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L'obesità femminile è un’incombenza e/o una responsabilità maschile?

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Seduttore:
Buongiorno a tutti,

oggi vorrei farvi partecipi di una riflessione su alcuni eventi che mi vedono protagonista e che sono ascrivibili alla questione maschile. Una vostra opinione sarebbe davvero gradita.

Diamo innanzitutto un po’ di contesto.

Io lavoro nel settore IT e tre anni fa sono stato assunto da un'azienda di piccole dimensioni come sviluppatore software in ambito commerciale. Ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace e di essere ben pagato e abbastanza "insostituibile" per l'azienda dato che sono subentrato ad un collega poco accorto che fu licenziato perché responsabile del quasi fallimento aziendale per negligenza.

Quando ho accettato il contratto sapevo che avrei dovuto lavorare duro per assolvere al mio compito e così, in seguito ai miei interventi di recupero, l'azienda si è risollevata dal pericolo di default e il proprietario mi ha preso in simpatia e mi tiene in gran conto considerandomi quasi insostituibile, benché mi sia comunque chiaro che siamo tutti più o meno rimpiazzabili.

In poche parole sono un uomo molto fortunato in ambito lavorativo! Molto fortunato, non fosse che per un dettaglio: i colleghi.

Anzi sarebbe meglio dire “le colleghe” dato che il personale del mio ufficio è composto nell'ordine da:


* me stesso
* un capoufficio uomo
* una contabile donna
* una addetta alla pubblicità donna
* una grafica donna
* due del customer-care telefonico ambedue donne
Totale: 2 uomini e 5 donne in barba a chi dice che le aziende non assumono personale femminile.

Fin qui tutto bene se non fosse che tutte e cinque le colleghe sono accomunate dall’essere estremamente obese, dove col termine obese si intende proprio nel senso clinico del termine.

A questo punto uno potrebbe chiedersi: che ti frega se le tue colleghe sono in sovrappeso?

Beh… lasciate che vi dia una descrizione esaustiva della condizione lavorativa, soprattutto per quanto riguarda alcune situazioni che si ripetono regolarmente in ufficio. Dopo la spiegazione sono sicuro che capirete perché ciò è un problema molto più ampio e grave di quanto non possa sembrare a prima vista.

Sul perché poi abbiano deciso di assumere tutte obese non ne ho idea. Inizialmente pensavo che il proprietario godesse di qualche sgravio fiscale di qualche tipo, ma mi sono informato e i benefit per l’assunzione di chi gode della legge 104 si limita alle disabilità mentali, benché a giudicare da certi discorsi delle tizie in oggetto io la 104 glie l’avrei data più per carenze psichiche che per obesità cronica.

Sulla preparazione poi nemmeno a parlarne: alcune di loro non hanno nemmeno idea di cosa fanno e ripetono i loro task lavorativi al pari di un braccio meccanico. L’unica logica possibile la trovo nel fatto che il proprietario abbia dato per scontato che le loro probabilità di riproduzione sono così vicine allo zero da evitandogli il famoso problema del congedo materno.

Capito il contesto ecco come si presenta la situazione.

E’ noto a tutti il fatto che l’estetica sia fondamentale per una donna, specie se si considera che per molte “povere di spirito” è praticamente l’unica arma di seduzione che hanno. Partendo da ciò, vi sarà facile comprendere il livello di perenne frustrazione che aleggia in quell’ufficio ogni singolo giorno di ogni settimana lavorativa. Roba da far impallidire anche un condannato nel braccio della morte!

Con la presenza di 5 donne pesantemente frustrate e stipate a forza in una stanza, vi lascio solo immaginare il continuo e incessante pettegolezzo che si genera appena il capoufficio è assente, cosa che per altro capita anche molto spesso. Ma ancor di più vi invito ad immaginare quanto possa essere fastidioso tutto l’inciucio di cui è quotidianamente bersaglio questa o quella persona che, guarda caso, quel giorno non è presente in ufficio incluse loro stesse.

Pur essendomi sempre guardato bene dal partecipare ai chiacchiericci femminili, ho appreso per una forma di “forzato ascolto” che la contabile è quella che si salva di più raggiungendo "appena" i 96 kg per 1 metro e 64 di altezza. Seguono a ruota una telefonista e la grafica a pari merito con il superamento dei 100 kg (più precisamente 102 e 103 kg), poi segue la seconda telefonista della quale non è noto il peso (ma comunque abbondantemente oltre i 100 kg) e il podio è della autrice pubblicitaria che, se non bastassero il triplo mento e la poltrona rinforzata acquistata appositamente per lei, ha sconcertato le colleghe a più riprese "svelando" che ha raggiunto i 140 kg di peso corporeo, e generando puntualmente la scenetta stucchevole di finto buonismo delle colleghe che, in coro, le danno come minimo 100 kg in meno…

Per darvi una dimensione dell'ipocrisia che aleggia, vi dico solo che non mi stupirei se un giorno le colleghe della pubblicista la invitassero ad iscriversi al concorso di Miss Universo, considerando quanto sono ripiene (ed uso il termine ripiene non a caso) di una grossa dose di nazifemminismo, di innumerevoli assurdità da cultura woke e della body positivity di più infimo ordine che ci si possa immaginare.

Certo sarebbe fin troppo facile criticare gli atteggiamenti delle suddette donnicciole e sarebbe ancor più facile lamentarsi del brutto spettacolo al quale sono forzatamente sottoposto ogni giorno, ma io sono un uomo scevro di pregiudizi ed accetto il più delle cose in nome di una serena convivenza lavorativa. Dall'altro lato il fatto che ben 2 di loro percepiscono una pensione statale non mi fa saltare di gioia, ma siamo in uno stato democratico ed assistenzialista e tutto sommato credo che sia una cosa buona benché alquanto iniqua.

Ma, di nuovo, ciò non dovrebbe rappresentare un limite al lavoro, giusto? Beh sarebbe così se non fosse che il problema si comincia a presentare quando la loro fisiologica obesità mista alla loro "fisiologica frustrazione" impattano con il diritto di lavorare, e talvolta di vivere, di coloro che che sono costretti a conviverci.

Ecco, quindi, solo alcune di quelle innumerevoli situazioni che di per sé non sono esaustive ma che ben rappresentano il modo in cui le scelte alimentari di alcuni possono impattare sugli altri, i quali non hanno alcuna colpa delle problematiche di peso dei primi.

Ricordo di nuovo al lettore che tutto quanto riportato è frutto di esperienza diretta di eventi che sono tuttora in essere.

1) Il momento del pranzo

Per ragioni logistiche aziendali facciamo pausa pranzo in ufficio portando la cosiddetta "schiscetta". Personalmente il massimo del pranzo che ho portato al lavoro è stato un'insalata di riso, una pasta fredda tonno e zucchine, un'insalata, una frutta o cose simili. Insomma ho sempre mangiato cose fredde e leggere gioco forza la lontananza da casa e da qualsiasi tipo di ristorante per vari chilometri. Ebbene, vi lascio solo immaginare cosa possano mangiare persone che non si pongono minimamente il problema del peso.
Spesso capita che le colleghe portino da casa del cibo che già di suo ha odori forti, come frittate di cipolle, cavolfiori fritti ecc... Ma la punta del disgusto si tocca quando a turno usano il forno a microonde messo a disposizione dall'azienda per riscaldare pietanze come baccalà alla veneziana, piatti con dosi spropositate d'aglio, zuppe a base di broccoli o scarole e una quantità di fritti da far concorrenza alla friggitoria “da Gigi il Troione”.
Risultato: l’ufficio finisce per assomigliare alla cucina di un kebabbaro e a me passa pure l’appetito…

2) Il problema dell'igiene

Restando in ambito di odori, mi pare ovvio che quando si hanno corpi così sformati e pesanti anche il minimo movimento possa rappresentare uno sforzo gigantesco con tutte le problematiche di sudorazione annesse. Il problema viene quando a ciò si unisce il mancato rispetto per le minime norme igieniche come, ad esempio, il farsi una doccia al mattino. Certo non deve essere semplice combattere una tale sudorazione e magari è capace che la doccia se la fanno pure. Ma, citando il grande Fantozzi, probabilmente la doccia la fanno con acqua "tipo fogna di Calcutta”, perché all'arrivo in ufficio non se ne sente alcun effetto positivo…

3) Il problema della temperatura ambientale

Com’è facile intuire, a grande sudorazione corrisponde grande esigenza di fresco e di riciclo d’aria. Ne viene di conseguenza che se d’estate io ed il collega maschio sembriamo Roald Amundsen e Reinhold Messner, alla conquista rispettivamente del Polo Sud l’uno e dell’Everest l’altro a causa dell’aria condizionata sparata sempre al massimo perché “le signorine hanno caldo”, allo stesso modo il problema si ripresenta d’inverno quando, a causa di finestre chiuse e riscaldamenti accesi, io ed il collega ci trasformiamo di colpo in due ebrei che attendono la dipartita in una camera a gas di Auschwitz!

E potrei andare avanti all’infinito, ma credo che abbiate capito dove voglio andare a parare.

A questo punto si potrebbe argomentare che la questione non riguardi specificamente il gap tra uomini e donne. Ma, in realtà, se avrete ancora un po di pazienza potrete capire come il genere di una persona definisca la sua libertà di movimento.

Non è un segreto, infatti, che anche al più sensibile dei colleghi uomini si possa far notare col giusto tatto che certi cibi, un certo livello di igiene e temperature troppo estreme possono rappresentare un problema per gli altri. Non mi mancano esperienze in questo senso, tant’è che in una situazione simile (in verità in una situazione di palestra e limitata al problema dell’igiene personale) in più persone facemmo presente il problema ad un ragazzo pesantemente in sovrappeso che la prese meglio di quanto ci aspettavamo. Ovviamente essendo un evento avvenuto in palestra, già c’era da parte sua una certa consapevolezza ed una predisposizione all’autocritica ed al miglioramento.

Posto quindi che che l’igiene personale è un fattore fondamentale per una dignitosa convivenza, provate invece a farlo notare ad una donna obesa in un momento storico come questo! Se mai qualcuno si permettesse di far notare ad una chiattona il fatto che quando suda puzza più di una fogna a cielo aperto, non c’è limite a ciò che potrebbe succedere al malcapitato a livello di gogna mediatica e sociale!

E il discorso non cambia per la questione cibo. Anzi sarebbe probabilmente strumentalizzata per attribuire atteggiamenti grassofobici al poverino e, in questo modo, aggirando completamente il vero fulcro della questione: il rispetto degli spazi reciproci.

L’unico punto sul quale ho potuto provare a far valere i miei diritti è stato quello delle temperature. A seguito di un dolore da raffreddamento dovuto al condizionatore eternamente acceso alla mia destra, che mi portò a problemi e dolori sul lato destro del viso e del corpo in piena estate, feci notare che esistono dei limiti dettati dalle leggi sul lavoro che impongono una temperatura minima ed una massima entro le quali è possibile lavorare, ed al superamento delle quali può scattare la denuncia da parte del lavoratore. Quella volta, per una volta, avevo sentito di aver fatto valere i miei diritti di lavoratore.

Sfortunatamente mai come quella volta ma mi sbagliavo dal tutto. Non avevo tenuto in considerazione che mi stavo schierando contro delle donne frustrate.

Inizialmente chiesi lo spostamento in un altro ambiente ma essendoci solo 2 uffici (dei quali uno è il nostro e l’altro è quello del boss e sua segretaria), rimanevano solo la sala riunioni ed uno sgabuzzino. Come un novello Ugo Fantozzi mi sarebbero quindi rimaste due opzioni:


* lo sgabuzzino (che funge da deposito e sala server) senza finestre e con computer rumorosi accesi 24/7
* il cesso
Al di la delle battute e non essendo il protagonista di un film fantozziano, ambedue le strade non erano ovviamente percorribili.

Purtroppo è finito tutto nel peggior “tarallucci e vino” che si possa immaginare, con il proprietario che si è umiliato a pregarmi di “indossare qualche indumento in più” in estate e prendermi qualche pausa in più in inverno per uscire a prendere una boccata d’aria, spaventato com’era dalla rappresaglia delle cinque deformi.

E la rappresaglia non ha tardato a farsi sentire!

Dopo le mie rimostranze fatte rigorosamente al boss in separata sede ma ovviamente origliate dalle chiattone, due delle obese si misero in finta malattia per una settimana e una simulò il malore più tragicomico che abbia mai visto, fingendo uno svenimento ma restando letteralmente in piedi. Mi pento solo di non aver registrato quel momento con lo smartphone. Anzi, a dirla tutta, quella volta ho avuto la sensazione che nonostante il boss mi tenga in altissima considerazione, abbia valutato più conveniente un mio allontanamento che il licenziamento di una delle lardose.

Per brevità di trattazione non menzionerò tutta una serie di rappresaglie minori che fecero a me e al proprietario nelle settimane successive, sputtanando tra l’altro il fatto di aver origliato alla porta della sala riunioni. Vi basti sapere che fecero tutte un fronte comune quasi come se in quei 10 minuti nella sala riunioni avessimo approntato un piano diabolico per sterminarle o, ancor peggio, per metterle a dieta!

A questo punto mi permetto di chiedere a voi che avete probabilmente più prontezza di spirito di me il seguente quesito:

Se le donne sono consapevoli di essere artefici dei propri problemi, cosa le spinge a credere che a pagarne le conseguenze debbano essere gli uomini intorno a loro?

Salar de Uyuni:
Carissimo.
Benvenuto su questo forum.
La componente tragicomica è sempre superbamente presente nelle nostre vite.
Mi riallaccio ad un mio precedente post per fare presente (l’equivoco morale) della nostra società.

Salar de Uyuni:
Sempre riflettendo sulle modalità insegnate ai giovani uomini compio questa riflessione.
La “violenza”.
Il “male”.
La violenza è il male?
Il male è violento?
La violenza ok non è un gioco.
Ma siamo onesti.
Quanto male subiamo in forme “ violente” e quanto in forme “ non violente”?
Là società degenera a vista d’occhio e fare una riflessione di questo genere equivale a porsi ancora più lontano, ancora più sideralmente lontano dalla pozzanghera di piscio del meme.
Pazienza.
Proviamo ad analizzare il problema.
Cos’è violento?
Se un obeso è un peso morto e il suo grasso ti grava addosso è violenza se lui si avvicina lentamente e ti pesa addosso fino al punto in cui se tu non reagisci ti schiaccia?
Il paragone può ferire alcuni.
Mi dispiace.
Ma rimane.
Di fondo penso che la violenza come oggi è intesa consista nella non gradualità dell’imposizione di un male che arriva immediato e dunque bene immediatamente visibile e riconoscibile.
Uno schiaffo per esempio.
Rapido e dritto, improvviso e inaspettato.
E là quantità di male nell’unita’ di tempo che oggi definisce la violenza.
Ma è fuorviante.
Poniamo che ci sia un unita di misura del male.
Poniamo che sia il d( da dolore).
Con uno schiaffo arrivano 10 d al secondo.
Più altri 1000 nelle 24 ore se lo schiaffo ti è stato dato in un contesto e da una persona in maniera tale che ti ferisca nel profondo.
Se per contro qualcuno te lo da in un contesto emotivamente trascurabile tipo che ne so un incontro di arti marziali bom quei 10 d sono 10 d.
In se è per se il dolore di uno schiaffo è trascurabile.
Ma inferto in modo troppo rapido per la società.
Sono quei 10 d al secondo che chiamano violenza.
Diciamo che i passivi non la usano.
Ingrassano e ti pesano gradualmente addosso fino a schiacciarti.
In una giornata arrivi tranquillamente a 5000 d.
Se non dormi è perché sei sulla soglia degli 8000 tipo l’Everest.
Senza alcuno schiaffo.
Ma si va oltre.
Molto oltre.
Talvolta 20000 d.
Talvolta 300000 d.
Il punto è diamine mica ti hanno usato violenza.
Quei 300000 d mica ti sono arrivati in un secondo!
Ai tempi i cinesi usavano la tortura della goccia, ti legano a una sedia e ti cade una goccia in testa.
All’inizio chi se ne frega.
Poi impazzisci.
Goccia dopo goccia totalizzin10000000 di d.
È anche lo stile delle donne.
La gradualità del male.
La rana buttata nell’acqua bollente si getta fuori gridando è violenza.
E lo è.
La rana bollita gradualmente muore.
Non è violenza?
No è assuefazione al male.
Assuefazione al dolore.
Assuefazione all’essere schiacciati.
Credo una cosa.
C’è un segmento piccolo di violenza positiva ma c’è e forse non è neanche così piccolo.
Uno schiaffo ha anche una valenza di diamine risvegliati.
Di stai esagerando.
Di stai annegando.
No la passività uccide.
Lentamente parola dopo parola, azione dopo azione sei murato vivo.
Oggi sta roba piace.
Se una donna ti vuole uccidere lo fa così.
Ma a dirla tutta anche gli uomini.
Si sono adeguati tutti.
I passivi.
E la questione è che se tu gli spacchi il muro compi un gesto violento.
La violenza in sé e per se oggi è solo e soltanto intesa come una quantità di male rapidamente inflitta.
Pochi d al secondo e si grida allo scandalo.
Con uno schiaffo è un secondo e c’è la condanna della società.
Ma se arriva lentamente quel culo obeso che vuole sedersi su di te, ti schiaccia ti soffoca, è lento, è graduale non è violenza.
E allora va ribadito che si è dimenticato tutto.
La violenza non è solo un gesto improvviso anche presentato come parte di una società patriarcale ecc. quello è il male scagliato rapido.
La violenza è assuefazione al male.
Al male che senti tu.
Non a quello che ti dicono che dovresti sentire o che vedi in televisione o nei social.
La violenza è il male che senti tu.
È il muro che mattone dopo mattone ti sta murando vivo.
E non c’è una spiegazione.
Ma va fermato arginato.
Sfasciato.
E paradossalmente può essere rotto solo se usi un martello.
Ma no caro mio non vale la lista precompilata dei cattivi del politicamente corretto.
Tanto non convincerò nessuno.
Si tenga ognuno i suoi cattivi.
E si interroghi sul suo male.
La violenza può anche essere il grigio tenore di un compagno di sedia che ti soffoca col suo grasso sempre più lentamente fino a schiacciarti.
E tu se gli tiri uno schiaffo cosa sei?

Salar de Uyuni:
Era un precedente post ma credo sia molto azzeccato perché calza a pennello con la tua situazione è in generale con quella della “formazione dell’esercito dei passivi” gente che reputa morale non solo non dare un limite a se stesso e agli altri, ma pretendere che gli altri debbano fare lo stesso senza poter definire un confine di sopportazione.
Gente che non solo non fa nulla per migliorare la propria condizione, ma che pretende di caricarla sulle spalle a te.
Il grasso- ne è la metafora più cogente, non l’unica.
È la passività malvagia dell’oggi, che però diamine mica può essere condannata, “ non è mica violenza”?
Comprendi il concetto come l’ho posto?

Seduttore:
Sia ben chiaro: sulla malafede delle obese non nutro alcun dubbio.

Anzi ho sottolineato più e più volte anche la profonda ipocrisia che, benché tratto comune alla donna in generale, nel loro caso raggiunge livelli da pantomima tipo commedia dell'arte.

La mia era una domanda molto più prosaica che sottintende la necessità di trovare una logica razionale piuttosto che di giustificarne le ragioni astratte della suggestione.

Quel che voglio dire è che anche il più limitato dei mentecatti è in grado di comprendere che se mangia un chilo di amatriciana, mezzo chilo di pane con lardo di Colonnata e quaranta supplì di riso fritti per ogni singolo giorno della sua vita, beh... prima o poi ne pagherà le conseguenze con gli altri ma sopratutto con se stesso. Cioè non mi serve una mente geniale o un quoziente intellettivo superiore per capire che se mi rovino la vita con le mie stesse mani non potrò mai attribuire le colpe del mio malessere all'altro, fosse anche la più inconsapevole ed ottusa delle persone.

E seppure non lo ammetterò mai pubblicamente, resta il fatto che in fondo in fondo ne avrò sempre una forma di consapevolezza!

Qui parliamo di logica spicciola. Qui non si sta parlando di pregiudizi degli uni ma di scelte delle altre che intaccano la loro stessa salute e che le porteranno probabilmente ad una morte prematura per complicazioni mediche.

Eppure nonostante tutto ciò, costoro non sono in grado di trovare in se stesse un minimo di forza per attuare un cambiamento che farebbe bene a loro e di riflesso agli altri. Al contrario, profondono se stesse e tutte le proprie energie per mettere gli altri, per altro totalmente innocenti, in posizione di assoggettati a qualche non ben precisata responsabilità delle loro scelte.

Abbiamo forse colpa di tenere alla nostra salute?
Siamo rei di uniformarci alle leggi di natura?
E' nostra responsabilità il funzionamento delle cellule lipidiche?

Insomma, al netto delle domande retoriche potrei potenzialmente motivare il tutto in funzione di una loro congenita e smisurata frustrazione. Ma con tutta la buona volontà, ciò non basterebbe a giustificare un atteggiamento così incongruente da rovinare non solo gli altri, ma loro stesse in primis!

E per quanta smisurata ignoranza si possa attribuire ad una persona in fatto di consapevolezza di se, mi rifiuto di credere che quella stessa persona dia più peso alla narrazione della colpevolezza altrui piuttosto che alle conseguenze materiali delle proprie azioni come i problemi di salute, le difficoltà di spostamento, il respiro corto, la necessità di strutture apposite, ecc... nonché alle conseguenze intangibili come la ripugnanza degli altri o l'esecrazione di se stesse allo specchio.

In poche prosaiche parole: se mangio un maiale imbottito al giorno e ingrasso così tanto da non avere il respiro per muovermi ed arrivare a schifarmi quando mi guardo allo specchio, in funzione di cosa dirò a me stessa frasi del tipo: «Non biasimarti se senti caldo, puzzi e ti fai schifo. La colpa non è tua, ma degli altri. Ed è proprio per questo che non sei tenuta a rispettarli. Al contrario sono loro a doverti onorare.»?

Perché se mai la risposta fosse "è il tipico modo di pensare femminile" allora dovremmo riscrivere tutta la letteratura psichiatrica da Freud in poi, destinando la stragrande maggioranza delle donne al trattamento sanitario obbligatorio, giusto?

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