Autore Topic: Mentre arrivano immigrati e figli in provetta, gli italiani emigrano in massa  (Letto 575 volte)

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Offline Vicus

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Qualcosa non torna nel migliore dei mondi possibili, il più tollerante e inclusivo mai esistito.
Nota: gli iscritti all'AIRE sono solo una frazione degli italiani all'estero.
Una modesta proposta: potremmo mandare i figli di emigrati italiani a Bibbiano e farli adottare in Italia da coppie omo che reclamano "diritti" mentre italiani lasciano il Paese, così risolveremmo il problema dell'emigrazione.

Oltre 5,8 milioni gli italiani all’estero, 1,2 milioni hanno tra i 18 e i 34 anni

Il 36,3% degli iscritti all’Aire al 1 gennaio 2022 è costituito da minori e persone tra i 18 e i 34 anni. I “giovani adulti”, ossia coloro che hanno tra i 35 e i 49 anni, sono il 23,2%. Pensioni pagate all’estero cresciute del 45,1% in tre anni. Mattarella: serve riflessione su giovani che lasciano Italia
di Andrea Carli

8 novembre 2022

Tutte le navi ong in mare per il soccorso e le leggi che lo regolano

I punti chiave
Italia interculturale
In prevalenza giovani
Boom delle pensioni pagate all’estero: +45,1% in tre anni
Il 47% è partito dal Meridione

La comunità di italiani all’estero più numerosa è quella argentina
L’accelerazione delle partenze in occasione della crisi 2008-2009
L’acquisizione della cittadinanza
La corsa degli italiani nati all’estero
La fotografia di quanto è avvenuto nel 2021
5′ di lettura

Non c’è solo la spinta migratoria sull’Italia, che in questi giorni trova una drammatica conferma nel braccio di ferro con le navi delle Ong ormeggiate nei porti di Catania e Reggio Calabria, per lo sbarco delle persone «non fragili» rimaste a bordo.

L’Italia è anche paese di emigrazione. Da qui infatti non si è mai smesso di partire, sottolinea a chiare lettere il Rapporto “Italiani nel mondo 2022” della Fondazione Migrantes, presentato martedì 8 novembre a Roma. Negli ultimi anni, caratterizzati dalle limitazioni agli spostamenti a causa del Covid, la comunità dei cittadini italiani ufficialmente iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, ha superato la popolazione di stranieri regolarmente sul territorio nazionale.

Se il Paese ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta negli ultimi 12 mesi del 2,7% (il 5,8% se il confronto viene effettuato dal 2020). In valore assoluto sono quasi 154mila nuove iscrizioni all’estero contro gli oltre 274mila residenti “persi” in Italia.

Italia interculturale
L’indagine parla nel complesso di “una Italia interculturale”, in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni). Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87%; la presenza degli italiani all’estero è progressivamente cresciuta passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni [però abbiamo bisogno di immigrati delinquenti e disoccupati per farci pagare le pensioni, perché non facciamo più figli].

In prevalenza giovani
Tra chi risiede all’estero, la componente di giovani è considerevole. L’attuale comunità italiana all”estero è costituita da oltre 841mila minori (il 14,5% dei connazionali complessivamente iscritti all’Aire) moltissimi di questi nati all’estero,ma tanti altri partiti al seguito delle proprie famiglie in questi ultimi anni. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni (il 21,8% della popolazione complessiva Aire, che arriva a incidere per il 42% circa sul totale delle partenze annuali per solo espatrio). Ci sono poi i “giovani adulti” (il 23,2% ha tra i 35 ei 49 anni). Il 19,4% ha tra i 50 e i 64 anni; il 21% ha più di 65anni, ma di questi l’11,4% ha più di 75 anni.

«A partire – ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un messaggio mandato in occasione della presentazione del rapporto – sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione». «Il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo – ha aggiunto il capo dello Stato -, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale».

Boom delle pensioni pagate all’estero: +45,1% in tre anni
Un’altra faccia della medaglia è il boom di pensioni pagate all’estero. Mentre in Italia nel triennio 2019-2021 l’incremento delle pensioni eliminate è stato pari all’8,2%, nel medesimo arco temporale l’incremento di quelle in pagamento all’estero è stato pari al 45,1%. Il dato europeo, che ci riguarda più da vicino, è cresciuto e, rispetto al 2020, nel 2021 è salito dell’1,5%. Ma quello più interessante riguarda la forte crescita delle pensioni pagate in America centrale, in Asia e in Africa (rispettivamente +48%, +33% e +26%), determinata, da un lato, dal rientro degli immigrati in Italia che, dopo aver conseguito diritto a pensione, decidono di tornare nel proprio paese d’origine, dall’altro da chi sceglie di mettere a disposizione le sue abilità, conoscenze e competenze, acquisite nel nostro Paese, in nuovi mercati del lavoro, salvo poi decidere di rimanervi perché nel frattempo si sono integrati laddove si sono trasferiti. In queste aree continentali, i numeri, sia come trend quinquennale, sia rispetto al solo 2020, sono tutti in aumento. Al contrario, si riscontra, anche per quest’anno, un forte decremento del numero di pensioni pagate in America meridionale e in Oceania. Nella prima, rispetto al 2020, il numero delle pensioni Inps è sceso di circa il 7%, in Oceania del 3% e in America settentrionale del 5%. Nei paesi di queste aree continentali l’età è molto elevata: in America meridionale, in Oceania e in America settentrionale gli ultraottantenni sono rispettivamente il 75%, il 67% e il 65%. Risulta evidente che proprio qui la pandemia ha inciso più pesantemente.

Il 47% è partito dal Meridione
Oltre 2,7 milioni (il 47%) degli italiani all’estero sono partiti dal Meridione (di questi, 936 mila circa, il 16%, dalla Sicilia o dalla Sardegna); più di 2,1 milioni (il 37,2%) sono partiti dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro Italia.

La comunità di italiani all’estero più numerosa è quella argentina
Il 54,9% degli italiani (quasi 3,2 milioni) sono in Europa, il 39,8% (oltre 2,3 milioni) in America, centro-meridionale soprattutto (32,2%, più di 1,8 milioni). Gli italiani sono presenti in tutti i paesi del mondo. Le comunità più numerose sono, ad oggi, quella argentina (903.081), la tedesca (813.650), la svizzera (648.320), la brasiliana (527.901) e la francese (457.138).

ISCRITTI ALL’AIRE
L’accelerazione delle partenze in occasione della crisi 2008-2009
I dati sul tempo di residenza all’estero mettono in evidenza che il revival delle partenze degli italiani non è recente: risale alla crisi vissuta nel 2008-2009 dall’Italia. Il 50,3% dei cittadini oggi iscritti all’Aire lo è da oltre 15 anni e “solo” il 19,7% è iscritto da meno di cinque anni. Il resto si divide tra chi è all’estero da più di cinque anni ma meno di dieci (16,1%) e chi lo è da più di 10 anni ma meno di 15 (14,3%).

L’acquisizione della cittadinanza
La presenza italiana nel mondo cresce, e la crescita avviene attraverso elementi esogeni ed endogeni. Tra gli elementi esogeni il più importante e più discusso, è l’acquisizione della cittadinanza: i cittadini italiani iscritti all’Aire per acquisizione della cittadinanza dal 2006 al 2022 sono aumentati del 134,8% (in valore assoluto si tratta di poco più di 190 mila italiani; erano quasi 81 mila nel 2006).

La corsa degli italiani nati all’estero
L’elemento endogeno per eccellenza è, invece, la nascita all’estero dei cittadini italiani, ovvero figlie e figli che si ritrovano a venire al mondo da cittadini italiani che risiedono già oltreconfine e che, sempre da italiani, crescono e si formano lontano dall’Italia ma con un occhio rivolto allo Stivale. Gli italiani nati all’estero sono aumentati dal 2006 del 167,0% (in valore assoluto sono, oggi, 2.321.402; erano 869 mila nel 2006).

La fotografia di quanto è avvenuto nel 2021
Quello che si pensava potesse accadere alla mobilità italiana durante il 2020 è avvenuto, invece, nel corso del 2021: la pandemia Covid, cioè, ha impattato sul numero degli spostamenti dei nostri connazionali, riducendoli drasticamente e trasformando, ancora una volta, le loro caratteristiche. Rispetto al 2021 risultano 25.747 iscrizioni in meno, una contrazione, in un anno, del -23,5% che diventa -36,0% dal 2020. Il decremento ha interessato, indistintamente, maschi (-23,0%) e femmine (-24,0%), rispettivamente, in valore assoluto, oltre 47 mila e quasi 38 mila. L’identikit che è possibile ricavare dai dati complessivi indica che chi è partito per espatrio da gennaio a dicembre 2021 è prevalentemente maschio (il 54,7% del totale), giovane tra i 18 e i 34 anni (41,6%) o giovane adulto (23,9% tra i 35 e i 49 anni), celibe/nubile (66,8%). I minori scendono al 19,5%. I coniugati si attestano al 28,1%.

Il 53,7% (poco più di 45 mila) di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero per espatrio nell’ultimo anno lo ha fatto partendo dal Settentrione d’Italia, il 46,4% (38.757), invece, dal Centro-Sud. La Lombardia (incidenza del 19,0% sul totale) e il Veneto (11,7%) continuano ad essere, come da ormai diversi anni, le regioni da cui si parte di più. Seguono: la Sicilia (9,3%), l’Emilia-Romagna (8,3%) e la Campania (7,1%). Tuttavia, dei quasi 16mila lombardi, dei circa 10 mila veneti o dei 7 mila emiliano-romagnoli molti sono,in realtà, i protagonisti di un secondo percorso migratorio che li ha portati dapprimadal Sud al Nord del Paese e poi dal Settentrione all’oltreconfine.

https://www.maurizioblondet.it/oltre-58-milioni-gli-italiani-allestero-12-milioni-hanno-tra-i-18-e-i-34-anni/
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Dov'è il problema, considerando l'esterofilia di cui sono affetti e afflitti gli italiani ?
Anzi, bisogna esser contenti di tutto ciò, ed augurarsi che piano piano il popolo italiano scompaia letteralmente facendo così felici gli stessi italiani.
Del resto questo è ciò chi si merita chi è regolarmente e quotidianamente impegnato a sputare nel piatto in cui mangia e parimenti convinto che il famoso "estero" (quale estero ?) sia tutta una meraviglia, Corea del Nord compresa.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.

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Il bello è che anche gli stranieri, soprattutto dell'Est, sputano nel piatto in cui mangiano
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Il bello è che anche gli stranieri, soprattutto dell'Est, sputano nel piatto in cui mangiano

Sai bene che di quelli dell' est ne parlavo già nel 2014.
Iniziai ad averci a che fare nel 1992, perciò conosco bene i loro pensieri e i loro atteggiamenti.
Per dire, una caterva di rumeni che sputano nel piatto (italiano) in cui mangiano, hanno nostalgia... di Ceausescu, il quale "fece tutto per il popolo e a differenza di altri potenti non rubò nulla"... (sentita con le mie orecchie)
Sì, infatti.
https://www.osservatore.ch/nicolae-ceausescu-lusso-e-ipocrisia-dellultimo-tiranno-dellest_20639.html
Citazione
EDITORIALENicolae Ceaușescu: lusso e ipocrisia dell’ultimo tiranno dell’EstPubblicato in data 22 Dicembre 2019, 06:19
   
Al “Tribunale” Militare Eccezionale non provava alcun rimorso per decenni di feroce dittatura. Non si sentiva colpevole di nulla e non avrebbe mai risposto ad un’autorità non avesse infestato dei suoi scagnozzi di partito. Sul calare del dicembre di trent’anni fa, Nicolae Ceaușescu e la moglie Elena Petrescu avevano fatto il più grande regalo di Natale al popolo rumeno: la libertà. Il dittatore dei Carpazi era molto invecchiato; la chioma era diventata sempre più bianca: i rumeni lo riconoscevano per i suoi capelli scuri, ma il logorio del tempo non aveva risparmiato neanche l’onnipotente della Valacchia, che chiese a Mosca – con cui intratteneva una bieca doppiezza di rapporti agli occhi degli occidentali – un intervento per placare le sommosse e le proteste di fine ‘89. Ma la dottrina Breznev – che prevedeva interventi di “normalizzazione” (come avvenne in Cecoslovacchia nel ‘68) negli stati satelliti alle prese con tafferugli di ogni tipo – era fuori tempo massimo ai tempi di Mikhail Gorbaciov e dopo la caduta del Muro di Berlino.

Ceaușescu era il più brutale di tutti i dittatori comunisti dell’Est Europa. E anche il più ipocrita. Mentre il suo popolo si alzava anche alle quattro del mattino per andare in fila a ricevere il pane – simile a quello dei soldati della Prima Guerra Mondiale che dovevano accontentarsi di un immangiabile impasto di acqua, farina e segatura – dittatore e consorte vivevano in regge principesche. Autentiche Versailles dell’Est: barocche, neoclassiche, pacchianissime; simboli del lusso più sfrenato promosso dai Ceaușescu. Si diceva addirittura che il dittatore indossasse ogni giorno vestiti nuovi di zecca che, in serata, venivano bruciati. Quando poi, in seguito alla rivoluzione rumena, le ville furono aperte al pubblico, i giornali di tutto il mondo pubblicarono le foto dei rubinetti d’oro (alla faccia del Comunismo) con cui, di certo, i Ceaușescu non si sciacquavano le mani sporche di sangue.

I palazzi, come d’altronde gli stessi coniugi Ceaușescu, erano ben lontani dal popolino che la coppia diceva di difendere e rappresentare: l’opulenza e lo sfarzo erano persino eccessivi per chi nel capitalismo nasceva e prosperava. Ma la ricchezza dei Ceaușescu non finiva in Romania, quanto in Svizzera, dove – in segreti caveau blindati da acciaio e segreto bancario – il Presidente rumeno nascondeva circa un miliardo di – guarda a caso – verdissimi dollari made in USA, molto più forti, in termine di potere di acquisto, di un Lei spogliato del suo (già) scarso valore sotto la dittatura. Insomma: il “Genio dei Carpazi” (come il megalomane paranoico si autodefiniva), esponente supremo dell’ideologia proletaria, era ben più ricco di molti manager statunitensi.


Figlio di padre ubriacone e autoritario, a undici anni il giovane Nicolae si recò a Budapest come apprendista calzolaio. Abbracciato in fretta il Comunismo che s’installò dopo la dittatura filo-nazista nel 1946, dieci anni dopo Ceaușescu era già alle vette del PCR (come molti sui colleghi-dittatori del passato, anche lui non aveva voglia di lavorare). Arrivato al potere nel 1967, con un acuto sistema di autopromozione – in piena sintonia con Leonid Brežnev – non fece mai mistero del suo disegno per il domani del suo paese: la Romania era cosa sua. A cavallo tra il secondo e il terzo mondo, quello sovietico e quello dei paesi non allineati abbracciò in toto il Socialismo reale, che non stonava con il culto della personalità, l’unica industria culturale rumena (libri, rappresentazioni teatrali, canzoni, ballate in onore del Genio dei Carpazi, che – tra le altre mostruosità – ammirava il Führer del Nazionalsocialismo).

Quanto alla moglie Elena, figlia anche lei di umili contadini, con la quarta elementare in tasca, con irrefrenabile ambizione, negli anni si ritagliò un ruolo sempre più centrale a fianco del marito. Onori, lauree, diplomi alla madre di tutti i rumeni. Ne venne spogliata miseramente dal tribunale improvvisato da un manipolo di militari che li aveva catturati nella rocambolesca fuga da Bucarest nel 22 dicembre ‘89. I Ceaușescu pensavano ancora di farla franca: tentarono di scappare da un’infiammata Bucarest in elicottero, mezzo notoriamente proletario. Ma il velivolo stentava a partire dai tetti degli alti palazzi della capitale: riempito all’inverosimile dall’opulente dirigenza e dai dignitari imperial-burocratici del PCR, dovette atterrare per una questione di “emergenza” quarantacinque miglia dalla sede governativa. Era oramai chiaro a tutti e due i coniugi che la fuga si sarebbe conclusa di lì a poco: non avrebbero mai potuto nascondersi in uno dei loro quaranta castelli nel paese.

Nelle riprese della farsa processuale in una caserma sperduta che tutto il mondo ha visto per televisione, era proprio Nicolae il protagonista; la moglie, con cappotto e fazzoletto in testa (quasi un ritorno fisiognomico alle origini modeste da cui veniva), era alla sua destra, seduta all’angolo della stanza. In un vicolo cieco. Il tiranno si rifiutò di riconoscere i capi d’accusa che i militari del posto riversarono sulla sua intoccabile persona: genocidio (i fatti di Timișoara erano solo gli ultimi morti che il regime aveva fatto in oltre vent’anni di dittatura) e appropriazione indebita (emersero in fretta i miliardi nascosti di cui sopra). E Ceaușescu, ancora una volta, non ci stava: protestò, agitò i pugni; disse con voce rauca di non riconoscere il “plotone” che sommariamente voleva tagliare con l’accetta i decenni della sua gloriosa tirannide. L’“Eroe dei Carpazi” era nel panico. Capì che la fine era prossima: zittì addirittura anche Elena, che puerilmente inveiva contro gli ufficiali.

Poi il processo farsa finì: finì come finì il regime; nel sangue. Neppure sfiorati dal pensiero di non aver fatto “il bene della Romania”, i Ceaușescu vennero condannati a morte: e il fatto che non ci sia stato un vero e proprio processo rimane un grave vulnus della recente Storia europea (per altri crimini, in altri contesti, figure come Slobodan Milošević, Saddam Hussein, ma anche Adolf Eichmann – se non altro – un processo l’hanno avuto). I cecchini erano pronti, nel cortile della caserma. Poi gli spari sui monarchi: ghigliottina metaforica à-la-rivoluzione francese di due secoli prima. Una liberazione simbolica, visto che poi il volto di Nicolae – preservato dal fuoco delle mitragliatrici – venne sordidamente ripreso dalle telecamere della televisione che fino a qualche giorno prima lo avevano venerato. Quello romeno, fu l’unico regime comunista dell’Europa dell’Est che cadde violentemente: e per giunta, il giorno dell’esecuzione, era anche il giorno di Natale.

I rumeni, insieme agli albanesi, sono le persone più ignoranti che ho conosciuto in vita mia.
Seguono a ruota moldavi e macedoni.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Tutti i rumeni che ho conosciuto, di varia estrazione sociale, avevano un'idea positiva e perfino nostalgica del comunismo. Non mi pare che dopo Ceausescu le cose siano peggiorate.
Una in particolare, era un donna in carriera che approfittava pienamente della società dei consumi ma continuava a dir bene di questo Ceausescu
« Ultima modifica: Marzo 25, 2023, 03:46:53 am da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Frank

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Appunto, è gente ottusa, ben più ottusa degli italiani.
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