la 1, ma dipende soprattutto dagli omini che se fanno rinfaccia' le cose come coioni... Scusate l'attacco di romanesco, ma oggi sto in vena...
andrea.m7/3/2007, 13:48
Anch'io ho risposto 1. Le donne avranno per l'eternita' la fama di vittime degli uomini. E purtroppo saranno sempre appoggiate dal maschietto di turno che sicuramente si battera' contro gli uomini per affermare questa verita' storica.
Davide.4.7/3/2007, 22:21
Risposta numero 1
WlaClioNokia9/3/2007, 06:20
Ovviamente la numero 1. "Chiagnere e fottere" o, per essere più chiari, la "rendita della vulva" per ricordare il mitico Jonathan, sono estremamente redditizi
falke19/3/2007, 23:30
la numero uno ovviamente. ma ripeto che dimiuendo il loro "valore di mercato" avrebbero meno modo di rinfacciarcelo.
Secondo me si tratta di coniugare l'atteggiamento della donna dello spot (cui la "brava ragazza fa l'occhiolino) con quanto scrivono sotto..........é quello che non vogliono ammettere: noi donne useremo quell'atteggiamento per fare passare ciò che ora scriviamo. Ciò deve essere negato.
Ovviamente più come strategia occulta che chiaramente visibile...
chiaro che si incazzano, quello spot in parte le smaschera, la loro violenza doveva rimanere invisibile, e invece....quello spot...ecco.
Commento di: Rosa [ Membro ] Sito Web io credo che è inutile xke non esiste un paese dove le donne godono di diritti.
:(..io resto in itlaia e voglio dimostrare che sono Donna, voglio lottare..infatti da settembre in poi quando saro' fissa a Milano e n ndevo + viaggiare, vorrei far parte di un associazione femminista.
Commento di: Rosa [ Membro ] Sito Web noi donne nn dobbiamo andare via, sono i maskilsiti che se ne devono andare..
Commento di: wonderely [ Membro ] Sito Web ma chi è l'idiota, demente, testa di cazzo patentato che ha fatto questo spot???? per olimpia: io non mi incazzo tutti i giorni...io sono già incazzata per natura ihihi :D
COSMOS121/6/2008, 17:36
:D :D :D
anche dai commenti a qs spot si capisce che il femminismo è MORTO
oggi la vera valorizzazione della donna passa attraverso il rifiuto del pensiero femminista, parafemminista e postfemminista, e credo che oramai sia chiaro anche per le donne
anzi, ne sono certo!
per stare al tema però in qualche modo conferma una delle tesi della psicanalisi classica che trova nella psiche femminile un fondo di risentimento che è difficile eliminare del tutto
di solito le DD riescono a superare quel risentimento quando hanno un figlio maschio :)
Sandokan131721/6/2008, 20:04
Ho votato la due perchè prima o poi si renderanno conto che la carenza di un modello virile è la prima causa del loro senso di pochezza e di insoddisfazione . Già c'è , ancora in maniera poco visibile - secondo me - un tentativo di ritorno alle origini , un ritorno verso i colori decisi e non verso tutte queste "sfumature" del mondo (pseudo)moderno
Wishotel22/6/2008, 01:03
Un invito per tutte le donne che hanno la possibilità di farlo: consultate spesso la stampa estera, prevalentemente esclusa dagli interessi politici nazionali, culturalmente più attenta ai nostri bisogni, per un importante confronto della condizione femminile al di fuori del nostro paese.
Scoprirete che l’interesse di un americano, un francese o un tedesco verso la condizione femminile italiana è più marcato e onesto di quello della nostra classe politica. Non è assurdo?
Più pubblicizzato ed allarmato dell’indignazione della stampa italiana che troppo poco spesso dà voce a quella delle donne e spesso solo in funzione di scandali di enorme portata.
Alcuni esempi:
Silvio Berlusconi wins applause from a crowd of flag-waving Italian women at an election rally when he urges them to cook for his party’s candidates.
"Cook for our party’s representatives — and make the sustenance as sweet as possible," the 71-year old businessman tells them in the run-up to an election on Sunday and Monday in which he is seeking a third term as prime minister.
Other women have been outraged by such comments in a campaign that has underlined how men still dominate Italian politics and old stereotypes linger, despite the gains women have eked out over the years.
….
Despite boasting a higher rate of education, Italian women have long lagged their male counterparts in politics. Just over 17 percent of seats in the lower house of parliament and 14 percent in the upper house are held by women.
Qualcosa potrebbe cambiare da un punto di vista legale anche nei casi di violenza domestica. Qualcuno ricorderà Barbara Cicioni, incina di otto mesi e mezzo, assassinata in Umbria nella sua camera da letto. Ad essere accusato è il marito, in molti riferiscono di botte, liti. Il processo è iniziato a marzo. Per la prima volta in un’aula di tribunale oltre alle altre accuse si è introdotto il concetto di ‘femminicidio’ e quindi che la violenza non è un fatto privato ma sociale: la donna viene uccisa in quanto donna, perché non accetta di ricoprire il ruolo che l’uomo o la società vorrebbero impersonasse. Forse prima o poi qualcuno verrà anche condannato.
Caro Beppe e cari Italians, la mail di G. Bongiorno (21 luglio) ha sollevato un argomento interessante e fascinoso: il tifo femminile. Io sono una donna e sono tifosa. Ma tifosa nel vero senso del termine, addirittura abbonata alla mia squadra del cuore, il Milan, di cui conosco tradizione, storia, rosa e quant'altro. Credo che non ci sia un perchè particolare al tifo femminile. Semplicemente, come contagia voi maschietti, contagia anche noi. E' solo che voi uomini non ci siete abituati nè, tantomento, siete disposti a condividere con noi la vostra passione perché, nella maggior parte dei casi, non ci ritenete all'altezza di discutere di tale, spinoso argomento con voi. Vi stupite, e non poco, quando incontrate una fanciulla che non solo sa cos'è il fuorigioco, ma anche chi è Didier Drogba e in che squadra gioca e che capisce perchè il modulo del Milan sarebbe stato diverso in caso di acquisto di Ronaldinho piuttosto che di Adebayor. Questo perché, fin dalla notte dei tempi, il calcio è stato considerato come uno sport di squisita prerogativa maschile. Ora che noi donne stiamo iniziando ad "invadere" questo vostro mondo, un po' vi sentite spiazzati, secondo me.
Silvia S., silvia.s80@fastwebnet.it
Warlordmaniac29/7/2008, 14:10
Ancora sto aspettando di trovare una donna capace di parlare di sport in modo competente.
LesPaul1/8/2008, 13:04
E allora, visto che si ritengono ormai superiori anche nell'italico sport per eccellenza, cosa aspettano a lottare per eliminare quella maschilista e discriminatoria norma del biglietto di ingresso allo stadio a prezzo ridotto per le donne?? Che entrino pagando il prezzo intero!!! (str***e!!!)
Solo allora non mi sentirò "spiazzato" come mi sento ora....
Sandokan13171/8/2008, 13:14
Non lo pagheranno il prezzo intero Les Paul....Sono femministe per i loro tornaconti personali e "donne all'antica" quando si tratta di metter mano al portafoglio..
Warlordmaniac1/8/2008, 14:15
e anche perché dello sport non sono veramente interessate, almeno come lo è un uomo.
Era l'uomo che andava in guerra. Qualcuno mi smentisce?
Sandokan13171/8/2008, 14:22
Non è il fatto dell'interesse o meno per lo sport,è il dover pagare meno in quanto donna che mi urta notevolmente.
cherryblossom30/8/2008, 09:10
Ma veramente voi pensate che le donne diventeranno il "primo" sesso? E soprattutto cosa è il primo sesso?
COSMOS130/8/2008, 09:15
che c'azzecca con codesto thread?
forse solo questo: no, le dd non sono il primo sesso e non lo saranno mai, forse x questo covano un rancore profondo :ph34r:
cherryblossom30/8/2008, 09:17
Sai anche in discoteca si paga meno, perchè così un sacco di ragazze ci vanno e gli uomini sono disposti a pagare di più pur di trovare una mandria più numerosa tra cui poter scegliere. E comunque un modo per aggirare l'ostacolo dell'entrata a prezzo pieno si trova sempre, magari si conosce il dj, o uno delle pr, basta sbattere un po' le ciglia e volano consumazioni omaggio. Ahhhhhh che cose orribili possono arrivare a fare le donne.
LesPaul30/8/2008, 09:22
Benvenuta nel mondo della Questione Maschile e delle ipocrisie del femminismo e delle donne in generale; anche tu hai capito che lo sfruttamento sessuale femminile NON ESISTE, ma esiste invece lo fruttamento sessuale del maschio!
Proprio in questo fine settimana mia figlia (tornata da Mostar per qualche giorno dove si trova da 3 anni per lavoro) mi ha detto: "Mamma, finalmente mi faccio un fine settimana con le vecchie amiche del liceo, senza nè fidanzati nè mariti al fianco. Sarà come ai vecchi tempi!" Io ho capito questa loro voglia di divertirsi tra ragazze perchè spesso i maschi, appunto perchè troppo condiscendenti e smorti, sono a volte un peso. L'emancipazione della donna per molti maschi si è rivelata quasi un incubo, l'uomo si è sentito sfuggire il potere dalle mani ed è andato in tilt.Un suggerimento, alle donne, però mi sentirei di darlo: l'uomo ha sempre bisogno di sentirsi "importante" nel nucleo familiare, di avere il suo ruolo di maschio, quindi emancipazione sì ma con il dovuto rispetto per l'altro sesso.
Sai anche in discoteca si paga meno, perchè così un sacco di ragazze ci vanno e gli uomini sono disposti a pagare di più pur di trovare una mandria più numerosa tra cui poter scegliere
Benvenuta nel mondo della Questione Maschile e delle ipocrisie del femminismo e delle donne in generale; anche tu hai capito che lo sfruttamento sessuale femminile NON ESISTE, ma esiste invece lo fruttamento sessuale del maschio!
[ E comunque un modo per aggirare l'ostacolo dell'entrata a prezzo pieno si trova sempre, magari si conosce il dj, o uno delle pr, basta sbattere un po' le ciglia e volano consumazioni omaggio.
A conferma di quanto ho detto sopra, appunto...
Oh va beh, ora non possiamo neanche far pendere il peso tutto da una parte però. Diciamo che esistono varie forme di sfruttamento e in un modo o nell'altro riguardano entrambi i generi. Solo che se viene sfruttata una donna, ahhh! orrore mentre se viene sfruttato un uomo è lui un coglione perchè si è fatto abbindolare. Certo, ci sono le dovute distinzioni da fare. Se una donna viene costretta a prostituirsi e picchiata selvaggiamente dai suoi protettori perchè non intende più farlo tutti proviamo rabbia e raccapriccio, se l'uomo è disposto a pagare un biglietto a prezzo pieno pensiamo ah! lo vedi! ti interessa solo avere più gnocche a disposizione, così puoi scegliere quale farti stasera.
Ma veramente voi pensate che le donne diventeranno il "primo" sesso? E soprattutto cosa è il primo sesso?
che c'azzecca con codesto thread?
forse solo questo: no, le dd non sono il primo sesso e non lo saranno mai, forse x questo covano un rancore profondo :ph34r:
Era scritto in alto, nelle domande del questionario. A scuola mi hanno insegnato che quando non so qualcosa devo chiedere cosa significa.
Ma veramente voi pensate che le donne diventeranno il "primo" sesso? E soprattutto cosa è il primo sesso?
L'unico pH che conosco è quello del mio bagnoschiuma, potresti illuminarmi per favore, più che altro contestualizzarmene un attimo il significato?!?
COSMOS130/8/2008, 10:31
Era scritto in alto, nelle domande del questionario. A scuola mi hanno insegnato che quando non so qualcosa devo chiedere cosa significa.
ho capito ...
ma a scuola dovrebbero anche averti insegnato a distinguere il dito dalla luna ;)
il riferimento al "primo sesso" era incidentale, il tema, qui, è il rancore femminile
cherryblossom30/8/2008, 10:52
Era scritto in alto, nelle domande del questionario. A scuola mi hanno insegnato che quando non so qualcosa devo chiedere cosa significa.
ho capito ...
ma a scuola dovrebbero anche averti insegnato a distinguere il dito dalla luna ;)
il riferimento al "primo sesso" era incidentale, il tema, qui, è il rancore femminile
Cosmos, stai per passare dal rigoroso al pignolo. Ok la prossima volta in cui non saprò una cosa, anzichè affidarmi ad un uomo per conoscerne la risposta andrò a in biblioteca e mi informerò da sola altrimenti mi farà sentire stupida.
COSMOS130/8/2008, 11:05
Cosmos, stai per passare dal rigoroso al pignolo. Ok la prossima volta in cui non saprò una cosa, anzichè affidarmi ad un uomo per conoscerne la risposta andrò a in biblioteca e mi informerò da sola altrimenti mi farà sentire stupida.
Cosmos, stai per passare dal rigoroso al pignolo. Ok la prossima volta in cui non saprò una cosa, anzichè affidarmi ad un uomo per conoscerne la risposta andrò a in biblioteca e mi informerò da sola altrimenti mi farà sentire stupida.
Va bene, sono OFF TOPIC, dove posso cercare una defizione di primo sesso?
COSMOS130/8/2008, 11:41
OFF topic: la competizione mm<->ff è un controsenso se le ff siano + brave a scuola o i mm nello sport o le ff nel management o i mm in cucina o ...
non ha senso, chi vale di + è una domanda stupida, xkè noi e voi valiamo in quanto ci accordiamo!
il fatto di voler essere i primi nasce da un rancore di base, da una insoddisfazione, dallo scaricare sugli altri i propri problemi.
le dd considerano maschilista che gli uu facciano passare loro x prime quando si incontrano ad una porta! è stupido e dimostra il controsenso di cui sopra
le dd che vogliono essere prime finiscono x essere ultime (il vangelo colpisce ancora...)
il tentativo ideologico di mettere le dd al primo posto (nei concorsi, nelle graduatorie, nei tribunali, nella carriera...) porterà le dd (e la società tutta) al disastro
in qs topic il termine "primo sesso" era usato nel senso di voler primeggiare, sopravvanzare i mm
non era una citazione erudita, ad ogni modo questo sforzo continuo delle ff di cercare il sorpasso sui mm fa parte in modo importante della QM
Milo Riano30/8/2008, 13:54
L'unico pH che conosco è quello del mio bagnoschiuma, potresti illuminarmi per favore, più che altro contestualizzarmene un attimo il significato?!?
Secondo la teoria acido-base di Bronsted-Lowry e quella di Lewis, una certa sostanza chimica non è definita come acida o basica in senso assoluto, ma in relazione alla sostanza con la quale trasferisce uno ione H+ o un doppietto elettronico e quindi relativamente a una specifica reazione.
Quindi anche se una sostanza ha comportamento acido in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno basico) in altre. Viceversa una sostanza che ha comportamento basico in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno acido) in altre.
Un esempio su tutti è quello relativo alla reazione acido-base sfruttata in chimica organica per effettuare la nitrazione tramite sostituzione elettrofila aromatica:
H2SO4 + HNO3 --> NO2+ + HSO4- + H2O
dove l'acido solforico (acido più forte) protona l'acido nitrico (acido meno forte che funge da base) formando lo ione nitronio NO2+, che è la specie nitrante.
(l' esempio è solo per usare le funzioni sub e sup di forumfree.. sono il primo in assoluto ad averlo fatto!! bravo Milo!!)
Un acido è forte, se la sua base coniugata è debole.
Non conosco il tuo Boyfriend, ma, da quello che leggo, il primo sesso (o sesso forte), tra i due, sei certamente tu. :wub:
cherryblossom30/8/2008, 17:36
OFF topic: la competizione mm<->ff è un controsenso se le ff siano + brave a scuola o i mm nello sport o le ff nel management o i mm in cucina o ...
non ha senso, chi vale di + è una domanda stupida, xkè noi e voi valiamo in quanto ci accordiamo!
il fatto di voler essere i primi nasce da un rancore di base, da una insoddisfazione, dallo scaricare sugli altri i propri problemi.
le dd considerano maschilista che gli uu facciano passare loro x prime quando si incontrano ad una porta! è stupido e dimostra il controsenso di cui sopra
le dd che vogliono essere prime finiscono x essere ultime (il vangelo colpisce ancora...)
il tentativo ideologico di mettere le dd al primo posto (nei concorsi, nelle graduatorie, nei tribunali, nella carriera...) porterà le dd (e la società tutta) al disastro
in qs topic il termine "primo sesso" era usato nel senso di voler primeggiare, sopravvanzare i mm
non era una citazione erudita, ad ogni modo questo sforzo continuo delle ff di cercare il sorpasso sui mm fa parte in modo importante della QM
Grazie Cosmos, sei stato molto gentile a spiegarmi tutto!
"lamari"30/8/2008, 18:20
secondo me la questione è un altra..............come dire.........io personalmente non mi sento di dover sorpassare nessuno.......non vedo nessuno davanti a me .....da sorpassare.....
credo che molte donne vedano fantasmini davanti a loro..............
cherryblossom31/8/2008, 01:50
secondo me la questione è un altra..............come dire.........io personalmente non mi sento di dover sorpassare nessuno.......non vedo nessuno davanti a me .....da sorpassare.....
credo che molte donne vedano fantasmini davanti a loro..............
?
cherryblossom31/8/2008, 21:56
Non conosco il tuo Boyfriend, ma, da quello che leggo, il primo sesso (o sesso forte), tra i due, sei certamente tu. :wub:
E perchè dovrei essere io il primo sesso? Non voglio essere io il primo sesso, l'uomo è lui.
Reduan31/8/2008, 23:57
L'unico pH che conosco è quello del mio bagnoschiuma, potresti illuminarmi per favore, più che altro contestualizzarmene un attimo il significato?!?
Secondo la teoria acido-base di Bronsted-Lowry e quella di Lewis, una certa sostanza chimica non è definita come acida o basica in senso assoluto, ma in relazione alla sostanza con la quale trasferisce uno ione H+ o un doppietto elettronico e quindi relativamente a una specifica reazione.
Quindi anche se una sostanza ha comportamento acido in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno basico) in altre. Viceversa una sostanza che ha comportamento basico in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno acido) in altre.
Un esempio su tutti è quello relativo alla reazione acido-base sfruttata in chimica organica per effettuare la nitrazione tramite sostituzione elettrofila aromatica:
H2SO4 + HNO3 --> NO2+ + HSO4- + H2O
dove l'acido solforico (acido più forte) protona l'acido nitrico (acido meno forte che funge da base) formando lo ione nitronio NO2+, che è la specie nitrante.
(l' esempio è solo per usare le funzioni sub e sup di forumfree.. sono il primo in assoluto ad averlo fatto!! bravo Milo!!)
Un acido è forte, se la sua base coniugata è debole.
Bè questa la trovo una bellissima (e corretta) analisi da applicarsi ai rapporti tra i sessi, che condivido in toto. E' la piattaforma che serve per spiegare la fenomenologia di coppia. :)
LesPaul1/9/2008, 03:52
Secondo la teoria acido-base di Bronsted-Lowry e quella di Lewis, una certa sostanza chimica non è definita come acida o basica in senso assoluto, ma in relazione alla sostanza con la quale trasferisce uno ione H+ o un doppietto elettronico e quindi relativamente a una specifica reazione.
Quindi anche se una sostanza ha comportamento acido in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno basico) in altre. Viceversa una sostanza che ha comportamento basico in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno acido) in altre.
Un esempio su tutti è quello relativo alla reazione acido-base sfruttata in chimica organica per effettuare la nitrazione tramite sostituzione elettrofila aromatica:
H2SO4 + HNO3 --> NO2+ + HSO4- + H2O
dove l'acido solforico (acido più forte) protona l'acido nitrico (acido meno forte che funge da base) formando lo ione nitronio NO2+, che è la specie nitrante.
(l' esempio è solo per usare le funzioni sub e sup di forumfree.. sono il primo in assoluto ad averlo fatto!! bravo Milo!!)
Un acido è forte, se la sua base coniugata è debole.
Bè questa la trovo una bellissima (e corretta) analisi da applicarsi ai rapporti tra i sessi, che condivido in toto. E' la piattaforma che serve per spiegare la fenomenologia di coppia. :)
Ora interviene il Biologo (che si è fatto un po' di esami di chimica): ricordate che la Natura è conservativa; ovvero i modelli di funzionamento possono essere considerati fondamentalmente gli stessi in ogni campo. Un esempio è stato fatto in altra discussione quando si è parlato di leggi della sessualità rette dalle stesse leggi dell'economia di mercato (vero). Altri esempi: elettricità e idraulica; suono e luce; struttura subatomica e galassie.
Questo perché nel nostro Universo tutto è regolato da leggi fisiche ben precise e comuni. Le relazioni umane rispondono (che si piaccia o no) sempre, alla fine, a leggi fisiche.
Tex69691/9/2008, 14:15
Voto la 1 !! Daccordo con Giubizza.
COSMOS11/9/2008, 19:32
secondo me la questione è un altra..............come dire.........io personalmente non mi sento di dover sorpassare nessuno.......non vedo nessuno davanti a me .....da sorpassare.....
credo che molte donne vedano fantasmini davanti a loro..............
delle due l'una:
o non vedi nessuno davanti a te, xkè hai lasciato tutti dietro
o xkè non ti interessa la competizione
ovviamente io credo che l'atteggiamento sano per una dd sia il 2... e in qs senso interpreterei i fantasmini, ma potrebbe anche essere nel primo, che ci dici?
"lamari"3/9/2008, 23:10
cosmos.....la vedo cosi...........
non mi interessa la competizione ma se mi volto li vedo tutti dietro di me
scherzooooooooooooooooo
COSMOS14/9/2008, 13:18
cosmos.....la vedo cosi...........
non mi interessa la competizione ma se mi volto li vedo tutti dietro di me
:CLAPPING-:
sculetti bene?
:wub:
"lamari"5/9/2008, 21:44
cosmos.....la vedo cosi...........
non mi interessa la competizione ma se mi volto li vedo tutti dietro di me
:CLAPPING-:
sculetti bene?
:wub:
non è tanto lo sculetto ma lo "strumento dello sculettamento" che pare piaccia parecchio............io non saprei dirti non riesco a "vedermi" (un giorno di questi mi faccio filmare mentre cammino cosi finalmente capisco)
Scusa Silver, ma non è che prendi la cosa un po' troppo sul serio? In fondo si tratta di chiacchiere fatte da bambocce viziate e senza cervello.
COSMOS16/9/2008, 16:36
:CLAPPING-:
sculetti bene?
:wub:
non è tanto lo sculetto ma lo "strumento dello sculettamento" che pare piaccia parecchio............io non saprei dirti non riesco a "vedermi" (un giorno di questi mi faccio filmare mentre cammino cosi finalmente capisco)
non c'è alcun dubbio, un bel mandolino fa sempre effetto. Ma un bel mandolino usato bene ancor di +...
dove posterai il filmato, su Youtube...? :D
Giubizza6/9/2008, 16:39
Il treno era ancora nella stazione...
non è tanto lo sculetto ma lo "strumento dello sculettamento" che pare piaccia parecchio............
Scometto anche che la tua smisurata modestia piace molto...........
"lamari"6/9/2008, 18:29
Il treno era ancora nella stazione...
non è tanto lo sculetto ma lo "strumento dello sculettamento" che pare piaccia parecchio............
Scometto anche che la tua smisurata modestia piace molto...........
puoi scommetterci.....ma non è modestia è pura constatazione :woot:
Giubizza6/9/2008, 18:36
Direi UMILTA'!
"lamari"6/9/2008, 18:44
come preferisci giubizza, il fatto rimane
Giubizza6/9/2008, 18:46
Come gli asini che volano...
"lamari"6/9/2008, 18:47
:woot:
Warlordmaniac6/9/2008, 22:01
Lamari, quanti anni hai?
"lamari"6/9/2008, 22:07
45 e in ansia in questo momento sto' seguendo il volo di ritorno da malaga del mio maschio preferito
Le nuove forme del maschilismo: l’uso del doppio legame nel mantenimento della dominanza dell’uomo
di Chiara Santi
2007: su un forum del sito de “Il Sole 24 ore” (http://forum.ilsole24ore.com/read.php?58,215014), alla domanda suscitata da un articolo pubblicato sullo stesso giornale, in cui si sostiene che la presenza delle donne nell’economia e nella politica sia, oltre ad una fondamentale questione di parità di diritti, anche un buon investimento, si trova, fra gli altri, il seguente commento:
A mio avviso, il dibattito sul lavoro femminile è un esempio da manuale di come un tema reale è reso decettivo da tesi spurie. La prima domanda è : se il ad aumentare fossero 100.000 lavoratori maschi il PIL non ne guadagnerebbe alla stesso modo? Lasciamo stare questioni collegate alle degenerazioni etiche che, come i fatti dimostrano, crescono in parallelo all'aumento della visibilità femminile nella società, al ruolo politico e giudiziario delle donne. Proprio i paesi nordici in cui la presenza femminile nelle istituzioni è preponderante, vi è stata la dissoluzione della famiglia, crescita esponenziale di omosessualità, pornografia, droga. In quei paesi, la maggiore occupazione delle donne, è dovuta a fattori demografici e climatici. In Italia le statistiche ci dicono che l'assenteismo femminile è di molto superiore a quello maschile. I settori dove è maggiore la presenza femminile coincidono che quelli a più bassa produttività. Settori in cui le donne hanno superato la soglia del 40% , come la giustizia, si è visto crescere il lassismo, con conseguenze deteriori sulla sicurezza dei cittadini. Perché le donne possano davvero contribuire alla crescita civile ed economica dell'Italia, è necessario, invece di pretendere sempre nuovi privilegi, maturino una maggiore consapevolezza culturale, si deve chiarire un equivoco di fondo. Posto che non esistono leggi che limitano la presenza e l'attività delle donne in ogni settore della vita politica, economica, sociale, non si può, da un lato, sostenere la parità, quando addirittura la "superiorità" femminile in molti campi, e pretendere agevolazioni e privilegi, come le quota rosa, imporre forzature nelle scelte. E' impraticabile il percorso dei paesi nordici, per ragione storico e sociali, e neppure consigliabile visto che, tra l'altro, in quei paesi si conta il maggior tasso d'infelicità e di suicidi. Non si compiono "rivoluzioni" per imitazioni, ma attraverso la maturazione dei soggetti, in questo caso le donne, che si propongono come fattore di innovazione sviluppo socio-politico. Troppo facile accusare di maschilismo reazionario chi indica i veri problemi che sono sotto gli occhi di chiunque li voglia vedere senza pregiudizi in un senso o nell'altro.
Le nostre madri e le nostre nonne hanno dovuto combattere contro forme chiare, evidenti di sopraffazione maschile e di svalutazione della propria immagine ed identità femminile. Sono state battaglie dure e il fatto che fino a poco più di 60 anni fa ancora noi non potessimo votare, chiarisce meglio di ogni altro ragionamento quanta strada sia stata fatta da allora.
Oggi come oggi, nella società occidentale e “sviluppata”, nessuna donna si deve più porre il problema del diritto a recarsi alle urne o di poter fare domanda per un impiego.
Ma quello contro cui ci si scontra ora è un maschilismo dalle forme, frequentemente, più sottili.
Prendiamo ad esempio il commento di apertura dell’articolo; pur non essendo certo il miglior esempio di maschilismo raffinato, poiché l’attacco alle donne non è così impalpabile e nascosto, è tuttavia un caso che può rientrare, seppur nel limite inferiore di un’ipotetica curva gaussiana sul fenomeno, nel modello del maschilismo odierno, quello che io amo definire “del doppio legame”. Nello scritto di cui sopra, infatti, si mettono insieme una serie di giudizi estremamente negativi che attribuirebbero alle donne la causa di degenerazioni etiche, assenteismo diffuso, lassismo, infelicità e suicidi, basandosi su una serie di pregiudizi, fatti passare, però, per dati obiettivi, statistiche affidabili e volutamente creando un nesso di causalità fra dati che potrebbero essere spiegati in ben altri modi. Insieme ad un attacco fintamente travestito da tesi scientifica, vengono poi aggiunte valutazioni apparentemente a favore delle donne, mostrando l’importanza della consapevolezza e della maturazione (“Perché le donne possano davvero contribuire alla crescita civile ed economica dell'Italia, è necessario, invece di pretendere sempre nuovi privilegi, maturino una maggiore consapevolezza culturale”, “Non si compiono "rivoluzioni" per imitazioni, ma attraverso la maturazione dei soggetti”), nonché l’assoluta obiettività degli assunti sostenuti (“i veri problemi che sono sotto gli occhi di chiunque li voglia vedere senza pregiudizi in un senso o nell'altro”).
Il gioco, insomma, sembra quello di elencare tutta una serie di gravi difetti e deficienze dell’essere femminile, inviando contemporaneamente il messaggio che tutto ciò non nasce da preclusioni mentali, poiché partorito da una mente obiettiva e, anzi, a favore di un’azione di maturazione e consapevolezza che rafforzi il genere femminile.
Questo, anche se in maniera ancora abbastanza grossolana, può dare un’idea di cosa io intenda con la mia definizione, prendendo a prestito dalla psicologia un termine che identifica un preciso processo di comunicazione patogenetico e che, estrapolato dall’ambito familiare e proiettato in quello sociale, si tende a ritrovare ancora troppo spesso.
Sappiamo come, nelle comunicazioni distorte da questo tipo di funzionamento, si veicolino contemporaneamente due messaggi, in netto contrasto fra di loro, uno esplicito ed uno implicito, dove il significato negativo è quello che passa a quest’ultimo livello ed è, perciò, quello che ci lascia impotenti alla replica.
Nelle forme moderne del maschilismo, spesso il concetto di superiorità maschile viene veicolato proprio attraverso questa forma relazionale alterata, che sembra incastrare in un meccanismo perverso chi lo subisce. Ciò può avvenire nel ristretto mondo famigliare così come nel più allargato orizzonte sociale e, come sovente accade, i due ambiti possono intrecciarsi e rafforzarsi vicendevolmente.
Prendiamo, ad esempio, il microcosmo casalingo per valutare i meccanismi che possono esservi scatenati e le differenti implicazioni fra uno stile comunicativo chiaro ed aperto – per quanto ostile – ed uno sottile e ambiguo.
Di fronte ad un padre che svaluta manifestamente e ripetutamente la figlia, infatti, questa avrà sempre la possibilità di scelta fra soccombere agli attacchi o ribellarsi ad essi; per quanto la continua denigrazione delle capacità della bambina porti facilmente ad un senso d’inferiorità e a probabili gravi contraccolpi sulla stima e personalità della stessa, la critica palese dà almeno una possibilità di replica, nonché di riflessione sulla realtà dei commenti e sulla possibilità di smentirli.
Ma quando i colpi sono sferzati con armi invisibili, chi aggredisce si assicura un potere maggiore, ovverosia quello di privare del diritto di reazione. Ad esempio, il padre che esalta le qualità della figlia, che la adula e accoglie esplicitamente, mentre manda implicitamente messaggi svalutativi, la blocca in una situazione paradossale per cui lei avverte, in maniera profonda, un senso di scarso valore di sé, senza poterlo poi attribuire all’esterno, tanto meno all’atteggiamento paterno così apparentemente affettuoso.
Attaccare il genitore, in tal caso, equivarrebbe, a livello consapevole, a scagliarsi proprio contro il suo sostenitore, cosa inaccettabile a livello conscio.
La situazione si complica, poi, quando i messaggi impliciti di questo tipo rivolti ad una figlia non siano tanto relativi ad aspetti personali, quanto più generalmente (e, spesso, stereotipicamente) attribuibili al suo essere donna, al cuore stesso della sua identità di genere.
Se nei confronti dei primi c’è, quindi, almeno una possibilità di riscatto, grazie al conseguimento di obiettivi e successi impensabili sulla base dei giudizi svalutativi impliciti, rispetto ai secondi la femmina bambina è in scacco: il suo essere femminile è totale, ineluttabile, investe tutta la sua personalità. Può, quindi, dimostrare di non essere stupida, timorosa e pavida o dipendente, ma non potrà mai dimostrare di non essere donna, salvo dissociarsi completamente dalla sua stessa identità fondante.
Se la femminilità è in qualche modo associata col risultare, in una misura o nell’altra, inferiore, allora ogni raggiungimento e ciascun successo ottenuto perde in sé il valore che avrebbe se lo stesso fosse stato raggiunto da un uomo. Perché non è più la singola capacità ad essere messa alla prova per potere smentire i pregiudizi negativi nascostamente profusi, bensì è la stessa essenza femminile (che non può essere negata o celata, appunto) ad informare di sé ogni atto, portandolo inevitabilmente – agli occhi della bimba ora cresciuta – ad uno scadimento, ad un minor valore.
E questo è lo scacco in cui si ritrova la donna svalutata, a suo tempo e nella propria storia familiare, da un padre ancorato ad un concetto di superiorità maschile. Tanto più minaccioso, appunto, quanto più velato e aggravabile ulteriormente, inoltre, se questa concezione maschilista veniva attivamente o passivamente sostenuta dalla madre, poiché i modelli di femminilità in cui identificarsi servivano solo a confermare la “realtà” del giudizio paterno.
Ma come è legato il meccanismo del doppio legame nella personale storia familiare a quello nella società e cosa si intende per quest’ultimo?
Il rapporto è duplice.
Innanzi tutto, per la donna che ha vissuto, da piccola, questo nascosto “indottrinamento”, si configura una fragilità di base che la pone a maggiore rischio di subire trattamenti impari, rispetto ai coetanei maschi, senza ribellarsi, spesso anche giustificandoli, proprio perché ritiene, implicitamente, che l’uomo sia dotato di una qualche superiorità che possa spiegare il perché di salari più alti, minori compiti da adempiere al di fuori del lavoro, ridotta disponibilità verso i figli o quant’altro, a seconda dei casi e delle situazioni.
E questo, spesso, può capitare anche in quelle donne che, a parole e attraverso il pensiero logico, sostengono l’assoluta uguaglianza dei diritti fra sessi – pur nel rispetto delle dovute differenze fisiche e psicologiche -, ma che, in un gioco inconscio e apparentemente incomprensibile a loro stesse, finiscono per comportarsi in maniera tale da appoggiare il pensiero opposto, cioè che una certa supremazia debba essere riconosciuta all’uomo, anche se, ad esplicita domanda, non saprebbero come sostenere tale pensiero razionalmente. Sono, ad esempio, le donne che votano gli uomini, anche quando siano presenti donne con eguali requisiti e capacità; o quelle che si sfiniscono fra innumerevoli impegni, correndo tutto il giorno, ma non si azzarderebbero a domandare aiuto più di tanto al loro uomo, perché “lui fa un lavoro pesante ed è stanco”, anche se ciò può voler dire fermarsi per riprendere fiato due o tre ore dopo al proprio partner. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.
In qualche modo, quindi, sono donne che, consciamente o inconsciamente, sostengono e continuano ad oliare il meccanismo sociale che favorisce gli uomini.
In secondo luogo, il doppio legame è presente, sovente, anche nella società e imposta le basi del moderno maschilismo. La donna, ai nostri giorni, si trova ancora a combattere contro conclamati comportamenti di sopruso dell’uomo, ma sono casi sempre più rari. Le forme, invece, più sottili e nascoste, sono largamente più diffuse e sono sempre basate sulla logica del messaggio reale e profondo in contrasto con quello apparente e magnanimo.
Oggi come oggi, la donna che, nelle numerose vicende della vita quotidiana, si trovi ad avvertire disuguaglianza, ottiene frequentemente, allo stesso modo, una risposta alle sue rivendicazioni del genere: “Ma come? C’è totale uguaglianza! Le donne lavorano, gli uomini le aiutano di più con la casa e si occupano anche dei figli. Insomma, sei completamente fuori tempo, l’epoca del maschilismo non esiste più”. Contro cosa combatte la donna di fronte a questo apparente paradiso? Non è forse vero che può lavorare? Non è forse vero che la legge prevede permessi e astensioni dal lavoro anche per i padri che vogliano accudire i figli?
Anche in questo caso, come in quello precedente relativo agli antichi legami familiari, il messaggio svalutativo e di disuguaglianza è implicito. Le donne lavorano come gli uomini, ma perlopiù passa sotto silenzio che per le stesse identiche mansioni guadagnano il 20-25% in meno, di media.
La legge prevede diritti di assenza giustificata e retribuita dal lavoro anche per i padri, ma si tace sulla percentuale minima di uomini che la utilizzano (e non sempre e solo per maschilismo del partner, ma anche per una serie di valutazioni – che qui non approfondisco – che possono sempre ricondursi a un maschilismo insito nella società. A volte, ad esempio, sono le considerazioni economiche ad avere la meglio, facendo rinunciare la donna al lavoro, proprio perché meno pagato di quello del marito).
Le donne possono fare politica o arrivare ai vertici delle aziende, ma chissà per quale strano meccanismo la loro presenza percentuale in tali attività è minima, comparata a quanto vorrebbero le leggi delle probabilità statistiche.
Di esempi, nella società così come nell’intimo legame a due, ve ne sono finché se ne vuole, ma quanto mi preme qui sottolineare non è un semplice elenco di disuguaglianze più o meno marcate, quanto il meccanismo sottile che vi sta dietro.
Oggi come oggi, quasi nessuno più si sognerebbe di affermare, seriamente, che una donna è inferiore per motivi biologici o psicologici, eppure la dominanza maschile è ancora ben presente, ma impalpabile e nascosta nelle pieghe di un’apparente uguaglianza e, per questo, più difficile da eliminare.
A livello manifesto, vi sono pari opportunità; a livello nascosto, in diverse realtà vi è uno stillicidio continuo di piccole e velate svalutazioni, spesso sostenute e giustificate dalle stesse donne, intrappolate nel meccanismo inconscio di giustificare con il loro stesso comportamento differenze che ad un esame razionale ed obiettivo non potrebbero essere sostenute.
Il doppio legame, già da alcune sperimentato nell’infanzia, viene ritrovato dunque, in forme nuove, anche al macrolivello sociale, nella cultura che mostra uguali opportunità per i due sessi, ma nasconde i dati concreti che documentano una minore attenzione per i diritti femminili.
Il gioco si chiude e rigira su se stesso nel momento in cui, di fronte a tali informazioni, vengono elargite ragioni che vorrebbero spiegare, ma in realtà nascondono (accentuando l’effetto del doppio legame, appunto). Ad esempio, quando a chiarimento della minor presenza femminile in politica o ai vertici delle aziende, si porta avanti la tesi dell’insufficiente interesse o della minore predisposizione delle donne in questi settori. Si potrebbe ben controbattere, senza entrare negli innumerevoli motivi reali di questa insufficiente rappresentanza, che la stessa obiezione si sarebbe potuta sostenere fino ad un secolo fa – ed anche molto meno – di fronte al panorama letterario nettamente dominato dalla creatività maschile. Ma non è forse vero che, non appena diminuita la morsa della disparità fra sessi, il numero di donne scrittrici è aumentato a dismisura? Forse che il ventesimo secolo ha geneticamente modificato le aree cerebrali linguistico-creative delle donne?
Il meccanismo del maschilismo in generale – e non solo di questo aspetto specifico – è ovviamente complesso e profondamente radicato da secoli e millenni di storia passata; in un certo senso, credo che sia entrato a far parte dell’inconscio collettivo e, di conseguenza, la lotta contro le disuguaglianze diventa difficile proprio perché impone una revisione non solo del visibile, quanto in buona parte anche dell’invisibile e di ciò che ci condiziona – uomini e donne – molto profondamente. Verrebbe quindi da dire che, come passo fondamentale nel superamento di questo stato di cose, sia necessario far penetrare l’Io là dove c’era l’Es, come vorrebbe Freud, e quindi, attenendoci alle forme comunicative testé descritte, far spazio all’esplicito, laddove vi era l’implicito.
Il percorso è lungo e faticoso, proprio perché si vanno a toccare automatismi radicati e, spesso, sconosciuti a noi stessi. E la strada può e deve essere percorsa insieme agli uomini, a quelli fra loro che colgono i paradossi impliciti in quest’ambiguità e che, consapevoli che una maggiore parità porta inevitabilmente ad una società più ricca, sostengono e attivano sforzi in tale direzione.
Le donne lavorano come gli uomini, ma perlopiù passa sotto silenzio che per le stesse identiche mansioni guadagnano il 20-25% in meno, di media.
Per la prima volta nella storia una donna ha raggiunto una posizione di alto livello internazionale all'interno della comunità matematica. Si tratta della norvegese Ragni Piene da poco eletta a rappresentare i matematici di tutta la scandinavia presso l'IMU, l'International Mathematical Union. Sembrerebbe un bel segno che qualcosa sta cambiando rispetto alla tradizionale convinzione che le donne non sono "portate per la matematica". Ma sarà poi vero? In realtà se si va a guardare le cattedre universitarie in Europa si vede che la percentuale di quelle affidate a donne si aggira intorno al 2 per cento, laddove le donne laureate in matematica raggiungono quasi il quaranta per cento. Se poi si scende negli anni e si arriva all'infanzia e alla preadolescenza si scopre da test e riscontri di tipo scolastico che le bambine e i bambini riescono in matematica esattamente allo stesso modo. E allora dove sta l'inghippo? Difficile pensare che ci siano ragioni di tipo biologico come molti (uomini) vogliono pensare e alcuni hanno anche cercato di dimostrare, alimentando la leggenda di un "gene maschile della matematica". Una biologia che si manifesta intorno ai tredici anni (questa è l'età in cui apparentemente le ragazze cominciano a perdere interesse per la matematica) risulta quanto meno curiosa. Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica. Mentre i maschi sentono che la metematica può in qualche modo favorire la loro carriera futura le femmine non credono sarà loro di nessuna utilità, in parte per mancanza di modelli familiari e sociali e in parte per sfiducia nelle proprie capacità. Da alcune ricerche fatte in America nell'ambito della cosiddetta "teoria dell'attribuzione" si vede che mentre i ragazzi attribuiscono i loro successi in matematica all'abilità personale, le femmine li attribuiscono all'impegno profuso, laddove gli insuccessi vengono giustificati da parte dei maschi con un impegno insufficiente e da parte delle ragazze con la mancanza di bravura. D'altra parte a essere troppo brave in matematica si rischia di passare per mascoline o quanto meno strane, secchione e fredde. La donna che sa la matematica disturba e intimorisce e dunque perchè fare tanti sforzi (visto che di fatica si tratta comunque per tutti, maschi e femmine) per imparare qualcosa di cui non ci si può nemmeno fare vanto? Certo aiuterebbe la presenza di modelli positivi. Non a caso molte delle poche donne che hanno raggiunto posizioni di rilievo nella comunità matematica avevano alle spalle genitori entusiasti matematici. Ragni Piene, in un'intervista a New Scientist, racconta di quando lei e il fratello, sciando con il padre, insegnante di matematica in un College norvegese, giocavano con le equazioni e risolvevano rompicapo. E Sarah Flannery che a soli 18 anni inventa un nuovo algoritmo innovativo per crittografare dati in internet così racconta la sua infanzia matematica nel libro In Code: A Mathematical Journey scritto insieme al padre: "quasi ogni settimana, da quando aveva cinque anni, mio padre mi proponeva piccoli problemi matematici e rompicapo che mi resero fiduciosa nell'affrontare la risoluzione di un problema e mi insegnarono a ragionare e pensare in modo autonomo, dando spazio all'inventiva e alla creatività." Per le donna si tratta dunque "solo" di recuperare fiducia e superare certi pregiudizi che le vogliono letterine piuttosto che matematiche perchè così sono più "femminili" e, lasciatemi dire, meno pericolose. Certo la strada è tutta in salita. In certi paesi si assiste addirittura a una regressione rispetto agli sforzi che erano stati fatti in passato per favorire l'interesse delle donne per la matematica. Dal 1985, nelle écoles normales supérieures francesi (scuole da cui esce l'élite della matematica europea) non è più obligatorio ammettere lo stesso numero di maschi e di femmine e quest'anno su 39 studenti ammessi solo una è una donna. Va detto anche che il lavoro di ricerca in matematica, se ad altissimo livello, richiede spesso una dedizione e una sorta di alienazione dal mondo che poche donne sono disposte a barattare con una vita più ricca di interessi ed emozioni. Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat. Dunque ben venga un maggiore interesse da parte delle donne per la matematica, ma che questo non snaturi quelle che sono le caratteristiche più vitali e preziose attribuite alla femminilità. Non so se questo sarà mai possibile, ma certo è bello credere nella possibilità di una "matematica al femminile", qualsiasi cosa possa un giorno significare.
. Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica.
Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).
Wishotel22/1/2009, 01:33
. Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica.
Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).
Nel senso che per te lo fanno per ottenere l'effetto contrario? Cioè, dicendole che han paura dovrebbero reagire mettendosi in competizione?
Io in matematica avevo N.C. , ho sempre lasciato perdere, a priori.
bartali22/1/2009, 12:40
Nel senso che per te lo fanno per ottenere l'effetto contrario? Cioè, dicendole che han paura dovrebbero reagire mettendosi in competizione?
Nel giorno in cui si festeggia, felicemente, Doris Lessing, accade di leggere qualcosa che incrina lievemente il buon umore. Parlo delle polemiche sul giudice tedesco che ha concesso “attenuanti etniche e culturali” ad uno stupratore e torturatore, in quanto sardo. La levata di scudi è stata immediata e ovvia. E giusta, giustissima: certo.
Eppure, una piccola riflessione NON sulla Sardegna, ma sull’Italia tutta, sarebbe opportuna. Siamo o no il paese con un numero impressionante di violenze domestiche sulle donne e di delitti in famiglia commessi da uomini a danno delle proprie fidanzate e compagne? Siamo o no il paese in assoluta, impressionante retroguardia per quanto riguarda l’occupazione femminile e la partecipazione maschile alla cura dei figli e della casa? Siamo o no il paese dove anche per pubblicizzare i maccheroni si utilizzano fanciulle nude e sospiranti?
L’indignazione degli editorialisti (uomini), sinceramente, puzza di ipocrisia: e fa il bis con quella che accolse, pochi mesi fa, le accuse del Financial Times (chi, noi? Figurarsi!). Nella migliore delle ipotesi, si sventola il “matriarcato” vigente, secondo il quale le signore, ma certo, sono sempre state quelle che gestiscono il vero potere. In casa, naturalmente.
Non riesco a pensare diversamente quando leggo le dichiarazioni di Salvatore Niffoi: «Mia moglie è la mia prima lettrice, è la mia editor più raffinata, il suo giudizio è fondamentale. Perché nella mia famiglia come nella maggioranza delle famiglie sarde vige ancora saldamente il matriarcato». Appunto.
Peraltro, è bellissimo che la signora Niffoi sia l’editor del proprio marito. Quasi tutte le mogli degli scrittori sono le loro prime lettrici, le loro muse, le loro appassionate sostenitrici e, alle cene, ridono a tutte le loro battute. E’ il viceversa che scarseggia.
Chissà cosa ne direbbe la nostra nuova Nobel. Che ebbe il coraggio di sostenere, nel 1983, cose assai scomode (una la riporta oggi Laura Lilli: “le femministe si sono autocastrate, limitandosi ai discorsi fra loro”). E che nel 2001 dichiarò, per esempio, di sentirsi disgustata dai libri “brutti e inutili” delle giovani scrittrici inglesi. Chick lit, per intenderci. Disse, esattamente, Lessing: “È doloroso, alla mia età, vedere tutte queste ragazze superficiali e ignoranti far finta di essere orgogliose della loro femminilità “. Da una delle autrici in questione arrivò la risposta : “Con i miei libri ho solo cercato di dare voce alle donne della mia generazione, non alle vecchie”. Era Helen Fielding, la creatrice di Bridget Jones.
doppler effect14/2/2009, 21:13
Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.
Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.
Tutto questo giro di parole per non dire:
che nessuna donna avrebbe potuto dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.
L'ultimo teorema di Fermat ha dato la possibilità a tutti i matematici moderni di cimentarsi a trovare la dimostrazione, in tempi dove le donne hanno la libertà e nessun vincolo nello studio della matematica.
Ma nessuno donna è riuscita a dimostrarlo, quindi è meglio dire quanto sopra.
Io cmq non credo che Andrew Wiles abbia trascurato famiglia e amici per 7 anni, sicuramente nelle sue otto - none ore di lavoro necessitava di silenzio e concentrazione ma terminate queste faceva quello che tutti fanno.
TullioConforti18/2/2009, 19:09
Io in matematica avevo N.C. , ho sempre lasciato perdere, a priori.
:lol:
ilmarmocchio18/2/2009, 22:58
Voi non lo sapete , ma dietro Wiles, c'era sua moglie. E' stato grazie a lei che Wiles ha dimostrato il teorema...anzi, rettifico, e' stata la moglie, che poi ha suggerito la soluzione al marito. Sorpresi ?
silverback18/2/2009, 23:27
Voi non lo sapete , ma dietro Wiles, c'era sua moglie. E' stato grazie a lei che Wiles ha dimostrato il teorema...anzi, rettifico, e' stata la moglie, che poi ha suggerito la soluzione al marito. Sorpresi ?
Beh, sì, tipo certe storielle femministe secondo le quali sarebbe stata la Maric e non Einstein a formulare la Teoria della Relatività...
Lei stessa era un'insigne scienziata il cui lavoro ha avuto una grande influenza sulla produzione scientifica del marito La misteriosa figura di Mileva Maric, moglie di Einstein Per quasi un secolo di questa straordinaria figura di donna e scienziata non si sapeva nulla, nemmeno dove fosse sepolta
Belgrado - La storia della Serbia vanta grandissime menti scientifiche come Nikola Tesla o Mileva Maric, ricordati solo da piccole esposizioni in musei con pochi visitatori. In particolare, la storia di Mileva Maric, scienziata serba e moglie di Albert Einstein, la cui influenza sul lavoro scientifico di Einstein e sulla stessa teoria della relativita' rimane un mistero. Dopo il divorzio con Mileva sembra che lo scienziato tedesco abbia nascosto tutto cio’ che riguardava il loro rapporto e solo pochi documenti della loro vita insieme sono stati conservati. Forse e' proprio per non sminuire il mito del genio di Einstein, rivelando che dietro alle sue scoperte vi è stato il duro lavoro della moglie, che l’esistenza e il contributo di Mileva sono caduti nell’oblio.
A quell'epoca, presso i circoli accademici e intellettuali non veniva concesso molto spazio alle donne. Per tale motivo Mileva non pote’ studiare presso l’università di Belgrado, e così si rivolse al Politecnico scientifico di Zurigo (ETH) per applicarsi nello studio della medicina; dopo poco tempo decise di iscriversi alla facoltà di fisica e matematica, diventando una delle poche donne al mondo che si occupavano di questo tipo di studi. L’incontro con Einstein e il loro amore portò alla nascita della prima figlia Liza, al matrimonio nel 1902, in seguito al quale vennero al mondo altri due figli: Eduard e Hans Albert.
In quel periodo alternava lo studio alla cura dei figli. Tuttavia le cose con il marito andavano di male in peggio e Einstein, nel 1919, decise di allontanarsi da lei. Dopo la separazione fortemente voluta dallo scienziato, Mileva Maric fu presto dimenticata. Per molti anni non si seppe nemmeno dove era stata sepolta, fino a quando, il 23 giugno 2004, grazie all’impegno del pittore Peter Stojanovic, fondatore del Centro Nikola Tesla di Sankt Galen, la sua tomba è stata ritrovata nel cimitero Nordhaim di Zurigo.
Petar Stojanovic, nato in Austria ma di origine serba, da molto tempo si interessava alla vita e al lavoro di Mileva Maric-Einstein, decidendo persino di trasferirsi a Zurigo per poter condurre ricerche direttamente sul campo. “Il trasferimento dall’Austria alla Svizzera, mi ha permesso di trovare numerosi documenti relativi alla vita di Mileva Maric. Così ho incontrato la dottoressa Ana Pia Mansen, direttrice dell’ Archivio di Zurigo, grazie alla quale sono riuscito a scoprire dove Mileva e’ stata sepolta a Zurigo il 4 agosto del 1948”.
Come Petar Stojanovic, anche lo scrittore Dorde Krstic, autore del libro “Mileva e Albert Einstein - amore e lavoro scientifico“ (Mileva & Albert Einstein: Love and Joint Scientific Work), che da anni vive in Slovenia, ha voluto fare tutto il possibile affinche’ quest’importante pezzo importante di storia della scienza non venisse dimenticato. “So che la casa della famiglia Maric a Novi Sad è in pessime condizioni, perché è stata costruita nel 1907 e fino ad oggi non è mai stata restaurata. Sono in contatto con il direttore del Museo della città, Milan Paroski, a cui ho fornito tutta la documentazione di Mileva in mio possesso. Ritengo che la Mileva, una delle piu’ grandi menti femminili del suo tempo, meriti oggi un riconoscimento da parte della sua città, Novi Sad”.
Infatti, nonostante tra poco ricorrerà l’anniversario dei 60 anni della sua morte, la casa in cui visse con i genitori in via Kisacka 20 a Novi Sad non e’ stata ancora restaurata, per farne un monumento storico. Da molti anni, con la scusa dei “non chiari rapporti legali e di proprietà” , e dei lunghi tempi della burocrazia, la casa dei genitori di Mileva continua ad essere logorata dal tempo, dall’ignoranza e dalla negligenza dei politici.
Il successore legale dell’abitazione è il nipote di Einstein, Bernard Cesar Einstein, il quale l’ha regalata alla città di Novi Sad, autorizzando l’amico di famiglia Dorde Krstic a trasformare la casa dei familiari di Mileva, nel ‘museo’ di Mileva Maric e Albert Einstein. “Novi Sad avrà così, in esclusiva, un museo dove sarà possibile scoprire la vita di Mileva Maric”, ha dichiarato in un’intervista Krstic, aggiungendo che verranno esposti circa cinquanta documenti e prove, a testimonianza della vita in comune della coppia Maric-Einstein.
Krstic indaga e raccoglie testimonianze e documenti sulla vita di Mileva da piu’ di 50 anni, e in questo grande lavoro è stato aiutato dal figlio Hans, che ha lavorato in America come professore universitario fino al 2001, anno in cui è morto. I documenti conservati nella’appartamento zurighese di Mileva, sono misteriosamente scomparsi, cosi’ come i dati che per anni sono rimasti nell’archivio Einstein a Gerusalemme.
Radmila Milentijevic, professoressa di storia europea presso l’Università di New York, è stata tra i pochi fortunati a poter consultare quell’archivio chiuso al pubblico, prima che quei dati sparissero. “Einstein era un ebreo-tedesco, un fisico e un insigne scienziato, reso famoso dal Premio Nobel, che in Israele è visto come un’icona”, afferma Radmila Milentijevic. La professoressa serba spiega di essere riuscita a visionare tali documenti per 20 giorni, trovando moltissime informazioni che, ha annunciato, riporterà all’interno del libro che verrà dato alle stampe prossimamente, prima in lingua inglese e poi nella lingua madre di Mileva, il serbo.
Anche la professoressa Milentijevic ritiene che il lavoro di Einstein sia stato ‘ricamato’ anche, e soprattutto, grazie al duro lavoro della moglie, e che il suo contributo alla teoria della relatività e ad altre scoperte di Einstein, sia stato enorme e volutamente dimenticato per quasi un secolo. In particolare Radmila Milentijevic afferma che l’ambizioso fisico si sia impossessato del lavoro di Mileva .Mentre tutto ciò che appartiene ad Einstein è conservato come ‘icona’ - come una delle sue lettere all’asta per 8000 pound – tutto ciò che apparteneva e può ricondurre a Mileva, sarebbe stato perso o dimenticato, se non fosse stato per il lavoro di poche persone che hanno contribuito a custodirlo e tramandarlo.
La stessa città di Novi Sad, ha capito quanto prezioso sia stato il lavoro di Mileva Maric solo negli ultimi anni, decidendo di aprire un museo a lei dedicato e un Premio presso l’Università omonima. E’ strano però osservare come i serbi spesso dimenticano che parte della loro cultura appartiene al patrimonio intellettuale dell’umanita’, disprezzando la scienza, limitando il sistema educativo, umiliando coloro che vi lavorano e riservando la loro ammirazione a generali ignoranti e guerrafondai .
Commenti a questo articolo (1) 1.Che meraviglia! Una rivincita delle donne! Spesso si sente dire,da qualche uomo non molto intelligente, che le scoperte scientifiche le dobbiamo solo agli uomini, nonostante oggi, sia emersa la maggior predisposizione agli studi delle donne, rispetto agli uomini! Il problema non era l'intelligenza femminile: il problema era il maschilismo imperante, accentratore, che non avrebbe mai ammesso di poter stare in secondo piano! Ci sono state tantissime donne e scienziate che hanno comunque portato il loro contributo al mondo, in ogni ramo: ma non hanno mai potuto trovare la luce che meritavano..perche' il maschio e la sua cultura stupida, non lo permettevano. Angie (da Angelica - 18/02/2009)
Più tardi posto qualcosa io...
LesPaul19/2/2009, 00:04
Quanto razzismo cova in queste donne???
silverback19/2/2009, 03:17
EINSTEIN Lo scienziato e il personaggio, dalla relatività speciale alla ricerca dell'unificazione della fisica (Prima edizione: marzo 2004).
di Pietro Greco.
Pag. 35: Gli anni del Politecnico sono anni felici per Albert, anche perché la famiglia si è sottratta al gorgo delle difficoltà economiche. Il corso di studi, liberamente interpretato dal giovane apolide, si conclude nel mese di agosto dell'anno 1900. Quando Albert Einstein sostiene l'esame finale. I voti (espressi da 1 a 6) sono buoni, ma non sono il massimo: 5 in fisica teorica, fisica sperimentale e astronomia; 5,5 in teoria delle funzioni; 4,5 per un saggio sulla conducibilità termica. Il fatto è, scrive Abraham Pais, che le prove universitarie effettuate secondo schemi imposti da altri sono per lui autentiche prove del fuoco [Pais, 1986]. Albert non le sopporta. Gli ci vorrà un anno per riprendere il gusto della fisica, dopo l'esame finale al Politecnico di Zurigo. Esame in cui, peraltro, risulta bocciata una studentessa a lui molto cara, Mileva Maric. Mileva ha un curriculum universitario di tutto rispetto. Nel corso di ciascuno degli anni accademici ha ottenuto voti migliori di quelli di Albert. E anche all'esame finale i voti sono discreti, tranne che in matematica. Un'insufficienza che risulta determinante. Mileva ripeterà l'esame l'anno successivo e di nuovo sarà bocciata. Dopo di che rinuncerà per sempre. Molto si è detto del ruolo decisivo quanto misconosciuto che avrebbe avuto Mileva nella elaborazione da parte di Albert della teoria della relatività ristretta, di lì a cinque anni [Highfield, 1993]. In realtà, nessun documento fa emergere questo ruolo. Nell'epistolario Einstein-Maric 1896/1900 raramente si parla di fisica. E quando se ne parla, a introdurre il discorso è sempre e solo Albert. E lei non risponde. Mai. Dopo il 1901, anno del secondo esame di Mileva al Politecnico di Zurigo, non risulta che la ragazza continui a occuparsi professionalmente di fisica. E' molto probabile che Mileva, come Michele Besso o Marcel Grossman, siano gli amici pazienti, fedeli e competenti cui Albert affida le sue riflessioni. E' molto probabile, per usare una metafora pugilistica, che fungano da sparring-partner. E che Mileva sia la prima tra questi sparring-partner. D'altra parte Albert la definisce più volte "la mia mano destra". Non risulta da alcuna documentazione però che Mileva, o Michele, o Marcel o Friedrich o qualche altro conoscente concorra in questi anni con Albert a elaborare una "nuova fisica".
Pag. 39-40: Nella lettera a Mileva dell'ottobre 1900, Albert Einstein parla al plurale. E sempre al plurale parla l'anno dopo, nel 1901, in tre diverse lettere a proposito della "nostra memoria", quando commenta "se almeno avessimo la forza di continuare insieme questo stupendo cammino", e a proposito della "nostra teoria delle forze molecolari". Ancora più forte è l'evocazione, in una lettera del mese di marzo 1901, del tema già trattato nella lettera del settembre 1899, la relatività:"Sarò talmente felice e fiero quando saremo insieme e riusciremo a concludere con successo il nostro lavoro sul moto relativo!". Cosa significa questo parlare al plurale? Che Einstein e Mileva lavorano insieme a costruire i fondamenti di una ormai imminente rivoluzione in fisica o che, per un gioco affettuoso, Albert estende al suo sparring-partner intellettuale più vicino e più intimo, all'amata compagna, riflessioni che sono sue? La storica serba Desanka Trbuhovic-Gjuric ha scritto un libro, nel 1985, in cui cerca di accreditare l'idea che quello tra Albert e Mileva sia anche un sodalizio scientifico. Secondo la ricostruzione di Trbuhovic-Gjuric sarebbe stata Mileva a sollevare per prima il problema dell'etere come punto di riferimento universale e sarebbe stata lei a "dare espressione matematica ai concetti [di quella che sarebbe diventata, nda] la teoria della relatività ristretta" [Trbuhovic-Gjuric, 1985]. La tesi della storica serba è che il sodalizio scientifico è reale e che Albert, in seguito, non avrebbe mai riconosciuto a Mileva questa sostanziale compartecipazione all'elaborazione nella teoria che avrebbe segnato una svolta nella storia della fisica. Nessuno può sapere come siano andate, davvero, le cose. Non ci sono documenti in proposito. Abbiamo, però, alcuni dati di fatto che possono aiutarci a capire. In primo luogo, mai Mileva rivendicherà una qualche sua compartecipazione ai risultati raggiunti da Albert, neppure dopo il divorzio e le polemiche conseguenti al divorzio (eh, sì: la coppia si sposerà e si separerà). Inoltre è difficile che Mileva possa essere, come dire, la mente matematica della relatività ristretta. Per due motivi, ben evidenziati da Abraham Pais: il primo è che Mileva non era molto forte in matematica, tant'è che è proprio per l'insufficienza in questa materia che non è riuscita per due volte a superare l'esame al Politecnico di Zurigo. La seconda è che nella teoria della relatività ristretta la matematica è poco presente. E quella che c'è, è matematica elementare [Pais, 1993]. Probabilmente quello che la storia della fisica deve a Mileva è di aver saputo dare gli stimoli giusti e costruire il miglior clima affettivo e culturale possibile nella fase di massimo sviluppo della creatività di Albert Einstein. Ma ci stiamo inoltrando troppo nel mare, pericoloso, delle ipotesi.
Pag. 61-63: Sebbene Albert Einstein abbia organizzato il lancio dei suoi tre razzi fiammeggianti fuori dall'Accademia e senza mai avere un confronto con qualche altro fisico professionista, ha molti debiti intellettuali. O, per dirla con Isaac Newton, è salito sulle spalle di molti giganti. Uno, naturalmente, è lo stesso Newton. Un altro, a maggior ragione, è Maxewll. Ci sono, ancora, Lorentz, Boltzmann, Hertz, Plank. Due, però, meritano una citazione a parte: Ernst Mach e Henri Poincaré. Perché i due, per esplicito riconoscimento dello stesso Einstein, sono le personalità scientifiche che lo hanno maggiormente influenzato [Cerroni, 1999]. Sia pure da lontano.
[...]
... L'altra importante fonte di ispirazione per Einstein è il francese Henri Poincaré. Considerato, insieme a David Hilbert, il più grande matematico di quel periodo. Poincaré è molto interessato ai problemi della relatività. E già nel 1898 aveva iniziato a interrogarsi sui problemi legati alla simultaneità degli eventi. Nel 1900, al Congresso mondiale dei matematici tenuto a Parigi, critica in modo serrato il concetto di etere. Ritorna sull'argomento nel 1902, quando scrive La science et l'hypothèse e sostiene esplicitamente che non esiste un tempo assoluto [Poincaré, 1989]. Nel 1904 in una relazione al Congresso internazionale di Arti e Scienza di Saint Louis, riprende il concetto di "tempo locale" di Lorenz e propone un "postulato di relatività". Poincaré effettua uno di quegli esperimenti mentali in cui Einstein si va affinando e immagina due osservatori che si muovono di moto uniforme e che tentano di sincronizzare i loro orologi mediante segnali luminosi. Quegli orologi non segneranno il tempo vero, ma solo un "tempo locale". Tutti i fenomeni sono percepiti, da un osservatore rispetto all'altro, come rallentati. E nessuno dei due avrà alcuna possibilità di sapere "se è in quiete o in moto assoluto" [citato in Pais, 1986]. Poincaré giunge a una conclusione:"Forse dobbiamo edificare una nuova meccanica, che riusciamo a malapena a intravedere [...], in cui la velocità della luce sia invalicabile" [citato in Pais, 1986]. La conclusione è giusta, ma si tratta di un'ipotesi qualitativa. Non c'è dubbio che, con queste due opere, Poincaré abbia contribuito come pochi altri a creare un clima favorevole alla crisi dei concetti di tempo e spazio assoluti. Un clima che, come documenta Arthur Miller, travalica gli ambienti della fisica e della matematica fino a diventare fonte di ispirazione per gli artisti [Miller, 2001]. E' anche ispirandosi a Poincaré che Picasso avrebbe dipinto nel 1906 Les Demoiselles d'Avignon, il quadro che inaugura il periodo cubista e che, a detta del critico Mario de Micheli, manda definitivamente in frantumi la concezione classica dello spazio [De Micheli, 2002]. Albert Einstein ha letto La science et l'hypothèse. Ne ha a lungo discusso con i suoi amici dell'Accademia Olimpia e ne è stato, per suo stesso riconoscimento, profondamente influenzato. Alcuni ritengono, tuttavia, che Poincaré sia giunto in modo del tutto indipendente e addirittura prima di Einstein alla formulazione della teoria della relatività ristretta. Il 5 giugno del 1905, infatti, presenta una relazione all'Accademia delle Scienze di Parigi in cui si avvicina moltissimo a quella formulazione. Tuttavia l'opinione di gran parte degli studiosi è che la proposta di Poincaré presenti molti punti deboli e che sia Albert Einstein l'unico e autentico inventore della relatività ristretta [Cerroni, 1999].
LE SCIENZE, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN, anno I, n. 6, dicembre 1998 EINSTEIN quanti e relatività, una svolta nella fisica teorica di Silvio Bergia.
Pag. 9: Il 1902 è l'anno della svolta. Muore Hermann Einstein e, venuta meno la voce più contraria, Albert sposa Mileva. Non solo, ma ottiene anche la cittadinanza svizzera e, soprattutto, grazie a Grossman, trova finalmente un impiego stabile all'Ufficio brevetti di Berna, città nella quale la coppia si trasferisce nel corso di quell'anno. Quello con Mileva era stato un matrimonio d'amore. Ma anche un matrimonio fra due persone che potevano parlare fra di loro di matematica e di fisica. Che questo dialogo vi sia stato è documentato in alcune lettere indirizzate da Einstein a Mileva. Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.
SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.
Il sogno del genio di Pietro Greco.
Pag. 55-56: Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.). Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.). L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti. Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.
Caro Michele, la tua esposizione della teoria della relatività generale ne mette in luce molto bene l'aspetto genetico. E' però anche importante, in un secondo tempo, analizzare l'intera questione da un punto di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non si potrà determinare il contenuto empirico della teoria, a causa di difficoltà matematiche momentaneamente insormontabili, la semplicità logica rimane l'unico, anche se naturalmente insufficiente, criterio del valore della teoria. ... Il fatto che io non sappia se questa teoria [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista fisico dipende unicamente dalla circostanza che non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto esenti da singolarità di simili sistemi non lineari di equazioni. ... Io considero però assolutamente possibile che la fisica possa non essere fondata sul concetto di campo, cioè su una struttura continua. Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente niente.
Cordiali saluti tuo A. E. (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit., lettera 210 [E. 97])
Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero". Ancora una volta Einstein non lo delude. Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo. Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico. E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.
juliya19/2/2009, 03:18
Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).
beh sì, potrebbe, forse ...considerando che...magari non so... volendo... no non funziona. :D
ilmarmocchio19/2/2009, 10:44
x Silverback : la mia storiella inventata sulla moglie di Wiles era proprio pensata come riferimento all'affare Einstein-Mileva . Vedrai che tra qualche tempo risultera' che Aristole, Newton, Leonardo ecc. erano DONNE TRAVESTITE DA UOMINI
P.s. anchio leggo Le Scienze ( da 1988) che mi sembra l'unica rivista scientifica valida in Italia, anche se' e' peggiorata negli anni
*Wolverine*21/2/2009, 12:44
SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.
Il sogno del genio di Pietro Greco.
Pag. 55-56: Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.). Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.). L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti. Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.
Caro Michele, la tua esposizione della teoria della relatività generale ne mette in luce molto bene l'aspetto genetico. E' però anche importante, in un secondo tempo, analizzare l'intera questione da un punto di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non si potrà determinare il contenuto empirico della teoria, a causa di difficoltà matematiche momentaneamente insormontabili, la semplicità logica rimane l'unico, anche se naturalmente insufficiente, criterio del valore della teoria. ... Il fatto che io non sappia se questa teoria [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista fisico dipende unicamente dalla circostanza che non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto esenti da singolarità di simili sistemi non lineari di equazioni. ... Io considero però assolutamente possibile che la fisica possa non essere fondata sul concetto di campo, cioè su una struttura continua. Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente niente.
Cordiali saluti tuo A. E. (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit., lettera 210 [E. 97])
Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero". Ancora una volta Einstein non lo delude. Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo. Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico. E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.
Bella, questa lettera di Einstein a Michele Besso, non l' avevo mai letta.
Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.
Io credo che Silvio Bergia abbia centrato il punto. Infatti, è più che probabile che Einstein usasse certe espressioni perché innamorato, e quindi tendesse ad attribuire alla moglie meriti che lei, molto probabilmente, non aveva. Effettivamente è poco credidibile che una donna, bocciata per due volte in matematica all' esame finale al Politecnico di Zurigo, possa avere dato un contributo fondamentale alla teoria della relatività. Credo altresì che l' essere innamorati fotta letteralmente gli uomini. Viceversa, dubito che una donna, per quanto innamorata, attribuisca gratuitamente dei meriti al proprio compagno...
silverback24/2/2009, 08:35
x Silverback : la mia storiella inventata sulla moglie di Wiles era proprio pensata come riferimento all'affare Einstein-Mileva .
Quello di Mileva Maric è un caso che ha suscitato molte polemiche: moglie del fisico di Ulm per sedici anni, divise con lui i momenti cruciali della formulazione della teoria della relatività. Studiavano e lavoravano insieme, al punto che si definivano "ein stein" ("una sola pietra"). Il lavoro di Mileva si confuse talmente con quello di Albert che non è più possibile ricostruirlo e capire quanto meritasse il Nobel assegnato al marito.
Riguardo alle altre, c'è da dire che effettivamente avrebbero meritato il Premio Nobel, solo che i fatti non stanno esattamente come li raccontano le nostre amatissime e slealissime femministe. Per esempio, riguardo al Nobel negato a Rosalind Franklin,
Diede un contributo rilevante alla biologia molecolare, fornendo le prove sperimentali della struttura del DNA. Per questa scoperta ricevettero il Nobel i suoi colleghi Crick e Watson che realizzarono il modello a doppia elica grazie alle fotografie della diffrazione ai raggi X del DNA scattate dalla Franklin, sottratte dal laboratorio della scienziata. La verità fu rivelata solo molti anni dopo, dallo stesso Watson, nel suo libro "La doppia elica", dove lo scienziato racconta l'episodio del furto in termini scherzosi.
A cinquanta anni di distanza, cambia la storia della scoperta di Watson e Crick Chi fotografò la doppia elica del DNA?
La paternità dell’immagine che ispirò Watson e Crick non sarebbe di Rosalind Franklin ma di un suo studente APPROFONDIMENTI SPECIALE: DNA: 50 anni dopo La celebre ‘fotografia 51’ del DNA, che secondo James Watson cinquant’anni fa condusse lui e Francis Crick direttamente alla scoperta della doppia elica, non fu realizzata da Rosalind Franklin come si riteneva, ma da Raymond Gosling, suo studente di dottorato al King’s College di Londra. La foto è sempre stata attribuita a Rosalind Franklin, chimico di talento a cui si devono molte immagini a raggi-X del DNA. Questa foto, in particolare, ha rappresentato l’incredibile contribuito della Franklin alla scoperta, per la quale, alcuni dicono, non ha mai ricevuto gli onori che meritava. Fu infatti Maurice Wilkins, di cui era collaboratrice, a ricevere il premio Nobel nel 1962 insieme a Watson e Crick. La sua vita e il suo contributo alla ricerca sono stati di recente raccontati da Brenda Maddox nel libro “Rosalind Franklin. The Dark Lady of DNA” (HarperCollins, 2002). “Sono stato io a fare quella foto” ha rivelato Gosling, e Brenda Maddox sulla rivista online “BioMedNet News” ha affermato di ritenere possibile questa rivendicazione. Secondo il racconto di James Watson, la vista di questa particolare immagine cristallografica fu una rivelazione che spinse i due scienziati di Cambridge verso la scoperta della struttura della doppia elica. La foto era stata mostrata a Watson per caso da Maurice Wilkins, assistente capo del dipartimento di Rosalind Franklin. Anche se la paternità della foto non diminuisce il ruolo cruciale della Franklin, dovrebbe cambiare quello di Gosling. “Ritengo che il vero martire della storia del DNA sia Gosling, e non Franklin” ha commentato James Tait, il ricercatore che nel 1953 rivelò la struttura molecolare dell’aldosterone, che all’epoca ebbe molta più notorietà di quella della doppia elica.
(01 maggio 2003)
silverback24/2/2009, 20:17
Di norma, la non assegnazione di un Premio Nobel, non dipende affatto dal possedere due cromosomi X anziché un X e un Y... Per esempio, lo scorso anno il premio Nobel per la fisica è stato vinto dai giapponesi Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, i quali si sono basati sui lavori pubblicati nel 1963 dal fisico italiano Nicola Cabibbo, http://www.fondazioneitaliani.it/index.php/Premio-Nobel-per-la-Fisica-2008.-Riconoscimento-negato-a-Cabibbo.html
Premio Nobel per la Fisica 2008. Riconoscimento negato a Cabibbo martedì 07 ottobre 2008 Delusione italiana per l'assegnazione del Nobel per la Fisica. Il Comitato non ha ricosciuto al fisico italiano Nicola Cabibbo la paternità dello studio premiato. di Andrea Camboni
Premio Nobel 2008. Tutti i pezzi
andromeda.jpg Dopo il Nobel per la Medicina assegnato a Luc Montaigner, Francoise Barré Sinoussi e ad Harold zur Hausen, l’Accademia Reale Svedese delle Scienze ha conferito il Nobel della Fisica ai giapponesi Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per le loro ricerche sulla fisica delle particelle. Metà del premio è andata a Nambu che lavora nell'istituto dell'università di Chicago dedicato a Enrico Fermi mentre l’altra metà se la sono divisa equamente Kobayashi, dell'organizzazione giapponese Kek (High energy accelerator research organization), e Maskawa, che lavora nell'istituto di Fisica teorica dell'università di Kyoto. Gli studi dei tre ricercatori costituiscono l’ossatura della teoria di riferimento della fisica delle particelle, avendo gettato le basi del Modello Standard, ovvero l’“enciclopedia” di tutte le particelle elementari ad oggi note, inclusa la descrizione di tre delle quattro forze fondamentali (le interazioni forti, quelle elettromagnetiche e le deboli) che regolano le interazioni di queste particelle. Solamente il bosone di Higgs - la cosiddetta “particella di Dio”, che spiega l'esistenza della massa - mancherebbe all’appello. È a questa ricerca che è diretto l’esperimento del Cern di Ginevra. Ill lavoro di Nambu, Kobayashi e Maskawa ha svelato l'asimmetria del nostro pianeta individuando contestualmente le deviazioni dalla simmetria a livello microscopico. Questo equilibrio asimmetrico, generatosi da una rottura spontanea della simmetria, venne descritto matematicamente, per la prima volta da Nambu, all’inizio degli anni ’60. Kobayashi e Maskawa, i cui esperimenti sono iniziati nel 1964, hanno invece descritto i fenomeni di rottura della simmetria che agirono quando l’universo era ancora in fasce. Più semplicemente: l’universo, creato dall’esplosione del Big Bang, presentava pari quantità di materia e antimateria che, in teoria, avrebbero dovuto annullarsi a vicenda mortificando qualsivoglia scintilla di vita. E invece è successo qualcosa. La rottura di una simmetria, appunto, di un equilibrio tra essere e non essere che nel migliore dei mondi possibili, forse, sarebbe rimasto necessariamente inalterato. Un mistero che solamente il bosone di Higgs potrebbe svelare. Al super acceleratore Lhc l’ultima parola.
GLI ESPERIMENTI DEL CERN- Grazie alla costruzione del Large Hadron Collider saranno, infatti, condotti quattro esperimenti che potranno finalmente chiarire all’uomo di che pasta è fatto. L’esperimento Compact Muon Solenoid (Cms), andrà alla ricerca del bosone di Higgs, cercando, inoltre, di spiegare perché la materia ha avuto la meglio sull'antimateria e indagando sulla materia oscura – che occupa il 25% dell’universo. Il secondo esperimento, A Toroidal Lhc Apparatus (Atlas) cercherà di verificare se in realtà le forze della natura si limitano a essere una sola, se esistono superparticelle (o particelle ombra di quelle previste dalla fisica attuale) e se esistono anche nuovi mattoni della materia e nuove forze. Alice - A Large Ion Collider Experiment - è un apparato alto 16 metri e lungo 20 che studia collisioni fra nuclei di piombo – accelerati nell’Lhc - anziché fra protoni – di cui l’Lhc intende studiare il decadimento. Alice cercherà di ricreare lo stato della materia creatosi subito dopo il Big Bang, quel “brodo” di quark e gluoni esistito per pochi miliardesimi di secondo dopo l’esplosione. Ora, grazie alla teoria di Kobayashi e Maskawa, formulata nel 1972, il Modello Standard si è esteso a tre famiglie di quark, sei diverse varietà di “sapori” che si combinano tra loro dando vita a mesoni, protoni e neutroni, e che legandosi ai gluoni formano gli adroni, attraverso un processo di decadimento dalla particella più pesante e instabile a una più leggera: Large Hadron Collider beauty (LHCb), grazie ai suoi 435 metri quadrati di rivelatori, cercherà di capire che cosa è successo fra materia e antimateria subito dopo il Big Bang.
DELUSIONE ITALIA- C’è un po’ di Italia nel Nobel per la Fisica, nella metà del Premio attribuito a Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, per essere precisi. Un po’ di Italia c’è, ma come la non pervenuta “particella di Dio” nessuno l’ha vista. I loro esperimenti, condotti a partire dal 1964 si sono basati, infatti, sui lavori pubblicati nel 1963 dal fisico italiano Nicola Cabibbo. In realtà, il contributo premiato dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze si chiama Ckm ovvero “Matrice Cabibbo-Kobayachi-Maskawa”. Allora, diciamo pure che questa “particella” italiana nella ricerca, pur non essendo così piccola, sia stata deliberatamente ignorata nonostante la comunità scientifica internazionale attribuisca a Cabibbo la paternità delle idee poi sviluppate dai due fisici giapponesi. Nemmeno una menzione da parte del Comitato che assegna i premi. “Sono lieto – ha dichiarato il presidente dell'Istituto nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Roberto Petronzio - che il premio Nobel sia stato attribuito a questo settore della fisica che sta avendo sempre più attenzione da tutto il mondo e dal quale ci aspettiamo fondamentali scoperte che aumenteranno la nostra comprensione sull'universo. Tuttavia – ha sottolineato - non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza”. Per Roberto Petronzio, infatti, Kobayashi e Maskawa “hanno come unico merito la generalizzazione, peraltro semplice, di un'idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark (di cui Kobayashi e Maskawa hanno introdotto tre nuove famiglie, n.d.r.) , poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati”. Praticamente, il plagio di una partitura dell’universo.
Andrea Camboni Ultimo aggiornamento ( giovedì 09 ottobre 2008 )
La Reale Accademia delle Scienze di Stoccolma non ha conferito il Premio Nobel per la Fisica 2008 all’italiano Nicola Cabibbo, sebbene abbia: riconosciuto il valore delle ricerche - la rottura spontanea di simmetria e il mescolamento dei quark - cui il fisico teorico romano ha partecipato; premiato i giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa che hanno generalizzato i risultati di Cabibbo; riconosciuto il ruolo decisivo del fisico italiano nello sviluppo di queste ricerche (nello scientific background con cui gli scienziati dell’Accademia svedese hanno «giustificato» il premio il nome di Cabibbo ricorre otto volte, proprio come quello di Kobayashi).
Qualcosa di analogo si è verificato con un altro fisico teorico italiano, Giovanni Jonia-Lasinio, che ha partecipato con un ruolo decisivo alle ricerche teoriche che hanno meritato il premio a Yoichiro Nambu. Può succedere. La Reale Accademia delle Scienze di Stoccolma è un’istituzione seria e prestigiosa, ma - come tutte le cose umane - fallibile. Può incorrere in errori e omissioni. Anche clamorose: Albert Einstein non è mai stato premiato per la teoria della relatività, considerata una delle più grandi conquiste nella storia della scienza e tuttora parte fondante della fisica.
Ma è anche vero che a Stoccolma c’è come una sorta di specifica sottovalutazione del contributo dato dagli italiani allo sviluppo della fisica. In fondo - dopo Guglielmo Marconi nel 1909 ed Enrico Fermi nel 1938 - nessun italiano ha mai vinto il premio Nobel della fisica per ricerche realizzate in Italia. Emilio Segrè (Nobel 1959) e Riccardo Giacconi (Nobel 2002) sono stati premiati per ricerche svolte negli Stati Uniti e sono, giustamente, considerati Nobel americani. Carlo Rubbia ha vinto il premio Nobel nel 1984 per ricerche realizzate al Cern di Ginevra alla guida di un team internazionale: un premio Nobel «europeo» e non specificatamente italiano.
Eppure la fisica italiana, soprattutto nel campo delle alte energie, sia a livello teorico che sperimentale, ha dato contributi decisivi. E in almeno quattro occasioni clamorose - prima di quest’anno - non ha ottenuto un meritato premio Nobel.
La prima di queste occasioni clamorose risale addirittura al 1946, quando Oreste Piccioni, Marcello Conversi ed Ettore Pancini - tre giovani sopravvissuti al disastro della fisica italiana determinato dal fascismo - studiando i raggi cosmici scoprono una nuova particella, il muone, in un esperimento che costituisce l’inaugurazione stessa della fisica delle alte energie (il giudizio è del premio Nobel americano Luis Alvarez). La seconda risale ad alcuni mesi dopo, quando un altro italiano - Giuseppe (Beppo) Occhialini, della scuola di Bruno Rossi, che nel 1932 insieme all’inglese Patrick Blackett ha messo a punto preziose tecniche di rilevamento dei raggi cosmici - lavorando a Bristol con Cecil Powell scopre un’altra particella, il pione, prevista dal giapponese Hidechi Yukawa. L’Accademia delle Science di Stoccolma riconosce subito tutta l’importanza di questo filone di ricerca basato sullo studio dei raggi cosmici, conferendo il Nobel per la fisica: nel 1948 a Patrick Blackett per i suoi studi, con la camera di Wilson, della fisica nucleare e dei raggi cosmici; nel 1949 a Hideki Yukawa per la sua teoria dei mesoni; nel 1950 a Cecil Powell, per la scoperta del pione. Ma non trova il modo di premiare né il trio Picconi, Conversi Pancini né Beppo Occhialini (e neppure Bruno Rossi, che della fisica dei raggi cosmici è addirittura il co-fondatore), per i risultati analoghi se non superiori ottenuti.
Un terzo caso clamoroso è del 1955 e riguarda la scoperta dell’antiprotone. In un esperimento - chiamato Faustina - condotto ancora coi raggi cosmici da un gruppo guidato da Edoardo Amaldi viene rilevato un «evento strano» che sembra coinvolgere una particella prevista dalla teoria ma mai osservata: l’antiprotone. Il gruppo romano si attiva e prende contatti col team di Emilio Segré a Berkeley, in California, dove si sta costruendo un costoso acceleratore proprio con l’obiettivo di rilevare l’antiprotone. Amaldi propone una strategia nuova e aggiuntiva rispetto a quella degli americani di Segré, che viene accettata. L’esperimento italiano prende il nome di Letizia e viene realizzato insieme a quello americano, anche se fornisce i risultati un po’ dopo quello americano. Entrambi - Letizia e l’esperimento di Segré - confermano che l’antiprotone esiste e che Faustina l’aveva probabilmente incontrato per prima. Gli americani, tuttavia, rifiutano di firmare un articolo congiunto con gli italiani e nel 1958 la Reale Accademia delle Scienze premia solo loro, dimenticandosi di Amaldi.
La quarta occasione risale all’inizio degli anni ‘70. Quando un fisico teorico austriaco ormai italianizzato - Bruno Touschek - propone l’idea di costruire un nuovo tipo di acceleratore di particelle, l’anello ad accumulazione, in cui particelle e antiparticelle vengono fatte correre lungo un anello in direzione opposte e poi fatte scontrare. Nello scontro le particelle si annichilano e producono energia da cui nascono, sulla base delle leggi quantistiche, nuove particelle. Il prototipo della macchina di nuova concezione, AdA, viene realizzato a Frascati, da un gruppo di giovani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, tra cui un personaggio ben noto ai lettori dell’Unità, Carlo Bernardini. La macchina inaugura la «via italiana» alla fisica sperimentale delle alte energie.
Più tardi gli italiani costruiranno Adone, una macchina cui sfugge per poco il rilevamento della particella J/?. Nel 1974, a Stanford costruiscono Spear: un anello di accumulazione del tutto simile ad Adone, solo un po’ più potente. L’acceleratore, sotto la guida di Burton Richter, trova la particella J/?. Nei medesimi giorni a Brookhaven il gruppo di Samuel Ting realizza, con un altro tipo di acceleratore, la medesima scoperta. Ai due, Richter e Ting, verrà conferito nel 1976 il Premio Nobel. Ma ancora una volta nessun riconoscimento viene dato agli italiani. Bruno Touschek resta amareggiato. Gli italiani e, lui per primo, hanno aperto una nuova strada nella fisica delle alte energie e altri a Stoccolma ne traggono i benefici. Trova ingiusto, in particolare, che Richter sia stato premiato per aver «amministrato l’idea (dell’anello di accumulazione) senza averla mai avuta».
È avvenuto, dunque, di frequente in passato. È avvenuto di nuovo quest’anno. La fisica italiana a Stoccolma viene piuttosto sottovalutata. Questo, ormai, è un fatto. Resta da spiegare perché.
Repubblica 28.12.04 TUTTA LA VITA IN UN'ELICA Viaggio nella storia e nei segreti del DNA Un saggio di James Watson, che con Francis Crick, scoprì la struttura del codice genetico Fin dalle origini della sua storia cosciente, l'uomo aveva cercato la chiave di quel mistero Sui due scienziati ebbe influenza Schrödinger, padre della meccanica quantistica Compreso l'alfabeto, si è poi passati a leggere l'intero libro. Vale a dire, il genoma di PIERGIORGIO ODIFREDDI*
*docente dell'Università di Torino, membro del Comitato di Presidenza dell'Unione degli atei italiani (UAAR)
Il 28 febbraio 1953, benché fosse sabato, il ventitreenne James Watson si recò in laboratorio la mattina presto, ed ebbe l'intuizione della sua vita: rimescolando i quattro tipi di tessere di un puzzle tridimensionale di cartone sul quale stava lavorando, che corrispondevano alla struttura chimica delle quattro lettere (A, T, G e C) dell'alfabeto del DNA, si accorse che esse combaciavano perfettamente a coppie (A con T, e G con C). A metà mattina il trentasettenne Francis Crick raggiunse il compagno di ricerca, e comprese immediatamente che la sua scoperta significava che il DNA aveva una struttura a doppia elica, costituita da due catene di lettere orientate in direzione opposta. All'ora di pranzo i due si recarono al loro solito pub, l'Eagle, e Crick annunciò modestamente ai commensali che, insieme a Watson, aveva appena scoperto il «segreto della vita». Fin dalle origini della sua storia cosciente l'uomo aveva infatti cercato di rispondere alla domanda più fondamentale che poteva porsi: . La «Cosa c'è di misterioso, magico, o addirittura divino, nella vita?». E la risposta che Watson e Crick avevano appena trovato era: «Niente!». La vita risultava infatti non essere altro che il prodotto di normali processi fisici e chimici, e per spiegarla non era neppure stato necessario inventare una nuova scienza, come qualcuno aveva supposto o temuto: bastava quella che già c'era. Per metabolizzare una simile risposta, che ci dovrebbe finalmente liberare dalla mitologia che per millenni ha avvolto nelle sue nebbie metafisiche il problema della vita, ci vorranno decenni. Lo dimostrano, ad esempio, le parole con cui il presidente Clinton annunciò ancora dalla Casa Bianca, il 26 giugno 2000, il completamento della prima bozza del genoma umano: «Oggi apprendiamo il linguaggio con il quale Dio creò la vita». E lo dimostrano le mille polemiche che accompagnano il DNA in ogni sua manifestazione, dagli Ogm alle staminali. In attesa che l'ora di DNA sostituisca, o almeno si affianchi, all'ora di religione nelle scuole, proviamo a ripercorrere, da un lato, la storia delle conquiste teoriche di mezzo secolo di biologia molecolare, e a dispiegare, dall'altro lato, il ventaglio delle applicazioni pratiche che la conoscenza del DNA ha reso possibili. Ci guida in questo compito uno dei più bei libri di divulgazione scientifica di questi anni, appena uscito in Italia: DNA. Il segreto della vita (Adelphi, pagg. 462, euro 39,50), che Watson stesso ha scritto per celebrare il cinquantenario della sua scoperta. Anche se, parlando di libri, bisognerebbe partire da Che cos'è la vita di Erwin Schrödinger (Adelphi, 1995): un testo di uno dei padri della meccanica quantistica, che ebbe un'influenza decisiva non solo per Watson e Crick, ma per tutta una generazione di biologi. Fu in quel libretto del 1944 che venne divulgata per la prima volta l'idea che si doveva pensare alla vita come a un processo di archiviazione e di trasmissione dell´informazione biologica, compressa in quello che Schrödinger chiamò il «codice ereditario». Capire che cosa fosse la vita richiedeva dunque l'identificazione del supporto e la decifrazione del linguaggio di questo codice. In quegli anni si pensava ancora che il supporto del codice genetico fossero le proteine, e il suo alfabeto i 20 amminoacidi. Il DNA era stato scoperto nel 1869 da Friedrich Miescher, in un poco romantico studio delle bende impregnate di pus fornitegli da un ospedale. Negli anni '30 si era capito che era costituito da una lunga molecola contenente quattro basi chimiche: le «lettere» A, T, G e C alle quali abbiamo già accennato. E nel 1944 Oswald Avery aveva finalmente dimostrato che era proprio questa molecola a contenere l'informazione genetica: poiché però la scoperta fu accettata dai genetisti ma avversata dai biochimici, Avery morí nel 1955 senza aver ricevuto il premio Nobel che meritava. Watson e Crick ricevettero il loro nel 1962, e la doppia elica contribuí a portare il DNA alla ribalta. A scanso di equivoci, l´idea che la molecola fosse costituita da un'elica non era affatto nuova: il grande chimico Linus Pauling, vincitore di ben due premi Nobel (per la chimica e la pace), aveva annunciato proprio nel 1953 un modello a tripla elica, poi risultato sbagliato. Anche Maurice Wilkins era convinto che si trattasse di un'elica, e cercò di determinarla non mediante modelli, come Watson e Crick, ma attraverso la diffrazione a raggi X: le foto del suo laboratorio fornirono una conferma della struttura, e Wilkins condivise con loro il premio Nobel nel 1962. Prima ancora che a Watson, Crick e Wilkins, il premio era andato nel 1959 ad Arthur Kornberg, per aver scoperto nel 1957 un enzima, detto DNA polimerasi, che lega fra loro le due eliche. Quanto alla loro separazione, che Crick aveva supposto avvenisse come in una cerniera lampo, e stesse alla base del processo di copiatura dell'informazione genetica, essa fu confermata nel 1954 da Matt Meselson e Frank Stahl, in quello che venne definito «il più bell'esperimento della biologia». Una volta compresi i dettagli della struttura della doppia elica, rimaneva da decifrare il codice genetico: come vengono specificati, usando un alfabeto di sole quattro lettere, i venti amminoacidi di cui sono costituite tutte le proteine? Nel 1961 Sydney Brenner e Crick scoprirono che inserire o eliminare una o due lettere nel DNA produce un effetto devastante, ma inserirne o eliminarne tre no, e capirono che nel primo caso si riscrivono tutte le parole, mentre nel secondo se ne perde solo una: le parole del codice genetico, dette «codoni», sono dunque di tre lettere. E poiché con un alfabeto di quattro lettere si possono fare 64 codoni distinti, il codice dev'essere ridondante. Nel 1961 Marshall Nirenberg scoprì che uno dei più semplici segmenti di DNA, costituito di sole A, produceva un particolare amminoacido (la fenilalanina): il codone corrispondente, dunque, doveva essere AAA. Insieme a Gobind Khorana, che mise a punto tecniche chimiche per fabbricare segmenti di DNA consistenti di un solo codone, Nirenberg riuscí nel giro di qualche anno a decifrare tutto il codice, e i due ottennero il premio Nobel nel 1968. Il passaggio dal DNA alle proteine non è però diretto, bensí mediato da una seconda forma di acido nucleico, chiamata RNA. Nel 1959 Crick proclamò il «dogma centrale» della biologia: l'informazione genetica va a senso unico, dal DNA all´RNA alle proteine. Per spiegare questo strano meccanismo, in cui l´uovo (il DNA) viene necessariamente prima della gallina (le proteine), Crick ipotizzò che l'RNA fosse stata la prima molecola genetica, in un'epoca in cui la vita era basata solo su di esso: il DNA sarebbe uno sviluppo successivo, probabilmente in risposta all´instabilità dell'RNA. Nel 1983 Tom Cech e Sidney Altman diedero la prima conferma che l'RNA era una sorta di «uovo-gallina» autocatalizzante, e ottennero il premio Nobel per la chimica nel 1989. Una volta compreso l'alfabeto e le parole del codice genetico, rimaneva da leggere l'intero libro: il genoma delle varie specie, uomo compreso. I capitoli di questo libro si chiamano geni, e la scoperta di come si attivano e si disattivano in un batterio intestinale (E. coli) valse il premio Nobel del 1965 a Jacques Monod e François Jacob: una coppia la cui popolarità rivaleggia con quella di Watson e Crick, grazie anche ai loro rispettivi libri Il caso e la necessità (Mondadori, 1970) e La logica del vivente (Einaudi, 1971). A sequenziare completamente il primo genoma, quello del virus PhiX174, fu Frederick Sanger, che vinse così il suo secondo premio Nobel in chimica nel 1980 (il primo l'aveva vinto nel 1958 per la sequenziazione della prima proteina, l'insulina). Al sequenziamento nel 1997 del primo genoma batterico, l'E. coli, seguì nel 1998 quella del verme C. elegans, che valse a John Sulton il premio Nobel nel 2002: benché composto di sole 959 cellule, e non più grande di una virgola, il verme ha ben 19.000 geni! Il genoma umano è stato invece sequenziato da un consorzio pubblico, inizialmente diretto da Watson, e da una compagnia privata, la Celera di Craig Venter: benché enormemente più grande e complesso, l'uomo ha solo 25.000 geni, pochi più del verme! Ma, come direbbe Thomas Eliot, quella che sembra la fine della storia, è invece soltanto un inizio. Ad attendere la biologia molecolare sono ora infatti i tre grandi progetti della genomica (comprendere la funzione dei singoli geni e la loro azione congiunta), della proteomica (sequenziare e studiare le proteine), e della trascrittomica (determinare quali geni siano attivi in una data cellula), con l'obiettivo di capire nei dettagli l´intero meccanismo della vita, dalla prima cellula all'intero organismo, per la maggior gloria dello spirito umano.
La storia dei due acidi nucleici, l'acido desossiribonucleico, o DNA, e l'acido ribonucleico, o RNA, è la storia della biologia molecolare. Questa disciplina scientifica è nata indiscutibilmente con la scoperta della doppia elica del DNA a opera di James Dewey Watson e Francis Henry Compton Crick nel 1953, anche se non è noto con certezza chi abbia usato per primo il nuovo termine. In effetti, una delle prime menzioni scritte la si trova nel titolo di una "Harvey Lecture", Avventure in biologia molecolare, tenuta nel 1950 da William T. Astbury, un eclettico strutturista scozzese. La biologia molecolare è una scienza che studia le strutture del DNA e dell'RNA, i processi biochimici nei quali sono coinvolti i due acidi nucleici e, attraverso questi processi, l'organizzazione e i meccanismi di funzionamento dell'intero apparato cellulare, dalla sua biochimica alla sua fisiologia, dalla sua patologia alla sua riproduzione, a tutta la biologia nella sua formulazione più moderna. La scoperta degli acidi nucleici è tutta da attribuire a un giovane ricercatore, figlio e nipote d'arte, che rinunciò alla carriera medica a causa di una leggera debolezza d'udito e che decise di dedicarsi allo studio della fisiologia delle cellule linfatiche, e in particolare all'analisi delle loro proteine. Era il 1869 e Johann Friedrich Miescher, venticinquenne e da poco laureatosi in medicina a Basilea, nel tentativo di separare dal nucleo i componenti del protoplasma (oggi chiamato citoplasma) s'imbatté in un composto che doveva in seguito risultare decisamente diverso dalle proteine che stava cercando. Quel composto era particolarmente abbondante nel nucleo, conteneva fosforo e, in analogia con il fosfatide lecitina da poco scoperto nel laboratorio del suo mentore, Hernst Felix Hoppe-Seyler dell'Università di Tubinga, fu battezzato "nucleina". Purtroppo né lo stesso Miescher né i suoi contemporanei seppero apprezzare pienamente il possibile ruolo della nucleina nella trasmissione dei caratteri ereditari; le si attribuì piuttosto una funzione di immagazzinamento del fosforo cellulare e non si escludeva del tutto che si trattasse di una miscela meccanica di fosfati e proteine. Erano infatti le proteine che continuavano ad attrarre la massima attenzione, in quanto componenti principali della cellula e quindi più validi candidati alla funzione di vettori molecolari dell'informazione biologica. Che nel nucleo vi fossero anche composti diversi dalle proteine venne confermato nei vent'anni successivi: nel 1889 Richard Altmann propose il termine più specifico di "acido nucleico". Miescher era morto da cinque anni, senza che i suoi contemporanei gli riconoscessero meriti particolari. Tant'è che nel discorso funebre il suo collega E. Wille si era ritenuto quasi in dovere di scusare il compianto:"Se Miescher non riuscì a raggiungere risultati altissimi, i limiti vanno cercati in una certa mancanza di organizzazione e di determinazione del suo carattere". E' straordinaria l'analogia con la sorte dell'altro grande padre della biologia moderna, Gregor Mendel, che i suoi confratelli agostiniani di Brunn (ora Brno) ricordarono in morte per tanti pregi, ma non per aver scoperto il meccanismo di trasmissione dei geni e avere così fondato la genetica. E come i monaci di Brunn, ma certo con minore giustificazione, un'intera generazione di ricercatori continuò a ignorare le scoperte di Mendel fino a quando Ugo De Vries, Erich von Tschermack e Carl Correns (l'unico che secondo Thomas Hunt Morgan avrebbe potuto riscoprirle in modo del tutto indipendente) le riproposero all'attenzione degli studiosi. Era il 1900. Da allora inizia una sorta di Medioevo per gli acidi nucleici: mentre la genetica esplode con il recupero delle leggi di Mendel, la scoperta della meiosi e della mitosi, l'identificazione dei cromosomi e degli errori congeniti del metabolismo e la mutagenesi, lo studio degli acidi nucleici langue. E' rimarchevole che sino agli anni quaranta non si avesse alcuna idea della natura delle molecole responsabili dell'ereditarietà biologica e che sino al 1929 non fosse chiara la distinzione tra DNA ed RNA. La stessa terminologia rifletteva questa confusione. Il DNA era considerato l'acido nucleico degli animali, l'RNA quello delle piante. Al primo si dava infatti il nome di acido "timo-nucleico", dalla ghiandola (in genere ricavata dal vitello) più frequentemente usata come sorgente di DNA. L'RNA veniva allora anche chiamato acido "tritico-nucleico", oppure del lievito, per il fatto che i vegetali ne parevano particolarmente ricchi. Anche la struttura attribuita allo zucchero considerato caratteristico del DNA era inizialmente sbagliata. Phoebus A. T. Levene e collaboratori del Rockefeller Institute di New York, uno dei centri più importanti per lo studio degli acidi nucleici fin dall'inizio del secolo, ritenevano che fosse un esosio e non un pentosio. Fu quello stesso gruppo di ricerca del Rockefeller Institute a sostenere con particolare vigore la teoria del "tetranucleotide", originariamente proposta, poco prima della fine del XIX secolo, da Albrecht Kossel e A. Neumann e successivamente ripresa da molti ricercatori, tra i quali il giapponese H. Takahashi. Secondo questa teoria, gli acidi nucleici erano composti da solo quattro nucleotidi (due purinici e due pirimidinici) e quindi, data la loro monotona struttura e le loro ridotte dimensioni, non potevano rappresentare il supporto molecolare dell'ereditarietà biologica. E' degno di nota che proprio in un laboratorio vicino a quello di Levene, nello stesso Rockefeller Institute, Oswald T. Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCarty si stavano sforzando di dimostrare che il princìpio trasformante, il pabulum che il medico inglese Fred Griffith nel 1928 aveva identificato come responsabile della conversione di cellule di Diplococcus pneumoniae non virulente in virulente, era il DNA. E' stato affermato, e con qualche ragionevolezza, che l'ipotesi del tetranucleotide sia stata una delle remore più gravi all'accettazione dell'importanza del DNA nella genetica. Nonostante ciò, a credito di Levene va ricordata l'introduzione dei termini "nucleotide" e "nucleoside", la scoperta che i nucleotidi erano legati fra loro attraverso legami fosfodiesterici tra gli OH in posizione 5' e 3', come fu in seguito confermato dal chimico Alexander R. Todd (poi laureato Nobel dai reali svedesi e nominato baronetto da quelli inglesi). A riguardo è interessante ricordare che nello sviluppo iniziale della chimica degli acidi nucleici ebbero un ruolo fondamentale le ricerche di natura bellica sugli alogenoderivati del fosforo, comune base dei gas nervini. Fu soprattutto grazie alle scoperte di Levene e in considerazione della presenza nell'RNA di uno zucchero (il ribosio) con un OH in posizione 2' (che impedisce a sequenze complementari di assumere una struttura a doppia elica del tipo B del DNA, conferendo una maggiore disponibilità a interazioni terziarie e a reazioni chimiche anche di tipo enzimatico), come anche di una base, l'uracile, diversa dalla corrispondente pirimidina (la timina, caratteristica del DNA), che si arrivò a distinguere il DNA dall'RNA. Ma per questo si dovette attendere il 1950, allorché l'inglese J.M. Gulland propose in modo esplicito l'esistenza entro le cellule viventi di due diversi acidi nucleici. Si arriva così alla vigilia della scoperta della doppia elica del DNA: da sei anni Avery e collaboratori avevano pubblicato il loro classico lavoro in cui si dimostrava che il princìpio trasformante era il DNA, ma l'impatto sugli addetti ai lavori era stato minimo, anche se ad Avery non mancarono onori e riconoscimenti (gli fu attribuita dalla Royal Society inglese la prestigiosa medaglia Copley). Ancora una volta si ha una dimostrazione della variabilità delle reazioni del mondo scientifico all'annuncio di grandi scoperte. Nella seconda metà degli anni quaranta la comunità dei ricercatori non credette al lavoro di Avery e dei suoi collaboratori. Per quanto sempre meno degradato (grazie al migliorare delle tecniche estrattive), il DNA che all'epoca i biologi molecolari riuscivano a purificare dalle cellule era ancora troppo piccolo rispetto alle dimensioni delle proteine per le quali avrebbe dovuto codificare, ed era a queste che si continuava ad attribuire un ruolo primario nella trasmissione dei caratteri ereditari. Fu un collega di Avery al Rockefeller Institute, R. Hotchkiss, a dimostrare che si poteva trasformare geneticamente il Diplococcus anche per altri caratteri, come la resistenza agli antibiotici. Grazie a tale scoperta venne eliminato il concetto, peraltro nebuloso, di pabulum, difficilmente conciliabile con il conferimento di fenotipi diversi come la virulenza e la resistenza agli antibiotici, e fu al contempo confermata l'importanza del DNA nel meccanismo dell'ereditarietà. Il suo riconoscimento divenne totale ed esplicito solo dopo il famoso esperimento, detto del frullatore, con cui Alfred D. Hershey e Martha Chase dimostrarono che fra i componenti di un fago di Escherichia coli (il T2, composto in parti uguali da DNA e proteine) bastava il solo DNA per infettare una cellula batterica e farle produrre un centinaio di particelle fagiche complete. Non si trattava certo dell'esperimento migliore tra i tanti che consacrarono il DNA, come molecola portatrice dell'ereditarietà biologica. Lo ammise lo stesso Hershey, ma era l'anno fatidico in cui James Watson e Francis Crick dovevano proporre il modello del DNA a doppia elica, ispirato dal lavoro di tanti ricercatori (Erwin Chargaff, Rosalind Franklin e Maurice Wilkins, tanto per citarne tre;e gia che ci sono faccio notare che non solo alla Franklin ma anche ad Avery non fu conferito il premio Nobel). Da allora il DNA e l'RNA hanno acquistato un interesse non facilmente uguagliabile nella storia delle scienze per varietà e per profondità. Questo interesse è diretto sia verso studi di base, teorici e sperimentali, sia verso applicazioni pratiche nei più disparati settori, dalla medicina alla produzione di energia, all'ecologia. Basti ricordare che dagli sviluppi della biologia molecolare degli acidi nucleici negli anni settanta sono nate l'ingegneria genetica e le biotecnologie. Ci sono ragioni per ritenere che molti, se non tutti, i segreti della biologia molecolare siano racchiusi nella struttura, o meglio nelle "strutture" del DNA. La doppia elica descritta da Watson e Crick nel 1953 come forma B si sta rivelando polimorfica: accanto alle forme tradizionali A e B si sono venute caratterizzando forme come la G (presente nei telomeri dei cromosomi eucariotici e così chiamata per l'abbondanza di residui G in un filamento); la H, tripla elica composta da due filamenti di pirimidine e uno di purine alternate fra loro e così chiamata dall'iniziale della parola inglese hinge, "perno", che questa struttura ricorda, e anche per indicare la sua dipendenza da ioni idrogeno per la sua stabilità; e soprattutto la Z, con la sua elica sinistrorsa e l'andamento a zig zag del legame fosfodiesterico. Altrettanto ricche, anche se per ora meno conosciute, sono le strutture dell'RNA: non si può infatti ignorare che sono state le ricerche sull'RNA a contribuire in modo determinante allo sviluppo della biologia molecolare. E' dallo studio delle piccole molecole degli RNA di trasferimento (tRNA) che si sono avviati filoni di ricerca quali il sequenziamento degli acidi nucleici, per anni limitato ai soli tRNA. Il primo gene sequenziato è stato infatti quello di un tRNA, il più abbondante fra quelli per l'alanina nel lievito, risolto e interpretato correttamente da Robert Holley nel 1965; e i primi geni sintetici sono stati quelli di due tRNA, prodotti da Har Gobind Khorana a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Insieme con Marshall Nirenberg, Khorana e Holley ricevettero nel 1968 il Nobel per i loro contributi alla decifrazione del codice genetico.
bartali24/2/2009, 20:52
Di norma, la non assegnazione di un Premio Nobel, non dipende affatto dal possedere due cromosomi X anziché un X e un Y...
Appunto! Direi che c'è un abisso tra dire "X donne non hanno ricevuto un nobel (forse) meritato" e dire "X donne non hanno ricevuto un nobel perché donne". Le nostre truffaldine ideologiche evidentemente hanno problemi di conflitto neuronale a causa della maggiore comunicazione tra i due emisferi cerebrali che impedisce loro di rilevarne la sostanziale differenza.
Nell'attuale situazione i miei dubbi vanno in direzione contraria. Un nobel dato ad una donna sarà realmente meritato o sarà frutto della solita tiritera vittimista-rivendicatrice che domina incontrastata nei media e nella mente della gente passiva?
silverback24/2/2009, 22:08
LE SCIENZE dossier, N° 15 - Primavera 2003 Una conversazione con James D. Watson di John Rennie (pag. 4-7; in estrema sintesi).
John Rennie: Ci sono sempre state controversie riguardo al fatto che Wilkins vi abbia mostrato i cristallogrammi ottenuti dalla Franklin senza il suo consenso, offrendo quindi a Lei e a Crick un indizio importante sulla struttura del DNA. In retrospettiva, non sarebbe stato più opportuno che il premio Nobel fosse assegnato, oltre a voi due, alla Franklin anziché a Wilkins?
James D. Watson: Non penso. Wilkins ci diede l'immagine cristallografica della forma A e lei ci fornì quella della forma B. Perciò si potrebbe dire che in una società ideale, perfetta, loro avrebbero avuto il Nobel per la chimica e Crick e io quello per la biologia. Sarebbe stato un buon modo per dare un riconoscimento a tutti e quattro. Ma nessuno la pensò così. Noi siamo molto famosi perché il DNA lo è. Se Rosalind avesse parlato con Francis a partire dal 1951 e gli avesse mostrato i suoi dati, sarebbe stata lei a risolvere la struttura. E adesso sarebbe famosa lei, non noi.
Origine della vita e controllo dell'evoluzione di Vittorio Sgaramella* (pag. 16-21).
Maurice Wilkins (pag. 19). Quando si parla di doppia elica, tutti pensano immediatamente al binomio Watson e Crick. Eppure anche Wilkins svolse un ruolo fondamentale nella scoperta della struttura del DNA fornendo con i suoi esperimenti di diffrazione dei raggi X la prova dell'esistenza della doppia elica. Giustamente quindi condivise con i due colleghi divenuti più famosi il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1962, mentre la sua brava collaboratrice Rosalind Franklin, morta quattro anni prima, non venne neppure menzionata. Nato nel 1916 a Pangaroa, in Nuova Zelanda, Wilkins si laureò in fisica nel 1938 a Cambridge, in Inghilterra, e poi si trasferì all'Università di Birningham dove ottenne il dottorato lavorando con John T. Randall alla teoria della fosforescenza e della luminescenza. Durante la seconda guerra mondiale lavorò al perfezionamento degli schemi radar a tubo catodico e poi alla separazione mediante spettografo di massa degli isotopi dell'uranio da usare per la bomba atomica. Nel 1946 si trasferì con Randall al King's College di Londra, presso cui entrò a far parte del Medical Research Council dove diresse l'unità di ricerca di biofisica, la prima in Inghilterra. Nel 1970 divenne professore di biofisica e direttore di Dipartimento, sempre al King's College. Nel 1946, quando non si sapeva ancora che il DNA fosse il responsabile del codice genetico, Wilkins cominciò a occuparsi del DNA perché era una molecola facilmente isolabile e poteva essere studiata all'ultravioletto. Solo casualmente, osservando al microscopio gel di DNA, si accorse che era facile staccarne sottili fibre con un bastoncino di vetro. L'uniformità delle fibre faceva pensare che il DNA avesse una struttura regolare - cristallina o quasi cristallina - che poteva essere studiata con la diffrazione dei raggi X, analogamente a quanto faceva John D. Bernal con le proteine. Le chiare figure di diffrazione che ottenne confermarono la regolarità delle molecole di DNA e fecero pensare che esse fossero elicoidali. Egli vide successivamente che l'elica aveva un diametro di 2 nanometri, un passo di circa 3,4 nanometri e che vi erano gruppi fosforici disposti all'esterno dell'unità strutturale. Le misure della densità indicavano inoltre che vi erano due molecole coassiali e suggerivano che le basi azotate fossero disposte in pile al centro dell'elica. Esattamente quello che Watson e Crick avevano proposto con i loro modelli molecolari costruiti in base a calcoli teorici.
* Vittorio Sgaramella, insegna biologia molecolare all'Università della Calabria, a Cosenza. E' stato ricercatore e visiting professor all'Università del Wisconsin, al MIT e alla Stanford University. Ha collaborato con il Nobel H.G. Khorana alle ricerche sul primo gene sintetico.
silverback25/2/2009, 00:23
LA DOPPIA ELICA James D. Watson
Pag. 209-215. AARON KLUG Rosalind Franklin e la scoperta della struttura del DNA (1968).*
Rosalind Franklin ha dato alcuni contributi fondamentali alla soluzione della struttura del DNA. Ha scoperto la forma "B", ha riconosciuto il fatto che esistono due stati diversi della molecola del DNA, ha definito le condizioni per la transizione tra le due forme. Sin dall'inizio, si è resa conto che il modello corretto doveva avere i gruppi fosfatici all'esterno della molecola. Ha posto le basi per una analisi quantitativa delle figure di diffrazione e, dopo la formulazione del modello di Watson e Crick, ha dimostrato che una doppia elica era consistente con le figure di diffrazione a raggi X sia per la forma "A" che per quella "B". Il resoconto che Watson fa ne La doppi elica non pretende di essere più che un aspetto della storia, mentre l'articolo di L.D. Hamilton (DNA: Modelli e realtà, "Nature", 18 maggio 1968) non rende giustizia al lavoro della Franklin. L'importanza del lavoro della Franklin è stata sottovalutata, almeno in parte, a causa della morte prematura. Dato che io, in quanto suo ultimo e forse più vicino collega scientifico, sono in condizione di riempire questo vuoto, ho cercato qui di raccontare ciò che la Franklin stava facendo nel periodo precedente la scoperta del modello di Watson e Crick, per porre così la questione della struttura elicoidale nel suo vero contesto e per sintetizzare i contributi da lei dati alla dimostrazione di quella struttura. Non ho trattato i contributi ben noti dati dagli altri protagonisti della storia, tranne che quando avevano direttamente a che fare con il suo lavoro.
La questione dell'elica
Watson e Hamilton hanno sottolineato entrambi la posizione "anti-elicoidale" della Franklin, senza spiegarne il contesto. La Franklin aveva deciso che c'erano abbastanza piani di riflessione discreti nella figura di diffrazione della forma "A" per poter dirimere la questione dell'esistenza di eliche (in questa forma del DNA) con un'analisi cristallografica oggettiva, senza dover fare alcuna ipotesi. In realtà, se c'è una fase del lavoro della Franklin che può essere chiamata "anti-elicoidale", ce n'è anche una precedente "pro-elicoidale". La si può rintracciare sia nel rapporto ufficiale del suo primo anno di lavoro, rapporto presentato nel febbraio 1952 per ottenere la borsa di studio Turner-Newall, sia nei suoi appunti per un seminario al King's College nel novembre 1951 - il seminario cui prese parte Watson e di cui egli parla nel suo libro. Nel rapporto ella afferma che le caratteristiche generali della figura di diffrazione della forma cristallina ("A") - e anche quelle della forma idrata (più tardi conosciuta come "B") - suggeriscono una struttura elicoidale e che la separazione tra gli strati della struttura "A" (27 A) probabilmente corrisponde al passo dell'elica. Inoltre, fa notare che la cella unitaria della struttura "A" ha una proiezione quasi esagonale; ciò suggerisce che la struttura sia costruita a partire da unità quasi cilindriche, e cioè da molecole del tipo di quelle che sarebbero prodotte dall'agglomerazione di un certo numero di catene coassiali. Il rapporto conclude come segue:"I risultati suggeriscono una struttura elicoidale ( che deve essere strettamente connessa) costituita probabilmente da 2, 3 o 4 catene coassiali di acido nucleico per unità elicoidale e con i gruppi fosfatici verso l'esterno". Bisogna tuttavia ricordare che le figure di diffrazione che la Franklin studiava, erano fotografie di filamenti o di rotazione, nelle quali i dati intrinsecamente tridimensionali erano ridotti a due sole dimensioni, il che implica certe possibili ambiguità nella caratterizzazione delle figure stesse. Andando avanti con la raccolta di dati quantitativi, la Franklin notò, nel 1952, che avrebbe potuto esserci una asimmetria molto definita nel fattore di forma delle molecole cristalline e quindi nella stessa struttura. Se questo fosse risultato vero, la struttura non avrebbe potuto essere elicoidale, a meno che le eliche non risultassero considerevolmente distorte. Sembra anche che la Franklin sia stata molto influenzata - nel cambiamento di opinione circa la struttura elicoidale - dalla scoperta di una doppia orientazione dei cristalliti in filamento nella forma "A". Le sembrava improbabile che potesse verificarsi questo fenomeno, se le singole molecole avessero avuto un alto grado di simmetria rispetto all'asse del filamento. Inoltre, aveva osservato precedentemente che, durante il cambiamento "da cristallino a idrato" (cioè, da "A" a "B" nella terminologia usata più tardi), aveva luogo un considerevole aumento nella lunghezza dei filamenti; nel rapporto annuale che stiamo qui considerando, affermò prudentemente: "L'elica nello stato idrato è quindi presumibilmente non identica a quella dello stato cristallino". Con questa premessa, era del tutto naturale - nel contesto delle nuove osservazioni sperimentali - pensare che la struttura "A" avrebbe potuto essere non elicoidale, ed esaminare quindi strutture non elicoidali. Le ipotesi di partenza della Franklin possono essere sintetizzate come segue: per quanto vi fossero chiaramente strutture elicoidali nella struttura "B", esse avrebbero potuto essere così distorte - o anche distrutte - dai legami intermolecolari nella struttura cristallina "A" che era necessario considerare strutture non-elicoidali. Ma una struttura "A" plausibile avrebbe dovuto soddisfare certi criteri, definiti in base alle sue stesse osservazioni sulla transizione da "A" a "B": e cioè che, indipendentemente da quanto può accadere alle catene, la trasformazione doveva essere reversibile; inoltre i fosfati dovevano in ogni caso restare all'esterno della struttura, e cioè verso l'acqua. Le sue note di laboratorio dell'inverno 1952-53, la mostrano intenta a considerare vari tipi di strutture, tra cui lamine e aste, fatte di due catene che si sviluppano in direzioni opposte con basi interconnesse e anche una struttura pseudo-elicoidale con gruppi fosfatici non equivalenti, che rassomigliava in proiezione a un otto. Nel gennaio 1953 la Franklin cominciò a costruire modelli, per limitare le strutture a quelle possibili dal punto di vista stereochimico, cercando di accordarle alla funzione tridimensionale di Patterson per la forma "A", che era stata calcolata nel 1952. Da questa funzione aveva imparato che c'erano gruppi fosfatici disposti in certe direzioni a distanza di 5,7 A l'uno dall'altro. Ciò che la funzione di Patterson - per la sua stessa natura - non poteva chiarirle era se queste direzioni si riferissero a fosfati di una stessa catena o di catene differenti. Nessuna delle strutture prescelte, tuttavia, si accordava con la funzione di Patterson, e non a caso. Inoltre, alcune potevano essere escluse per quel che riguardava la forma "B", anch'essa costantemente tenuta d'occhio. Nelle sue note, la vediamo passare continuamente dai dati di una delle forme a quelli dell'altra, applicando la teoria della diffrazione elicoidale alla forma "B" e cercando di adattare la funzione di Patterson alla forma "A". La vediamo anche cercare di adattare le basi al modello, usando i dati analitici di Chargaff, e ritornare continuamente alla densità e al contenuto di acqua delle due forme, informazione questa mediante la quale tentava di verificare il numero delle catene. Allo stesso tempo, cercava di risovere la funzione di Patterson direttamente col metodo di sovrapposizione. A febbraio, la Franklin sapeva già che c'erano due catene per cella unitaria nella struttura "A" e stava considerando la possibilità di una struttura con undici nucleotidi per catena. Tuttavia, per quanto sapesse che c'erano dieci nucleotidi per catena elicoidale nella struttura "B", e che molto probabilmente c'erano due catene di questo tipo nell'elica "B", non vide la relazione tra queste due strutture, forse perché non riusciva a liberarsi dal suo profondo impegno a risolvere la funzione di Patterson direttamente, senza ipotesi a priori, scelta che richiedeva la considerazione di strutture non elicoidali. La risposta - alla quale non arrivò prima che il modello di Watson e Crick venisse proposto - è naturalmente sorprendentemente semplice. Ambedue le strutture sono elicoidali e sono collegate in un modo semplice, come ho dimostrato. Naturalmente, non è possibile dire che cosa sarebbe accaduto se non fosse intervenuta la struttura proposta da Watson e Crick; penso che alla fine si sarebbe resa conto - e forse non molto tempo dopo - della relazione tra le forme "A" e "B". Indipendentemente da quanto avrebbe potuto accadere, è chiaro che il punto di vista "anti-elicoidale" non era un semplice capriccio o "pura perversità". Il punto cui la Franklin era arrivata a quel tempo è uno stadio che molti ricercatori scientifici riconosceranno, uno stadio in cui coesistono osservazioni apparentemente contraddittorie o discordanti, ognuna delle quali può essere considerata significativa; e non si sa quali indizi scegliere per risolvere il rompicapo. Il libro di Watson ha chiarito il fatto che - in nessuno dei protagonisti - esisteva una logica ferrea che potesse portare direttamente alla soluzione. Per esempio, una domanda che avrebbe potuto essere posta a quel tempo era quale delle due forme del DNA, la "A" o la "B", fosse più strettamente vicina al DNA nel suo stato naturale. Deve esserci una certa ristrutturazione intermolecolare nella transizione da "A" a "B". Una delle due strutture era più fondamentale dell'altra? Con il senno di poi, la risposta è ovvia, e cioè quella che è più vicina al DNA in soluzione, quindi la forma idrata o forma "B", che non mostra ulteriori cambiamenti di struttura quando l'idratazione cresce fino al punto in cui il DNA passa in soluzione. Bisogna aggiungere che, verso la fine del 1952, Wilkins e Randall resero nota una somiglianza tra le fotografie di diffrazione a raggi X di spermatozoi e i filamenti di DNA puro; le periodicità tuttavia non erano chiaramente definite e la struttura non veniva attribuita a nessuna delle due forme - allora già note ma non ancora pubblicate. Le figure di diffrazione di spermatozoi furono classificate come forma "B" solo più tardi. Sembra corretto concludere che non c'era una evidenza sperimentale tanto determinante, dal punto di vista biologico, da convincere la Franklin a spostare il suo interesse analitico principale dalla forma "A" alla forma "B". Anche se la Franklin per un po' si mosse nella direzione sbagliata per quanto riguardava uno degli aspetti del problema, ci sono tuttavia sufficienti indicazioni che dimostrano che era nel giusto per quanto riguarda altri aspetti. Nel suo primo lavoro, la Franklin analizzò anche il problema dell'impacchettamento delle basi. Discusse l'esistenza di piccoli aggregati stabili di molecole, connesse da legami a idrogeno tra i loro gruppi basici e con i gruppi fosfatici esposti al mezzo acquoso. Trattò anche l'ovvia difficoltà di impacchettare una sequenza di basi che non seguono un ordine cristallografico particolare. Il punto raggiunto dalla sua riflessione può essere giudicato dal seguente estratto del suo lavoro del marzo 1953: D'altra parte, sembra anche improbabile che i gruppi purinici e pirimidinici, considerevolmente differenti l'uno dall'altro sia in forma sia in grandezza, possano essere intercambiabili in una struttura così ordinata come quella della situazione "A". Una possibile soluzione, quindi, è che nella struttura "A" la citosina e la timina siano intercambiabili, mentre la purina e la pirimidina non lo siano. Questo è suggerito dalle strutture cristalline - notevolmente simili - trovate da Broomhead (1951) per gli idrocloruri di adenina e di guanina. In questo modo potrebbe essere possibile una varietà infinita di sequenze nucleotidiche in grado di spiegare la specificità biologica del DNA. La intercambiabilità delle basi è, naturalmente, ancora molto lontana dalla verità finale - l'accoppiamento delle basi - ma nel contesto dell'analisi cristallografica nella quale la Franklin era impegnata (una analisi che poteva portare a una soluzione per la parte della struttura che si ripeteva regolarmente) questa idea sarebbe stata essenziale per riuscire ad adattare al modello anche le parti variabili. Nel suo libro, Watson ha scritto che la "immediata accettazione" da parte della Franklin del modello di Watson e Crick all'inizio lo meravigliò; ma continua dicendo che, dopo averci riflettuto, questo fatto non lo sorprendeva più. E' un fatto che non può più sorprendere, dopo aver studiato i lavori della Franklin e i suoi appunti di laboratorio, e dopo aver capito quanto, nello sviluppo del suo lavoro - per quanto in modo sconnesso e in tempi diversi - fosse giunta vicina alle varie caratteristiche della struttura contenute nella soluzione corretta.
* Da "Nature", 24 agosto 1968, pag. 808-810. Aaron Klug (nato nel 1926) è membro del Laboratorio di biologia molecolare del Medical Research Council a Cambridge. Le sue ricerche vertono sull'analisi cristallografica delle strutture biologiche. Nel 1982 ha ricevuto il premio Nobel per la chimica.
Lavori di R.E. Franklin e R.G. Gosling. 1) The structure of sodium thymonucleate fibres. I. The influence of water content, "Acta Cryst", 6; 673 (1953). 2) The structure of sodium thymonucleate fibres. II. The cylindrically symmetrical Patterson function, "Acta Cryst", 6; 678 (1953). 3) Molecular configuration in sodium thymonucleate, "Nature", 171; 742 (1953). 4) Evidence for 2-chain helix in crystalline structure of sodium desoxyribonucleate, "Nature", 172; 156 (1953). 5) The structure of sodium thymonucleate fibres. III. The three-dimensional Patterson function, "Acta Cryst", 8; 151 (1955).
Altri riferimenti bibliografici. 6) R.G. Gosling, Tesi, Università di Londra (1954). 7) M.H.F. Wilkins, A.R. Stokes e H.R. Wilson, "Nature", 171; 739 (1953). 8) J.D. Watson e F.H.C. Crick, "Nature", 171; 737 (1953). 9) G.B.B.M. Sutherland e M. Tsuboi, "Proc. Roy. Soc.", A, 223; 80 (1954). 11) M.H.F. Wilkins, W.E. Seeds, A.R. Stokes e H.R. Wilson, "Nature", 172; 759 (1953). 12) M.H.F. Wilkins e J.T. Randall, "Biochim. Biphys. Acta", 10; 192 (1953).
*Wolverine*27/2/2009, 16:17
Appunto! Direi che c'è un abisso tra dire "X donne non hanno ricevuto un nobel (forse) meritato" e dire "X donne non hanno ricevuto un nobel perché donne". Le nostre truffaldine ideologiche evidentemente hanno problemi di conflitto neuronale a causa della maggiore comunicazione tra i due emisferi cerebrali che impedisce loro di rilevarne la sostanziale differenza.
Ti voglio fare una domanda, tu sai chi è Mileva Maric? Se sei un’appassionato lo sai di certo.. In Serbia questa donna fece un test di intelligenza quando era giovane, Einstein arrivava a un Q.I. di 180 mentre lei a un Q.I. di 220. Nessuno vorrà approvare questa cosa, ma è così, come le formule di Tesla, che poi alla fine sono finite nelle mani degli Americani, la moglie di Einstein, Mileva Maric, era una matematica, ed é stata lei a fare la maggior parte, se non tutta, la formula che ha poi contribuito alla costruzione della bomba atomica, lui ci mise solo la sua firma, infatti se si leggono i suoi scritti cita sempre loro due, ma non é sincero perché anche dopo il loro “divorzio” lei lo aiuta… Ma come dicevo prima, sono tante le cose che nessuno di voi sa ancora..
A parte il fatto che il Q.I. di Einstein era di poco superiore a 160, tutto il resto è una bufala stratosferica.
Mileva ha un curriculum universitario di tutto rispetto. Nel corso di ciascuno degli anni accademici ha ottenuto voti migliori di quelli di Albert. E anche all'esame finale i voti sono discreti, tranne che in matematica. Un'insufficienza che risulta determinante. Mileva ripeterà l'esame l'anno successivo e di nuovo sarà bocciata. Dopo di che rinuncerà per sempre.
mentre lei a un Q.I. di 220.
Ma, stranamente, fu bocciata per ben due volte agli esami.
Quinzio21/3/2009, 12:20
Per la cronaca la persona con piu' alto QI al mondo (tra quelli certificati ovviamente) e' una certa Marilyn Vos Savant, una donna. Wikipedia vi dira' il resto, se interessati.
silverback1/3/2009, 12:35
Per la cronaca la persona con piu' alto QI al mondo (tra quelli certificati ovviamente) e' una certa Marilyn Vos Savant, una donna. Wikipedia vi dira' il resto, se interessati.
La creatività esiste veramente e se esiste è qualcosa di latente e di inespresso in ognuno oppure una qualità di pochi privilegiati ? A. Einstein ad esempio riteneva che esistesse, non a caso dichiarò che “l’immaginazione è più importante della conoscenza”, nel senso che questa può dare apporto culturale e fornire nuova conoscenza. Come scrive C. Trombetta nel suo libro intitolato “La creatività” i primi studi su questo argomento riguardarono delle distinzioni tra i concetti di fantasia, immaginazione creatrice ed invenzione. L’interesse sull’argomento si intensificò in America nel 1957 dopo il lancio andato a buon fine dello Sputnik russo verso la Luna, evento che decretò la sconfitta americana della sfida spaziale tra le due superpotenze. Come scrive A. J. Cropley in “La creatività nella scuola e nella società” in quel frangente gli americani intuirono che l’individuo creativo era necessario per l’avanzamento del progresso scientifico e tecnologico. Fino ad allora era opinione diffusa ritenere che i migliori scienziati fossero delle persone con elevato tasso di istruzione e con elevate competenze specialistiche. Fino ad allora gli americani supponevano che persone con alto quoziente intellettivo fossero anche creative. In realtà è stato scoperto recentemente che tutte le persone creative sono anche intelligenti, ma non tutte le persone intelligenti sono anche creative[Beaudot, 1974]. Così come studiosi e premi Nobel(come Lewontin, Eccles, Rita Levi Montalcini) hanno criticato il concetto di quoziente intellettivo. Il quoziente d’intelligenza viene definito come il rapporto tra età mentale ed età cronologica, moltiplicato per 100. Ad esempio un bambino con un quoziente d’intelligenza di 150 di 4 anni dovrebbe teoricamente avere le stesse capacità mentali di un bambino normale di 6 anni. Probabilmente siamo ancora agli albori per quel che riguarda la misurazione dell’intelligenza umana. I più noti psicologi recentemente infatti hanno stabilito la validità del quoziente intellettivo come strumento diagnostico per rilevare disfunzioni cerebrali e ritardo mentale, ma non per stabilire con esattezza le differenze individuali riguardo alle capacità di apprendimento ed al potenziale intellettivo. Ci sono persone che hanno grandi capacità di apprendimento e risultati mediocri nei test d’intelligenza. Così come ci sono persone molto creative e molto intelligenti che non hanno risultati eccellenti nei test d’intelligenza. Non mi risulta a proposito che la donna più intelligente del mondo con un quoziente intellettivo di 215 abbia dato un contributo scientifico, artistico, filosofico o politico all’umanità. Il biologo Watson, che insieme a Crick, scoprì l’enigma della struttura del dna invece aveva un quoziente intellettivo appena appena superiore alla media. Fu una scoperta importantissima per l’umanità e non avvenne casualmente, ma grazie alla logica dei due scienziati. Ci sono elementi, come la distrazione e la stessa originalità di pensiero, che sono svantaggiosi nei test d’intelligenza e comportano una resa al quoziente intellettivo minore rispetto alle effettive capacità. Come in ogni test che si rispetti in psicologia inoltre ci sono i falsi positivi ed i falsi negativi. I falsi positivi sono coloro che risultano essere “in gamba” nonostante non lo siano, i falsi negativi l’esatto contrario. Come se non bastasse abbiamo un’ulteriore contraddizione: la riuscita di una batteria dei test d’intelligenza deriva dall’indice di predittività. Una batteria di test d’intelligenza viene ritenuta valida se i risultati ottenuti da dei bambini a queste prove d’abilità riescono a predire i loro successi/insuccessi scolastici. A sua volta verranno fatti ulteriori studi per verificare se quei test di intelligenza hanno predetto l’insuccesso o il fallimento professionale di quei bambini, quando sono diventati adulti. Assistiamo così ad una ipersemplificazione della realtà: sarà senz’altro vero che i risultati dei test di intelligenza sono correlati al successo/insuccesso scolastico o all’integrazione o meno nel mondo del lavoro, ma in questo modo vengono esclusi alcuni fattori non meno determinanti come le scelte di vita, la malattia o il caso. Non solo, ma ogni test d’intelligenza non è altro che il risultato di una definizione operativa degli psicologi, che lo hanno ideato. Questo significa che ad esempio se degli psicologi ritengono che l'intelligenza sia sinonimo di velocità e di pensiero convergente avremmo dei tests d’intelligenza completamente diversi(che danno dei risultati completamente diversi) rispetto ad altri psicologi, che hanno definito in modo completamente differente l’intelligenza umana. Questo non dipende solo dalla personalità e dalla mentalità degli psicologi, che elaborano il test, ma anche dalla società da cui provengono e in cui sono inseriti. Nonostante tutti questi limiti intrinseci i test d’intelligenza sono conosciuti e utilizzati in tutto il mondo, perché sono dei semplici reattivi mentali per cui basta solo carta e penna, quindi la loro somministrazione è la più economica per le aziende che devono assumere personale, rispetto a fornire a tutti i candidati un periodo di prova. Inoltre anche se hanno tutti i difetti elencati sono più attendibili dei colloqui, in cui contano anche fattori come l’antipatia/simpatia e la similarità o la non similarità tra l’esaminatore e il candidato. Per quel che concerne l’istruzione attualmente sappiamo come sottolinea A. O. Osborn nella sua opera “L’arte della creatività” che la maggior parte delle persone specializzate sono sterili per quel che riguarda la produzione di idee e la risoluzione di problemi, mentre altre meno istruite possono risultare più creative. A questo proposito ricorda che Morse, l’inventore del telegrafo, era un ritrattista; che Faraday era privo di istruzione formale; che Fulton, l’inventore della nave a vapore, era un artista; che Davenport, l’inventore dell’elettromagnete, era un fabbro. Nonostante “l’effetto Sputnik” lo psicologo J. P. Guilford a metà degli anni’70 prese in esame l’indice di tutti i Psychological Abstracts. Ebbene su 121000 titoli di saggi psicologici soltanto 186 riguardavano la creatività: solo lo 0,1%. Nonostante i facili entusiasmi nei confronti della creatività(si pensi ad esempio al Maggio francese e ad uno dei suo slogan: l’immaginazione al potere) e le cadute di interesse nei confronti dell’argomento i pochi ricercatori che vi si sono dedicati hanno dato contributi fondamentali a riguardo. Tuttavia nessuno studioso potrà mai dare una definizione esaustiva della creatività. Forse la genialità è quella cosa che nessuno potrà mai spiegare. Per quanto concerne la creatività artistica bisogna ricordare Freud, che con i suoi studi “il poeta e la fantasia” e “Saggio su Leonardo” iniziò ad esaminare il rapporto tra inconscio ed arte. Ma l’inconscio del resto sembra avere un ruolo determinante anche nell’ambito della creatività scientifica. E quale è il regno dell’inconscio se non il sogno? Infatti F. A. von Kerule scoprì la struttura dell’anello benzenico in sogno. Kerule scrive: “Voltai la sedia verso il caminetto e mi assopii. Ed ancora gli atomi saltellavano davanti ai miei occhi. Questa volta i gruppi più piccoli stavano con discrezione sullo sfondo. Il mio occhio mentale, reso più acuto da ripetute visioni di questo tipo, riusciva ora a distinguere strutture più ampie, di varia conformazione; lunghe file, a volte più vicine l’una all’altra; tutte che si combinavano e si contorcevano con movimenti di serpente. Ma ecco ! E quello che cos’è ? Uno dei serpenti aveva afferrato la propria coda , e la forma piroettava beffarda davanti ai miei occhi. Come per un improvviso lampo di luce mi svegliai….Dobbiamo imparare dai sogni, cari signori”. Per G. Wallas esistono 4 fasi della soluzione dei problemi scientifici: preparazione, incubazione, illuminazione, verifica. La preparazione consiste nella conoscenza e nell’analisi del problema. L’incubazione invece è strettamente connessa all’inconscio. Ma vediamo in cosa consistono queste 4 fasi riportando dei brani della testimonianza del matematico Poincarè, riguardo alla scoperta della teoria dei gruppi fuchsiani e delle funzioni fuchsiane.
PREPARAZIONE: “Volli in seguito rappresentare queste funzioni con il quoziente di due serie; questa idea fu particolarmente cosciente e pensata; l’analogia con le funzioni ellittiche mi guidava. Mi domandai quali dovessero essere le proprietà di queste serie, se esistevano, e arrivai senza difficoltà a formare la serie che ho chiamato thetafuchsiane.”
INCUBAZIONE: “A questo punto partii da Caen, dove abitavo, per partecipare ad una gita geologica organizzata dall’Ecole des Mines. Le peripezie del viaggio mi fecero dimenticare i miei lavori matematici…” e sempre in vacanza “ una sera contrariamente alle mie abitudini, bevvi del caffè, e non riuscii più ad addormentarmi: le idee mi si accavallavano nella mente, le sentivo come urtarsi fino a che due di loro, per così dire, si agganciarono, per formare una combinazione stabile”. L’incubazione è quindi un periodo infruttuoso(ad esempio una vacanza o un momento di pausa), in cui l’inconscio può rielaborare e riformulare alcuni aspetti del problema, che fino ad allora analizzato dal punto di vista cosciente non sembrava avere alcuna soluzione. L’incubazione risulta quindi essere un intervallo di tempo, in cui il lavorio inconscio riesce a sbloccare la situazione mentale di stallo precedente. ILLUMINAZIONE: Sempre Poincarè scrive: “…arrivati a Coutances, montammo su un trenino per non so quale passeggiata; nel momento in cui mettevo piede sul predellino, mi venne l’idea, senza che niente nei miei precedenti pensieri sembrasse avermici preparato, che le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni di Fuchs fossero identiche a quelle della geometria non euclidea.”
VERIFICA: è il momento in cui viene controllata tramite la logica e la sintattica della disciplina l’intuizione precedente.
E’ ora il caso di definire in cosa consiste la ricerca scientifica. Lo scienziato P. B. Medawar ne “I limiti della scienza” scrive che “l’arte della ricerca scientifica è l’arte del risolvibile”. Il matematico J. Hadamard, nel suo libro “La psicologia dell’invenzione in campo matematico” fa una distinzione basilare tra scoperta ed invenzione: “la scoperta riguarda un fenomeno, una legge, un ente già esistenti, ma che non erano stati percepiti. Colombo ha scoperto l’America, che esisteva prima di lui; al contrario, Franklin ha inventato il parafulmine: prima di lui non c’era alcun parafulmine”. La maggior parte della ricerca scientifica quindi si può desumere, quando approda a dei risultati, giunge a delle scoperte, più raramente a delle invenzioni. Altri contributi fondamentali per quel che riguarda lo studio della creatività sono il pensiero produttivo della scuola Gestalt ed il pensiero divergente di Guilford. Il pensiero produttivo di Werthmeir “consiste nel rendersi conto delle caratteristiche strutturali della situazione-problema e delle esigenze di miglioramento che vi sono implicite[Rubini, “La creatività]. Il soggetto giunge quindi alla soluzione del problema, dopo averlo ristrutturato cognitivamente(insight), dopo averlo riorganizzato, ridotto ai termini essenziali e di conseguenza anche semplificato. Per Guilford invece esistono sostanzialmente due stili di pensiero: il pensiero convergente ed il pensiero divergente. Per risolvere problemi che hanno un’unica soluzione è necessario il pensiero convergente, che non richiede nessun tipo di originalità e di apertura mentale. Il pensiero divergente invece partendo da una traccia iniziale conduce ad una molteplicità di idee originali e diverse tra di loro. Non esiste una soluzione giusta e nei tests di pensiero divergente è premiato chi ha più idee indipendenti ed originali.
Quinzio21/3/2009, 12:43
D'accordo, Silver. Avere un QI non significa riuscire a comporre delle sinfonie come faceva Mozart. Neanche il nostro attuale premier sembra avere un QI alto eppure e' a capo di una nazione intera.
Pero' se tu dovessi costruire il ponte sullo stretto di Messina o dovessi capire come migliorare la sicurezza degli aeroplani, o dovessi progettare il treno ad alta velocita' chi chiameresti, Mozart, Berlusconi, o la Savant ?
silverback1/3/2009, 13:24
Pero' se tu dovessi costruire il ponte sullo stretto di Messina o dovessi capire come migliorare la sicurezza degli aeroplani, o dovessi progettare il treno ad alta velocita' chi chiameresti, Mozart, Berlusconi, o la Savant ?
Sì, Quinzio, ma credo che ci siamo capiti.
ventiluglio1/3/2009, 14:10
D'accordo, Silver. Avere un QI non significa riuscire a comporre delle sinfonie come faceva Mozart. Neanche il nostro attuale premier sembra avere un QI alto eppure e' a capo di una nazione intera.
Pero' se tu dovessi costruire il ponte sullo stretto di Messina o dovessi capire come migliorare la sicurezza degli aeroplani, o dovessi progettare il treno ad alta velocita' chi chiameresti, Mozart, Berlusconi, o la Savant ?
E' noto, come ha ben spiegato Silver (a proposito, grazie per l'ennesimo - sempre puntuale e preciso - riferimento bibliografico), che il QI è un parametro pochissimo significativo dell'"intelligenza" umana (che pure - di per sé - è un termine controverso), anche (e non solo) perché i test che portano a definirlo non potranno mai essere del tutto scevri da condizionamenti e contenuti di ordine "culturale" e nozionistico, ambiti che nulla hanno a che fare con l'intelligenza propriamente detta.
Siccome però mi occupo professionalmente di costruzioni e di progettazione mi viene da dire che la progettazione di qualsiasi cosa (anche la più tecnicamente complessa, dalla navicella spaziale, alla vettura di formula 1, al tunnel sottomarino) richiede una certa dose (più o meno consistente a seconda della qualità del progettista) di creatività, e non "secchionaggione o nozionismo acritico" (qualità queste che, semplificando un po', sono quelle effettivamente misurate dai presunti QI).
Quindi, date ovviamente le necessarie competenze specifiche (che non si improvvisano, e si apprendono invece con lungo e faticoso apprendistato), vedrei decisamente meglio una personalità creativa come Mozart a progettare quello che dici, piuttosto che una Savant (cosa ha mai combinato costei nella vita, infatti?).
Oggi per effettuare i calcoli matematici più complessi (ben al di là della capacità di calcolo umana) esistono i computer. Ma nessun computer, come è noto, ha mai progettato alcunché.
La progettazione (esattamente come la scoperta scientifica) è infatti - quasi per definizione - l'ambito delle menti creative (e dunque intelligenti), non di detentori di presunti primati di presunti QI.
Quinzio21/3/2009, 21:26
i test che portano a definirlo non potranno mai essere del tutto scevri da condizionamenti e contenuti di ordine "culturale" e nozionistico, ambiti che nulla hanno a che fare con l'intelligenza propriamente detta.
Ma direi che questo e' un argomento a favore dei test che misurano l'intelligenza non a sfavore. Non so perche' lo citi. Difatti i test di intelligenza sono per lo piu' quiz logico-matematici dove viene chiesto di individuare possibili correlazioni tra varie figure. Non so cosa ci puo' essere di piu' libero di questo da condizionamenti culturali.
Oggi la matematica e' la stessa sia che venga insegnata in una universita' italiana, che americana, o giapponese, o cinese. La matematica e' stata copiata e trasmessa da paese a paese proprio perche' e' un linguaggio universale che non risente di alcun condizionamento culturale. Chiaramente non ci potra' mai essere nulla che abbia una percentuale di condizionamento culturale pari a zero, ma di sicuro i test logico matematici sono quelli che ci si avvicinanao di piu'.
mi viene da dire che la progettazione di qualsiasi cosa (anche la più tecnicamente complessa, dalla navicella spaziale, alla vettura di formula 1, al tunnel sottomarino) richiede una certa dose (più o meno consistente a seconda della qualità del progettista) di creatività, e non "secchionaggione o nozionismo acritico" (qualità queste che, semplificando un po', sono quelle effettivamente misurate dai presunti QI).
Se prendiamo ad esempio un telefono cellulare e ci si chiede quale sia il suo compito la risposta e' terribilmente semplice: fare in modo che io possa parlare con altri possessori di telefoni quando e dove voglio. La richiesta e' finita qui, l'enunciato del problema termina qui e' di una semplicita' disarmante. IL problema e' come fare in modo che due persone si possano parlare a 100km di distanza. La soluzione di questo problema e' una bega squisitamente di tipo elettronico e di radiofrequenza, di campi elettromagnetici, di tecnica e tecnologia. Qui la creativita' non c'entra nulla, sono tutti problemi logico-matematici da risolvere. Poi ti potranno vendere un telefonino di colore rosso invece che verde, ma queste sono abbellimenti finali.
Trovare il vaccino del vaiolo non richiede creativita' ma una dose enorme di pazienza, ricerca, e soprattutto un'atteggiamento scientifico. E cosi' via. Il mondo di oggi e' vivibile non perche' qualche stilista o qualche cantante crea le sue opere, ma perche' migliaia di persone hanno scoperto e trovato invenzioni seguendo criteri di ricerca logici e scientifici.
Vedrei decisamente meglio una personalità creativa come Mozart a progettare quello che dici, piuttosto che una Savant (cosa ha mai combinato costei nella vita, infatti?).
Beh, guarda, probabilmente lo dici per provocare, non saprei. Io a progettare un ponte o un ripetitore per radiofrequenza scelgo un ingegnere, che di solito e' una persona con doti di tipo logico. Non sceglierei un artista, come Mozart o Frank Sinatra.
La progettazione (esattamente come la scoperta scientifica) è infatti - quasi per definizione - l'ambito delle menti creative (e dunque intelligenti), non di detentori di presunti primati di presunti QI.
Il QI non e' ne astratto ne presunto. E' la misura della capacita' di risolvere problemi di tipo logico. Purtroppo esiste, come esiste ad esempio il tempo che uno impega per correre 100 metri. E spesso i colloqui di selezione delle aziende, quelle serie, prevedono una batteria di test che sono gli stessi che misurano l'IQ. L'esame di ammissione all'accademia ufficiali dell'esercito e dell'areonautica prevede una batteria di test uguali a quelli che misurano l'IQ.
secchionaggione o nozionismo acritico" (qualità queste che, semplificando un po', sono quelle effettivamente misurate dai presunti QI).
Ma hai mai visto un test che misura l'IQ ?
Ritavi1/3/2009, 21:42
secchionaggione o nozionismo acritico" (qualità queste che, semplificando un po', sono quelle effettivamente misurate dai presunti QI).
Ma hai mai visto un test che misura l'IQ ? [/QUOTE]
Beh però si può diventare esperti in test che misurano il QI, ad esempio, a livello teorico e poi non avere la capacità, l'immaginazione o l'intelligenza giusta per applicare le stesse nozioni logico-matematiche a livello pratiche.
Roberto Vacca, ad esempio (ingegnere sistemistico) racconta che la prima volta che fece un test d'intelligenza totalizzò 60. Capiti i meccanismi lo ha rifatto (tutto diverso come domande e prove) totalizzando oltre 100.
Quinzio21/3/2009, 22:18
secchionaggione o nozionismo acritico" (qualità queste che, semplificando un po', sono quelle effettivamente misurate dai presunti QI).
Ma hai mai visto un test che misura l'IQ ?
Beh però si può diventare esperti in test che misurano il QI, ad esempio, a livello teorico e poi non avere la capacità, l'immaginazione o l'intelligenza giusta per applicare le stesse nozioni logico-matematiche a livello pratiche.
Roberto Vacca, ad esempio (ingegnere sistemistico) racconta che la prima volta che fece un test d'intelligenza totalizzò 60. Capiti i meccanismi lo ha rifatto (tutto diverso come domande e prove) totalizzando oltre 100.
Scusa sai, ma faccio la domanda anche a te: hai mai fatto o visto un test d'intelligenza ? Non e' roba da marziani, lo puoi fare anche tu, se non sei ritardata (cosa che non credo) probabilmente sei nella media o anche sopra.
Beh però si può diventare esperti in test che misurano il QI, ad esempio, a livello teorico e poi non avere la capacità, l'immaginazione o l'intelligenza giusta per applicare le stesse nozioni logico-matematiche a livello pratiche.
No, mi dispiace, non si puo' diventare esperti nel fare questi test. Studi effettuati dimostrano che il QI di una persona rimane piu' o meno uguale nel corso della sua vita. Non si diventa esperti cosi' come non si diventa come Mozart a furia di suonare il pianoforte. Mozart ha composto centinaia di sinfonie a partire da bambino. A una persona normale puoi fargli suonare il piano 10 ore al giorno e non comporra' mai nulla.
Se hai un IQ alto sei capace di imparare a progettare un circuito elettronico, a programmare un microprocessore o a fare i calcoli per mandare in orbita una navetta spaziale. Fidati che e' cosi'.
Roberto Vacca, ad esempio (ingegnere sistemistico) racconta che la prima volta che fece un test d'intelligenza totalizzò 60. Capiti i meccanismi lo ha rifatto (tutto diverso come domande e prove) totalizzando oltre 100.
R. Vacca scrive libri di filosofia spicciola, gli piace raccontare aneddoti e divertire la gente con le sue storie. Temo che questa sia una delle sue spaccate. 60 e' un punteggio da idiota, da ritardato mentale, e Vacca e' un ingegnere laureato per cui e' impossibile. Gli piace divertire la gente.
Ritavi1/3/2009, 23:53
Scusa sai, ma faccio la domanda anche a te: hai mai fatto o visto un test d'intelligenza ? Non e' roba da marziani, lo puoi fare anche tu, se non sei ritardata (cosa che non credo) probabilmente sei nella media o anche sopra.
sì l'ho fatto alla fine della terza media, per il programma d'orientamento scolastico e avevo ottenuto 113.
Poi l'ho rifatto dopo qualche anno ottenendo un 117. E sinceramente, anch'io avevo avuto l'impressione di maggiore facilità proprio perchè il meccanismo era già stato sviscerato la volta precedente (... e l'ho fatto solo un paio di volte, la seconda volta, tra l'altro, per gioco, quindi senza particolare impegno derivante da aspettative future)
Beh però si può diventare esperti in test che misurano il QI, ad esempio, a livello teorico e poi non avere la capacità, l'immaginazione o l'intelligenza giusta per applicare le stesse nozioni logico-matematiche a livello pratiche.
No, mi dispiace, non si puo' diventare esperti nel fare questi test. Studi effettuati dimostrano che il QI di una persona rimane piu' o meno uguale nel corso della sua vita. Non si diventa esperti cosi' come non si diventa come Mozart a furia di suonare il pianoforte. Mozart ha composto centinaia di sinfonie a partire da bambino. A una persona normale puoi fargli suonare il piano 10 ore al giorno e non comporra' mai nulla.
Se hai un IQ alto sei capace di imparare a progettare un circuito elettronico, a programmare un microprocessore o a fare i calcoli per mandare in orbita una navetta spaziale. Fidati che e' cosi'.
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QUOTE] Roberto Vacca, ad esempio (ingegnere sistemistico) racconta che la prima volta che fece un test d'intelligenza totalizzò 60. Capiti i meccanismi lo ha rifatto (tutto diverso come domande e prove) totalizzando oltre 100.
R. Vacca scrive libri di filosofia spicciola, gli piace raccontare aneddoti e divertire la gente con le sue storie. Temo che questa sia una delle sue spaccate. 60 e' un punteggio da idiota, da ritardato mentale, e Vacca e' un ingegnere laureato per cui e' impossibile. Gli piace divertire la gente.[/QUOTE]
Pare che i test d'intelligenza presentino il limite della relatività culturale che ne inficia l'attendibilità. Forniscono cioè una misura del rendimento intellettivo più che dell'intelligenza vera e propria, rendimento che è notevolmente influenzato dalla cultura di appartenenza nonchè dalla generazione di appartenenza.V Non so se Roberto Vacca se lo sia inventato o meno, ovviamente, certo è che probabilmente, quando l'ha fatto la prima volta non era così diffuso, mentre oggi sempre più gente ha familiarità con i quiz e i problemini logico-matematici proposti nei test.
Sono certo meglio dei test di intelligenza sviluppati quasi un secolo fa da Binet in Francia e da Terman in USA. Questi mirano a misurare il quoziente di intelligenza [QI], proponendo problemini su numeri (quale: numero mancante va inserito in una serie), parole, configurazioni grafiche. Dovrebbero essere tarati in modo che metà della popolazione stia sotto 100 e metà sopra [da qui la battuta: "Ti rendi conto che metà della popolazione ha un'intelligenza inferiore alla media?"]. In effetti il QI non misura l'intelligenza che è una caratteristica complessa fatta anche di memoria, di abilità logiche e deduttive, di pensiero laterale o astratto, di inventività e spregiudicatezza, etc. Misura solo l'abilità a risolvere quel tipo di problemi. Aver definito il QI in quel modo è stata una sciagura della psicologia. Ha generato malintesi gravi. C'è un'associazione internazionale (MENSA) che accoglie persone con QI superiore a un certo livello (circa 180 - dovrebbe superarlo il 2% della popolazione). Ho conosciuto alcune persone intelligenti che erano state accettate e diedero le dimissioni dopo breve tempo. Non sopportavano di perdere tempo a risolvere quesiti sul peso di ipotetici mattoni o su sequenze insensate di numeri interi. Propugnava con passione i test difficili anche William Shockley, premio Nobel per la fisica (era co-inventore del transistor). Per produrre transistor al silicio fondò un'azienda che ebbe vita misera e breve. Shockley propose anche di fare banche di spermatozoi di Premi Nobel per inseminare donne che partorissero geni. Dimostrò così che credeva all'ereditarietà dell'intelligenza e che anche dopo aver vinto un Premio Nobel, si possono fare proposte insensate e incivili..
Si sa che ci vuole un'intelligenza speciale per produrre programmi di computer grandi e complessi. Questo software non è più prodotto da singole persone, ma da squadre. Formare, dirigere, monitorare una squadra è un lavoro diverso che oltre alle conoscenze informatiche, richiede abilità organizzative, sensibilità, immaginazione. I test che mirano a scegliere supervisori capaci di guidare squadre di softwaristi, quindi, devono misurare inventività, "larghezza di banda", capacità di risolvere problemi, di pensare fuori da schemi tradizionali e di essere leader, invece che seguaci.
Intanto molti parlano dei particolari quiz avanzati e complessi utilizzati. Dozzine di essi sono spiegati nel libro di Poundstone citato. Quindi è sempre più probabile che i candidati li abbiano già sentiti e di certo se ne staranno inventando di nuovi. Ne spiego qui uno e di altri riporto solo l'enunciato lasciando la soluzione al lettore diligente. Li possono meditare i giovani che cercano lavori innovativi.
(*) Secondo Charles Murray e Richard J. Herrnstein* (1930-1994*), autori nel 1994 del libro "The Bell Curve" (libro che scatenò un putiferio negli Stati Uniti; 500.000 le copie vendute), le capacità mentali di un essere umano sarebbero innate all'80 per cento. Altri esperti, come Michael Daniels, Bernie Devlin e Kathryn Roeder, autori verso la fine degli anni '90 del lavoro "Intelligence, Genes and Success", che rianalizza le principali tesi riportate in "The Bell Curve", sono dell'opinione che quella percentuale debba essere ridotta al 48 per cento. (Ognuno dice la sua...)
Fonte: LE SCIENZE DOSSIER, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN, numero 1 - Primavera 1999.
Silverback 11/8/2006, 02:18
Quinzio, litigi o no, un giorno li creeranno degli esseri umani "migliori". Sempre che l'umanità non si estingua prima a causa di una guerra nucleare o di qualche altra catastrofe.
Riguardo alla questione dell'intelligenza, ti posso dire che il discorso è più complesso di quanto si creda, nonostante pure io sia dell'opinione che le capacità mentali sono soprattutto innate (ora, in che percentuale, non è possibile stabilirlo). Per esempio, c'è chi come Horward Gardner, sostiene che all'idea dell'esistenza di un'unica intelligenza definibile in termini di QI è meglio sostituire quella di otto, o forse anche nove, tipi diversi di intelligenza. 1) Linguistica 2) Logico-matematica 3) Musicale 4) Spaziale 5) Cinestetica 6 e 7) Intelligenze personali (*) 8) Naturalistica 9) Esistenziale
In parte mi trovo d'accordo con lui. _________________________________
Howard Gardner Torino, 10-04-1997 "Intelligenze multiple e nuove tecnologie" SOMMARIO:
* Studiando per anni il cervello e i suoi meccanismi Gardner ha scoperto l'esistenza di otto diversi tipi di intelligenze, sei in più rispetto alle due prese in considerazione dai test standard per la valutazione del QI. Le nuove tecnologie sono in perfetta sintonia con queste intelligenze multiple: permettono, infatti, di gestire il materiale di studio secondo punti di vista diversi, quelli suggeriti dalle diverse intelligenze multiple (1). * Dunque le nuove tecnologie digitali sono strumenti molto efficaci per potenziare le eventuali carenze relative ad una delle otto intelligenze multiple. In questo senso esse possono garantire una educazione personalizzata (2). * I bambini dovrebbero imparare ad usare il computer in modo molto naturale, apprendendo, per esempio, dai genitori in casa; l'unico pericolo che si corre è che per i più piccoli, in particolare, il computer diventi un sostituto delle persone. Anche i bambini che inizialmente non si interessano ai computer vi si imbatteranno ugualmente nel coltivare altri interessi (3). * La didattica a distanza è un buono strumento per ottimizzare e stimolare il lavoro degli insegnanti e degli studenti disposti ad assumere un atteggiamento attivo di fronte al loro lavoro (4). * L'affermazione di Clinton secondo la quale ogni scuola dovrebbe essere connessa ad Internet è solo uno slogan politico (5). * Gli insegnanti devono essere molto cauti nell'uso di Internet a scuola e, soprattutto, devono insegnare agli alunni a sviluppare una forte capacità di giudizio rispetto a tutto quello che si può trovare sulla rete (6). * Rispetto all'età in cui i bambini dovrebbero iniziare ad usare il computer non esistono regole precise (7). * I bambini non dovrebbero, però, essere lasciati troppo soli davanti al computer, per evitare che visitino dei siti a loro poco adatti (8). * Una censura troppo rigida rispetto a quello che i bambini possono o non possono vedere in TV o su Internet non è una soluzione che garantisce la salvaguardia della "purezza" dei propri figli (9). * La grande quantità di informazione che si riceve dai nuovi media pone il problema di mantenersi capaci di distinguere quello che si vuole memorizzare e fare proprio, senza restare semplicemente confusi (10). * I bambini che hanno un computer a casa hanno ovviamente maggiori opportunità di quelli che possono usarlo soltanto a scuola. Comunque, la tecnologia non è sempre condizione necessaria al successo di una persona (11).
INTERVISTA:
Domanda 1 Può illustrarci la sua teoria sulla intelligenza multipla, la teoria che lo ha reso famoso in tutto il mondo?
Risposta La gran parte della gente, quando usa la parola intelligenza pensa che ci sia una singola intelligenza con la quale si nasce e che non si può cambiare molto. Si attribuisce un gran valore a quello che si chiama un IQ test, una serie di domande alle quali si risponde bene o meno bene. Io penso che il test del quoziente intellettivo sia una misura ragionevole del rendimento delle persone a scuola, ma esso offre una visione molto ristretta di come sia l'intelletto umano una volta usciti dalla scuola. Nel mio lavoro ho gettato via i test perché penso che essi non possano esaminare l'intero spettro delle capacità umane. Viceversa, ho studiato il cervello e come si è evoluto nel corso di molti, molti anni. Ho anche studiato il tipo di abilità cui si attribuisce valore nelle diverse culture, non solo nella nostra cultura oggi, ma nella nostra cultura storicamente, e nelle culture di tutto il mondo. Come risultato di questo studio di molti anni ho definito almeno otto intelligenze diverse. La definizione standard di intelligenza ed il test standard guardano a due intelligenze: quella linguistica e quella logica, che sono molto importanti a scuola. Ma io sostengo che ci sono almeno altre sei intelligenze, incluse quella musicale, quella spaziale - che consiste nell'abilità di valutare gli ampi spazi allo stesso modo del pilota o di un navigatore, o gli spazi locali, come farebbero uno scultore, un architetto o un giocatore di scacchi -; l'intelligenza cinestetica corporea, che è l'intelligenza del ballerino, dell'atleta, dell'artigiano, dell'attore; due tipi di intelligenza personale, che consiste nella comprensione delle altre persone, come esse lavorano, come motivarle, come andare d'accordo con loro; l'intelligenza interpersonale, che consiste nella comprensione di se stessi, di chi si è, di cosa si cerca di raggiungere, di quello che si può fare per avere maggiore successo nella propria vita. Recentemente ho aggiunto una nuova intelligenza chiamata "intelligenza naturalistica", che consiste nella capacità di riconoscere diversi oggetti nella natura: esseri viventi, piante, animali, e anche altre cose in natura come le rocce, o nuvole o tipi diversi di tempo. Ora, tutti noi siamo dotati di queste diverse intelligenze. Infatti, qualcuno potrebbe dire che sto definendo gli esseri umani non nel modo in cui fece Socrate, come animali razionali, ma come animali dotati di linguaggio, di logica e così via. In ogni caso, mentre tutti noi possediamo queste intelligenze, non esistono due persone che abbiano esattamente la stessa combinazione di intelligenze. Qualcuno è più forte nell'intelligenza linguistica, qualcuno in quella spaziale. Anche il modo in cui combiniamo le intelligenze o non le combiniamo è differente fra le persone, e qui entrano in gioco le implicazioni educazionali. Perché o noi possiamo trattare tutti come se fossero uguali, il che semplicemente indirizza un tipo di intelligenza, o possiamo cercare di capire le intelligenze dei bambini e personalizzare, individualizzare l'educazione il più possibile. Il mio pensiero è che anche se si vuole che ognuno impari lo stesso materiale; si può insegnarlo in molti modi, e si può anche stimare o valutare in molti modi ciò che lo studente sta imparando. E' qui che viene fuori il ruolo della tecnologia, nell'individuazione del curriculum, dei materiali, degli argomenti per gli studenti, e nel dare loro molti modi di studiare e molti modi di padroneggiare il materiale.
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Domanda 2 Dunque qual è il ruolo delle nuove tecnologie nella teoria delle intelligenze multiple?
Risposta Ogni intelligenza tradizionalmente è utilizzata da diverse tecnologie. Un'intelligenza linguistica dalla semplice tecnica della penna, del libro, del microfono; l'intelligenza logica e matematica dalla tecnologia del pallottoliere, della calcolatrice oppure dal computer; l'intelligenza musicale con gli strumenti, i sintetizzatori e così via. Avendo degli esseri umani ed una intelligenza, si sviluppa una tecnologia da dirigere con quella intelligenza. Ma penso che ciò che la gente vuole sapere è la relazione fra l'intelligenza e le nuove tecnologie. E' molto importante capire che la tecnologia è solo uno strumento, niente di meno e niente di più. Ho una penna qui. Essa è uno strumento. Posso usare la penna per scrivere un sonetto, come Shakespare o Dante. Posso anche usare la penna per cavare un occhio a qualcuno. E' solo uno strumento. E i computer possono essere usati per manipolare le persone o per liberarle, i computer possono essere usati per insegnare alla gente nello stesso noioso modo rigoroso in cui si è insegnato per moltissimi anni, o possono essere usati per insegnare in modi molto nuovi. Ovviamente, mi piacerebbe che le tecnologie venissero usate nei modi che liberano gli individui, che consentissero loro un maggiore accesso alle cose rispetto al passato. Lasci che usi me stesso come esempio. Io possiedo una intelligenza musicale piuttosto forte, ma non una particolare intelligenza spaziale. Quando ero a scuola mi venne chiesto di cercare di immaginare una figura in tre dimensioni e come essa veniva trasformata. Era un'operazione molto difficile da fare nella mia testa. Ora io posso creare una immagine sullo schermo del computer e girarla tutto intorno, realizzando, in questo modo, davanti a me, quello che dovevo fare nella mia testa. Poiché sono migliore nella intelligenza musicale, se ascolto una fuga, per esempio, con un tema, posso sentire nel modo in cui il tema viene trasformato o preso da un'altra voce. Posso farlo con le mie orecchie. Ma se non fossi stato in grado di farlo con le mie orecchie, avrei potuto prendere un registratore, registrare la fuga, separare le voci, seguirne una da una parte all'altra del pezzo; e di nuovo la tecnologia mi avrebbe aiutato a fare quello che non sono in grado di fare nella mia testa. Dalla mia prospettiva, la più grande promessa della tecnologia è quella di individualizzare l'educazione. Se un insegnante ha 30 o 40 studenti e non ha a disposizione alcuna tecnologia, non ha molta scelta: lui o lei deve leggere o dare a tutti lo stesso compito. Ma se, per esempio, un insegnante ha 30 o 40 studenti, ma ciascuno studente possiede il proprio computer con il CD ROM o il video disk player, allora, l'insegnante può insegnare le frazioni in un modo ad uno studente e in un altro modo ad un altro studente, e può altresì offrire allo studente vari modi di mostrare ciò che capisce. Così la tecnologia mantiene la promessa di personalizzare ed individualizzare l'educazione molto più che nel passato. Perché questo è importante? Tradizionalmente, l'educazione è stata un segno di selezione. A chi pensa in un certo modo, a chi può passare per la cruna di un ago, per usare una metafora, noi daremo un riconoscimento, e tutti gli altri saranno messi da parte perché non sono in grado di fare le cose in quel modo. Se noi individualizziamo o personalizziamo l'educazione, invece di avere un test che ciascuno deve superare, possiamo avere dei test appropriati per ciascuno in considerazione della sua intelligenza. Questo significa che ognuno può essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità, e non si forzeranno tutti ad essere come un certo prototipo, e se non si può essere come quel prototipo allora non si ha alcuna opportunità.
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Domanda 3 Come possono, le tecnologie, essere importanti per lo sviluppo della intelligenza?
Risposta Attualmente ogni bambino dovrebbe essere avviato alla conoscenza dei computer con la maggiore naturalezza possibile. Se i genitori e gli insegnanti usano i computer quasi ogni bambino li userà naturalmente. Infatti, molti di noi che hanno una certa età ed hanno dei bambini, hanno i bambini che insegnano loro il computer e non viceversa. Dunque, i computer non sono un problema per i bambini. E' importante che il computer sia introdotto in modo naturale. Ciò che noi non vogliamo sono i computer che sostituiscono gli esseri umani. Quello che un computer dovrebbe fare è consentire agli esseri umani di fare il tipo di cose che un computer non può fare: un computer non può abbracciare, bisogna sempre essere in grado di abbracciare il proprio figlio. Questo è un ruolo molto importante per l'essere umano. Immaginiamo di avere un figlio che non sia interessato ai computer. Non mi preoccuperei della cosa, a meno che il bambino non sia interessato neanche ad altre cose. Se il bambino non dovesse trovare interesse in nessuna cosa, penserei all'esistenza di un problema. Ma se un bambino si interessa di qualche cosa, ai giorni nostri, prima o poi si interesserà ai computer, perché ogni cosa della nostra vita è contagiata dai computer. Se un bambino si interessa agli strumenti musicali e non ad un computer, un giorno vorrà comporre al computer o comporre musica elettronica o ascoltare la musica su un CD ROM; solo allora si interesserà alla tecnologia.
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Domanda 4 Qual è la sua opinione in merito alla tele-educazione? Crede che essa sostituirà l'insegnante classico oppure si tratta solo di un altro modo di insegnare?
Risposta Si possono usare tecnologie remote per aiutare ad insegnare, certamente lo si deve fare. Non c'è ragione per cui dovrei ripetere la stessa lettura venti volte se si può fare con una video-conferenza o se può essere inserita in un CD ROM. Comunque, come nel caso dei bambini, ci sono diverse funzioni che i computer non possono svolgere bene con gli studenti. I computer non possono introdurre gli studenti nel mondo del lavoro, non possono fornire valutazioni personali del lavoro degli studenti, almeno non attualmente. Dunque, io, come insegnante uso la tecnologia allo scopo di liberarmi per svolgere delle operazioni che la tecnologia del computer non è in grado di fare. Gli insegnanti che svolgono la solita noiosa lezione saranno presto rimpiazzati da lezioni più interessanti mandate da Roma, da Londra o da Tokyo. In questo modo lo stimolo per gli insegnanti sarà quello di sviluppare delle abilità che il computer non è in grado di fornire. Io sono un insegnante e credo che l'aspetto più importante dell'apprendimento, per gli studenti, consista nell'osservarmi mentre lavoro: vedere come mi relaziono con gli ospiti, osservare come indago su un problema di ricerca, come io guardo un dato e gli do un senso. Questi sono elementi dell'insegnamento che mancano alla tecnologia, anche se alcuni di essi potrebbero probabilmente essere simulati. Allo stesso modo penso che la tecnologia sarà un problema per lo studente pigro, perché ogni risposta che il computer può dare, noi non abbiamo bisogno di averla dallo studente. Dunque, egli dovrà avere più immaginazione, più creatività, dovrà, in sostanza, andare un po' più in là. Insomma, penso che il computer ci stimoli ad essere attivi.
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Domanda 5 Il Presidente Clinton ha detto che tutte le scuole devono collegarsi entro il Duemila. A Suo avviso questo provvedimento è sufficiente per una buona preparazione delle generazioni future? Se non lo è, di cosa abbiamo bisogno?
Risposta Penso sia uno slogan politico. Non gli costa nulla dire questo. Se lei chiedesse a me se preferirei avere tutte le scuole collegate ad Internet o se preferirei che ci fossero buoni insegnanti ed una libreria, io sceglierei dei buoni insegnanti e la libreria. Tuttavia, il suo punto di vista è appropriato. Viviamo in un'era tecnologica, e la gente ha bisogno di avere contatti con luoghi lontani via Internet; quindi non polemizzerei con quello che dice, poiché si tratta di un'affermazione politica che non ha molta sostanza.
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Domanda 6 Quindi, il problema consiste nella creazione di una disponibilità di informazioni per gli stessi insegnanti, perché altrimenti avremo degli insegnanti che non hanno alcuna competenza nel settore tecnologico.
Risposta Non è solo una questione di insegnanti che sappiano come entrare - questo è facile da fare - o come mostrare il modo di entrare nel Web mondiale. Il problema più importante è nella qualità di informazioni contenute in Internet. Questo problema richiede un giudizio da parte di qualcuno per sapere cosa ignorare, a cosa fare attenzione. Il problema del giudizio è di più difficile risoluzione rispetto alla conoscenza necessaria per accedere ad Internet. Bisogna aiutare a distinguere. Io dico sempre che l'informazione non è la stessa cosa della conoscenza, che la conoscenza non è la stessa cosa del giudizio, e il giudizio non è la stessa cosa della saggezza. Sono necessarie delle persone sagge, Internet non aiuta a divenire saggi. Può anche far diventare matti se si crede ad ogni cosa contenuta in esso. Ma certamente si può dire la stessa cosa dei libri: esistono moltissimi libri pieni di cose senza senso. Penso che la differenza stia nel fatto che per essere in grado di pubblicare un libro sia necessaria una certa cifra. Invece, ognuno è in grado di mettere qualsiasi cosa nel Web mondiale, e per questa ragione i pericoli disponibili sono maggiori, e, di conseguenza, si deve essere dei migliori scopritori di pericoli.
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Domanda 7 In base alla sua esperienza, qual è l'età migliore per un bambino per cominciare ad usare il computer?
Risposta Penso che la maggior parte dei bambini che possiedono un computer comincerebbero ad interessarsi ad esso non appena fossero abili a muovere un mouse. Ma, ancora, non mi preoccuperei se un bambino non lo facesse. Così come trova interessanti altre cose, prima o poi il bambino troverà interessante anche il computer. Molti genitori si preoccupano enormemente se il loro bambino di tre, quattro, cinque o sei anni non è un esperto di computer. Penso sia folle preoccuparsi. Mi preoccuperei molto di più se non avesse voglia di uscire, di giocare con altri bambini o di arrampicarsi sugli alberi, o di andare sull'altalena, o se non volesse andare allo zoo oppure osservare quando si cucina. La ragione per la quale è folle preoccuparsi è che ogni pochi anni i computer cambiano totalmente, in ogni caso. Dieci anni fa si diceva che bisognava insegnare ai bambini come programmare. Ora nessuno lo dice più. Dunque, i genitori dovrebbero usare il loro giudizio e non agitarsi solo perché il loro bambino non passa tutto il suo tempo con il mouse.
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Domanda 8 Ma Internet può dare dei problemi. C'è un'età in cui si può usare Internet senza rischi ed esiste un modo per navigare in Internet senza correre pericoli?
Risposta Io penso che sia importante per i genitori non limitarsi a mettere il bambino in una stanza dove si trova il computer e lasciarlo da solo. E, naturalmente, una volta che il bambino può leggere i libri, probabilmente non si vuole che legga qualsiasi cosa per il solo fatto che è in grado di farlo. A mio avviso Internet è, in qualche modo, più affascinante. I bambini sono più propensi a lavorare insieme su Internet, piuttosto che leggere insieme. Ma ogni volta che ci sono stati dei genitori ed un Giardino dell'Eden, c'erano dei pericoli in giro, e i genitori che lasciavano i bambini completamente affidati a se stessi avevano dei bambini che si cacciavano nei guai. I genitori che non solo si occupavano dei bambini, ma che dimostravano di avere dei modelli nella loro vita, avevano molto meno di cui preoccuparsi. Io penso che i figli abbiano sempre dei segreti per i loro genitori, e, probabilmente, così come un buon genitore non dovrebbe dare per certo che suo figlio non fumi o non faccia uso di droghe, allo stesso modo, un buon genitore non dovrebbe affermare che suo figlio senz'altro non è su una chat room illecita. Penso che si debba mantenere uno stretto contatto con i bambini. Ma gli argomenti tabù non sono una novità. In America noi segnaliamo i programmi a rischio per i bambini. Ma si è scoperto che non appena i bambini imparano questa cosa vogliono vedere proprio quei programmi che non dovrebbero. Dunque, limitarsi a segnalare quei programmi non risolve il problema.
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Domanda 9 Dunque, a Suo avviso, è giusto o no il controllo dei genitori sui programmi e la censura su Internet? Si dovrebbe mettere un lock sui programmi che un bambino non dovrebbe vedere?
Risposta Io, certamente, credo nel controllo da parte dei genitori. Ma probabilmente non sarà possibile rendere inaccessibili tutti i siti. Ogni giorno la gente inserisce nuovi contenuti sul net, e si dovrebbe dipendere, in qualche misura, dal giudizio delle persone che producono questi sistemi, e si deve dipendere dalla misura del buon senso dei figli rispetto alle cose dalle quali stare lontani. Ciò significa che il proprio sistema di valori è molto importante. Io so che non sono capace di aver nulla a che fare con alcun tipo di violenza nel media. Trovo che mi fa stare male, ma non posso impedire che i miei figli, che sono interessati alla violenza, la guardino. Ma credo che essi vedano che io provo ripugnanza per queste cose, che le trovo ripugnanti, e penso che il mio atteggiamento produca un effetto su di loro. Bisogna avere abbastanza fiducia nei propri figli, nel fatto che non verranno distrutti solo perché vedono una cosa volgare su Internet. Dopo tutto, qualcuno potrebbe essere ucciso proprio nella casa vicina. Non si può impedire questo tipo di cose. Bisogna occuparsene, quando avvengono, aiutare i bambini a capirle. Se un bambino fa una cosa sbagliata, bisogna dirglielo e poi andare avanti, senza fare un caso di quello che è avvenuto.
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Domanda 10 L'informazione oggi cammina molto più in fretta che nel passato. A causa dei media noi riceviamo molti più input dei nostri padri. Come può tale velocità influire sulla nostra intelligenza?
Risposta Non è molto noto, ma il quoziente intellettivo è salito costantemente in questo secolo. Sale di qualche punto ogni dieci anni; negli ultimi quarant'anni il quoziente intellettivo della gente in tutto il mondo è passato da 10 a 15 punti. E' piuttosto interessante. E penso che la spiegazione stia nel fatto che un numero maggiore di persone vanno a scuola, e la scuola rende più brillanti. Una maggiore esposizione delle persone a più informazioni per un periodo più lungo della loro vita, non solo a scuola, influisce sull'intelligenza. Ma molto dipende dalla qualità dell'informazione su Internet. Più televisione si vede, più ci si deprime, più ci si stanca, perché la gran parte del materiale televisivo è terribile. Se il materiale televisivo fosse buono come questo programma, allora la gente diventerebbe più intelligente anche guardando la televisione per tutto il tempo. Dunque, similmente, sono sia la qualità del materiale di Internet che l'uso che se ne fa ad influire sulle capacità intellettive delle persone. Penso che questa sia la chiave. Si possono leggere tutti i giornali del mondo e finire per essere confusi, perché il giornale palestinese dice cose diverse da quello israeliano, e il giornale giapponese dice cose diverse da quello italiano. Quindi, è necessario decidere quello a cui si presta attenzione e perché, cosa far diventare parte della propria mente e cosa respingere. E credo che Internet creerà una grande responsabilità nelle persone per ciò che riguarda questo tipo di giudizio. Inoltre, è ovvio che con la velocità attraverso cui le cose al mondo cambiano e con il flusso continuo di informazioni, le persone dovranno continuare ad imparare in un modo molto più sistematico, altrimenti non saranno neppure in grado di parlare e di trattare con i loro vicini. Dunque, quando si parla di società educata o di una società per l'educazione, non si usa solo uno slogan , si descrive un mondo che non credo cambierà nel tempo della nostra vita. Tutte le gratificazioni, nel futuro, saranno per le persone che capiscono quanto sia importante sapere come imparare. Sapere come usare le nuove tecnologie è essenziale, sapere come distinguere fra il buono e il cattivo è importante, così sapere cosa tenere e cosa buttar via. E poi, forse, la parte più difficile è avere una visione periferica, che vuol dire, di tutte le cose del mondo - che si tratti di tecnologia o di altro - quali tipi di cose sembrano puntare al futuro e quali puntano al passato. Questo non vuol dire che la tradizione sia negativa. Infatti, io credo molto nella tradizione e non penso che le cose nuove significhino che dovremmo eliminare la tradizione. Comunque, parlando di qualche cosa come la Chiesa Cattolica, che è una istituzione molto tradizionalista, se la Chiesa Cattolica fosse ignorante sul Web, sarebbe un disastro per la chiesa. Dunque, bisogna conoscere i nuovi media e le nuove tecnologie, ma esse non possono dire quali dovrebbero essere le convinzioni essenziali e i valori delle persone.
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Domanda 11 Il bambino ricco utilizzerà Internet ed altre nuove tecnologie e il bambino povero no. Svilupperanno intelligenze differenti o avranno le stesse chance?
Risposta Io credo che la ragione per cui il Presidente Clinton insista affinché ogni scuola abbia Internet è perché egli sa che altrimenti i bambini che lo hanno a casa avranno un vantaggio rispetto a quelli che lo hanno a scuola. E' chiaro che quando un nuovo strumento viene inventato, che sia una matita, un'automobile o un computer, le persone che hanno a disposizione quello strumento sono avvantaggiate rispetto a quelle che non possono averlo. Questo non vuol dire che se non si è in grado di scrivere non si può ottenere nulla, nel mondo. Conosco persone ignoranti che hanno successo. Si può essere incapaci di usare le nuove tecnologie, ma essere ugualmente in grado di costruirsi un successo personale. Nella maggior parte dei casi, ovviamente, è bene sapere come usare una penna, come guidare una macchina e come usare un computer. E chiunque dicesse che non è importante, mi piacerebbe vederlo tenere il computer lontano dai suoi figli. Sono sicuro che non lo farebbe, perché il computer è chiaramente una parte importante della nostra vita da questo momento in poi.
Qualche giorno fa ho letto una notizia che mi ha fatto rizzare i capelli in testa: i tifosi MASCHI dello Zenit San Pietroburgo non vogliono più che le donne abbiano accesso allo stadio.
Ho riletto la pagina più volte, non poteva essere vero... E cercando qua e là su Internet mi sono accorta che non solo la notizia è purtroppo vera, ma che addirittura sembra che il club russo sia disposto ad assecondare questa richiesta da parte dei suoi sostenitori.
Quali motivazioni si celano dietro questa proposta assurda anche senza una giustificazione? Le ragioni sono principalmente due: le ragazze più giovani sono un motivo di distrazione dalla partita, mentre il gentil sesso più in generale, senza distinzioni di età o avvenenza, funziona da deterrente. Deterrente per che cosa?
Tenetevi bene alla sedia, perché potreste tonfare a terra per lo shock: i tifosi uomini, se ci sono donne sugli spalti, non possono saltare, urlare ma soprattutto insultarsi liberamente!!!
Se c'è una donna in giro l'insulto è meno spontaneo: come fai a dare del figlio di vicino a una che magari i figli li ha davvero, non fa quel mestiere e potrebbe anche prenderla mare? Insomma, più che un deterrente siamo diventate un freno inibitore.
Molto meglio insultatori, bestemmiatori, violenti, molesti, purché non abbiano alcun controllo. E siano liberi di lasciarsi andare a qualsiasi turpiloquio: visto che a parlare di calcio civilmente non sono capaci
A questo punto mi vengono spontanee alcune considerazioni che vorrei condividere con voi.
1) Una bella ragazza si siede in tribuna? Sicuramente non è colpa sua se è nata con un dono della natura e non si può certo ghettizzarla solo per il suo aspetto fisico. In compenso in tribuna ci sono tanti uomini orrendi. Ma proprio tanti, sudati, urlanti, con l'ascella pesante e l'alito fetido. Una ragazza in un contesto del genere possiamo garantire che non si nota neppure.
2) Ti fai distrarre dalla sua bellezza? Forse vuol dire che il tuo interesse non è totalmente rivolto alla tua squadra e che non sei abbastanza concentrato. Mi verrebbe proprio da dire che non sei un vero tifoso. Ma potresti essere un buon cliente per un locale di lap dance...
3) Ti senti inibito e non puoi comportarti come ti piacerebbe? Magari certi comportamenti sono più consoni allo zoo che a uno stadio. Pensa: se ti mettono in gabbia e ti lasci andare davvero qualcuno potrebbe anche pagare un biglietto e tireresti su qualche soldo.
Vorrei soffermarmi proprio sul terzo punto, perché i primi due rappresentano qualcosa che fa sorridere e che mette in luce quanto possano a volte essere infantili certi esseri umani.
Ma quella del comportamento negli stadi è una cosa grave. Cerchiamo di capirci: in un momento in cui si cerca di riformare il calcio per renderlo meno pericoloso e più civile, c'è chi si lamenta perché con le donne accanto non può fare lo scalmanato. Questo è fuori da ogni logica ed è anche preoccupante: magari a qualche rappresentante di quello che alcuni uomini considerano ancora il "sesso debole" è necessario spiegare più volte la regola del fuorigioco prima che la faccia sua, ma sulle norme comportamentali credo che certi uomini debbano proprio imparare da noi. Tifare non significa necessariamente scannarsi e tirare fuori il peggio di sé: tifare può voler dire partecipare ai cori che sostengono la squadra (e non quelli contro quella avversaria, che da molte di noi sono decisamente visti come un atto di antisportività), mostrare orgogliose la propria sciarpa e esultare se i propri beniamini segnano, senza gestacci ai sostenitori opposti, ma con tanta gioia per il proprio risultato.
Non c'è bisogno di diventare degli animali, devastare seggiolini, sputare sulla testa degli spettatori dell'anello sottostante, urlare frasi irripetibili, entrare allo stadio armati per dimostrare che la propria squadra è migliore dell'altra. Probabilmente, se in ogni stadio ci fossero un po' più donne - invece di vietare definitivamente loro l'ingresso - gli incontri sarebbero più educati, più godibili e meno pericolosi.
D'altro canto possiamo anche allargare il concetto: vietiamo lo stadio alle donne, e poi anche ai bambini; immediatamente dopo agli ultrasessantenni e subito in successione stop a laureati e persone che parlano più di una lingua correttamente.
Non so che razza di tifosi abbia lo Zenit San Pietroburgo; ma vedo quelli di casa nostra. Non sono molto migliori: a volte mi fanno vergognare della mia squadra. Forse è davvero il caso di pensarci: se non ricordo male i tifosi dello Zenit furono gli stessi che furono definiti i più razzisti d'Europa dopo gli ululati scimmieschi a un giocatore del Marsiglia ribaditi qualche mese dopo a un giocatore di colore dello Spartak Mosca. E sempre se non ricordo male, lo Zenit è la stessa squadra che non ha mai tesserato un brasiliano, o africano, o comunque un giocatore di colore: "E' meglio di no - aveva detto il tecnico Advocaat - i nostri tifosi non capirebbero".
Razzisti, ignoranti e maschilisti: bell'esempio da proteggere....
Guit3/3/2009, 14:37
Quando non possono mettere le bandierine in ogni territorio maschile fanno la schiuma dalla bocca. Quando non possono controllare tutto, iniziano subito a insultarci.
«Questo 8 marzo dovrà essere una giornata di memoria e di lotta», l'ho sentito ieri alla radio. Non un'emittente zapatista del Chiapas, ero su Radio 24; la conduttrice e le sue ospiti, parlamentari Pdl e Pd, concordavano. Non pare una stranezza o un momentaneo impazzimento sovversivo. È la festa delle donne 2009, niente sembra più al sicuro, e tante femmine — soprattutto le femmine — non si sentono tanto bene. Ovvio, non sono più tempi da suffragette, roba di secoli fa. Né di quote rosa, la cooptazione di donne variamente selezionate dai nostri maschi politici continua a suscitare stupore bipartisan. E nemmeno da manifestazioni femministe anni Settanta, col cavolo che ci rimettiamo gli zoccoli. Non è neanche più tempo di postfemminismo colto e autoreferenziale, di riflessioni sullo «specifico femminile»; sono un lusso da società paritaria, e l'Italia non lo è.
E forse, a decenni di distanza, c'è di nuovo bisogno del buon vecchio femminismo emancipazionista. Perché non siamo davvero emancipate; né sul lavoro, né in famiglia, né per strada, né quando veniamo bombardate di spot e programmi tv con decerebrate svestite; né quando (orrore) pensiamo che il nostro corpo sia (parrebbe logico) nostro. Anche se le italiane lo tengono ben allenato. Il 77 per cento del lavoro domestico è a carico loro. Con un lavoro esterno la fatica è doppia. Avendone ancora uno: le cassintegrate aumentano, le precarie se va bene restano precarie, le lavoratrici di mezza età sono le prime a venir fatte fuori. Siamo penultimi nella Ue per occupazione femminile, probabilmente manterremo il primato.
E perfino le iper-occupate iper-abbienti vengono maltrattate se dicono cose realistiche: vedi la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Quando ha parlato di foschi scenari economici — poi confermati per difetto — il ministro Scajola l'ha attaccata parlando di «corvi». «Corve» non suonava bene, almeno quello. E poi non ce ne sono tante, di corve, la differenza retributiva tra uomini e donne resta del 23 per cento. D'altra parte, si sa, hanno la testa altrove, devono curare la casa e i cari. Sennò pagano donne straniere per farlo; di collaborazione maschile non si parla. Però. Approfittando dello stato attuale dei maschi si potrebbe trovare una via d'uscita emancipazionista e trasversale (non è necessario essere di sinistra, oggi, per essere imbufalite).
Il sistema italico ha prodotto uomini disastrati, tronfi ma inetti, egomaniaci e poi pavidi, viziati quindi fragili. E tiene in quarantena una minoranza di massa di donne formidabili; spesso occupate a tenere insieme contratti a termine-compagni insipienti-figli da accompagnare-lavatrici. Intanto — è una novità, ancora minima, ma succede — questo 8 marzo per la prima volta da anni è stato ricco di microincontri, discussioni in rete, creazione di network femminili. Qualcosa ne nascerà forse, anzi si spera. Anzi, per favore, sorelle, imponetevi ovunque, lavorate bene e fate meno lavatrici (le italiane fanno più lavatrici di chiunque al mondo, ora basta, infischiatevene delle lavatrici).
La scelta di 200 moscovite: “Ma lo facciamo solo in questo giorno” GIORDANO STABILE
MOSCA Uno scrittore russo, o forse francese, ha detto che una donna con un amante è un angelo, una donna con due amanti un mostro, una donna con tre amanti una donna. Noi non siamo angeli, ma non vogliamo neanche essere mostri». Veronica è una delle duecento moscovite che fanno parte del più originale club femminile dedicato all’Otto marzo. Tutte sono sposate e tutte hanno superato, o presto supereranno, quota tre amanti. Ma non lo fanno né per denaro, né per vanità. Tradiscono per dispetto. Ed esclusivamente l’8 marzo. «È la festa più ipocrita dell’anno - continua Veronika -. L’unico giorno in cui gli uomini sono gentili, non si ubriacano, non si sfondano di cibo e ti regalano persino un mazzo di fiori. A noi tutto questo fa rabbia». E allora, quattro anni fa, è nato il Club dell’8 marzo di Mosca. «Quel giorno mio marito mi annunciò che saremmo andati da mia suocera - racconta Elena, una delle fondatrici -. Ero disperata. Abbiamo litigato. Mio marito è andato via furioso. Mi chiama un’amica e mi dice che c’è un suo collega a Mosca per il ponte, carino e solo soletto. Sono andata con lui e tutto mi è passato. Penso di aver salvato così il matrimonio». Elena e la sua amica hanno allora deciso di estendere ad altre amiche quella forma di tradimento taumaturgica. Ed è nato il club. Il regolamento è semplice. Si può consultare la lista degli uomini disponibili, amici, amici di amici, ex fidanzati. In linea di massima vengono osservati due soli criteri di scelta: l’età e la statura. La regola principe è che l’incontro può avvenire una sola volta e una volta sola con quel determinato uomo. Se il prossimo 8 marzo si vorrà tradire nuovamente il proprio marito, lo si dovrà fare con un uomo diverso. «È tutto molto informale e flessibile - spiega Elena -. Non abbiamo una sede, non ci sono noiose riunioni. Ci vediamo una volta all’anno, all’inizio della primavera, ci scambiamo i numeri di telefono più interessanti, un po’ di informazioni e via». Unica formalità burocratica, i contatti vengono registrati, e si fa in modo di evitare che una stessa coppia si incontri di nuovo. Insomma, quello moscovita è un club «di prime mogli» che non vogliono distruggere i loro mariti fedifraghi come nel film di Hugh Wilson, ma vendicarsi in silenzio, senza mandare in pezzi il matrimonio. «Queste donne sono le migliori perché tradiscono i mariti di rado, ma lo fanno molto meglio», osserva Artiom, uno degli uomini nella lista del club, sposato pure lui. «La cosa bella è questo incontro è il primo e l’ultimo, così si evita il pericolo di una delusione di un possibile rapporto prolungato - spiega invece Margarita al quotidiano Moskovski Komsomoliets, che ha messo in prima pagina la storia del club e delle sue donne disilluse ma non ciniche -. Non bisogna fidarsi una dell’altro. È l’unica difesa contro il tradimento istituzionale degli uomini. Il nostro obiettivo non è distruggere la famiglia. Una volta all’anno mi basta». Tutti gli altri giorni, precisa, «sono una moglie ideale, dolce e comprensiva». Nel giro di quattro anni il club, da piccola carboneria, ha assunto però quasi dimensioni industriali. Quest’anno c’è stato un vero boom di richieste. Forse è il clima quasi primaverile, con ben due gradi sopra lo zero e poche nubi. O forse è la crisi economica. «È meglio divertirsi con un regalo che non costa un solo copeco - conferma Valya, una neofita del club -. Né a noi stesse né ai nostri mariti». Un festa tradizionale costerebbe certo molto di più. In Russia l’otto marzo è una sorta di San Valentino all’ennesima potenza. Non si lavora, anche se cade di domenica si fa un ponte di due o tre giorni, la macchina consumistica dei regalini, regaloni, viaggetti romantici, weekend sotto l’ultima neve gira a pieno regime. Le istituzioni si sprecano nell’esaltazione del genio femminile, tutti gli uffici sono ricolmi di fiori, a casa gli uomini lavano i piatti almeno per una volta. «Ma alla fine il mio finisce sotto il tavolo ubriaco - continua Valya -. E il giorno dopo non è già più l’otto marzo e la montagna di vettovaglie la devo lavare io. Meglio dirgli che vado a teatro con le amiche. Lui è contento che non deve portarmi fuori. E io per una volta sperimento l’estasi del tradimento». Effimera ma fonte di equilibrio matrimoniale, a sentire le donne del Club dell’otto marzo.
ilmarmocchio8/3/2009, 11:38
Sulla faccenda russa non mi esprimo, ma mi sembra una delle solite stronzate inventate. per le parlamentari che si lamentano per le donne oggetto in TV, 2 cose : 1)la Carfagna, con la storia della donnadesnuda, e' finita al GOVERNO 2) dalle decerebrate della TV le prime che ci vanno sono le parlamentaresse , magari per mostrare le gambe ( ovviamente non la Bindi o la Turco che fanno oibo' )
silverback8/3/2009, 11:53
Sulla faccenda russa non mi esprimo, ma mi sembra una delle solite stronzate inventate.
Ho riportato quell'articolo solo per evidenziare questa frase:
Ma non lo fanno né per denaro, né per vanità. Tradiscono per dispetto. Ed esclusivamente l’8 marzo. «È la festa più ipocrita dell’anno - continua Veronika -. L’unico giorno in cui gli uomini sono gentili, non si ubriacano, non si sfondano di cibo e ti regalano persino un mazzo di fiori. A noi tutto questo fa rabbia».
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Evilclown8/3/2009, 17:42
Eppure tra i due articoli ho trovato peggiore quello della rodotà,nella vicenda russa seppur trasgressiva non leggo un odio e un astio di genere diffuso a parte quelle due righe riportate da silverback.
Mercoledì, 27 Agosto 2008 Sulla stupidità degli uomini
Mi dispiace ammeterlo, perché odio le generalizzazioni, ma l’ esperienza mi fa imbattere sempre in individui che confermano la mia ipotesi: gli uomini sono estremamente stupidi. Sarà perché ho conosciuto sempre la stessa tipologia, o forse perché mi aspetto molto di più di quello che obiettivamente qualsiasi individuo è disposto ad essere o a sapere, ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente. Sono tronfi e permalosi, pensano di essere sempre dalla parte della ragione, i più bravi, i più forti, i più intelligenti; si offendono per un nonnulla ma sopratutto pensano che sia loro tutto lecito, mentre quello che fai tu, quello che dici tu, femmina, è sempre una conquista, e anche se ci riesci vale meno. E questo sia nel lavoro che nei rapporti interpersonali. Sono stupidi perché non si rendono conto quanto è facile abbindolarli; basta fargli due moine e un piatto di pasta e si sciolgono come ghiaccioli al sole. Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino. Sono rigidi mentalmente; incapaci di modificare i propri assetti e le proprie abitudini, egocentrici ed egoisti impostano tutta la loro esistenza per dimostrare la loro sedicente superiorità. Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato. E questo a tutte le latitudini e longitudine. I mussulmani hanno dalla loro anche la religione che manifestatamente li appoggia. Ma anche qui da noi le cose non sono troppo diverse: c’è una legge non scritta che ammette come lecite certe cose e condizioni accettabili per l’uomo e non per la donna e ultimamente le cose sono assai peggiorate, visto l’invito del nostro Cavaliere nazionale a non lavorare e a trovarci marito…
Evilclown8/3/2009, 23:13
Non sarebbe una cattiva prospettiva se l'autrice di questo pezzo,rimanesse SOLA per il resto della sua vita emarginata dagli uomini che ritiene stupidi.Mi domando quale uomo possa sentirsi gratificato dal frequentare una simile tizia, piena di livore e astio......Io non la vorrei neanche come sfogatoio sessuale altro che pasta e moine :angry:
Mercoledì, 27 Agosto 2008 Sulla stupidità degli uomini
Mi dispiace ammeterlo, perché odio le generalizzazioni, ma l’ esperienza mi fa imbattere sempre in individui che confermano la mia ipotesi: gli uomini sono estremamente stupidi. Sarà perché ho conosciuto sempre la stessa tipologia, o forse perché mi aspetto molto di più di quello che obiettivamente qualsiasi individuo è disposto ad essere o a sapere, ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente. Sono tronfi e permalosi, pensano di essere sempre dalla parte della ragione, i più bravi, i più forti, i più intelligenti; si offendono per un nonnulla ma sopratutto pensano che sia loro tutto lecito, mentre quello che fai tu, quello che dici tu, femmina, è sempre una conquista, e anche se ci riesci vale meno. E questo sia nel lavoro che nei rapporti interpersonali. Sono stupidi perché non si rendono conto quanto è facile abbindolarli; basta fargli due moine e un piatto di pasta e si sciolgono come ghiaccioli al sole. Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino. Sono rigidi mentalmente; incapaci di modificare i propri assetti e le proprie abitudini, egocentrici ed egoisti impostano tutta la loro esistenza per dimostrare la loro sedicente superiorità. Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato. E questo a tutte le latitudini e longitudine. I mussulmani hanno dalla loro anche la religione che manifestatamente li appoggia. Ma anche qui da noi le cose non sono troppo diverse: c’è una legge non scritta che ammette come lecite certe cose e condizioni accettabili per l’uomo e non per la donna e ultimamente le cose sono assai peggiorate, visto l’invito del nostro Cavaliere nazionale a non lavorare e a trovarci marito…
A me sembra molto stupida lei. mi sembra di leggere una bambina di dodici anni, intabulata da slogan e luoghi comuni lesbo femministi.
Sandokan13179/3/2009, 13:18
Molto probabilmente avrà subito una delusione e adesso deve per forza di cose generalizzare. Ho conosciuto tante persone che dopo un abbandono o la fine di un rapporto amoroso si sono trincerate in un odio profondo. Il problema è che questa qui ha dalla sua centinaia di lesbofemministe che s'inventano assurde teorie per dimostrare l'inferiorità dell'uomo rispetto alla donna. Naturalmente una lesbica frustrata non può non odiare l'uomo (nel mio modo di vedere le cose , per una lesbica un uomo è sempre un potenziale concorrente ). Quando a ciò si associa anche un'ideologia razzista come il femminismo, la cosa diventa più seria. ( Diventa seria grazie ai maschipentiti , non grazie agli uomini.)
silverback9/3/2009, 21:36
CORRIERE DELL'UMBRIA 7/3/2009 (pag. 13).
L'ex ministro Katia Bellillo affronta tematiche di attualità sulle donne e la questione femminista L'obiettivo dell'uguaglianza nella diversità "Rispetto agli anni Settanta stiamo rischiando di perdere tutto. E non tutte tra noi vogliamo seguire il modello di troniste e veline" di Claudio Bianconi.
L'ex ministro Katia Bellillo è donna che non ha mai rinnegato le sue convinzioni femministe e che anzi non tralascia occasione per rafforzarle, invitando tutte le altre donne a continuare a lottare per l'uguaglianza di genere. "Dalle ronde femministe - afferma l'ex parlamentare del Pdci - alle ronde per tutelare la sicurezza, per prevenire violenze e stupri, siamo passati in questi anni dalla conquista di diritti fondamentali che hanno finalmente aperto la strada all'emancipazione e alla liberazione delle donne degli anni Settanta, come il diritto al lavoro, diritto all'istruzione, all'aborto, al divorzio, alla contraccezione, all'attuale situazione: sembrava che le donne fossero uscite definitivamente dal ghetto in cui per secoli erano state costrette e io, allora giovanissima, ho avuto l'opportunità di vivere quella stagione eccezionale, e invece oggi, dopo trenta anni mi rendo conto che stiamo perdendo tutto. E forse anche per nostra responsabilità che non siamo riuscite a portare avanti le battaglie per l'uguaglianza". E se provocata sul tema dell'eguaglianza con gli uomini e interrogata a proposito della recente proposta di equiparare le pensioni delle donne a quelle degli uomini sino al limite dei 65 anni di età, Katia Bellillo non conosce mezzi termini. "Il problema è che in Italia c'è un familismo terribile che imperversa anche nell'area di sinistra. Le donne - afferma la Bellillo - dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini. Nella fattispecie bisognerebbe invece intervenire sugli elementi che creano diseguaglianza. Ad esempio, il lavoro di cura dovrebbe essere sostenuto dallo Stato. La legge per il congedo parentale, vale a dire la legge che contempla una sussidiarietà dello Stato a chi si occupa dei figli in stato di necessità senza distinzioni di sesso, era una legge eccezionale, ma non finanziata. Ancora oggi se il figlio sta male, è la donna che se ne deve occupare e che deve prendere il permesso dal lavoro. Prima di tutto le donne - continua la Bellillo - devono avere gli stessi diritti. Mi si deve spiegare perché se una donna fa un lavoro di una certa responsabilità, è costretta a andare in pensione a 60 anni invece che a 65. Allora diciamo che tutti devono avere le stesse opportunità. Bisognerebbe quindi creare una legge che stabilisca che sia l'uomo, sia le donne possano scegliere cosa fare: dopo i 60 anni e fino a 65 chi vuole continui a lavorare, chi non vuole smetta. Bisognerebbe fare in modo anche che il lavoro di cura, quando è particolarmente faticoso, quando ad esempio si hanno degli anziani non autosufficienti in casa, o familiari handicappati gravissimi, venga riconosciuto e quindi si dia la possibilità di andare in pensione prima". Sulle violenze subìte dalle donne Katia Bellillo tende a una netta differenzazione: "Le violenze - afferma l'ex ministra - sono aumentate perché a differenza di qualche anno fa, ora vengono denunciate. Anche se il maggior numero di soprusi avvengono anche all'interno delle case: questi non vengono denunciati e sono questo tipo di violenze su cui la società dovrebbe essere più attenta". E il corpo femminile a differenza di qualche anno fa sembra sempre più indirizzato verso una strumentalizzazione venduta spesso come veicolo di successo. "Da un lato c'è questa liceità senza misure - afferma Katia Bellillo - e dall'altra una specie di ipocrisia collettiva e allo stesso tempo una specie di assuefazione. Trovo allucinante che le donne che fanno carriera in politica sono le ragazzotte che si sono fatte conoscere o facendo le troniste o posando nude per i vari calendari. Intendiamoci, io sono dell'idea che la donna deve poter fare tutto quello che vuole, però da qui a simili situazioni ce ne corre. Anche se è vero che la maggior parte delle ragazze sono diverse, sono serie e non vogliono fare le troniste o le veline. Invece le donne che non vogliono tutele ma vogliono diritti, che pretendono di avere stipendi equiparati a quelli dell'uomo, che pretendono di fare carriera al pari dell'uomo, vengono penalizzate. Io lo so, perché sono una di queste. Sono una che vuole avere la possibilità di scegliere se avere un figlio, di non avere il maschio che una volta chiuso il rapporto deve continuare a mantenermi. Le donne - conclude - devono finalmente trovare la forza per lottare per i diritti e per l'uguaglianza. La differenza non può mai essere uguaglianza. Quindi dobbiamo essere uguali nella diversità".
...
Sandokan13179/3/2009, 22:10
La Belillo riesce a fare un discorso... Senza far finta di prendersi a cazzotti con la Mussolini... Che marea di minchiate, che accozzaglia di luoghi comuni e vittimismo. Ridicola, ridicola...La cosa che mi turba è che questa "politicante" (?) mangia anche grazie alle tasse che io pago . Cioè, mentre io lavoro (e certi giorni il lavoro non è leggero...) questa supposta "femmina" (anche se sarebbe opportuno dire questa supposta di femmina) questa dice queste stronzate e viene pagata lautamente ...Se ci penso troppo potrei quasi ... Vabbè termino qui.
di MARIDA LOMBARDO PIJOLA E SEI come una mosca in una scatola di vetro, che cerca di scappare ma rimbalza, e torna indietro, e non c’è via di fuga, e il vetro è opaco, la scatola insonorizzata, nessuno può vedere e può sentire, e capita che a volte muori, dicono che ne muoia una ogni tre giorni, e spesso la scatola di vetro è la tua casa. E’ come un destino primordiale che trattiene il passo della storia, e la riporta indietro, secoli indietro, ai tempi in cui la donna era soltanto un apparato, un niente, e l’uomo era il padrone, irrobustito dalla protervia dei suoi istinti. E non c’è parità che tenga, non c’è conquista, non c’è condizione che ti salvi, non c’è età, che tu sia un’anziana o una bambina, che tu sia una moglie o una clochard, che tu sia compagna, fidanzata, passante, conoscente. E può accaderti a Roma, dove puoi essere sequestrata, picchiata, drogata, per aver rifiutato un corteggiatore. O a Caltanissetta, a Firenze, a Macerata. Quattro notizie in un giorno, violenze tali da finire sui giornali, come ieri, e mille non-notizie tutti i giorni, come sempre, che non finiscono da nessuna parte che non sia il destino, il silenzio, il dolore di una donna. L’Istat, le associazioni femminili, tutti coloro che le contano ogni anno, per indignazione o per mestiere, raccontano che il numero di donne stuprate, vessate, maltrattate cresce a velocità vertiginose, almeno quanto quello delle altre che riescono a conquistare quote della politica o delle professioni, o a sfondare i soffitti di cristallo. Una specie di una curva del progresso, una doppia velocità sociale, parallela, che toglie da una parte quel che dà dall’altra. Accade con strategie sommerse, subdole, perverse, per mezzo di vendette trasversali, di mani allungate per picchiare, stuprare, torturare, e riportare lo status quo dei sessi alle preistorie, alle giurisdizioni di ieri, o l’altro ieri. Della restaurazione maschile raramente si fa carico un balordo: la mano appartiene quasi sempre a uno di casa, uno con un livello di istruzione medio alto, uno che è socialmente inserito, che lavora. Uno che fa così per misurare la forza che gli manca. Per simulare un coraggio che non ha. Per travestirsi da uomo. Per apparire quello che non è.
Mercoledì, 27 Agosto 2008 Sulla stupidità degli uomini
Mi dispiace ammeterlo, perché odio le generalizzazioni, ma l’ esperienza mi fa imbattere sempre in individui che confermano la mia ipotesi: gli uomini sono estremamente stupidi. Sarà perché ho conosciuto sempre la stessa tipologia, o forse perché mi aspetto molto di più di quello che obiettivamente qualsiasi individuo è disposto ad essere o a sapere, ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente. Sono tronfi e permalosi, pensano di essere sempre dalla parte della ragione, i più bravi, i più forti, i più intelligenti; si offendono per un nonnulla ma sopratutto pensano che sia loro tutto lecito, mentre quello che fai tu, quello che dici tu, femmina, è sempre una conquista, e anche se ci riesci vale meno. E questo sia nel lavoro che nei rapporti interpersonali. Sono stupidi perché non si rendono conto quanto è facile abbindolarli; basta fargli due moine e un piatto di pasta e si sciolgono come ghiaccioli al sole. Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino. Sono rigidi mentalmente; incapaci di modificare i propri assetti e le proprie abitudini, egocentrici ed egoisti impostano tutta la loro esistenza per dimostrare la loro sedicente superiorità. Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato. E questo a tutte le latitudini e longitudine. I mussulmani hanno dalla loro anche la religione che manifestatamente li appoggia. Ma anche qui da noi le cose non sono troppo diverse: c’è una legge non scritta che ammette come lecite certe cose e condizioni accettabili per l’uomo e non per la donna e ultimamente le cose sono assai peggiorate, visto l’invito del nostro Cavaliere nazionale a non lavorare e a trovarci marito…
Mah, basta cambiare il genere dei sostantivi e fare qualche ritocco qua e là x ottenere il ritratto (molto più fedele, a differenza di questa minchiata) di moltissime donne; quando sento parlare di queste cose, chissà perchè, dò x scontato che si parli del sesso femminile...
... Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino. ...
Io invece non ho mai capito questo concetto, che sento spesso ripetere dalle donne. Non ho capito perché non dovrei pensare al mio fascino se una mi fa delle carinerie, non ho capito perché dovrebbe farmi carinerie se non mi trova affascinante.
Allora non siamo noi sbagliati e ingenui, sono loro zoccole.
Dall’indagine del primo Osservatorio Cera di Cupra Donne e uomini, ma quale uguaglianza? L’80% delle italiane non crede che ci siano pari opportunità tra uomo e donna. Sarà forse perché le donne, se costrette a scegliere tra figli e carriera, scelgono i primi?
Sanihelp.it - Le donne sono ancora un passo dietro ai loro compagni maschi. Parola del primo Osservatorio Cera di Cupra, un nuovo strumento che si propone di monitorare l’evoluzione del ruolo della donna verso le pari opportunità dal 2008 al 2010, secondo il roadmap indicato dall’Unione Europea. All’indagine hanno partecipato 1.000 donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni e un campione di 150 donne imprenditrici / dirigenti.
La prima tappa del percorso non presenta dati entusiasmanti per l’universo femminile: promozioni maschili immeritate, responsabilità della casa e dei figli, scarsità di ruoli di potere, pochissimo tempo da dedicare a se stesse e ai propri interessi. Ma nonostante tutto, l’immagine di donna che si profila dalla ricerca è portatrice di entusiasmo, ottimismo, femminilità, intelligenza e romanticismo. Donne che, come dice Charlotte Whitton, «hanno dovuto fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà» ma che, ancora una volta, possono mollare in qualsiasi momento tutto per un figlio e che se devono scegliere tra amare e mangiare, forse, scelgono di amare.
Le donne si destreggiano tra mille difficoltà e impegni, ma diversamente da quanto si possa pensare, il lavoro femminile è una necessità solo per un terzo delle italiane, mentre per la maggioranza è una fonte di autodeterminazione, di autonomia e di realizzazione Interessante il fatto che il 30% del campione viva il lavoro come un piacere, percentuale che sale al 37% tra le dirigenti/imprenditrici. Un lavoro che piace ma che è ancora in lotta aperta con le pari opportunità: 8 donne su 10 ritengono che attualmente non ci siano pari opportunità tra uomo e donna. Le donne si sentono discriminate su diversi livelli, nella possibilità di fare carriera (il 60% del campione e più del 70% delle dirigenti), nel riconoscimento delle proprie capacità (una donna su due) e nel diritto di fare figli (più della metà delle donne tra i 25 e i 44 anni). Il problema sembra accentuarsi nel caso di mansioni di responsabilità e più del 50% delle dirigenti/imprenditrici ha visto assegnare un ruolo o una promozione importante a un uomo, seppure lo meritasse una donna. ...continua a leggere nella pagina successiva. D’altro canto, se è una donna a fare una carriera brillante per circa il 35% del campione si ha la convinzione che l’abbia raggiunta rinunciando alla famiglia e ai figli. Adducono il ricorso a espedienti poco leciti percentuali nell’ordine del 23% del campione. Mentre i criteri meritocratici incidono nel raggiungimento di un ruolo di primo piano nel mondo del lavoro per il 20,6% nel campione base e 23,6% per le dirigenti/imprenditrici. Se poi è la donna a occupare un ruolo professionale più importante del compagno si ha la convinzione che incida negativamente nel rapporto per il 52% delle donne. Le motivazioni addotte vedono il crearsi di un’insana competizione per più del 60% del campione, seguita dall’invidia per più del 30%.
E che dire dei figli e della casa? Sono sempre le donne che si occupano di tutti gli aspetti pratici della famiglia, secondo più della metà del campione. È nella gestione dei figli che le donne si sentono più supportate dagli uomini (oltre il 40%), supporto che diminuisce nettamente nelle faccende domestiche (10/11%) e rimane basso anche in cucina (11%). Parlando di scelte fra carriera e figli, per oltre il 70% delle donne è la famiglia a essere al primo posto e solo 1 donna su 10 sceglierebbe la carriera a scapito di un figlio (su entrambi i campioni). Se lo stesso dilemma fosse posto a un uomo, le donne intervistate sono convinte per circa l’80% che sarebbe la carriera a essere preferita, a scapito della famiglia.
Poco tempo da dedicare loro ma grande serenità per i bimbi: per il 60% delle donne a un bambino giova avere una mamma che lavora, percentuale che arriva a più del 70% per le dirigenti/imprenditrici. Ed è proprio con la nascita/gestione dei figli che, ancora una volta, ci si scontra con le pari opportunità: fra chi ha usufruito di congedi parentali e formule part-time, oltre la metà si è poi vista penalizzare nel suo percorso di carriera o nei rapporti con i colleghi.
Non c’è che dire: casa o lavoro, carriera o famiglia, se stesse o gli altri… Dai risultati di questa ricerca pare proprio che sia dolorosamente inscritto nel destino delle donne l’angosciante bivio della scelta . Che come tale comporta sempre una vittoria, ma anche una perdita.
silverback3/4/2009, 22:06
Parole di una utente di un altro forum, rivolte a un utente di sesso maschile.
Sai, ******, risponderò molto volentieri alle tue domande. Non vi è problema alcuno. Ma, prima se mi permetti, vorrei invece sapere bene come la pensi tu sulla questione.
Poichè ancora non mi è chiaro questo tuo continuo cambiare atteggiamento e questo tuo continuo interrogare e al tempo stesso cambiare di ruolo.
Hai già dichiarato di amare il genere femminile, però lo attacchi, di non essere maschilista ma fai discorsi maschilisti, di essere contento di te ma fai spesso la vittima, etc.. etc..
Non è, ******, che forse tu abbia finalmente capito che continuando a fare i maschi selvatici, vi state fregando con le stesse vostre mani ? Hai capito che è ora di smettere di "piangersi addosso" ? Che avete avuto troppi privilegi nel corso della storia, ed ora è giunto il momento di cedere un pochino di potere ?
E la mia è una domanda serissima e sono convinta che la tua risposta sia affermativa. Sarei molto contenta per te .
Che avete avuto troppi privilegi nel corso della storia, ed ora è giunto il momento di cedere un pochino di potere ?
Gravi incidenti in miniera in Ucraina e Kazakhstan - 5.10.2006 Due gravi incidenti in due miniere dell'ex Unione Sovietica, hanno provocato la morte di almeno 50 persone. Sotto accusa il degrado delle strutture. In Kazakhstan, nella miniera che porta il nome di "Lenin" ed è proprietà del gigante dell'acciao Mittal Steel, un'esplosione ha provocato un incendio ad oltre 500 metri di profondità, mentre circa 360 minatori erano al lavoro. Almeno 41 sono morti in questa miniera di carbone, un labirinto di sette piani, già teatro di tragedie simili. La miniera Lenin si trova nel centro del Kazaksthan. Un'ora prima un altro incidente è avvenuto nella regione orientale dell'Ucraina. In questa miniera di carbone, una delle più grandi del paese, una perdita di gas, ad una profondità di oltre un chilometro, ha provocato la morte di almeno tredici minatori. Alcune decine sono rimasti intossicati. Anche l'Ucraina non è nuova a questo genere di incidenti: nel paese dall'inizio dell'anno oltre 100 minatori sono morti sul lavoro.
Siberia, 12 i morti dopo l'incendio in una miniera d'oro. 21 ancora dispersi - 8.9.2006 Sono 12 i minatori morti intrappolati dall'incendio divampato ieri in una miniera d'oro in Siberia. È il numero di corpi ritrovati nelle operazioni di soccorso, 11 sono già stati identificati, mentre si cercano ancora 21 persone. Al momento dell'incidente c'erano 64 uomini sotto terra, 31 sono stati portati in salvo. Un dipendente della miniera spiega: "C'erano dei lavori di saldatura in profondità quando è scoppiato l'incendio. Tanto fuoco e tanto fumo. Qualcuno è riuscito a scappare, altri sono rimasti intrappolati. Anche mio fratello è laggiù". L'incidente è avvenuto a un centinaio di metri di profondità in una miniera nella regione di Cità, al confine con Cina e Mongolia. Sul posto mancano attrezzature e soccorritori specializzati. Sono quindi stati inviati aiuti da tutta la regione, e sono in arrivo nelle prossime ore 40 esperti da Mosca e altri ancora da diverse regioni della Russia. La miniera, di proprietà della compagnia Highland Gold Mining, quotata sulla borsa di Londra, ha oltre cent'anni e, secondo alcuni testimoni, un vecchio sistema di ventilazione.
Minatori in trappola in India e in Russia - 7.9.2006 Nella Siberia orientale 19 persone sono rimaste bloccate sottoterra, e in una miniera di carbone indiana si teme siano morti 54 lavoratori 7/9/2006 Incidente in una miniera Minatori intrappolati in Russia e in India. Due incidenti si sono verificati tra ieri notte e oggi in una miniera d'oro nella Siberia orientale, dove 19 persone sono rimaste bloccate sottoterra, e in una miniera di carbone indiana, dove si teme siano morti 54 lavoratori. Un incendio è stato la causa dell'emergenza nella miniera russa. Le fiamme, secondo quanto riferiscono le autorità di Mosca, si sono scatenate ad una profondità compresa tra gli 85 e i 135 metri in un impianto della Highland Gold Mining nella regione di Cità, vicino al villaggio Vershino-Darasunski, al confine con la Cina. Al momento dell'incendio, alle 6:15 ora italiana, 48 persone erano al lavoro; le squadre di soccorso ne hanno tratte in salvo 29, mentre 19 sono tuttora intrappolate. «Si tratta della nostra miniera», ha confermato un portavoce della Highland Gold Mining, aggiungendo che «la situazione è complessa e la stiamo monitorando ogni 15 minuti». L'incidente in India si è verificato ieri notte nel distretto di Dhanbad, nello Stato orientale di Jharkhand. 54 operai sono rimasti bloccati nella miniera, in seguito al crollo di una volta causato da un'esplosione. Le cariche di esplosivo dovevano servire ad aprire una nuova area della miniera, ma la struttura non ha retto. «Si tratta di una situazione senza precedenti e le possibilità che sopravvivano sono pari a zero», ha dichiarato secondo la Reuters Partha Bhattacharya, presidente della Bharat Coking Coal Limited, compagnia proprietaria dell'impianto. «I minatori - ha continuato Bhattacharya - stavano lavorando ad una profondità di 460 metri quando l'esplosione e una fuga di gas hanno ridotto il livello di ossigeno quasi a zero». Le operazioni di soccorso sono partite in nottata, ma le squadre sono riuscite a raggiungere solo il terzo dei diciotto piani della miniera. I minatori, probabilmente, si trovano all'ultimo livello.
Sette minatori intrappolati a Jilin - 14.9.2006 Almeno sette persone sono rimaste intrappolate in una miniera nella provincia di Jilin, nel nord-est della Cina. I soccorritori stanno cercando di pompare l'acqua che ha inondato il tunnel, mentre in un altro incidente un minatore è morto per una fuga di gas in una miniera di Datong, nella provincia dello Shanxi. Nelle miniere cinesi, le più pericolose al mondo, muoiono in media oltre 5mila persone all'anno.
Esplosione in miniera: 15 morti Pechino - 16 Giugno 2004 Almeno 15 persone, più due soccorritori sono morti dentro una miniera della Cina centrale. L’esplosione è avvenuta alle 4.50 del pomeriggio di ieri nella provincia dello Shaanxi, mentre vi erano 85 minatori nelle gallerie sotterranee per estrarre carbone. Il maggior numero è stato tratto in salvo. Oltre ai 15 morti, vi sono ancora 7 dispersi, i cui corpi non sono ancora stati ritrovati. La miniera, di proprietà della Huangling, aveva cominciato ad operare nel 2001, con una capacità di 6,6 milioni di tonnellate. La Cina detiene il primato per i morti in miniera. Lo stato afferma che l’anno scorso vi sono stati 6.702 morti per esplosioni, franamenti e altri disastri. Organizzazioni internazionali denunciano un tasso di mortalità molto più grande
Esplosione in una miniera dell’Henan: almeno 56 morti e 92 dispersi - 21 Ottobre 2004 L’esplosione di gas in una miniera di carbone ha causato la morte di 56 persone; 92 minatori risultano dispersi, ma le autorità affermano che le speranze di ritrovarli vivi sono “esili”. Questo è considerato il più grave incidente minerario quest’anno.
Esplosione in miniera: 49 morti e 11 dispersi - 22 Novembre 2004 Almeno 49 minatori morti e 11 tuttora dispersi: è il bilancio di un grosso incendio divampato in una miniera di ferro nel nord della Cina. Secondo l’agenzia statale per la sicurezza sul lavoro i soccorritori hanno tratto in salvo 46 minatori: essi hanno inoltre recuperato i corpi senza vita di 49 persone. L’incidente si è verificato sabato mattina in una miniera di Shahe, nell’Hebei: un cavo ha preso fuoco e ha provocato un'esplosione all’interno della cava. L’incendio si è subito propagato in altre 5 miniere collegate, mentre nuvole dense di fumo rallentavano l’opera dei soccorritori.
Shaanxi: nessuna speranza per i 141 minatori dispersi – 29 Novembre 2004 "Non c'è alcuna speranza di trovare ancora in vita qualcuno dei 141 minatori intrappolati nella miniera". Lo ha affermato Yan Mangxue, segretario del partito comunista nel villaggio di Yaoyu, luogo d'origine di 14 minatori intrappolati nella miniera di carbone statale di Chenjiashan, nello Shaanxi. La fuoriuscita di gas tossico ostacola le operazioni di recupero dei 141 minatori, tuttora intrappolati nella miniera di carbone statale; i morti accertati sono 25. Oltre 2000 uomini della sicurezza cercano disperatamente di salvare i minatori ancora intrappolati nella cava, ma la densità nell’aria del monossido di carbonio è arrivata allo 0,5%, un livello 5 volte superiore alla soglia di mortalità. Almeno 43 minatori sono stati ricoverati negli ospedali della zona con sintomi di avvelenamento da ossido di carbonio e 11 versano in condizioni definite “critiche”. Fra i superstiti 84 lavoratori che, al momento dello scoppio, si trovavano nei pressi dell’entrata come supporto tecnico per i minatori impegnati nell’estrazione.
Hunan: 4 morti e 16 dispersi per un incendio in miniera - 14 Dicembre 2004 Ancora vittime nelle miniere cinesi: un’esplosione in una miniera della Cina centrale ha causato 4 morti e 16 dispersi; nel frattempo i soccorritori continuano le operazioni di recupero di 36 minatori intrappolati, in seguito ad una inondazione, in una cava nel sud-ovest del paese.
Sichuan: 14 morti nell’esplosione di una miniera - 20 Dicembre 2004 Continua l’escalation di morti nelle miniere di carbone cinesi: un’esplosione ha ucciso 14 minatori e ne ha feriti altri 3. Secondo quanto annunciato oggi dal governo, l’incidente è avvenuto nel distretto di Xingwen, nella provincia sud-occidentale di Sichuan alle ore 1.40 di domenica mattina (le 18.40 di sabato in Italia).
Liaoning: almeno 203 morti in un’esplosione in miniera - 15 Febbraio 2005 È di almeno 203 morti e 22 feriti il bilancio dell’esplosione avvenuta ieri pomeriggio in una miniera di carbone a Fuxin, città nella provincia di Liaoning, Cina nordorientale. Tredici i minatori ancora intrappolati nel sottosuolo. Zhang Yunfu, vice manager generale del gruppo industria del carbone di Fuxin, ha raccontato che lunedì mattina le operazioni di lavoro si stavano svolgendo secondo la norma, quando alle 14.30 è avvenuta una scossa nella sezione N. 3316 della miniera di Sunjiawan, del gruppo Fuxin. L’esplosione di gas si è registrata intorno alle 15 a circa 242 metri di profondità. Pronto l’intervento dei soccorsi, mentre sono ancora in corso le indagini sulle cause della tragedia. Autorità del governo provinciale, di Fuxin e di altre dipartimenti di rilievo sono accorse sul luogo dell’incidente.
Shanxi: esplosione in miniera, 29 dispersi - 10 Marzo 2005 Ventinove minatori sono ancora intrappolati sotto terra in seguito all’esplosione di gas in una miniera di carbone nella Cina settentrionale. Lo riferiscono oggi i media di Stato. L’incidente è avvenuto ieri pomeriggio nella miniera N. 2 della Gola di Xiangyuan, provincia dello Shanxi, contea di Jiacheng. Secondo l'agenzia Xinhua, al momento dell'esplosione erano a lavoro 83 minatori.
Almeno 8 morti e 30 intrappolati in due miniere cinesi Jiaohe - 25 Aprile 2005 Un’inondazione ha colpito la miniera di carbone “Tengda” a Jiaohe, città nella provincia di Jilin – nord est del Paese - ed ha intrappolato sotto terra 69 minatori. La tragedia è avvenuta ieri, 24 aprile. I gruppi di soccorso hanno lavorato tutta la notte e nella mattina di lunedì hanno recuperato 39 lavoratori. Non si ha però alcuna comunicazione con i 30 ancora intrappolati. I dipartimenti locali di Pubblica sicurezza e di Prevenzione sul lavoro non hanno rilasciato commenti sull’accaduto. Almeno 8 minatori sono morti, invece, a causa di un incendio all’interno della miniera “Fushun” a Yuzhou, una città nella provincia dell’Henan – est del Paese. L’incendio è divampato poche ore prima dell’alluvione di Jiaohe. Il bilancio delle vittime potrebbe salire, perché 4 lavoratori risultano ancora dispersi.
Miniere di carbone nel nordest cinese: 51 morti – 6 Maggio 2005 Sale a 51 morti il bilancio ufficiale delle vittime in 2 degli ultimi incidenti nelle miniere di carbone più pericolose del mondo: quelle cinesi. Nella miniera “Tengda” a Jiaohe, provincia di Jilin – nord est della Cina - i soccorsi hanno trovato 29 corpi. All’appello manca ancora un minatore. “Non ci fermeremo finché non ritroveremo il disperso” ha dichiarato un responsabile statale della sicurezza sul lavoro. La tragedia, avvenuta il 24 aprile scorso, era stata causata da un’inondazione. Intanto sempre nel nord est del Paese, nella provincia dello Shaanxi, le autorità hanno confermato 22 morti in una miniera di Hancheng. Causa dell’incidente, un’esplosione di gas avvenuta la settimana scorsa.
Cina: esplosione di gas uccide 21 persone – 17 Maggio 2005 Un’esplosione di gas ha ucciso giovedì 12 maggio 21 minatori in una miniera di carbone nella città di Panzhihua, nel Sichuan (provincia a sudovest della Cina).
Cina, esplosione in miniera uccide 65 operai Fukang – 12 Luglio 2005 Un’esplosione dovuta ad un accumulo di gas è avvenuta ieri nella miniera di carbone di Shenlong - 38 chilometri ad est della città di Fukang, nella provincia nord del Xinjiang - ed ha ucciso 65 persone: altre 18 risultano al momento disperse.
Turchia: scoppio in miniera, muoiono in 17 - 2 Giugno 2006 I minatori sono deceduti in seguito ad un'esplosione di grisù avvenuta a Odakoy nella provincia di Balikesir - Tragedia in miniera in Turchia. Diciassette minatori turchi sono morti in seguito all'esplosione di grisù in una miniera di carbone avvenuta nel Nord-Ovest della Turchia . Altri 5 sono dispersi. Lo ha annunciato il ministro turco dell'Energia, Hilmi Guler. Su 57 minatori che si trovavano all'interno della miniera al momento dell'esplosione, 35 sono riusciti a scappare, ha spiegato in tv il ministro aggiungendo: «Purtroppo abbiamo perduto 17 dei nostri minatori». La tragedia è accaduta in una miniera gestita da una compagnia privata a Odakoy, nella provincia di Balikesir.
Messico: morti i 65 minatori intrappolati - 26 Febbraio 2006 La tragedia è avvenuta domenica scorsa in una miniera di carbone a San Juan de Sabinas, nel nord del Paese - Sono tutti morti i 65 minatori rimasti intrappolati domenica scorsa in una miniera di carbone a San Juan de Sabinas, nel nord del Messico, in seguito a un'esplosione. I soccorsi che per tutta la settimana hanno cercato di raggiungerli, non sono riusciti a salvarli. I dirigenti della miniera hanno dovuto comunicare alle famiglie dei minatori che non vi erano più speranze di trovare qualcuno in vita. Venerdì i dirigenti della miniera avevano fatto sapere che per motivi di sicurezza le operazioni di ricerca e soccorso erano state sospese. Il presidente del gruppo proprietario della miniera ha affermato che le conseguenze dell'esplosione «rendono impossibile la sopravvivenza». In particolare non c'è più speranza che vi sia dell'ossigeno all'interno delle gallerie. «Un'alta concentrazione di metano ha provocato una grande esplosione che ha riguardato l'insieme delle installazioni sotterranee. La temperatura ha raggiunto i 600 gradi e ha dato origine a un'onda d'urto che si è estesa a tutta la miniera», ha spiegato. Non è stato recuperato alcun corpo. Per ogni famiglia delle vittime il gruppo proprietario della miniera ha stanziato una somma di circa 60 mila euro più borse di studio per gli orfani. Le famiglie delle vittime hanno in passato denunciate le insufficienti misure di sicurezza della miniera.
Romania: esplosione in miniera, 7 morti - 14 Gennaio 2006 Nel giacimento di carbone di Anina a più di mille metri di profondità si trovavano circa 200 minatori - Almeno sette minatori sono morti e cinque sono rimasti feriti a causa di un'esplosione avvenuta sabato mattina nella miniera di Anina, nel sud-ovest della Romania. Lo ha annunciato la direzione della miniera. Il vice prefetto del dipartimento di Caras-Severin, Petre Seres, ha detto che i cinque feriti sono gravi e due hanno ustioni su oltre il 50% del corpo, un terzo è in coma per aver respirato ossido di carbonio. L'esplosione è avvenuta verso le 5,30 (le 4,30 in Italia). Nella miniera, ha detto ancora il vice prefetto, si trovavano circa 200 minatori, in gran parte usciti indenni dall'incidente. La miniera di carbone di Anina è situata a più di mille metri di profondità ed è una della più profonde d'Europa.
USA: I messaggi dei minatori prima di morire - 06 gennaio 2006 Trovati accanto ai cadaveri per rassicurare i cari che la fine non è stata atroce: «Papà si è solo addormentato». «Papà non ha sofferto, s'è solo addormentato»: è il messaggio che più di uno dei minatori deceduti nella tragedia della miniera di carbone di Sago ha lasciato ai propri cari. Messaggi analoghi, riferiscono familiari delle vittime alla stampa, sono stati trovati accanto ai corpi di più di uno dei 12 minatori deceduti. Peggy Cohen, il cui padre è morto nella miniera, ha detto di avere saputo dei messaggi da un medico legale. Gli uomini, consci che la fine era vicina, si sarebbero preoccupati di rassicurare i loro cari che la loro fine non era stata atroce. I minatori sapevano che l'effetto del monossido di carbonio è di fare piombare le persone in una sorta di torpore e poi in un sonno, da cui non c'è risveglio. La tragedia della miniera di Sago a Tallmansville, in West Virginia, s'è consumata tra lunedì mattina, quando un'esplosione ha scosso pozzi e gallerie, isolando 13 minatori, e mercoledì sera, quando le squadre di soccorso hanno raggiunto gli uomini dispersi, trovandone uno solo ancora vivo.
Donne per sempre di Daniela Minerva Tutti le vogliono. Dalla politica ai media. Ma nella realtà quotidiana vengono discriminate e umiliate. Costrette di nuovo in piazza a difesa della 194. Fotografia di un paese immobile. Dove l'emancipazione femminile è ancora prigioniera della famiglia. E di tanti pregiudizi
Una manifestazione in difesa del diritto all'aborto Lavorano. Sì, ma smettono al primo figlio. Guadagnano. Ma meno degli uomini. Fanno carriera. Ma non fino al top, né nei posti chiave. Scelgono liberamente se essere madri, se fare famiglia, con chi vivere. Beh, non proprio.
No, l'identikit delle donne italiane che emerge dai dati che presentiamo in queste pagine non è la cavalcata edificante tra successi e realizzazioni celebrata dalla retorica modernista, che comunque è realtà in altri paesi europei. Le italiane non assomigliano certo alle scandinave, ma nemmeno alle francesi o alle irlandesi. Faticano come matte, tanto da laurearsi prima e meglio dei maschi, entrano massicciamente nel mercato del lavoro a tutti i livelli, ma poi rimangono impantanate nel vortice della vita privata, della famiglia, dei figli, dell'amore cercato e, poi, spesso, subito. Oppure della solitudine, prezzo della carriera e di un buono stipendio. Sono vulcani fino ai trent'anni, brillanti e impegnate. E poi? In gabbia. Di fatto soggetti sbiaditi, protagoniste di una rivoluzione non compiuta, "crisalidi da cui non è ancora uscita l'angelica farfalla", come le ha definite la filosofa Roberta de Monticelli.
Che, fuor di metafora, vuol dire: soggetti ancora troppo deboli. Che non hanno mai portato fino in fondo la cosiddetta rivoluzione femminista. E sulle quali è piovuta, come un fulmine la grottesca crociata antiabortista di Giuliano Ferrara, sospinta da un perdurante umore misogino dispiegato a gonfie vele dal magistero di Benedetto XVI. Fino all'orrendo episodio della polizia che sequestra al Policlinico di Napoli un feto abortito, corpo del reato o, come ha titolato 'il manifesto': "Corpo elettorale".
Affari di famiglia Così, all'improvviso, come in un déjà-vu, ecco le donne in piazza. Eccole a promuovere appelli come quello che apre il numero speciale di 'Micromega' in edicola il 29 febbraio e si può firmare sul sito www. firmiamo.it/liberadonna. Ma cosa è mai potuto accadere? Forse nulla. Perché, come afferma la sociologa della famiglia Chiara Saraceno, "nella nostra cultura i conflitti sui valori si addensano sul corpo delle donne. Perché il controllo su quello che loro fanno, in particolare sulla sfera sessuale, fa parte del controllo della collettività a garanzia della propria riproduzione, e quindi della conservazione della propria identità".
Semplicemente, allora, l'esplosione misogina di questi giorni rivela un dato di fatto forse taciuto fino a oggi per pudore o conformismo politically correct: le italiane sono incaricate di fare famiglia, di curare gli anziani, di coprire il vuoto del welfare. E, insieme, di amministrare il quotidiano di aziende, università e centri di ricerca, senza mai sfondare ai vertici. Sono ingabbiate nel privato, a parlare d'amore e occuparsi del nonno con l'Alzheimer. Sono chine sulle scrivanie, a ingrossare le fila del middle management, come mostrano le indagini di Federmanager-Fondidirigenti, della ricerca scientifica, della sanità, dell'insegnamento di tutti i gradi. È quella che i sociologi chiamano 'femminilizzazione del mondo del lavoro'. Sempre fuori dalle stanze dei bottoni, di qualunque tipo.
E l'attacco anti-abortista, nel portare le lancette indietro di 30 anni, altro non fa che sancire, con toni crudeli, una realtà che è nei numeri: il potere delle donne nel nostro Paese è cambiato poco o nulla. Perché il dovere di fare figli non si è trasformato, come altrove, in un diritto. È rimasto dovere, compimento ineluttabile di un destino biologico, ingabbiato dai diritti di ogni possibile incontro di cellule concepito, come vorrebbero i nuovi devoti. Ma non solo: l'incapacità di governare col welfare l'invecchiamento della popolazione ha gettato il peso degli anziani sulle spalle e sul destino di chi da sempre si occupa della famiglia. Sotto lo sguardo minaccioso della Chiesa cattolica, vestale di questo ordinamento. Fino a quella che Roberta de Monticelli interpreta come una "recrudescenza di temi ridicolmente regressivi nella sua politica sessuale". (21 febbraio 2008)
Nel nome di Dio Ed è la stessa filosofa spiritualista, docente all'Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, a chiedersi perché mai "nella Chiesa cattolica finisce sempre col prevalere il peggio. Eppure il cristianesimo è la religione che più di ogni altra ha valorizzato l'elemento femminile. Nella sua dottrina ci sono tutti gli elementi per non essere misogini. Ma a corrompere il quadro c'è il suo diventare istituzione, c'è la strumentalizzazione politica del nome di Dio". Un nome che rimbomba nelle nuove crociate del tandem Ruini-Ferrara, chiamato in causa per dare sacralità a politiche sessuali molto, ma molto più concrete.
Una sfilata durante la settimana della moda di San Paolo "La situazione italiana è paradossale: la società ha bisogno che le donne stiano sia a casa che al lavoro. A casa perché non ci sono servizi e l'invecchiamento della popolazione sta aprendo una voragine. Al lavoro, perché le famiglie hanno bisogno di un salario in più, che diventa anche volano per i consumi", commenta la sociologa della famiglia Chiara Saraceno. Così si crea una sorta di doppia pressione che finisce con l'inceppare il meccanismo. A tutto discapito dell'economia del Paese, a sentire gli esperti. "Molte ricerche mostrano che l'aumento del lavoro femminile produce nuova occupazione. Basata sulla domanda di servizi alle famiglie, al commercio, al tempo libero: badanti, baby sitter, scuole materne, nidi, servizi di pulizia, ristoranti, cibi pronti. Un'economia senza donne è un'economia che si atrofizza, perché in parte è fondata sull'autoproduzione", aggiunge Saraceno.
Progetto Europa E le mille pressioni dell'Europa per una piena occupazione femminile lo confermano: l'obiettivo della Ue è che nei paesi dell'Unione entro il 2010 lavori il 60 per cento delle donne. Per rispondere ai dogmi comunitari sulla parità tra i sessi, senz'altro. Ma anche per esigenze di sviluppo economico: gli economisti concordano sul fatto chela disoccupazione femminile si traduce in una compressione del Pil. E non solo: uno studio fatto sulle 500 maggiori imprese del mondo censite da 'Fortune' mostra che le aziende che hanno più donne nei consigli di amministrazione e nel top management vanno meglio di quelle che ne hanno poche, sia sul piano finanziario che sul piano dei profitti. Insomma, è quella che in gergo si chiama 'risorsa femminile', ma che l'Italia ha scelto di non utilizzare. Perché?
Fino a qualche mese fa il quadro era sfumato, ma la crudezza della crociata antiabortista, saldata ai continui assordanti appelli alla centralità della famiglia, nel trasferire sul terreno della politica una contraddizione che è nei fatti, palesa l'arretratezza del sistema Italia. Ricercatori e sociologi hanno sfornato per anni i dati dell'anomalia italiana in un'Europa in cui le donne entravano nel mercato del lavoro e nelle stanze dei bottoni. Ma a Roma tutto sembrava impantanarsi nel bolso dibattito sulle quote rosa: in politica come ai vertici delle grandi aziende. La politica ha spazzato via il problema nel 2005 quando il Parlamento ne ha bocciato, con un voto ad hoc, l'istituzione. In Confindustria, più elegantemente, se ne parla, se ne parla e se ne parla. Ma la presenza femminile tra i manager delle aziende con più di 500 addetti resta al 3 per cento. E i manager maschi, racconta nel suo libro 'La resistibile ascesa delle donne in Italia' Francesca Zajkzyc (che intervistiamo a pagina 42), "hanno dubbi riguardo all'affidabilità delle donne in posizioni di potere in quanto più condizionate dai vincoli famigliari". Convinzione che, sarà anche poco politically correct, ma ha una base empirica.
Perché se una laureata su quattro non entra nel mercato e il 13,5 per cento delle donne lasciano il lavoro dopo il primo figlio una ragione ci sarà. Ed è la stessa che spinge il 56 per cento delle italiane, secondo un'indagine Ipsos, a dire che ci sono lavori tipicamente femminili, ovvero quelli che permettono di dedicare al lavoro famigliare ogni giorno 5 ore e 20 minuti, contro l'oretta e mezza degli uomini. D'altra parte, aggiunge Zajkzyc: "Se all'interno dei rapporti di coppia sembrano essere in atto trasformazioni significative, l'organizzazione della società e del welfare sono ancora pesantemente orientati alla famiglia in cui la donna non lavora o lavora parzialmente. Basti pensare agli orari delle scuole o dei servizi per l'infanzia". A cui si aggiunge la cura degli anziani. (21 febbraio 2008)
I figli sognati Il risultato è quello evidenziato nei grafici: minore occupazione e minor salario. Fino all'imbarazzo di essere gli ultimi in Europa nel tasso di occupazione femminile. A cui, però, non si accompagna un alto tasso di natalità: i figli fatti sono la metà di quelli progettati. Perché? Risponde Saraceno: "Chi fa figli produce un bene collettivo. Ma fare un figlio è un atto squisito di libertà. E proprio perché è così importante che un gran numero di donne lo scelga, è necessario che la società dia loro molte più risorse. Una società democratica deve prendere atto che ha bisogno delle donne se vuole riprodursi. E l'unico modo di prenderne atto è quello di sostenerle nella loro libertà. Con politiche di sostegno alla famiglia e, insieme, alla contraccezione e alla libertà di interrompere la gravidanza. Le uniche politiche della popolazione che si possono fare in un paese democratico sono quelle che ampliano i gradi di libertà".
Solo sei donne hanno fatto parte del governo Prodi Così è andata nel resto d'Europa: servizi, profili di carriere diversi, congedi di paternità pagati al 100 per cento. Nei Paesi nordici, lasciare il lavoro per un anno per seguire un figlio non ha costi. In Francia, esiste una responsabilità sociale forte nei confronti delle famiglie con figli che si concretizza in asili e scuole, in assegni di cui è titolare il nuovo nato. E poi c'è il fatto che in Italia le donne guadagnano meno degli uomini, e, ovviamente, sono loro che lasciano il lavoro quando ci sono da curare figli o anziani.
Così, ridicolmente, ancora angeli del focolare, mentre negli Usa una donna corre per diventare l'uomo più potente del mondo e mentre persino in Nicaragua ci sono più donne ai vertici che in Italia. Perché? Che fine ha fatto l'ondata femminista? "Ci sono stati errori nel nostro femminismo, che non si è trasformato in agenda politica concreta, forse perché sempre molto sulla difensiva, intento a marcare se stesso come diverso. E questo è segno di scarsissima fiducia in un'identità forte che si proclama di avere", conclude Roberta de Monticelli: "Così le donne sono rimaste bloccate. E tutta la società è rimasta vittima del peggiore umore italiano: il senso debolissimo della responsabilità personale. È più facile accettare la tradizione sancita nelle parole dei vescovi che non decidere per sé. Prendendosene la responsabilità. Per chi ci crede, anche davanti a Dio".
ha collaborato Letizia Gabaglio (21 febbraio 2008)
INTUAIDUMEDA9/5/2009, 19:40
le donne hanno rancore per tutto. per la vicina di casa per il fratello per il marito e i figli. se conoscete una che non si sia mai svegliata al mattino con una lamentela fatemelo sapere
Mercoledì, 27 Agosto 2008 Sulla stupidità degli uomini
Mi dispiace ammeterlo, perché odio le generalizzazioni, ma l’ esperienza mi fa imbattere sempre in individui che confermano la mia ipotesi: gli uomini sono estremamente stupidi. Sarà perché ho conosciuto sempre la stessa tipologia, o forse perché mi aspetto molto di più di quello che obiettivamente qualsiasi individuo è disposto ad essere o a sapere, ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente. Sono tronfi e permalosi, pensano di essere sempre dalla parte della ragione, i più bravi, i più forti, i più intelligenti; si offendono per un nonnulla ma sopratutto pensano che sia loro tutto lecito, mentre quello che fai tu, quello che dici tu, femmina, è sempre una conquista, e anche se ci riesci vale meno. E questo sia nel lavoro che nei rapporti interpersonali. Sono stupidi perché non si rendono conto quanto è facile abbindolarli; basta fargli due moine e un piatto di pasta e si sciolgono come ghiaccioli al sole. Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino. Sono rigidi mentalmente; incapaci di modificare i propri assetti e le proprie abitudini, egocentrici ed egoisti impostano tutta la loro esistenza per dimostrare la loro sedicente superiorità. Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato. E questo a tutte le latitudini e longitudine. I mussulmani hanno dalla loro anche la religione che manifestatamente li appoggia. Ma anche qui da noi le cose non sono troppo diverse: c’è una legge non scritta che ammette come lecite certe cose e condizioni accettabili per l’uomo e non per la donna e ultimamente le cose sono assai peggiorate, visto l’invito del nostro Cavaliere nazionale a non lavorare e a trovarci marito…
forse perché mi aspetto molto di più di quello che obiettivamente qualsiasi individuo è disposto ad essere o a sapere Da leggersi: in Tv vedo Brad Pitt che fa Achille e siccome sono donna(e quindi valgo) il mio uomo deve essere così, senza sconti.
ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente. Pensa che io ho lo stesso pensiero per molte donne: quelle della mia età sono cresciute con la convinzione di divertirsi, fare l'alba in discoteca o vita mondana ad ogni costo. Ormai quando parlo con una ragazza appena conosciuta manco lo chiedo più, tanto viene fuori da solo: "cosa ti piace fare?" - Risposta: "ballare" Che palle, quand'è che mi stupiranno e mi diranno "collezionare francobolli?" :P Fra pochi giorni andrò a vivere da solo: dite che la troverò una disposta a sacrificare un pò del suo "diritto" di vivere la vita sinchè e giovane per dividere spese e fatiche che comporta l'indipendenza e la gestione di una casa? :rolleyes: Il discorso si collega perfettamente al suo concetto di rigidità mentale maschile, tra l'altro..
basta fargli due moine e un piatto di pasta e si sciolgono come ghiaccioli al sole. Haha, il piatto di pasta.. lui è già fortunato: chiedi ad una ventiseienne se sa cucinare, non mi stupirebbe che il piatto di pasta glielo dovrei preparare io. Le moine, beh.. almeno quello le sa fare, si spera. Sono tronfi e permalosi, pensano di essere sempre dalla parte della ragione, i più bravi, i più forti, i più intelligenti; si offendono per un nonnulla ma sopratutto pensano che sia loro tutto lecito, mentre quello che fai tu, quello che dici tu, femmina, è sempre una conquista, e anche se ci riesci vale meno Ma pensa un pò, se la giri al femminile mi sembra di leggere la descrizione della "donna emancipata".. Sul tronfio, non saprei.. sul permaloso mi ci potrei anche ritrovare, ma credo sia una frase usata a sproposito. Ad esempio qualche tempo fa parlai della mia amica "maschiaccio": aveva un atteggiamento che mi irritava, sostanzialmente era un costante ed incessante sminuire e contestare a priori.. dopo avercela mandata, ha cambiato atteggiamento, con me, con un altro mio amico no. E secondo me ha delle uscite che lui non dovrebbe accettare. Sembrano amiconi ma visti da fuori, secondo voi chi sembra quello "sottomesso"? Bravi Ah beh, io poi sono quello "permaloso" :P " Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino" Ma cosa avrà voluto dire con questa frase? Anche perchè, se lo vuoi sedurre, un minimo di fascino in lui lo trovi.. o no, seduci a random perchè ti piace fare la gattona?
Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato. Ovvio: se si parla di sesso dell'uomo allora bisogna metterci qualche cosa di svilente, mica si può dire che anvhe noi vogliamo fare sesso perchè ci piace. Comunque meno male che c'è questo esercito di fiere amazzoni che conosce il sesso a meraviglia, non ha pudori o timori, se vuole sesso scende in strada e prende il primo che le piace e non aspettano che sia l'uomo ad accollarsi le responsabilità di entrambi.. ma mi faccia il piacere, diceva Totò
Ma ste tizie qui da dove escono? Secondo me è la rumenta che vedono in tv che gli manda in pappa il cervello, non c'è altra spiegazione.
INTUAIDUMEDA11/5/2009, 11:54
hehe questo sito è un oasi di pace con quello che succede fuori..commenti come quelli di questa donna se ne sentono tutti i giorni.. passano le ore davanti alla tv (e dentro la tv) sparlando degli uomini. passano la giornata a parlare male di chi le mantiene e muore per loro, poi vivono per trovarne uno che se le sposi. quanti di questi discorsi si sentono in giro... l' ultima lite in un blog l' ho fatta sul tema "no alla violenza sulle donne". è stato difficile ma alla fine sono riuscito a fare capire a dei ragazzi di non cascare nel tranello: "il corpo maschile, il dolore maschile, è meno prezioso di quello femminile...". e pure qualche ragazza alla fine mi ha dato ragione. le piu' stronze sono quelle oltre i 35 anni... integraliste!
tonireve11/5/2009, 11:59
ma di fatto trovo il sesso maschile estremamente deludente.
Per quanto riguarda quello femminile, in vita mia ho conosciuto praticamente solo zoccole e/o squilibrate. Non c'è molto da aggiungere.
Sono tronfi e permalosi
Loro invece ti guardano come un imperatore dall' alto del palazzo guarda i plebei.
" Non si rendono conto delle dinamiche PALESEMENTE di seduzione e pensano che tutto sia merito del loro innato fascino"
Tradotto: "Pensano che siamo affascinate da loro invece siamo solo zoccole che li circuiscono per avere vantaggi".
Nel sesso sono di una ingenuità spaventosa e lo utilizzano, solitamente per gratificare il proprio ego frustrato.
Loro, da brave zoccole, invece, solo per ottenere vantaggi, promozioni, raccomandazioni, ecc.
Katawebe' un sito che censura i messaggi non graditi. Io infatti ho mandato una replica ma non l'hano pubblicata. Del resto fa capo a Repubblica, giornalaccio fazioso quant'altri mai. Il post è il solito cumulo di banalita'. Una sola annotazione , laddove dice che gli uomini si seducono con una pasta : molte donne, quella pasta, neanche sono buone a farla !
Tex696912/5/2009, 21:36
ilmarmocchio
Katawebe' un sito che censura i messaggi non graditi. Io infatti ho mandato una replica ma non l'hano pubblicata. Del resto fa capo a Repubblica, giornalaccio fazioso quant'altri mai.
Aggiungici pure il sito di LIBERO che di libero ha solo il nome; più di un commento mi è stato censurato e ti assicuro era molto più soft di quelli che scrivo qui. Basta che intravedano il mettere in dubbio la GNF e sei censurato. Bell'esempio vero?
ilmarmocchio13/5/2009, 12:40
Ma quasi tutta la stampa e' cosi' : destra e sinistra, pari sono. E ho notato una cosa apparentemente strana. Tra i commenti che ho inviato, mi sono stati pubblicati quelli piu' sguaiati. Ne ho mandati 2 proprio quasi come provocazione. I commenti piu' coerenti e equilibrati, non sono passati. Gli stronzi pubblicano i posts piu' forti : intanto fanno piu' rumore, e poi in realta' sono piu' ATTACCABILI o ridicolizzabili. Tu prova a mandare qualcosa di veramente efficace, e cioe' chiaro, sintetico, stringente e opla'. Il commento non c'e' piu'. Tra gli odierni parassiti, i giornalisti sono i peggiori, e i maschietti i peggiori di tutti
Tex696913/5/2009, 15:49
ilmarmocchio
Ma quasi tutta la stampa e' cosi' : destra e sinistra, pari sono. ....Tra gli odierni parassiti, i giornalisti sono i peggiori, e i maschietti i peggiori di tutti
Il problema è che, essendo diffusi in destra e sinistra quando ti ritrovi in quello scatolone verticale non sai dove mettere la crocetta e la beffa è che solo in quel momento, in teoria, conti qualcosa... :sick:
ilmarmocchio13/5/2009, 21:30
Il solito dilemma : un voto da solo non conta nulla, tanti si. Sulla democrazia, e sulle elezioni ci sarebbe molto da dire. Addirittura lessi un articolo di uno statistico, che affermava che il sorteggio casuale dei candidati sarebbe la forma piu' democratica possibile
Man in inglese vuol anche dire umano. Non c'entra niente lo stupido "sexism". Sarebbe più giusto dire woman of the year e lasciarlo così. Anzi sarebbe meglio abolire queste cretinate di Time magazine. Il MSM (mainstream media) ormai fa solo disservizio. Ricordiamoci che mentre uno dei politicanti meno preparati, con più scandali (da scoprire, avendo fatto rapida ascesa a Chicago - quel Chicago peggio di Napoli - vedi recentissimo scandalo Gov. Blagojevitch per capirci) è stato trattato da Messia, avendo soltanto più tracce di melanina nella pelle, quelli di Time e altre "outlet" SMS hanno indagato furiosamente, scoperchiando persino i suoi bidoni della spazzatura, la Governatrice di Alaska Sarah Palin... accusandola di abuso di potere per aver fatto licenziare un parente poliziotto - beone e violento. Licenziato NON assunto!! In seguito trovata innocentissima. A Sarah Palin che si è tenuta il figlio "down"... mentre Obama, quando era senatore dello stato di Illinois, ha votato per l'uccisione dei bambini sopravvissuti agli aborti sbagliati (i cosidetti "born alive babies). Ma anche voi del Messaggero, come il Corriere, La Stampa vi siete lasciati abbindolare. Sarah Palin doveva essere Woman of the Year. Poteva anche essere Man of the Year perché ha le palle, mentre Obama ha soltanto la pelle
Maschio, 35-45 anni, solo. Ecco perché: 1.Pensi che l’igiene personale sia roba da femminelle 2.Da una donna ti aspetti che ti scarrozzi, ti offra la cena e paghi pure il parcheggio 3.La rendi partecipe dei tuoi movimenti intestinali e dei tuoi problemi gastrici fin dai primi incontri 4.Nel tuo cassetto i calzini sono sistematicamente ordinati per gradazione di colore 5.Sei fondamentalmente asessuato e cerchi una compagna solo perché “bisogna sistemarsi prima o poi” 6.Pensi che la donna più importante della tua vita sia tua madre, e la tua ipotetica ragazza viene comunque dopo gli amici e i colleghi. 7.Sei bello e attraente come un bruco ma speri di uscire con Monica Bellucci un giorno 8.Lei porta una 42 ma le ripeti continuamente che deve dimagrire 9.Esci con lei ma guardi le altre, e non manchi di fare pure il farfallone 10.Hai problemi psicologici, sessuali, relazionali, ma invece di andare in terapia pensi che un miracolo risolverà ogni problema della tua vita 11.Esci con lei, ma dalle prime uscite parli della tua ex 12.L’ultima volta che una donna ha riso per una tua battuta è stato sette anni fa 13.Fai i conti in tasca alla tua ragazza e parli sempre di guadagni, perdite, investimenti e compri solo se è conveniente! 14.In primavera esci sempre imbacuccato come un cosacco per paura di beccarti un raffreddore 15. Sogni una donna a cui poter raccontare la tua cartella medica 16.Menti, sempre e comunque 17.Sei una larva ma tenti di spacciarti per una bellissima farfalla 18.Lei deve essere illibata, ricca e della tua città 19.Sei un quotidiano visitatore di siti porno 20.Non ricordi l’ultima volta in cui hai offerto un caffè a un amico. Saluti a Beppe e a tutti gli Italians da Marcella.
Marcella Fornioni, marcellafornioni@yahoo.it
Scienziato apocrifo17/5/2009, 10:21
Ma questa è la descrizione del 95% delle donne italiane!!!
silverback17/5/2009, 10:22
Appunto...
Quinzio217/5/2009, 10:25
Sono cose di una banalita' assurda. Si potrebbero dire le stesse cose dei maschi del pesce martello. Sevrenigni scrivere per campare, percio' pur di campare bene scrive qualunque cosa.
Ti cacciano dal Prado, ti fanno scendere dall' aereo, ti chiedono di uscire dal bar. Prima ti dicono che è tuo preciso dovere di donna e di madre allattare tuo figlio, se non lo fai sei degenere, lo privi per frivolo egoismo degli anticorpi che gli serviranno per vivere, mini la sua salute sei una specie di killer. Campagne ministeriali, proprio. Il latte in polvere oltretutto costa una fortuna le aziende ci speculano quindi ok, al seno. Poi quando lo fai ti pregano di allontanarti perché sei indecente, che vergogna quello spicchio di seno, ma che fa, ma dove crede di vivere, si copra. Io non ci credo. Non credo all' indignazione né al turbamento maschile, non credo che siano stupidi né ipocriti che quasi sempre è lo stesso. Viviamo in un epoca in cui le ditte di abbigliamento si fanno pubblicità con foto dove lui cerca di violentare lei mentre un terzo impassibile li guarda. Esibire reggicalze e scollature anche posticce purché monumentali garantisce fama denaro e spesso un posto in Parlamento. Non ho mai visto una madre che allatta farlo con ostentazione, è un gesto intimo e necessario che si compie chine su se stesse. I reggiseni, se è questo il problema, non sono wonderbra di pizzo: sono scafandri col bottone. Le madonne dei quadri lo fanno nude, è difficile anche credere al turbamento estetico: siamo cresciuti davanti a icone di Vergini nutrici. Credo che sia un rigurgito di esercizio di potere, piuttosto. I neonati hanno fame ogni due ore, qualcuno ogni ora. Se non puoi allattarli "in pubblico" devi stare a casa. Non un supermercato né un cinema, non un caffè al bar, figuriamoci se puoi prendere un aereo o andare in visita a un museo, fare un concorso. E' tuo dovere di donna pensare prima al bambino. Meglio se sparisci dalla vista, dalla competizione, dalla vita. Vai, esci pure di scena. Ripresentati quando sei in forma, lato A e lato B ben esposti, possibilmente con la biancheria giusta.
CONCITA DE GREGORIO
silverback17/5/2009, 11:13
Repubblica — 17 luglio 2000, pagina 32.
Uomini di ordinaria violenza
Ne esce male l' uomo, il maschio, da questo libro. Per quanto l' autrice non pronunci condanne spietate né generalizzate, il racconto della sua pluriennale esperienza di giornalista e soprattutto di presidente del Telefono Rosa è tutto un susseguirsi di analisi, di testimonianze e statistiche che fanno emergere fatti concreti, la violenza fisica e psicologica che troppi uomini tirano fuori con mogli, fidanzate, amiche, clienti e donne occasionali. Un rapporto, tra lui e lei, che spesso vive e si consuma con identica brutalità sia in case signorili, sia in case popolari. Per non dire dei luoghi di lavoro. Alla radice di tanto furore c' è una denutrizione culturale, l' affermazione d' un potere, l' esasperazione del sesso. Le pagine di questo libro non sono a senso unico, non sono impregnate di vittimismo tutto al femminile. Vi si trovano piuttosto flash di vita quotidiana di Roma, dove i fatti di ordinaria violenza, quasi sempre sommersa, superano l' immaginazione e di cui raramente c' è traccia sui giornali, anche perché da parte di chi subisce tanto dolore c' è il pudore e la paura di raccontarlo. Da Così fragile, così violento risalta chiaramente un disagio maschile molto diffuso, non solo in Italia. Gli uomini d' oggi - per fortuna una minoranza, seppur robusta - più che malvagi appaiono prepotenti, meschini, storditi. Ma c' è di peggio: spesso nella solitudine della casa cercano su Internet un fantasma, un corpo qualsiasi di donna, un' emozione erotica e non più un corpo vivo, un corpo di donna con la sua originalità e la sua vera sessualità. Da rispettare.
Giuliana Dal Pozzo - Così fragile così violento - Editori Riuniti pag. 143 lire 16.000 - di EDO PARPAGLIONI
silverback17/5/2009, 16:12
Repubblica — 05 settembre 1999, pagina 36.
Donne, il nostro sesso è l' arma più potente
VENEZIA - Con quell' aria delicata e per bene, tradizionale e persino un po' smarrita, Jane Campion, una tre le poche registe donne venerate come un grande maestro, porta dentro di sé, da sempre, le immagini oscure e le emozioni violente di donne segnate da ferite che le rendono diverse, donne che non si adeguano, che gli altri non capiscono e isolano. Anche Ruth, la spaziosa Kate Winslet (diventata famosa per i baci di Di Caprio nel "Titanic"), protagonista di Holy Smoke, in concorso ieri, è così, una ragazza molto giovane che cerca in una religione orientale, in una setta indiana, una via di fuga da una realtà di normale balordaggine. E così, inquiete e inquietanti, sono tutte le donne dei suoi film: la grassa e schizoide "Sweetie" che vive su un albero del giardino di casa, fa orrore ai suoi familiari e disgustò per totale assenza di bon ton i critici al Festival di Cannes di dieci anni fa; la malinconica e solitaria Janet Frame, la scrittrice neozelandese alla cui biografia Campion si era ispirata per girare "Un angelo alla mia tavola", rinchiusa per otto anni in manicomio, che improvvisamente infiammò la Mostra di Venezia del 1990 ottenendo il Leone d' argento; la muta e cupa Ada di "Lezioni di piano" (Palma d' oro a Cannes nel 1993 e tre Oscar), Isabel di "Ritratto di signora", troppo libera e intelligente per la società del suo tempo. Oggi, a 45 anni, con addosso una camicia e una gonna lunga ritagliate da un vecchio sari leggero, Jane Campion pare proprio una ragazza soave e irriducibile degli anni ' 70, quelle che definendosi femministe, provocavano allora scherno e terrore ovunque, anche in Australia dove, nata in Nuova Zelanda, è cresciuta con una madre attrice e un padre regista teatrali. "Alla fine del millennio stiamo ancora qui a chiederci chi ha più potere, l' uomo o la donna. Ce l' ha, credo, chi lo sa usare. E le donne possono averne quanto ne vogliono usando la loro sessualità, che è molto meno fragile di quella maschile. Anni fa girai per il governo australiano un filmetto educativo contro le molestie sessuali. Lo trovai proprio brutto, perché mi fu impossibile dire, per non scoraggiare il mio committente, quello che avrei voluto. Ragazze, anche in ufficio puntate sull' attrazione sessuale, lavorerete con più gusto". Irreprensibile nella vita, non sfiorata da notizie rosa forse perché vive in un continente dalle distanze immense, dove a fare la spesa bisogna andare con l' aereo di casa, sposata pare felicemente, con una piccina di cinque anni che ha portato con sé, ha sempre raccontato le sue donne turbolente e inafferrabili attraverso le emozioni del sesso, la sua mancanza o i suoi eccessi, il suo rifiuto o la sua scoperta. "Un corpo giovane di donna può prendersi qualsiasi rivincita su un uomo, che per quel corpo è disposto ad ogni compromesso, resa, umiliazione. Ho scelto per questo film Kate Winslet perché ha una figura densa, molto femminile, antica eppure ancora adolescente. E quel povero Harvey Keitel, che ha più del doppio dei suoi anni, nel mio film ossessionato dalla perdita seduttiva che gli deriva dall' invecchiare, che si tinge i capelli, si profuma l' alito e porta stupidi jeans attillati, con tutta la sua spocchiosa autorità dell' esperto americano che deve strappare la ragazza alla setta, è un perdente. O meglio uno che vuole perdere per smetterla con il ruolo del duro. Ho provato molta soddisfazione a far indossare a quel macho un abito rosso di donna, che lo rende ridicolo mentre supplica amore". Ancora una volta soavemente feroce con gli uomini, Jane Campion lo è ancora di più con l' istituzione della famiglia. "Considero quella del film una famiglia tipo, del tutto normale, in Australia e nel resto del mondo occidentale. Un padre imparruccato, indifferente e con amante, la solita madre che si sacrifica, il fratello bello e sciocco con moglie bella e sporcacciona, l' altro fratello fidanzato in casa con uno che porta divise da cowboy trasparenti. La casa piena di gadget orribili, l' abbigliamento leopardato da grande magazzino, i bambini troppo grassi. Se poi una vuole andare in India e si innamora di un vecchio guru obeso, è comprensibile". Anche Campion è stata folgorata dalla spiritualità orientale, visto il rispetto con cui ne parla nel film? "Ho fatto un lungo viaggio in India a scopo turistico, non per cercare qualcosa di alto, ma non posso negare che il paese non mi abbia colpito. Non è della religione che la gente, e la famiglia di Ruth, hanno paura, ma della fede in qualcosa di invisibile, che non sia un programma televisivo, la pubblicità di un frigorifero, l' ultimo divo. Certo ci sono sette di imbroglioni, ma anche veri movimenti spirituali. E sempre più persone, sempre più giovani, hanno bisogno di credere in qualcosa, di andare alla ricerca di quel mitico Graal che si chiama anima e che non si sa più cosa sia. Di riscoprire, nell' egoismo e nell' aridità di oggi, il senso di essere buoni, generosi, altruisti".
NATALIA ASPESI
silverback18/5/2009, 01:10
Repubblica — 08 maggio 2001, pagina 61.
Storie di donne forti e di maschi carnefici
Appuntamento con Tempi moderni, il programma di Daria Bignardi in onda su Italia Uno alle 20.40. Tema di questa puntata è "Donna e potere". Nei tempi moderni la donna non si accontenta più di ruoli di secondo piano e chiede sempre più di avere le stesse possibilità dell' uomo. Ecco però che il maschio non accetta di dividere il potere e fa branco con i suoi simili per escludere l' altro sesso. Come reagiscono le donne? Quando sono vittime e quando carnefici? Come vivono il potere? Tra le storie presentate nel corso della puntata quella di due donne legate al mondo della politica che raccontano gli ostacoli che hanno incontrato e incontrano quotidianamente; quella di Monica, vittima delle asfissianti molestie del suo capo, oggetto di mobbing, non dimentica e accusa le colleghe di averla completamente abbandonata. Infine una donna eritrea, componente dell' esercito che ha combattuto il primo e il secondo conflitto, che ha ucciso, depredato, arrestato, come le donne siano in grado di compiere gli stessi lavori dell' uomo. In studio il sociologo Francesco Alberoni, Lella Costa e Andrea Biavardi di Men' s health. Il gruppo di detenuti di San Vittore, appuntamento fisso di "Tempi moderni" racconterà la propria esperienza.
cama-leo19/5/2009, 15:58
<b>Repubblica — 08 maggio 2001, pagina 61. In studio il sociologo Francesco Alberoni, Lella Costa e Andrea Biavardi di Men' s health.
Ospiti selezionati per bene... :sick:
Tex696919/5/2009, 20:09
silverback
Nei tempi moderni la donna non si accontenta più di ruoli di secondo piano e chiede sempre più di avere le stesse possibilità dell' uomo. Ecco però che il maschio non accetta di dividere il potere e fa branco con i suoi simili per escludere l' altro sesso. Come reagiscono le donne?
Hanno DOVUTO mettere una volta uomo per evitare il ripetitivo, poi sappiamo che per Repubblica il Maschio FA BRANCO !! Animali allo stato brado...ecco cosa sono gli uomini. Grazie Repubblica niente di nuovo dal fronte occidentale.
ilmarmocchio19/5/2009, 21:43
Forse l'articolista intende per UOMO il 3 sesso, gli uominiincammino-pentiti. Invece il maschio e' l'ominide con caratteristiche maschili : infatti fa branco, e per non cedere il potere e' disposto a spezzare le ossa in testa I concorrenti ( ricordate l'alba dell'uomo, pardon del maschio, in Odissea 2001 ?). Ah.. Repubblica, nutrimento dello spirito, ambrosia dell'intelletto
Tex696920/5/2009, 09:01
ilmarmocchio
Invece il maschio e' l'ominide con caratteristiche maschili
Certo, Repubblica riscrive la storia filogenetica umana ed è pronta a mettere pure in discussione Paleontologia e anatomia comparata pur di portare avanti la GNF.
La costituzione nel 1948 affermava solo formalmente l’uguaglianza e la pari dignità sociale di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso. Ma, fino al 1975 il Codice Civile (del 1942) disciplinava ancora i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi sul principio della assoluta supremazia dell’uomo: la donna era soggetta alla potestà del marito-capo famiglia, era obbligata a modificare la residenza in forza degli obiettivi di lui, ne condivideva categoricamente il domicilio e, in cambio della totale sottomissione, aveva il diritto al mantenimento e alla protezione. Aveva il dovere della totale fedeltà, in cambio di quella di lui “molto ridotta”: l’adulterio del marito non costituiva infatti reato come quello della moglie che, se sorpresa in fallo, diventava pure madre indegna dei suoi figli. Non solo, della dote diventava proprietario o amministratore il capo famiglia, giacché l’eventuale autonomia economica avrebbe potuto suggerire, alle mogli, scelte tali da inficiare il potere e il controllo di ogni marito.
Gli ultimi 40 anni, e per alcuni interventi legislativi, gli ultimi 20 e persino gli ultimi 10, hanno finalmente segnato la rivoluzione dei ruoli familiari, attuando progressivamente il modello costituzionale con l’equa ripartizione delle responsabilità coniugali e genitoriali all’interno della famiglia ma anche all’esterno. Dunque affermando, era ora, la pari dignità giuridica di uomini e donne. Nello stesso periodo si sono susseguiti molti accomodamenti legislativi specifici, volti ad introdurre in concreto anche la parità costituzionale sancita in tema di lavoro, non solo subordinato. Potremmo a questo punto essere fieri di onorare davvero una carta costituzionale che si è allineata ai Paesi più civili, consentendo l’eliminazione di norme discriminatorie in famiglia, nel lavoro e nell’economia generale. Tanto si può fare ancora, per esempio a tutela degli omosessuali, così ingiustamente perseguitati come fossero una razza a parte.
Tuttavia c’è un altro grave problema: le giovani generazioni di donne, inconsapevoli delle umiliazioni e delle lotte di cui sono state protagoniste le loro madri e nonne, stanno dissipando la ricchezza delle fondamentali conquiste giuridiche di cui oggi godono, gratuitamente, inconsapevoli della preziosa eredità ricevuta. Hanno il diritto allo studio, al lavoro, al divertimento, al sesso, al divorzio, persino all’adulterio, nella piena ratificata parità col maschio. Però disdegnano, in linea di massima, i corrispettivi doveri. O, comunque sia, li fanno apparire concessioni generose: proponendosi di volta in volta vittime del maschio, della società, della famiglia.
È vero che ancora non è stato sfondato il “soffitto di vetro”; è vero che la violenza maschile non è stata debellata; è vero che ci sono luoghi di potere misogini. Ma è anche vero che molte, troppe, giovani donne, anche istruite, approfittano delle tutele previste dalla legge e non vogliono maturare la coscienza del dovere e della fatica; usano invece la loro femminilità e strumentalizzano il corpo e la diversità biologica, finendo col non rispettare la pari dignità giuridica. Infangano la potenza della femminilità quelle donne che, a frotte come cavallette, precipitano negli esclusivi territori familiari e di potere per conquistare il raccolto faticosamente seminato e coltivato da altri.
C’erano pure una volta: erano furbe, guardinghe e solitarie e le altre le chiamavano puttane. Oggi sono sfacciate e fiere di autodichiararsi pubblicamente escort. Sfruttano la fragile sessualità del maschio, per rovinare famiglie e patrimoni: esiste per loro il diritto ad avere tutto, ma conoscono a fondo esclusivamente il dovere di dare una sola cosa. Sempre e solo quella. Per altro, a mio parere, una cosa ormai così diffusa sul mercato da rendere ridicoli quegli uomini che non se la prendano gratuitamente. Se non altro per pari “dignità”. In nome della legge.
ilmarmocchio22/8/2009, 09:39
La bernardini ecc fa come i terroristi : prima ha fatto dei danni, poi incolpa gli altri e spiega come punirli. A c....re, e senza carta igienica
ROMA - Allergici al matrimonio? Gli uomini che soffrono di questa patologia hanno nuovi elementi per «farsela passare». Secondo uno studio, infatti, le nozze sarebbero per loro un vero toccasana. Per le signore invece, «l'investimento» non porterebbe guadagni significativi sul fronte «acciacchi & malanni». A sostenerlo sono ricercatori americani dell'università dell'Arizona, secondo i quali il «grande passo» ridurrebbe di oltre il 10% i rischi di incappare in gravi problemi di salute, ma per il solo sesso forte. Farsi «incastrare», stando alla ricerca pubblicata sullo «Psychomatic Medicine Journal», ha un impatto paragonabile addirittura allo smettere di fumare.
IL TEST - La prova arriverebbe da un test del sangue eseguito su 1.715 volontari tra i 57 e gli 85 anni. Sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori statunitensi il livello di una proteina, la C-reattiva (Crp). Questa sostanza, infatti, viene prodotta in risposta alle infiammazioni e sembra legata anche al rischio di diverse malattie cardiovascolari. Ebbene, mentre per le donne il matrimonio non sembra fare alcuna differenza sui livelli di Crp, per gli uomini le nozze rappresentano una vera e propria svolta . Quelli sposati, infatti, vantano un livello più basso rispetto ai celibi: una media di 1,16 milligrammi per litro di sangue, contro i 2,72 degli scapoli. Numeri che dimostrano «quanto siano forti gli effetti sulla nostra salute di legami sociali solidi», commenta Tony Cassidy, docente dell'università dell'Ulster, sulle pagine del britannico Daily Mail. Ma che non devono indurci ad abbassare la guardia, concedendoci vizi ed eccessi una volta raggiunto l'altare. «Sposati o meno - raccomanda June Davison, della British Heart Foundation - per mantenere sano il cuore bisogna mangiar sano e fumare poco».
24 agosto 2009
fa bene a lui 24.08|19:40 BibiPala
per lei è solo lavoro in più: panni da lavare, un'altra persona che mangia come un lupo marsicano, tonnellate di spesa da comprare e portare a casa, in cambio di un amato cavolo. Sesso, poco, passati tre mesi il caro miracolato si riduce al missionario. per carità, spero di diventare lesbica ma mai più farò entrare un uomo in casa mia.
ilmarmocchio24/8/2009, 22:48
Le italiane non le caga piu' nessuno . Ecco il perche' delle 2 pirlate precedenti.
Grifone_verace24/8/2009, 22:57
Le italiane non le caga piu' nessuno . Ecco il perche' delle 2 pirlate precedenti.
Non ancora. Quando veramente (tra molto poco tempo) non se le cagherà più nessuno, allora faranno di tutto per attirarci l'attenzione.
silverback1/9/2009, 19:18
Parole di una utente di un altro forum:
Comunque, detto tra noi, perchè fare un favore ad un uomo, aggratis...? Non paga, non ti ama, magari è anche scarso a letto..ma chi ce lo fa fare? E' un "do ut des..."
Guit1/9/2009, 20:54
Parole di una utente di un altro forum:
Comunque, detto tra noi, perchè fare un favore ad un uomo, aggratis...? Non paga, non ti ama, magari è anche scarso a letto..ma chi ce lo fa fare? E' un "do ut des..."
E' un ragionamento frigido.
Dev'essere una che non conosce i piaceri dell'amore e dell'orgasmo.
Grifone_verace4/10/2009, 09:41
Io dico la 2. Troppe donne soffrono d'infelicità , e se la tengono dentro. E odiare gli uomini solo perchè è la moda....è contro la natura. L'ho sempre detto, è pericoloso mettersi contro MADRE natura
silverback4/10/2009, 10:03
Io dico la 2. Troppe donne soffrono d'infelicità , e se la tengono dentro. E odiare gli uomini solo perchè è la moda....è contro la natura. L'ho sempre detto, è pericoloso mettersi contro MADRE natura
Caro Grifone, sei molto giovane, pertanto è normale che tu abbia ancora una visione angelicata del sesso femminile. Un giorno t'accorgerai che la realtà è molto diversa.
Grifone_verace4/10/2009, 10:09
Io dico la 2. Troppe donne soffrono d'infelicità , e se la tengono dentro. E odiare gli uomini solo perchè è la moda....è contro la natura. L'ho sempre detto, è pericoloso mettersi contro MADRE natura
Caro Grifone, sei molto giovane, pertanto è normale che tu abbia ancora una visione angelicata del sesso femminile. Un giorno t'accorgerai che la realtà è molto diversa.
Adesso sicuramente è come dici tu, forse parlo così perchè non sono mai stato fidanzato (età: quasi 20) In 10 anni il mondo cambia... Spero che non sarà come dici tu... PS non ho mai avuto una visione angelicata del sesso femminile...non ho mai leccato il culo nè fatto lo zerbino con le donne. Ho un modo particolare di ragionare: io sono fatto così, ho i miei pregi e i miei difetti, se mi vuoi, accettami come sono. Rimango solo? Amen...certo mi dispiace, ma non posso rinunciare alla mia persona