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 Avessi messo un Avvocato UOMO, adesso sarei ancora a Legino coi miei Tesori, tra cui un asciugacapelii "Ansaldo".
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Off Topic / guerra Israele - Iran
« Ultimo post da fabriziopiludu il Giugno 15, 2025, 20:19:58 pm »



 Gli Israeliani sono veramente GUERRAFONDAI!!!
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Frank il Giugno 13, 2025, 20:39:10 pm »
Beh, visto il livello radiofonico non possiamo dar loro torto... :lol:

In confronto al livello medio radiofonico albanese, gli italiani sono degli alieni... :cool2:
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Vicus il Giugno 13, 2025, 20:24:17 pm »
Beh, visto il livello radiofonico non possiamo dar loro torto... :lol:
Chi gli ha dato torto? :lol:
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Off Topic / Re:Le "risorse" svedesi
« Ultimo post da Vicus il Giugno 13, 2025, 20:23:32 pm »
Col cazzo
Speriamo, gli italiani non fanno figli e abbiamo milioni di stramieri in età militare
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Frank il Giugno 13, 2025, 20:18:03 pm »
In ALbania c'era l'ergastolo per chi ascoltava radio italiane

Lo so.
L'Albania dell'epoca era veramente un paese di merda; del resto c'è un motivo se soprattutto in passato mi incazzavo di brutto quando sentivo alcuni di questi soggetti sputare nel piatto (italiano) in cui mangiavano (e mangiano).
(Il discorso riguarda anche i rumeni.)
Calcola che negli anni Novanta, l'Albania era non solo il paese più povero d'Europa, ma anche il terzo più povero al mondo.

https://www.eastjournal.net/archives/75501

Citazione
ALBANIA: 25 anni fa, quando la Rai parlò di noi
Lavdrim Lita 9 Agosto 2016

25 anni fa cominciava il grande esodo dei profughi albanesi verso l’Italia. Tra la notte del 6 e la mattina del 7 marzo del 1991, una prima ondata di persone in fuga dall’Albania si riversò sulle coste pugliesi. Era il preludio al drammatico viaggio verso Bari della nave Vlora che ad agosto attraccò in Puglia con 20 mila passeggeri a bordo.

La storia

Il crollo del muro Berlino e la morte violenta dei coniugi Ceausescu in Romania nel 1989 aveva scosso i regimi comunisti nell’ est Europa e sopratutto Tirana. Per 45 anni l’Albania fu sottomessa a dura prova da un regime stalinista guidata con metodi spietati dal dittatore Enver Hoxha. Questa prova consisteva nell’impoverimento materiale e spirituale di tre milioni di persone. Centinaia di chiese, mosche e altri luoghi di culto furono distrutte e decine di chierici persero la vita perla volontà cieca di estirpare con la violenza la fede nelle persone per sostituirla con il culto del partito.

L’Albania arrivava nei primi anni ‘90 come il terzo paese più povero del mondo dopo l’Uganda e l’Angola e dove la proprietà privata, la libera impresa, la libertà e i diritti umani fondamentali erano stati vietati per Costituzione. Durante il regime comunista la mobilità interna ed esterna erano totalmente proibite. La propaganda contro la migrazione e immigrazione era massiccia e rappresentata come una piaga sociale frutto del capitalismo. La propaganda totalitaria fino alla morte di Enver Hoxha nel 1985 rappresentava nell’immaginario collettivo albanese il fenomeno migratorio come una deportazione territoriale simile a quella per gli oppositori politici.

Il regime comunista del post-Hoxha guidata da Ramiz Alia cercò di allentare la presa della repressione dando l’idea di prossime riforme economiche e sociali, ma l’ incapacità e l’atrofia politica della classe dirigente deluse subito le aspettative. In condizioni di povertà diffusa, di disoccupazione crescente e di mancanza di reali prospettive per il futuro,l’emigrazione sembrava l’unica strada percorribile per una generazione che non aveva nulla da perdere.

Nel luglio del 1990 centinaia di giovani si diressero, spinti dalla speranza di una vita migliore, verso i cancelli delle ambasciate occidentali come fossero una casa sicura per chiedere asilo politico e una nave che li avrebbe guidati verso l’occidente. I primi dati sono spaventosi per la credibilità del regime, circa tremila persone si rifugiarono all’ambasciata tedesca; altre cinquemila in quelle italiane, francesi, greche, turche, polacche, ecc.

A Tirana il malcontento si manifestò ormai apertamente e diversi gruppi sociali e sindacali organizzarono scioperi e manifestazioni. Quelli che diedero un colpo definitivo al regime comunista furono gli studenti universitari che scesero in piazza in numero sempre maggiore: anche se in un primo momento le loro richieste erano limitate alle condizioni di studio, ben presto acquisirono una maggiore connotazione politica. Il passaggio da un regime totalitario a un sistema democratico di tipo liberale coincise con una grave crisi economica del paese, in un momento storico in cui la globalizzazione cominciava a far sentire i suoi effetti. Alla povertà ereditata si aggiunse la piaga della disoccupazione che in una società molto giovane come quella albanese incentivò le forti spinte migratorie.

Verso l’Italia

In questa confusione politica, economica e sociale, alla vigilia delle prime elezioni libere nel marzo del 1991, l’Albania era un paese in rovina, in cui regnava il caos e il sogno dell’occidente,in particolare l’ Italia, vista solo alla televisione. La Rai e i canali mediaset, anche se il fenomeno non e’ ancora scientificamente studiato, furono uno dei più importanti spiragli che mantenne vivo nell’immaginario collettivo il desiderio di libertà e la possibilità di una alternativa.

Nella primavera del 1991 l’Italia scoprì di essere la terra promessa per migliaia di albanesi.Dal 7 marzo 1991, gli albanesi entrarono a pieno titolo sulla scena continentale con quello che fu denominato “l’ esodo biblico”. I legami con l’Italia erano stati sempre di amore e odio. L’amore per essere cosi simili: “due popoli, un mare”. Anche nel medioevo, gli albanesi per scappare all’ invasione ottomana sbarcavano in Sicilia o in Puglia come ci dimostra la presenza della comunità arberesh nel sud Italia. L’Italia era sempre stata vista come un porto sicuro. Tuttavia, gli albanesi residenti in Italia nel lontano 1980 erano appena 514; nel 1990, 2.034.

Tutto questo stava per cambiare.La prima calorosa accoglienza nelle ambasciate occidentali confermò il desiderio di molti giovani di provare a scappare dal non-vivere. La voce per la partenza delle navi dal porto di Durazzo aveva fatto sì che centinaia di giovani di Tirana percorressero a piedi o in bicicletta 40 chilometri che dividono la capitale dalla città di mare. Una maratona verso la libertà. In quei giorni migliaia di giovani albanesi “assaltarono” la nave “Vlora”, una bellissima nave italiana costruita a Genova negli anni 60. La Rai stava finalmente parlando di loro. Per la prima volta, loro erano la notizia.




https://www.serbianmonitor.com/eurostat-albania-e-bosnia-i-paesi-piu-poveri-deuropa/

Citazione
Eurostat: Albania e Bosnia i Paesi più poveri d’Europa
28/06/2022 AuthorNicola Dotto
Secondo gli ultimi dati Eurostat, la Bosnia Erzegovina è il secondo Paese più povero d’Europa. L’agenzia statistica afferma che solo i cittadini albanesi hanno uno standard inferiore, mentre la Serbia sarebbe al 52% della media europea.

“La Bosnia-Erzegovina è al di sotto del 50% della media europea standard, al 41%, ed è classificata meglio solo dell’Albania, che ha uno standard del 39% rispetto alla media dell’Unione europea”, secondo Eurostat. Tra i paesi della regione, il Montenegro è il migliore con il 60% rispetto alla media europea, seguito dalla Serbia con il 52%, la Macedonia del Nord con il 49%, mentre la Bulgaria è al fondo dell’Unione Europea, al 63% della media europea.

“A livello dell’UE, il Lussemburgo ha registrato lo standard più alto lo scorso anno, il 46% al di sopra della media europea. Seguono Danimarca e Germania con uno standard superiore di 1/5”, si legge nell’analisi. Si aggiunge che le più vicine alla media dell’Unione Europea sono Italia, Lituania e Cipro, mentre Repubblica Ceca, Slovenia, Polonia, Spagna, Portogallo e Romania sono in media indietro del 15%. La Croazia sarebbe nel gruppo dei Paesi con uno standard basso nell’UE, espresso in consumo individuale reale pro capite, il 27% in meno rispetto alla media europea.
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Off Topic / Re:Le "risorse" svedesi
« Ultimo post da Duca il Giugno 13, 2025, 11:48:23 am »
Sono gli europei del futuro! :italia1:
Col cazzo... oops volevo dire non praevalebunt. :P
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Duca il Giugno 13, 2025, 11:44:00 am »
In ALbania c'era l'ergastolo per chi ascoltava radio italiane
Beh, visto il livello radiofonico non possiamo dar loro torto... :lol:
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Vicus il Giugno 11, 2025, 22:23:03 pm »
In Albania c'era l'ergastolo per chi ascoltava radio italiane
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Off Topic / Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Ultimo post da Frank il Giugno 11, 2025, 20:47:01 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Bogdan-Cre-u-amare-tra-le-rovine-del-comunismo-romeno-238306

Citazione
Bogdan Crețu, amare tra le rovine del comunismo romeno
Il romanzo "Meno dell’amore" (Mai puțin decât dragostea) di Bogdan Crețu, pubblicato nel 2023, è stato inserito quest’anno nella shortlist del Premio Europeo per la Letteratura (EUP). La recensione del romanzo ancora inedito in Italia

06/06/2025 -  Oana Dumbrava

“Meno dell’amore” è, al di là di ogni riconoscimento, un libro necessario perché affronta il rimosso, ciò che una società tende a dimenticare per sopravvivere. È una preziosa occasione per conoscere un pezzo di storia. È un’opera che interroga, commuove, disturba e – soprattutto – fa riflettere.

Si inserisce in quella corrente di "postmemoria" che ha visto negli ultimi anni molti autori dell’Europa dell’Est – da Herta Müller a Katja Petrowskaja – cercando di raccontare le storie rimaste nell’ombra del Novecento.

L'autore

Bogdan Crețu (n. 1978) è professore presso la Facoltà di Lettere dell’Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iași. Tra il 2013 e il 2022 è stato direttore dell’Istituto di Filologia Romena “A. Philippide” dell’Accademia Romena, sezione di Iași. È caporedattore della rivista Timpul e membro di PEN România.

Ha pubblicato otto volumi di critica letteraria, tra cui il più importante è L’unicorno alle Porte dell’Oriente. Il bestiario di Dimitrie Cantemir (seconda edizione, Editura Cartier, 2021). Ha contribuito con numerosi studi a volumi accademici in patria e all’estero, ha curato, editato e scritto prefazioni per diverse antologie.

Tiene una rubrica di critica letteraria sulla rivista Observator cultural. Per la casa editrice Polirom ha inoltre pubblicato i romanzi Il corno dell’unicorno (2021) e Nichita. Il poeta come il soldato (2022).

Contesto storico: la Romania tra dittatura e postcomunismo
La Romania ha vissuto una delle dittature più dure dell’Europa orientale, culminata con il regime di Nicolae Ceaușescu (1965-1989). Caratterizzato da un controllo oppressivo della società, da persecuzioni politiche e dalla famigerata polizia segreta Securitate, il periodo comunista ha lasciato un’impronta profonda sulla memoria collettiva del Paese. Il sistema carcerario, in particolare, è stato teatro di torture, lavaggi del cervello e violenze sistematiche, soprattutto durante gli anni ’50.

La caduta del regime, avvenuta nel dicembre 1989, ha segnato formalmente la fine della dittatura, ma il passaggio alla democrazia è stato lento, doloroso e spesso ambiguo. Molti carnefici non sono stati processati, e la giustizia transizionale è rimasta parziale.

Questa eredità irrisolta è al centro del romanzo di Crețu, che pone al lettore una domanda cruciale: come possiamo convivere con il passato se non lo affrontiamo davvero?

La trama: amore, memoria, colpa
Vlad, il personaggio narratore, incontra Maria e in due giorni iniziano a raccontarsi la storia delle loro vite. Quello che all’inizio sembra l’avvicinamento dell’innamoramento diventa una scusa per un profondo tuffo nel passato.

Vlad racconta la sua storia d’amore con Sara, dai tempi del liceo a allo stesso tempo il destino dei propri genitori. Apprendiamo che il padre di Vlad era stato un prigioniero politico che era stato arrestato da adolescente nel 1956 dopo aver cantato “Deșteaptă-te, române!” (l'inno nazionale, vietato in quel momento dal regime).

Bastava davvero poco per essere imprigionati e subire percosse e torture durante il periodo più buio dell’oppressione comunista. L’autore cerca di immedesimarsi nei panni dei carcerieri, riflettendo la complessità umana delle situazioni: il tormento, la soddisfazione o persino il peso interiore che, ironicamente, può provare anche un torturatore.

“Come diavolo puoi calpestare un bambino?” si legge nel libro. “Cosa ci guadagni? Che soddisfazione puoi avere? Cosa si risveglia dentro di te? Bastava sputargli addosso e sarebbe crollato. Oppure alzare il pugno e si sarebbe fatto la pipì addosso. Si vedeva che a casa non lo aveva mai picchiato nessuno. Forse non aveva un padre. Una femminuccia. Ma gli ordini erano ordini, le direttive dovevano essere eseguite. Dovevano ancora consegnare almeno venti casi entro la fine del mese, e questo andava liscio, senza troppi grattacapi. Anche loro si stancavano a forza di urlare. E in questo caso, non c’era nemmeno troppo lavoro da fare: uno schiaffo ben piazzato, un pugno nello stomaco, un calcio nello stinco e fine. Con questi piccoli ci arrivi subito dove vuoi. Era divertente, si rilassavano anche loro un po’. Perché altrimenti non è un lavoro per chiunque: dare pugni, schiaffi, calci, colpi di manganello giorno e notte – credi sia facile? Essere sempre coperti di sangue, come un macellaio. Tornavano a casa, dalle mogli, esausti, distrutti da quanto avevano bestemmiato e picchiato. Che se le scopasse chi poteva, loro volevano solo dormire. E cosa dovevano rispondere quando le mogli chiedevano: ‘Sei stanco? Com’è andata oggi?’ Ah, benissimo, abbiamo picchiato dieci nemici del popolo, quattro giovani e sei vecchi.”


I racconti dei tempi passati in prigione non costruiscono solo delle schede di personaggi, ma restituiscono la realtà di un passato non troppo lontano: “Esiste una realtà del detenuto ed esiste una realtà del carceriere. Per molti, la prima cancella la seconda. In breve, il torturatore picchia selvaggiamente o uccide il detenuto secondo il proprio capriccio. Ma dobbiamo tener conto di entrambe, se vogliamo comprendere la realtà del carcere, del campo di prigionia.”

E per comprendere questa realtà, l’intreccio dei destini dei personaggi diventa la chiave del libro. Il carceriere e torturatore comunista del padre di Vlad risulta essere stato il padre di Sara.

Un torturatore noto, di nome Iancu Iacoban, che tratta il giovane prigioniero con più tenerezza. Non tanto per scelta personale, quanto perché, a quanto pare, era stato l’amico dell’attuale moglie – anche lei incarcerata per un breve periodo e poi liberata, sotto pressione affinché firmasse dichiarazioni contro le proprie convinzioni.

La memoria intergenerazionale si insinua come un albero dalle ramificazioni sempre crescenti. Chissà quanti dei nostri parenti, ai tempi del comunismo, sono stati sia vittime che carnefici.

Personaggi come il torturatore Iancu Iacoban non sono mai stati puniti. La vecchia Securitate romena si è infiltrata silenziosamente nel nuovo sistema. Anche se in qualche raro caso la giustizia è riuscita a portare in tribunale alcuni dei carcerieri, processare dei novantenni non ha avuto molto senso.

La punizione per Iancu Iacoban arriva attraverso sua figlia Sara, che si innamora del figlio della sua vittima, scappa con lui, rimane incinta e, dopo essere scoperti, accetta la promessa d’aiuto del padre per costruirsi una famiglia – solo per fuggire di nuovo, dal paese e dalla propria storia d’amore.

I protagonisti non sono responsabili dei crimini dei loro padri, ma ne ereditano le conseguenze. E una storia d’amore non può costruirsi sulle rovine di un passato pesante. La separazione dei giovani innamorati, che si ritrovano dopo decenni, diventa un sacrificio simbolico di una lotta persa, ma al contempo anche vinta.

Al di là della storia di prigione, tortura e amore, c’è anche quella di Maria, l’interlocutrice del protagonista. La sua non è più una narrazione di violenza fisica, ma di pura miseria e pressione psicologica.

Diversamente da Sara, che ha vissuto nella prosperità grazie al lavoro ambiguo del padre, Maria trascorre un’infanzia e un’adolescenza sordide, con due genitori che fingono di essere felici nel fine settimana – finché nemmeno quello è più possibile. Durante il resto della settimana, si cerca nella monnezza e ci si ubriaca con disinfettante al posto dell’alcol. È così che il padre di Maria pone fine alla propria vita.

“Che amore, eh? Quando sei povero e non hai nulla da mettere in tavola (…) chi dovrebbe insegnarci cos’è l’amore? Odio. E paura. Paura e odio. Con queste siamo cresciuti.”

Il male e i personaggi ambigui continuano a farsi il proprio ruolo al di là di ogni regime. L’influenza del movimento #MeToo nella parte finale del romanzo in un racconto universitario di Maria, introduce un elemento contemporaneo e globale, dimostrando come le dinamiche di abuso e potere non siano confinate al passato.

“Il male – racconta l’autore in un incontro con i suoi lettori – è un tema molto più visibile rispetto al bene. Il bene diventa subito banale, lo dimentichiamo più facilmente. È dal male del passato collettivo che possiamo imparare molto, un male che non è poi così lontano nel tempo. E se questo male non è ancora abbastanza distante nel passato, allora che almeno lo sia nel futuro. L’amore cerca sempre di sopravvivere, ma da solo non basta a guarire le ferite, se prima non si attraversa la verità”.
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