Ho rivisto giorni fa La Grande Abbuffata di Ferreri, film dell’epoca pre-Sorrentino in cui il nostro cinema aveva cose da dire.
Secondo Wikipedia:
"Il film contiene una feroce critica alla società dei consumi e del benessere, condannata, secondo l'autore, all'autodistruzione inevitabile.
I quattro convitati incarnano delle figure tipiche metaforiche, in questo caso raffiguranti un potere e tre prodotti dell'ideologia borghese: la giustizia (Phillipe), l'arte e lo spettacolo (Michel), la cucina, il cibo (Ugo), l'amore galante e l'avventura (Marcello). Ed è proprio questo sistema ideologico che viene pesantemente preso di mira dal regista, grottescamente schernito, nel tentativo di eliminarlo, assieme alle scorie vitali, con un vivere ridotto alle funzioni elementari: mangiare, digerire, dormire, bere, copulare."
Fin qui Wikipedia coglie l'essenza della pellicola. Ma:
"L'unica salvezza è rappresentata dal genere femminile, legato alla vita per missione biologica."
Nel film, però, è una donna che assiste attivamente gli uomini nell’abbuffata terminale: "ultimo ad andarsene è Philippe, dopo aver mangiato un dolce a forma di seno preparato dalla donna".
Suggerisco una lettura alternativa: il grasso personaggio femminile - maestra elementare, ovvero guardiana dell''asilo globale' - incarna il nichilismo consumista della società femminilizzata (il dolce a forma di tetta sono i beni di consumo), che prima svuota di significato - la noia dei personaggi maschili - e poi distrugge la civiltà creata dagli uomini.