Autore Topic: “Femminicidio”, II parte: Come il neofemminismo specula sulla violenza  (Letto 1067 volte)

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Inchiesta sul “Femminicidio”, II parte: Come il neofemminismo specula sulla violenza

http://identità.com/blog/2012/12/21/inchiesta-sul-femminicidio-ii-parte-come-il-neofemminismo-specula-sulla-violenza-di-genere/

Citazione
Il problema sociale, rappresentato dalle associazioni femministe che speculano sul tema della violenza di genere, per ottenere sia finanziamenti pubblici per i loro centri, che leggi che consentano loro di fomentare ulteriormente la “guerra tra sessi”, è un fenomeno, come detto dalla Pizzey, esteso a tutto l’Occidente.

Uno caso terrificante, che si sviluppa tra Usa e Regno Unito, vede come vittima una bambina di soli 2 anni, sofferente di una rara patologia agli occhi: Emily Lindle.



Nel 2003 la madre di quest’ultima, una donna americana stanca del proprio matrimonio, avvenuto in terra inglese, decise di tornare negli Usa; non senza portarsi dietro la figlia.
E qui iniziò il dramma . Per riuscire nel suo intento, difatti, le bastò appellarsi al VAWA. Il VAWA è una legge americana che fornisce vitto, alloggio e assistenza legale ad una donna ( attraverso centri anti-violenza finanziati con soldi pubblici ) quando questa denuncia un compagno per abusi; inoltre consente di togliere immediatamente l’affido al padre. Tutto ciò, indipendentemente dalle prove. Non uno di questi privilegi fu tolto alla donna, neppure quando smise di far curare la bambina per il problema agli occhi; né quando, con una sorta di scambio, la affidò ad un pedofilo con vari precedenti. Ancora oggi, dopo numerose indagini che hanno dimostrato la falsità delle accuse, e dopo che la bambina ha perso la vista a cause delle mancate cure, la donna continua, attraverso i centri anti-violenza, ad essere sostenuta e finanziata.[nbnote]http://voices.yahoo.com/us-state-department-behind-international-child-abduction-1591165.html[/nbnote]

E proprio in Inghilterra, paese nel quale attiviste anti-violenza come Dianne Core, o la già citata Erin Pizzey, denunciano da decenni cosa sono tali centri, di recente un politico (che ovviamente è stato subito stigmatizzato dalle associazioni femministe ) ha sollevato il problema del degrado di tali strutture, e dei danni che esse provocano ai bambini [nbnote]http://www.bbc.co.uk/news/uk-wales-politics-15970557[/nbnote].

In Francia, il fiorire del fenomeno delle false accuse, sostenute da centri antiviolenza e avvocatesse femministe, ha portato ad un cambiamento della legge sull’affido. Pascaline Petroff, avvocatessa che è si è distinta per la lotta a tale sistema, ha subito un tentato omicidio da parte di due femministe[nbnote]http://www.culturefemme.com/uncategorized/enlevement-de-me-pascaline-saint-arroman-petroff-une-avocate-parisienne/[/nbnote].

In Spagna, un organo della Comunità autonoma di Madrid, costituito da una trentina di associazioni femministe, (che si dovrebbe occupare di violenza “di genere”) ha censurato un’informativa ufficiale, compilata dalla dottoressa Tatiana Torrejòn Cùellar, a nome del Consiglio economico e sociale ( CES), impedendo, nello specifico, che su essa si potesse pronunciare Esperanza Aguirre ( la presidentessa della Comunità di Madrid ) [nbnote]http://sociedad.elpais.com/sociedad/2008/04/22/actualidad/1208815206_850215.html[/nbnote].



L’informativa, oltre che trattare in generale della speculazione sulla violenza domestica effettuata dai circoli femministi, introduceva un tema molto interessante: e cioè gli effetti deleteri di leggi, emanate sotto le pressioni di determinati “allarmi sociali”. Ecco alcuni stralci dell’informativa [nbnote]http://www.centriantiviolenza.com/wp-content/uploads/2011/04/DocumentoCEScensurato.pdf[/nbnote] [nbnote]http://www.centriantiviolenza.com/the_truth_archives/informativa-censurata/[/nbnote]:

Le donne morte per violenza domestica sono in media il 5% del totale degli omicidi. Vediamo quindi che la percentuale è molto poco significativa rispetto al totale; ma nonostante questo produce un grande allarme sociale.[...]
L’attenzione ed il trattamento che si è prestato a questo problema non è giustificata da un aumento significativo delle cifre rispetto al totale degli omicidi, ma piuttosto dall’allarme sociale causato dai mezzi di comunicazione e la conseguente attenzione dei politici di turno.[...]
In questi ultimi anni le norme processuali sono state interpretate in un percorso favorevole alle vittime di violenza domestica, fra cui il riconoscere efficacia probatoria in giudizio ad una chiamata al 911. [...]
Secondo la Legge di Protezione Integrale, la violenza di genere è una “manifestazione della discriminazione, della situazione di diseguaglianza e delle relazioni di potere degli uomini sopra le donne”, ed in base a questa considerazione soggettiva si sviluppa tutto il sistema delle politiche pubbliche:
con gli aiuti pubblici si motivano le donne a preferire dirsi vittime di “violenza di genere” per ottenere tutti i benefici menzionati con sforzo minimo, piuttosto che a sforzarsi a conseguire un lavoro migliore, uno stipendio migliore, o migliori condizioni di lavoro.

In pratica, si sottolinea come vi sia una tendenza legale a invertire l’onere della prova; così, un po’ come abbiamo visto succede col VAWA, la denuncia è già di per sé trattata come una prova.
E’ ovvio che ciò tenda a limitare la capacità di diverse donne di far carriera attraverso il proprio impegno, portando ad un incremento delle false accuse, e di conseguenza ad una perdita di credibilità del tema delle violenza domestiche; dunque, alla lunga, ad effetti negativi per le donne e la loro emancipazione.

Torneremo tra poco sul tema dell’inversione dell’onere della prova.

Nulla di diverso, rispetto a questi paesi, troviamo in Italia. Anche nel nostro paese, associazioni di femministe, speculando sul tema della violenza domestica e presentandosi come associazioni per il bene dea famiglia, ottengono fondi pubblici che in realtà utilizzano per dare sfogo alla propria ideologia. Emblematico è il caso che nel 2010 portò il Comune di Roma a non finanziare l’appalto per i centro antiviolenza comunale, all’associazione “Differenza Donna”, a seguito del comportamento increscioso tenuto da quest’associazione, in combutta con il Centro Artemisia di Firenze [nbnote]http://www.adiantum.it/public/2285-roma,-risolto-lo-strano-caso-della-rete-antiviolenza-per-sole-donne–i-servizi-sociali-e-il-403-c.c..asp[/nbnote] [nbnote]http://www.giannifurlanetto.it/Al_Sindaco_di_Roma_caso_Furlanetto.pdf[/nbnote].

Vi sono poi state inchieste (tra cui una del programma “Le Iene”), che hanno dimostrato l’abitudine di tali centri di rifiutare l’accoglienza ad uomini che si dichiarano vittime di violenza [nbnote]http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/182460/golia-1522-denuncia-stalking.html[/nbnote].



Si segnala inoltre il ruolo dei centri anti-violenza, nello svilupparsi anche in Italia, del fenomeno che più d’ogni altra cosa, getta discredito sul tema della violenza domestica: le false accuse [nbnote]http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm02/documenti_acquisiti/957%20FENBI%20-%20A.pdf[/nbnote].

Ecco ad esempio, le parole di Carmen Pugliese, sostituta procuratrice presso il Tribunale di Bergamo, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, nel 2009:

I maltrattamenti in famiglia, stanno divenendo un’arma per risolvere contenziosi; solo in due casi su 10 essi si dimostrano veri. Molte volte siamo noi stessi a chiedere l’archiviazione. In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. È successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia. [...] una tirata d’orecchie va ai centri antiviolenza, che istigano a denunciare, senza svolgere una dovuta azione di filtro” [nbnote]http://4.bp.blogspot.com/_sX6G8kdRfQI/SxLGxdmWwBI/AAAAAAAAAKY/ihj9qoSNIuo/s1600/L%27Eco+di+Bergamo+-+31.01.2009.gif[/nbnote].

La responsabilità del femminismo nel forte insorgere del fenomeno delle false accuse, non è da addebitare soltanto all’azione effettuata attraverso i centri, ma anche a determinate leggi che la pressione di tale movimento ha fatto emanare. E qui torniamo al concetto di inversione dell’onere della prova.
Come segnalato da associazioni come “Sportello Donna”[nbnote]http://www.assolei.it/index.php?option=com_content&task=view&id=117&Itemid=30[/nbnote], e, su giornali come “Liberazione”, da femministe come Angela Azzaro [nbnote]http://www.facebook.com/AngelaAzzaro[/nbnote]: “il movimento ha ottenuto importanti cambiamenti, come l’inversione dell’onere della prova”.
Di questi mutamenti legali avvenuti, possiamo leggere anche in un documento parlamentare del 2008, [nbnote]http://parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/2501[/nbnote] che recita:

Con la citata legge n. 66 del 1996 cambiano finalmente anche i termini processuali, con l’inversione dell’onere della prova, grazie alla quale non è più la vittima a dover «dimostrare» di essere stata stuprata, ma l’aggressore a dover dimostrare di essere innocente.

Da quanto finora detto, si palesa l’evidenza di come l’attuale metodo di contrasto alla violenza domestica, sia del tutto inadeguato; non essendo altro che espressione del femminismo radicale che ha monopolizzato il tema a suo uso e consumo.

Una prima mossa da effettuare, di conseguenza, per togliere potere a determinate associazioni è la chiusura dei centri anti-violenza attuali. Noi, per contrastare la violenza in ambito domestico, ci accodiamo, dunque, alla proposta del sociologo tedesco Gehrard Amendt [nbnote]http://de.wikipedia.org/wiki/Gerhard_Amendt[/nbnote], prima sostenitore dei centri antiviolenza, e ora, visti i risultati, promotore di una nuova tipologia di centro d’aiuto:

I centri controllati da associazioni femministe, e basati su tale ideologia, non sono necessari. Le famiglie con problemi di violenza hanno invece urgente bisogno di una rete di centri di ascolto che possano fornire aiuto non politicizzato e non sessista a tutte le persone. Nel futuro abbiamo bisogno di sostituire i centri femministi con centri di supporto per famiglie con conflitti violenti. Sarebbero gestiti da uomini e donne ben preparati che cooperano sulla base dell’etica professionale, intervenendo durante le crisi familiari violente.[nbnote]http://www.welt.de/politik/deutschland/article4295642/Why-Womens-Shelters-Are-Hotbeds-of-Misandry.html[/nbnote]

Tornando all’ allarmismo “femminicidio”, lo scenario sopra riferito, fa comprendere come queste associazioni possano premere per creare emergenze mediatiche e allarmi sociali a loro congeniali; anzitutto per ottenere finanziamenti, statail e non. Si pensi al “fiorire”di richieste di costruzione di nuovi centri, e di pubblicità per richiedere donazioni, avvenuto in questi giorni [nbnote]http://pubblicogiornale.it/attualita/donne-centri-antiviolenza-gerina-stalking/[/nbnote].

Per quanto invece concerne l’altra questione, e cioè perché la percentuale abnorme di stupratori tra immigrati è tenuta nascosta, anche qui dobbiamo chiederci:” cui prodest? A chi giova nascondere i danni dell’immigrazione?” Bé, a questa domanda abbiamo in questo blog risposto più volte, e la lista di potenti e associazioni varie a cui giova, è alquanto lunghetta.
Sintetizzando in un paio di frasi l’elemento principale, possiamo dire che l’immigrazione contemporanea è “manna dal cielo” per il grande capitale, che può usarla per distruggere i diritti nell’Occidente, livellare i salari verso il basso, e abbattere i confini, che sono visti come null’altro che un “ostacolo” al libero mercato.



Arrivati a questo punto, è inevitabile porsi una domanda, cui risponderemo esaustivamente nella terza ed ultima parte di questa nostra inchiesta; la domanda è: “Ma le associazioni femministe, mentre speculano sulla violenza domestica per ricevere finanziamenti e perseguire la propria ideologia, perché fanno poi scena muta sulla violenza ben tangibile che le donne italiane subiscono per via dell’immigrazione?”
Vnd [nick collettivo].