Autore Topic: "Hillary è meglio di me e di Bill". Lo zerbinismo che deve pagare in politica.  (Letto 9973 volte)

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Offline Warlordmaniac

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Intellettualoidi tarati mentali , si professano di sinistra poi si augurano la vittoria di una razzista* neoliberista , conservatrice e distruttrice dei legittimi governi del medio oriente. Ovviamente tutti principi che si trovano nei libri di Marx o tutti principi del socialismo e del comunismo . Certamente .

'Israelocentrismo' . Perchè , la clinton non è israelocentrica ? Credono davvero che per i diritti civili lei sia più avanti . Poi si lamentano se li consideri dei tarati mentali , questi qua .

*Si , razzista . Una che ha contribuito alla distruzione della libia perchè a un governo imperialista non piacciono altri governi e fa a pezzi un popolo, è razzista .
Ma io mi riferivo alla misandria di uomini di sinistra. Io non mi do pace quando fa un'analisi lucida sulle questioni lavorative, di distribuzione delle ricchezze e sui flussi di emigrazione, poi si perdono in un bicchiere d'acqua, quando ci sono due peli di fica in ballo. Micheal Moore lo apprezzavo, ma non si rende conto che il capitalismo ha un suo fratello gemello che agisce parallelamente nelle dinamiche di genere. Come cavolo si fa ad essere socialisti e femministi?

Offline Vicus

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Lo credo anch'io. Ma credo anche un'altra cosa: che tra qui a Novembre capiterà qualcosa sulla scena mondiale che favorirà senz'altro Trump. Chi è al potere (i democratici) si prende sempre le colpe delle disgrazie che succedono nel mondo. A Trump basterà approfittarne.
Se ti riferisci alla nota October Surprise, sarà a favore di Killary.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Anche i coglioni qualche volte ci azzeccano. Magari anche solo per un fatto statistico. :D :rolleyes:

Massimo, solo a novembre sapremo se il coglione ci ha azzeccato.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.

Offline CLUBBER

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Ma io mi riferivo alla misandria di uomini di sinistra. Io non mi do pace quando fa un'analisi lucida sulle questioni lavorative, di distribuzione delle ricchezze e sui flussi di emigrazione, poi si perdono in un bicchiere d'acqua, quando ci sono due peli di fica in ballo. Micheal Moore lo apprezzavo, ma non si rende conto che il capitalismo ha un suo fratello gemello che agisce parallelamente nelle dinamiche di genere. Come cavolo si fa ad essere socialisti e femministi?
Anch'io ho apprezzato Moore,ma poi ho notato spesso questa sua tendenza allo zerbinismo.
Per principio non si può essere socialisti e femministi:è una contraddizione in termini.
Il mio punto di vista è che attualmente al governo non sia seduto neanche un solo vero socialista.
Dicono di esserlo ma non sono un cazzo.
Vivo da solo
Mi alleno da solo
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http://www.internazionale.it/opinione/ida-dominijanni/2016/07/28/convention-filadelfia-clinton

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Ida Dominijanni, giornalista

Volano, gli anni. E non sembra vero che stia già per passare alla storia l’album fotografico della presidenza Obama che scorre sul palco della convention democratica di Filadelfia prima che lui, palesemente commosso, entri in scena. Sono volati anche per lui, era così giovane 12 anni fa alla sua prima convention a Boston e invece adesso, glielo dicono sempre Malia e Sasha, ha i capelli grigi, ma non si è ingrigita “la fede di allora nell’America grande e generosa, che ha reso possibile la mia storia”. Quell’America, “l’America che ho visto io, festeggiando e piangendo con voi”, non andrà a finire nelle mani e nelle paranoie di Trump. Perché in otto anni l’America è stata messa alla prova dalla peggiore recessione della sua storia e dagli eventi internazionali, molto è stato fatto e molto resta da fare, c’è ansia per le ingiustizie sociali e le divisioni razziali, “per la pazzia di Orlando e per quella di Nizza”; ma, Obama lo sa e lo rivendica, il paese che lui lascia è migliore di quello che aveva trovato nel 2008. E non merita quella marea di “pessimismo, risentimento, rabbia, odio” che s’è vista montare a Cleveland la settimana scorsa, e che alza la posta in gioco delle elezioni di novembre: una scelta, dice il presidente americano ma qui le sue parole non risuonano solo in America, non tanto fra destra e sinistra, quanto “fra un popolo che si autogoverna” e l’illusione della delega ad un uomo solo al comando. Fra lo “yes we can”, scandisce Obama, e lo “yes, he, o she, can”. Il punto è tutto lì: “l’America è già grande”, e la sua grandezza “non dipende da Trump, non dipende da una sola persona, dipende da noi, we the people, e dalla nostra capacità di forgiare il nostro destino”. Autogoverno, sindacati, partecipazione: è il vocabolario classico della democrazia che Obama snocciola contro l’avversario, chiamando a mobilitarsi l’America che dal palco di Filadelfia tutti invocano: l’America che sa che “tutti insieme siamo più forti, bianchi e neri, ispanici e asiatici, donne e uomini, eterosessuali e omosessuali”; l’America della classe media, l’ordinary people “capace di cose straordinarie” cui nel suo appassionato intervento di rivolge Joe Biden; l’America che non smette di sognare “un sogno che non si lascerà contenere da nessun muro”.

Passa da questo inno all’America “vera”, che fa tutt’uno con la rivendicazione della propria eredità, l’endorsement di Obama a Hillary. E qui non si tratta solo degli aggettivi che il presidente uscente spende per garantirne la competenza, l’intelligenza, la tenacia, la passione. Il fatto è che quando Obama finisce di parlare sommerso dalle ovazioni e lei, rompendo il copione, spunta dal backstage e lo raggiunge sul palco, nell’abbraccio fra il primo presidente afroamericano e la prima candidata donna si vede che qualcosa di profondo è cambiato davvero, nell’America degli ultimi anni, qualcosa che supera con la forza di un salto simbolico la messa in scena e la strategia comunicativa della convention democratica. La prima volta di una donna in viaggio verso la Casa Bianca è incorniciata infatti da una sceneggiatura che rappresenta il partito democratico americano come una famiglia unita malgrado i litigi, forte malgrado gli attacchi, serena malgrado le difficoltà, le paure e lo spettro di Trump che lucra sulle difficoltà e sulle paure. E però quella che va in onda non è la soap stucchevole di una famiglia tradizionale, è piuttosto una recita a soggetto che spariglia i giochi, rompe gli schemi, scompiglia i ruoli di una famiglia post-patriarcale.

Bisogna cogliere lo sguardo d’intesa fra Obama e Bill Clinton, quando Obama dice “spero che non ti dispiaccia, Bill, se dico che non c’è mai stato nessuno, né io né tu, più qualificato di Hillary per la presidenza”, per vedere materializzarsi quel passo a lato degli uomini dai ruoli di potere che l’altra metà del cielo aspetta da decenni, in America e ovunque. Bisogna ricordare il terremoto che fu per l’immaginario politico patriarcale il crollo del muro fra personale e politico ai tempi del sexgate clintoniano, e apprezzare l’eleganza con cui Obama ha saputo fare del suo stile personale la sua cifra presidenziale, per capire quali cambiamenti della soggettività maschile abbiano preparato quel passo a lato. Bisogna aver colto il ritmo e la verità dell’intervento di Michelle Obama per sentire la forza dell’autorizzazione di una donna che ne sorregge un’altra in una sfida così alta. Il cambiamento è tale che travolge, migliorandola, la stessa immagine della protagonista.

Sì che proprio Hillary, che durante la sua lunga e tenace carriera ha cercato in ogni modo di neutralizzare la differenza femminile perché non apparisse d’intralcio alla sua ambizione paritaria, si ritrova al centro di una scena che quella differenza non la riduce ma la esalta. Nella città dei padri fondatori non si celebra il rito dell’annessione di una donna al piano più alto del potere maschile: si celebra piuttosto, lo nota acutamente il New York Times, il rito della femminilizzazione della Presidenza. L’immaginario politico volta pagina: se per più di due secoli ha associato l’inquilino dellaCasa Bianca alle virtù virili per eccellenza, forza, coraggio, decisione, adesso c’è bisogno della sensibilità, dell’ascolto, della capacità di tessitura di una donna. E se l’immagine della donna in questione è apparsa fin qui troppo fredda ecco che ci pensano proprio gli uomini a riscaldarla: Bill per primo, il candidato First Gentleman, l’ex presidente più seduttivo della ex First Lady, il marito indisciplinato ma da sempre e per sempre innamorato, che la presenta non come un algido catalogo di competenze ma come un mai sopito oggetto del desiderio, regalandole così l’investitura erotica che le mancava e di cui si sa che un leader, donna o uomo che sia, oggi non può fare a meno.

Arrivata divisa a Filadelfia la famiglia democratica ne esce unita, e ne esce unita proprio in quanto non ha nascosto sotto il tappeto la polvere dei suoi conflitti interni. Non è la prima volta: otto anni fa, ricorda Obama, “Hillary e io eravamo rivali, ed è stata dura, ve lo dico, perché lei è tosta e non molla mai, ma poi abbiamo fatto squadra, perché entrambi sapevamo che in gioco c’era qualcosa di più grande di me e di lei”. Adesso c’è di nuovo in gioco qualcosa di più grande di tutti i giocatori in campo. È l’America plurale e post-razziale di Obama, che non si può lasciare alla revanche bianca e proprietaria di Trump; è il sempreverde American dream, che non si può rovesciare in un American nightmare alimentato dalla paura, e se a Filadelfia lo dice Bloomberg che diventò sindaco di New York dopo l’11 settembre ci si può credere; è l’America di Black Lives Matter, che i muri li vuole abbattere e non innalzare; è l’America di Occupy Wall street, che un formidabile Sanders ha saputo far pesare nella contrattazione con Hillary contro i lasciti neoliberali di Bill; è l’America delle donne che nella prima donna alla Casa Bianca vedono la dimostrazione che non ci sono limiti al desiderio di qualunque donna.

Da questa America un backlash sotto le insegne di Trump è possibile, ma per chiunque ne abbia respirato l’aria è altresì improbabile, salvo che il mondo sia davvero impazzito. Non è vero che le bombe emozionali della destra raggiungano sempre il cuore e la pancia del popolo più della razionalità della sinistra: per una volta, a Filadelphia il cuore ha battuto di più che a Cleveland. Barack Obama, che il suo vice saluta come “uno dei migliori presidenti della nostra storia”, esce di scena con la stessa eleganza con cui c’è entrato, e quando lascia il palco abbracciato a Hillary sembra di nuovo giovanissimo e con una vita davanti, come dodici anni fa.

@@

Ida Dominijanni
http://www.uomini3000.it/192.htm
Citazione
"La colpa di nascere maschi non è emendabile.
Tollerati saranno coloro che rinnegheranno l'appartenenza al loro sesso."


(Ida Dominijanni - 2002)

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http://www.ilgiornale.it/news/mondo/mani-putin-sul-voto-america-cremlino-smentisce-tutto-1291524.html
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Clinton: "Gli agenti russi hanno rubato le mail dei democratici"

Tre attacchi hacker in pochi giorni contro i democratici. L'Fbi indaga. Il sospetto: Mosca vuole condizionare le elezioni americane. Ma la Russia nega. Hillary Clinton però rilancia l'accusa
Orlando Sacchelli - Dom, 31/07/2016 - 19:36

Hillary Clinton accusa i servizi di intelligence russi di avere hackerato i computer del Comitato nazionale democratico (Dnc).

"Sappiamo che i servizi di intelligence russi hanno hackerato il Dnc e sappiamo che hanno organizzato la diffusione di molte di quelle e-mail", ha detto la Clinton in un'intervista a Fox News Sunday, in cui ha anche accusato Donald Trump per aver mostrato il proprio sostegno al presidente russo Vladimir Putin. La politica americana si infiamma in vista del voto dell'8 novembre.
Le mani di Putin sul voto americano?

Tre attacchi informatici in pochi giorni. E la politica americana si scopre più vulnerabile che mai. Con accuse durissime di ingerenze esterne sulle elezioni, e piccate risposte. Dopo le dichiarazioni di Barack Obama, che in un'intervista a Nbc News non ha escluso che la Russia stia tentando di favorire Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, la risposta del Cremlino non si è fatta attendere. "Il presidente Putin - fa sapere il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov - ha detto ripetutamente che la Russia non ha mai interferito negli affari interni, in particolare nei processi elettorali di altri Paesi".

Intanto l'Fbi indaga. Secondo il New York Times, l’attacco ai sistemi informatici democratici sembra provenire da "FancyBear", collegato al servizio di intelligence militare russo (Gru). Una fonte interna alla polizia federale rivela che "sono coinvolti attori sofisticati". Ma quali segreti sarebbero stati violati? Non pochi, se si tiene conto che gli hacker hanno violato la posta elettronica del comitato nazionale del partito democratico, gli archivi dei finanziatori e persino il data-base elettorale della campagna di Hillary Clinton.

Il "caso" è scoppiato lo scorso 22 luglio (tre giorni prima dell'inizio della Convention di Philadelphia), quando Wikileaks ha pubblicato circ 20mila mail scambiate dai vertici del partito democratico nel corso della lunga campagna elettorale.

Ne è emerso il meticoloso lavoro messo in atto dal partito dell'asinello per ostacolare Bernie Sanders.

Qualche giorno fa Julian Assange ha fatto sapere di essere pronto a pubblicare nuovi documenti sulla Clinton. Qualcuno insinua: che rapporti ha il fondatore di Wukileaks con il'intelligence russa? Un altro nome famoso del mondo hacker, Edward Snowden (in esilio a Mosca), prende di mira Assange per l'assenza di qualsiasi filtro nel rivelare il materiale top secret. La replica è immediata: parla così perché spera di essare graziato.

Ma che interesse avrebbe la Russia di Putin a condizionare il voto americano? Di sicuro il Cremlino preferirebbe avere Trump come interlocutore a Washington. E non è solo una questione di simpatia. Il tycoon ha già fatto sapere di voler cambiare l'atteggiamento Usa nei confronti della Nato, eliminando le garanzie automatiche di mutua assistenza previste dai trattati in caso di attacco russo alle Repubbliche baltiche ("gli Usa aiuteranno chi è in regola con i conti"). Poi ha tolto dal programma repubblicano la promessa di fornire "armi difensive letali" all’Ucraina nella lotta contro i separatisti. Infine Putin non ha mai perdonato a Bill Clinton di aver esteso i confini della Nato fino ai confini russi, così come le guerre nei Balcani negli anni Novanta. E in passato il presidente russo ha polemizzato non poco con Hillary Clinton, quando era segretaria di Stato, accusandola di interferire negli affari interni della Russia.
La guerra degli hacker va avanti

Mentre negli Usa l’Fbi ha aperto un’indagine sulla violazione del sistema di mail del partito democratico e della campagna di Hillary Clinton, a sua volta alcune agenzie del governo di Mosca sarebbero state vittime di un cyber attacco. Lo riferisce la Bbc, secondo cui il controspionaggio Fsb (erede del Kgb) ha individuato un "virus" nelle reti di circa 20 organismi governativi. Fsb ha preferito non fare alcuna ipotesi su chi possano essere i responsabili dell’attacco.
Leon Panetta: Trump e la Russia? Inaccettabile

Trump non può essere il comandante in capo degli Stati Uniti, "non è qualificato" per diventare presidente. L'affondo di Leon Panetta, ex direttore della Cia ed ex segretario alla Difesa, è molto duro. Non ha mandato giù le dichiarazioni con cui il candidato repubblicano ha esortato la Russia a trovare le 30mila mail sparite dal server privato di Hillary Clinton. "Questo genere di dichiarazioni dimostra solo che non è realmente qualificato per essere il presidente degli Stati Uniti - tuona Panetta in un'intervista alla Cnn -. Va oltre la mia comprensione della responsabilità che i candidati debbano essere fedeli al loro Paese ed al loro Paese soltanto e non si mettano in comunicazione con qualcuno come Putin e la Russia, cercando di coinvolgerli in uno sforzo per tentare una cospirazione contro un altro partito". Invece, continua Panetta, qui c'è un candidato presidenziale che "chiede ai russi di entrare nella politica americana e io penso che questo sia inaccettabile, sono molto preoccupato per le sue qualità di leadership o per la mancanza di qualità".
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Offline Massimo

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"Hillary è la rappresentazione del principio che non ci sono limiti al desiderio di una donna". Il sogno del femminismo, in fondo. Del resto è
il principio cardine del capitalismo: non ci devono essere limiti al desiderio dell'uomo. Se volevamo una conferma dell'alleanza da tempo
stipulata tra capitalismo e femminismo, questa ne è la prova. Trump vorrebbe un accordo con Putin. La Clinton vuole invece uno scontro e
dietro a lei c'è tutto l'establishment politico e militare americano, La Clinton rischia davvero di far scatenare una Terza Guerra Mondiale e
sarà la fine del capitalismo femminista. Se vince Trump il capitalismo femminista potrebbe invece sopravvivere per un pò. Stai a vedere che
quasi quasi chi vuole la fine del sistema dovrebbe tifare per la Clinton.

Online Frank

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Ennesimo articolo anti-Trump scritto dal solito giornalista coglione.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/02/usa-2016-donald-trump-tutto-il-potere-agli-stupidi/2949817/
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Usa 2016: Donald Trump, tutto il potere agli stupidi

“We’ve got to stop being the stupid party“, dobbiamo smetterla di essere il partito degli stupidi. Questo disse Bobby Jindal, governatore della Louisiana, durante il tradizionale winter meeting, la riunione d’inverno del Republican National Commitee. Era il 25 gennaio del 2013 e la sonora sconfitta elettorale di Mitt Romney, il candidato repubblicano contrapposto al presidente uscente, Barack Obama, era vecchia d’appena un paio di mesi. Il che inevitabilmente trasformava quell’incontro dello Stato Maggiore del Gop (Grand Old Party) nel primo atto d’un processo di contrizione e revisione. O, più esattamente, come molti scrissero, nella prima puntata di quella che intendeva essere una spietata autopsia del proprio cadavere.

Di che cosa era “morto”, due mesi prima, il Partito Repubblicano? Per l’appunto: “di stupidità” aveva provocatoriamente risposto Bobby Jindal, primo governatore d’origine asiatica nella storia degli Stati Uniti. E, così dicendo, aveva affondato il coltello in quella che non solo lui percepiva, dopo la sconfitta di novembre, come una delle più infette piaghe della politica repubblicana. Vale a dire: l’ostentato antintellettualismo che – in dichiarata contrapposizione ad un ipotetico “establishment cultural-mediatico”, nonché, ovviamente, al vituperatissimo politically correct – era progressivamente divenuto una dei più visibili vessilli del Gop. E che, a sua volta, altro non era che uno dei risvolti della strategia d’un partito rimasto politicamente e demograficamente immobile in un paese che andava profondamente trasformandosi.

Appena tre mesi dopo quella riunione e quello stupid – un auto-insulto che, in realtà, non era che un grido di dolore – il Rnc aveva pubblicato un documento di quasi 100 pagine ufficialmente intitolato Growth and Opportunities Project. Ovvero: il risultato della “autopsia” di cui sopra, essenzialmente basata sull’impietosa analisi statistica dei voti perduti. Chi sono gli elettori che, dopo il 2008, hanno smesso di votare (o hanno scelto di non votare) repubblicano? E perché l’hanno fatto? Lo hanno fatto, rispondeva il rapporto citando una minuziosa inchiesta d’opinione, perché il Grand Old Party veniva da loro percepito come scary, narrow minded, out of touch. Ovvero: come il partito della paura, intellettualmente limitato e distaccato dalla realtà. In sintesi: come il partito degli stuffy old men, dei vecchi ammuffiti. Vecchi, maschi, bianchi e d’assai modesto curriculum scolastico (gli “stupidi”, per l’appunto).

Conclusione: per mantenere qualche seria possibilità di riconquistare la Casa bianca il Gop doveva ripulire la propria immagine ed allargare la propria base elettorale adattandola ad una realtà in rapida trasformazione. Doveva ristabilire, o rendere più visibili, i contatti con le élite intellettuali ed estendere il proprio messaggio a minoranze che, se valutate nel loro complesso, ormai da tempo non sono più tali: donne, latinos, afro-americani, immigrati di ogni origine. Doveva cessare d’essere – per tornare all’appello di Jindal – the stupid party: bianco, maschio e incolto.

Fine del flash-back. Dissolvenza. Giorni nostri. Primo piano sul volto rubizzo di Donald Trump che, dal podio della convention repubblicana di Cleveland, pronuncia il suo discorso d’accettazione della candidatura per il partito repubblicano. Un lungo (75 minuti), rabbioso e divagante rantolo sormontato – tra xenofobi e apocalittici accenti, false statistiche e frottole da circo – da un unico riconoscibile concetto: “I alone can fix it” solo io posso mettere a posto le cose.

Tre anni dopo, quello che il Growth and Opportunities Project ha prodotto è questo: la caricatura di un “uomo della provvidenza”, un candidato che si propone di costruire muri – di vero acciaio e cemento come quello che vuole innalzare, a spese del Messico, lungo la frontiera sud, o metaforici – laddove il progetto repubblicano prevedeva lanciare ponti e tendere mani.

Un maschio settantenne, bianco e incolto oltre immaginazione, che si burla dei disabili, insulta le donne, vuole deportare immigrati e bandire musulmani. Un garrulo e vanitoso carnival barker, un imbonitore da baraccone (come venne molto propriamente definito dal governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie) che, con l’arroganza e la grossolanità d’un bullo di periferia, divide il mondo in winners and losers, vincenti e perdenti, e incorre in sesquipedali errori ogniqualvolta il tema del discorso si sposta dall’esaltazione di sé medesimo a qualunque concreto tema di politica internazionale o domestica.

Bobby Jindal, presentatosi come candidato alle primarie presidenziali repubblicane, è uscito di corsa quasi subito, da autentico loser, senza mai avere sfiorato il 5 per cento dei consensi. E altrettanto hanno fatto, accompagnati dai frizzi e lazzi del vincitore, tutti i pesi massimi messi in campo dall’establishment repubblicano per contrastare l’ascesa di Trumpenstein, il mostro che andava trangugiandosi il partito: Jeb Bush (“low energy Jeb“), Marco Rubio (“Little Marco“) e da ultimo (un disperato e improbabile ultimo) Ted Cruz. E a Chris Christie,  (si, proprio il governatore del New Jersey che aveva coniato il termine carnival barker) è andata anche peggio, visto che è oggi uno dei più intimi e ossequienti collaboratori di Trumpenstein.

Il 31 luglio, sul New York Times, Max Boot, uno storico di chiara fede conservatrice, ha molto chiaramente spiegato come the stupid party created Donald Trump abbia, infine, creato Donald Trump e distrutto il Gop. O più semplicemente: come tutte le più sinistre forze dal Gop nel tempo evocate per conquistare il consenso dell’America bianca – dalla southern strategy di Richard Nixon in coda alla battaglia per i diritti civili, ai chiari sottintesi razzisti della politica reaganiana, piatti sempre serviti in salsa anti-intellettuale – abbiano finito, come nella ballata dell’apprendista stregone (der Zauberlehrling) di Wolfgang Goethe, per rivelarsi una irreversibile condanna.

Donald Trump si è in un solo boccone mangiato quel restava della intelligenza repubblicana, senza nulla risparmiare: dal poco che sopravviveva di Abraham Lincoln al compassionate conservatism, dal neoliberalismo di Milton Friedman all’antistatalismo di Friedrich Von Hayek, dall’esasperato individualismo oggettivista di Ayn Rand, all’ancor vivo e nefasto ricordo dei neocon che accompagnarono gli orrori della guerra infinita di George W. Bush. Tutto il potere agli stupidi, verrebbe da dire, invocando il perdono di Vladimir Ilic Lenin. Ma come è potuto accadere? E come andrà a finire?
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Offline Massimo

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Sempre meglio dare tutto il potere agli stupidi che tutto il potere alle donne. Io sono più tranquillo con Trump come Presidente degli USA
che con la Clinton come Presidentessa degli Stati Uniti (suona anche male).

Offline Angelo

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Questa lurida femminista, ACCLARATA GUERRAFONDAIA, passibile di galera per crimini contro l'umanità, sarebbe una disgrazia CERTA per l'umanità.

Cominciamo da questo video dove minaccia Cina e Russia di ritorsioni per il sostegno che questi due stati continuano a fornire ad Assad



Qui in questo video esprime la sua "umanità" --->

Qui invece fa le foto con i suoi amici tagliagole --> https://aurorasito.wordpress.com/2012/07/13/i-nervi-tesi-di-hillary-lallucinata/


Qui vediamo invece come i macellai finanziati dalla Clinton e compari (ANCHE ITALIANI) decapitano un ragazzino di 12 anni ---> ATTENZIONE IMMAGINI CRUDE ---->



https://aurorasito.wordpress.com/2016/07/31/taqfiri-ditalia-2-0-come-il-pd-celebra-lo-squartamento-di-un-ragazzino/

http://www.occhidellaguerra.it/la-siria-i-leoni-e-i-cani/#
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Gilbert Keith Chesterton

Offline Jason

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Questa lurida femminista, ACCLARATA GUERRAFONDAIA, passibile di galera per crimini contro l'umanità, sarebbe una disgrazia CERTA per l'umanità.

Cominciamo da questo video dove minaccia Cina e Russia di ritorsioni per il sostegno che questi due stati continuano a fornire ad Assad



Qui in questo video esprime la sua "umanità" --->

Qui invece fa le foto con i suoi amici tagliagole --> https://aurorasito.wordpress.com/2012/07/13/i-nervi-tesi-di-hillary-lallucinata/


Qui vediamo invece come i macellai finanziati dalla Clinton e compari (ANCHE ITALIANI) decapitano un ragazzino di 12 anni ---> ATTENZIONE IMMAGINI CRUDE ---->



https://aurorasito.wordpress.com/2016/07/31/taqfiri-ditalia-2-0-come-il-pd-celebra-lo-squartamento-di-un-ragazzino/

http://www.occhidellaguerra.it/la-siria-i-leoni-e-i-cani/#

La femminista neocons neoliberista è quella che è - somiglia tanto alle prime femministe della storia , le più pericolose - , ma quelli che non posso digerire sono coloro che la sostengono solo per "vincere il sessismo" , nonostante gli siano state fornite le prove che lei è un pericolo per tutta l'umanità .

Letto sul serio su alcuni quotidiani, certa gente la voterebbe solo per andare contro Trump , ma in primis perchè "donna femminista" . Quindi delle sue idee, della sua mentalità guerrafondaia , poco importa , l'importante è che sia femminista e "antisessista" .
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

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La femminista neocons neoliberista è quella che è - somiglia tanto alle prime femministe della storia , le più pericolose - , ma quelli che non posso digerire sono coloro che la sostengono solo per "vincere il sessismo" , nonostante gli siano state fornite le prove che lei è un pericolo per tutta l'umanità .

Letto sul serio su alcuni quotidiani, certa gente la voterebbe solo per andare contro Trump , ma in primis perchè "donna femminista" . Quindi delle sue idee, della sua mentalità guerrafondaia , poco importa , l'importante è che sia femminista e "antisessista" .

Ho visto e letto anche io, purtroppo... Si tratta di gente ignorante (nella migliore delle ipotesi), o di lurido femministume (probabile), o di gente che ragiona con il culo (ipotesi che comprende anche la seconda) .
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Gilbert Keith Chesterton

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http://www.ilpost.it/giuliasiviero/2016/07/27/hillary-clinton-donna-usa-2016-femminismo/

Appunto

http://www.ilpost.it/2016/07/27/guerra-siriana-disegni-giocattoli/

Notare come la topastra femminista esalti, a mezzo dei disegni dei bimbi, la stessa bandiera dei "ribelli moderati" siriani (gli stessi che hanno decapitato un dodicenne recentemente)...

Molto subdola come soggetto, del resto è una femminista.  :shifty:

E' anche a favore della Boldrini, insomma, un tipico esemplare femminista.
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Gilbert Keith Chesterton

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http://www.ilpost.it/2016/07/27/guerra-siriana-disegni-giocattoli/

Notare come la topastra femminista esalti, a mezzo dei disegni dei bimbi, la stessa bandiera dei "ribelli moderati" siriani (gli stessi che hanno decapitato un dodicenne recentemente)...

Molto subdola come soggetto, del resto è una femminista.  :shifty:

E' anche a favore della Boldrini, insomma, un tipico esemplare femminista.


Ed infatti, chi è "il compagno" di questa femminista?

Pippo Civati, il femminista che lottava per tagliare l'iva sugli assorbenti ----> http://mistrulli.photoshelter.com/image/I00002h84KwNNrmI

Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Gilbert Keith Chesterton