Autore Topic: Jackson C. Frank "I Want To Be Alone (Dialogue)"(1965). Dal finale di "Electroma  (Letto 839 volte)

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Jackson C. Frank "I Want To Be Alone(Dialogue)"(1965). Dal finale di "Electroma"(2007) dei Daft Punk [Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter].


Un cenno doveroso ad uno dei più sfortunati e dimenticati ma che potevano essere veramente grandi, protagonisti mancati, del folk e del cantautorato americano anni '60-'70. E lo sono stati, seppure per un solo luminosissimo ma arso nel fuoco del fallimento e della sfortuna come egli stesso fu, unico disco. Leggendo della sua vita si capirà anche il collegamento meraviglioso che hanno fatto i Daft Punk dirigendo "Electroma", nell'indimenticabile finale del robot che si "suicida" ardendo tra le fiamme e camminante, nella totale oscurità notturna del deserto.

Un inevitabile e ormai imprescindibile, ringraziamento al "Venerato Maestro Oppure"...

Jackson C. Franke I Want To Be Alone

Presi per il culto (9): Jackson C. Frank – Jackson C. Frank (Columbia, 1965)

È come se un dio feroce si fosse divertito a mischiare un romanzo di Fitzgerald con uno di Steinbeck e poi a infliggerne la trama a un disgraziato in carne e ossa: solo che nessuno scrittore avrebbe forse mostrato così poca simpatia per il suo protagonista e sarebbe stato tanto inflessibile, e totalitario, nella ricerca del perfetto opposto del lieto fine. Questo toccò in sorte a Jackson C. Frank e a ben pensarci quasi pare un colpo di fortuna – l’unico – la morte che misericordiosa lo coglieva il 3 marzo 1999, cinquantacinquenne. “Jackson chi?”, vi sarete chiesti più o meno tutti, con l’eccezione dei più profondi conoscitori del folk britannico di metà ’60. E allora adesso vi racconto una storia, che non è una bella storia. Che strizza il cuore fino a farne poltiglia e poi lo getta nella spazzatura. Ed è così che è la vita per qualcuno.

Jackson C. Frank nasce nel 1943, cresce nei sobborghi di Buffalo, New York, e incontra la musica sui banchi di scuola. Ci manca un niente che ne muoia. È l’inverno che porta il 1954 a sfumare nel ’55 quando l’aula distaccata in cui si tengono i corsi prende fuoco per via di una caldaia difettosa. Nel rogo periscono diciotto dei suoi compagni di classe, lui sopravvive ma con ustioni spaventose in particolare sulla schiena. La tragedia lo segnerà indelebilmente nel fisico (rimarrà storpio) e nella psiche. Lo renderà anche un chitarrista migliore, giacché avrà molto tempo per esercitarsi nei sette mesi trascorsi in ospedale, e, una decina di anni più tardi, un giovanotto discretamente benestante, per via degli oltre centomila dollari di risarcimento infine riconosciutigli da un’assicurazione: la sua fortuna più grande e la seconda peggiore disgrazia. Avendo precocemente imparato che del doman non vi è certezza, il giovane Jackson cerca di spassarsela quanto più può, spende e spande e pure a motivo di ciò negli ambienti del Village che già da tempo frequenta (fra i soci di gozzoviglie John Kay, che diverrà famoso cantando con gli Steppenwolf) la sua popolarità cresce a dismisura. Qualcuno in ogni caso comincia già ad accorgersi che, simpatia e generosità a parte, il ragazzo ha talento, suona bene e sono bellissime le canzoni che scrive. Non sarà però profeta in patria. Nel 1965 salta sulla Queen Elizabeth e si dirige verso la Gran Bretagna con il più prosastico degli scopi: lì potrà comprarsi l’auto dei sogni, una Jaguar, a un buon prezzo (si fa per dire). Singolarmente appropriato che giusto durante il viaggio scriva la sua canzone più memorabile, Blues Run The Game, toccante autoritratto di un ricco giovine sulla strada per l’autodistruzione: “Catch a boat to England, baby/Maybe to Spain…/Wherever I’ve been and gone…/the blues are all the same”. E a Londra… tutti pazzi per Jackson C. Frank a Londra, da una Sandy Denny ancora lungi dalla fama alla coppia Bert Jansch/John Renbourn, viceversa già in marcia per la gloria, da Al Stewart a Roy Harper, a un altro illustre espatriato (provvisorio) quale Paul Simon. È proprio costui a curare la scarna regia dell’omonimo 33 giri. Edito da EMI Columbia, a testimoniare quanto il nome fosse circolato in fretta.

Dicono che Nick Drake se lo sia studiato bene questo disco e non so se sia vero ma lo trovo verosimile. È nel suo ambito cantautorale un capolavoro, integralmente autografo, anche se naturalmente una scala qui e una melodia là (ad esempio in una Milk And Honey reminiscente di House Of The Rising Sun) ricordano altro, come spesso accade nel folk. Ma la personalità è spiccatissima, da una Don’t Look Back a squarciagola all’orecchiabile Yellow Walls, da una Here Come The Blues sintetizzata dal titolo agli struggimenti di I Want To Be Alone, che nel congedo You Never Wanted Me si fanno pressoché insopportabili. L’album vende nulla, la EMI non rinnova il contratto, l’ispirazione svanisce e i soldi idem, ancora più in fretta. Espulso dalla Gran Bretagna perché nullatenente e facente, Frank riattraversa l’Atlantico. Si sposa e ha un figlio ed è l’ultimo (l’unico?) momento di felicità: il bambino muore per una rara malattia, il matrimonio fallisce, la testa non c’è più e cominciano i ricoveri in cliniche psichiatriche. Fra questo e quello, un’esistenza abietta da barbone. Non scrive più, non fa concerti, vive di elemosine e ingrassa spaventosamente. Poco prima che muoia, un fan messosi sulle sue piste lo rintraccia e cerca di organizzargli un ritorno. Troppo tardi.



I want to be alone
I need to touch each stone
Face the grave that I have grown
I want to be
Alone
Before all the days are gone
And darker walls are bent and torn
To pass the time of those who mourn
I want to be
Alone
Rivers that run anywhere
Are in my hand and just up the stair
Past the eyes of those who care
Who can never be
Alone
Changes that were not meant to be
Tow the hours of my memory
Sing a song of love to me
To say you must never
Never be alone
The tears of a silent rain
Seek shelter on my broken pain
And run away
But I remain
To speak the words
That sing
Of alone
I want to be alone
I need to touch each stone
Face the grave that I have grown
I want to be
Alone
Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.