e amici) che sono influenzate dal rapporto con l'altro e dunque si percepiscono in grado di influenzare le reazioni degli altri. Tenga presente che il ritratto del bambino alienato è il seguente: genitore alienato tutto negativo, genitore alienante tutto positivo, senza alcuna sfumatura. Una cosa che non trova riscontro  nella vita quotidiana perché anche con il genitore che si apprezza di più vi sono sempre dei conflitti che suscitano emozioni negative. Fa parte della vita quotidiana. L'ambivalenza emotiva non è un opinione ma un concetto molto studiato in vari settori della psicologia e della psichiatria.

E questa cosa è in contraddizione con la precedente. Dunque un bambino non può esprimere una opinione negativa di un genitore sia che lo faccia ripetendo a memoria le opinioni altrui sia che lo faccia usando proprie parole, propri contenuti, proprie convinzioni. Si può obbligare un bambino/ragazzino ad amare un genitore?

Non è affatto una contraddizione: il minore, che capisce bene la situazione, a meno che non sia veramente piccolo, teme che il genitore alienante possa essere accusato di averlo influenzato negativamente, oppure che il genitore alienante possa rifiutarlo. Da notare che a dare la dignità di criterio è il fatto che il minore di sua spontanea volontà, senza che nessuno lo chieda, riferisce di essere lui solo l'autore di tali pensieri: "non credere che me l'abbia detto mamma/papà". Anche questo non si nota in altre forme di maltrattamento


In relazione ad altri abusi ho letto in alcuni libri di psicologia che spesso i bimbi si esprimono a favore dei genitori maltrattanti. Mi sembra plausibile. Poi esistono i casi in cui  i bambini si affidano ai genitori che sembrano difenderli perché dei genitori molesti hanno paura. Come è possibile che Gardner non valuti un eventuale sintomo del genere per accreditare il rifiuto di un bambino?

Se un bambino si esprime in modo postivo verso un genitore maltrattante allora non è più PAS. è un'altra cosa. Questo succede perché, come già detto, nei bambini ci sono sentimenti ambivalenti verso i genitori, anche verso quelli abusanti (il genitore abusante non abusa e basta, anche lui ha dei momenti di affetto e questo contribuisce al dolore). Questo, inoltre, è in contraddizione con quanto da lei detto prima, ossia "si pretende dal bambino un equilibrio che neppure da un adulto si pretenderebbe". L'ambivalenza è un processo che fa parte della crescita e non un'esperienza mistico - religiosa o che compare a coronamento della vita tipo "vecchio saggio". Forse il termine doveva essere spiegato meglio da coloro che hanno pubblicato gli articoli.


Non so come si faccia a diagnosticare l'assenza di senso di colpa o quale caratteristica oggettiva al senso di colpa, che talvolta può essere un sentimento negativo specie in chi immagina di essere responsabile per la violenza subita, si voglia attribuire ma prendo atto di ciò che dice Gardner.

Con il termine "assenza di rimorso o di colpa" si fa riferimento a tutte le azioni che possono portare sofferenza al genitore alienato, non solo l'odio del minore. Persino nelle persone adulte abusate ci sono sensi di colpa quando denunciano perché pensano che forse l'errore è loro e l'aggressore non merita una condanna. La mancanza di colpa e vergogna permette al bambino di non perdere la stima che ha di se stesso. Oltretutto, e questo fa molta differenza, deve considerare quanto detto a proposito delle spiegazioni deboli: ossia se un bambino fornisce delle spiegazioni implausibili a proposito dell'odio che nutre verso il genitore alienato, le fornirà anche a proposito del perché non si sente in colpa e questo non solo a proposito dei suoi sentimenti e comportamenti, ma anche a proposito delle decisioni prese dal Tribunale (per esempio): "se lo condannano sono felice così non mi scoccia più".

Dunque se oltre ad usare un rifiuto al genitore un bambino lo manifesta nei confronti della sua famiglia, presumo i nonni, per Gardner è un sintomo.

Questa modalità si verfica quando il bambino tratta come il genitore alienato la famiglia allargata di lui/lei o i suoi/sue amici/amiche quando prima aveva dei rapporti di affetto o comunque non tali da giustificare tali reazioni. Due cose sono importanti: il minore attribuisce a queste persone caratteristiche che hanno in comune con il genitore alienato e con le stesse scuse implausibili; il genitore alienante finge di ignorare o premia la condotta del/la figlio/a

Spero di non essere stato prolisso.

Offline COSMOS1

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Re:PAS
« Risposta #41 il: Agosto 19, 2012, 10:54:27 am »
FS nonostante ogni sforzo di chiarificazione continuo a non capire il terreno in cui ti muovi

1 sei una giornalista che fa divulgazione scientifica e vuoi informare i tuoi lettori circa la PAS? allora hai sbagliato ambito: dovresti andare ad intervistare i luminari della materia

2 vuoi appurare quanto i maschlisti sanno della PAS? bene, forse qualcuno ti ha dimostrato che qualche nozione la abbiamo. E adesso?

3 vuoi definire la PAS, valutarne le evidenze e decretarne il successo scientifico?  :hmm: spero di no, sarebbe un po' magalomane?

il nostro dovere/terreno in quanto uomini della strada non può essere quello di scendere nei dettagli della discussione scientifica. Una delle cose più ridicole a cui noi medici assistiamo sono le presunte discussioni scientifiche aperte al pubblico (tipo Dica 33 o altre trasmissioni del tipo, le rubriche sanitarie sui giornali, feccia che noi sfuggiamo come la peste). In generale i medici che vi partecipano sono i meno validi dal punto di vista scientifico e i più potenti dal punto di vista politico, le discussioni sono umilianti e  lontane mille miglia dal cuore della ricerca in quel momento. Ho l'impressione che anche quando per caso viene intercettato un bravo ricercatore, o per problemi di comunicazione o di tempo, in genere arriva a dire solo stupidaggini, lontane mille miglia dal lavoro che magari ha pubblicato proprio quel mese su Nature!

quindi se abbiamo un dovere è quello di farci una idea su come dovrebbero essere le leggi che ci governano. È una utopia, ma noi eleggiamo i parlamentari e le leggi le fanno i parlamentari, quindi se io una idea di come dovrebbero essere le leggi posso decidere se votare tizio o caio.
Perchè allora invece di scendere nei particolari di ciò che sta dentro l'etichetta PAS non ti domandi se sia uno strumento utile nel contesto italiano per alleviare le sofferenze connesse con i conflitti coniugali?
E lo strumento consiste in questo: il comportamento di un bambino è influenzato dal contesto, in particolare dal contesto conflittuale. Quindi un rifiuto di vedere un genitore è una risposta normale alle tensioni connesse al conflitto. La norma è ciò che è statisticamente più diffuso e prevede l'eccezione (sennò che norma sarebbe?)
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Offline Cassiodoro

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Re:PAS
« Risposta #42 il: Agosto 19, 2012, 13:20:27 pm »
.........
Tra le cose che lui descrive nel passaggio che riporti tu mi lasciano dubbi le valutazioni in tarda età di un ragazzo/ragazza. Tossicodipendenza e alcoldipendenza sono fatti che possono derivare da tanti motivi. Giudicarli sintomi da mettere in relazione alla Pas mi pare una forzatura.
Anche gli altri sintomi non devono per forza essere messi in relazione alla PAS, ma, penso, che quelo che ha scritto si intende "maggiore possibilità di manifestare questi effetti" rispetto ad altre persone che non hanno subito la PAS.


E riferirsi all'identità di genere come "sintomo" mi pare costituisca un pregiudizio nei confronti dell'omosessualità in genere come se essere lesbiche, gay o trans fosse sbagliato di per se' e fosse necessario impedirlo/prevenirlo. Su questo mi permetto di dissentire.

Ricordo una lettura della mia adolescenza di uno studio sull'omosessualità, che diceva (più o meno) che questa non è presente in società dove la libertà sessuale è effettivamente praticata, ma bastava segregare e dividere i maschi e le femmine di una tribu africana ed allora si avevano i rapporti omosessuali. Insomma, dove non c'è altra possibilità andava bene anche un rapporto omosessuale, della serie "dove manca la figola abbondano le segole".
Ma questo non è l'argomento di questo topic.

Dato che, per te, essere lesbiche, gay o trans non è "sbagliato", ricorda ai detrattori della PAS, specialmente quando dicono che la PAS non è inclusa nei DSM-IV E ICD-10, che fino a tanto tempo fa essere omosessuale, gay o lesbica, era considerto una malattia, tanto che erano incluse negli elenchi citati  (oltre a quanto scritto da Vezzetti).

« Ultima modifica: Agosto 19, 2012, 13:35:20 pm da Cassiodoro »
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Offline COSMOS1

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Re:PAS
« Risposta #43 il: Agosto 19, 2012, 15:31:58 pm »
Anche gli altri sintomi non devono per forza essere messi in relazione alla PAS, ma, penso, che quello che ha scritto si intende "maggiore possibilità di manifestare questi effetti" rispetto ad altre persone che non hanno subito la PAS.

non c'è dubbio: uno dei problemi della psicologia in senso ampio (dalla psicanalisi alla psicoterapia, passando per gli ansiolitici e gli elettroshock) è di voler trattare la psiche come un oggetto di studio al pari qualunque altra scienza e quindi identificare cause ed effetti.
Ma nella psiche umana c'è quello strano fenomeno della libertà: non è detto che chi nasce in una famiglia di ladri faccia il ladro. Può succedere, come no. Ma la pedagogia ha un senso perchè si ritiene che certe condizioni ottengano più spesso certi risultati. Sennò che ci stanno a fare i bravi maestri?
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Offline ilmarmocchio

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Re:PAS
« Risposta #44 il: Agosto 19, 2012, 16:52:06 pm »
FS :  ...Volevo però rassicurare Il Marmocchio del fatto che non ho alcun problema circa quello di cui parla lui...

Il mio è un rilievo generale, non indirizzato specificatamente a Lei. La sensazione però è forte, vista l'ostilità verso una sindrome che non sfigurerebbe nel mare delle sempre più numerose entità patologiche comprese nei vari manuali ( DSM V e ICD 10 ).
Per il resto, sposo le considerazioni cos' bene espresse da Doctor Doctor , Cassiodoro e Cosmos