Autore Topic: Bibbiano orrore "anti-patriarcato". Nel silenzio generale qualcuno parla  (Letto 1177 volte)

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Offline Vicus

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I siti maschili dovrebbero essere in prima linea nel seguire la vicenda Bibbiano, se non altro perché svela come nessun'altra il perverso meccanismo degli affidi e dell'alienazione parentale. Invece si trovano, al massimo, brevi citazioni sparse. Una rara occasione mancata anche dai nostri politici, per cominciare finalmente a demolire il castello di carte femminista. Ma qualcuno parla di questo monumento all'orrore:

BIBBIANO, Una terra incognita, dove sono infranti tutti i tabù A sangue freddo.

di Elisabetta Frezza
Afasia tombale di tutta la stampa accreditata, nave ammiraglia in testa: i giornaloni nazionali non ci dedicano nemmeno una riga, nemmeno in penultima pagina. Eppure le 71 cartelle con cui il pubblico ministero Valentina Salvi ha chiuso le indagini preliminari sui fatti di Bibbiano sono un monumento all’orrore.
Questo monumento, che oggi sbalza fuori dal lavoro capillare della procura reggiana, era stato progettato, costruito e collaudato nella virtuosa Emilia Romagna a scopo di esportazione, cioè per insegnare al resto d’Italia come “rompere il silenzio” su maltrattamenti e abusi di minori in famiglia. Il sistema Bibbiano, con la sua rete, si era radicato nelle istituzioni locali e si proponeva come modello pedagogico-umanitario con due obiettivi essenziali: uno da copertina, ovvero la salvezza dell’infanzia violata; l’altro d’essai, e da manifestare ad extra con la dovuta prudenza, ovvero la rifondazione del paradigma famigliare.
Vale a dire: bando alla famiglia patriarcale, obsoleta e malata, largo alle nuove “famiglie” fondate non sul vincolo di sangue, ma sull’Amore.
Così in Val d’Enza sarebbe stata allestita, al calduccio di un opulento apparato amministrativo-assistenziale, un’altra inesauribile mangiatoia operativa giorno e notte sotto l’insegna dell’avanguardia sperimentale di alto valore morale e sociale.
È comprensibile come, all’avvicinarsi della scadenza elettorale, l’intenso traffico di minori immortalato da troppe istantanee sfuggite al filtro dei guardiani dell’informazione abbia messo in imbarazzo lo schieramento, in deficit di consensi ma in sovrappiù di potere, che quel traffico aveva alimentato e protetto. Ed ecco che sardine e altri pesci in barile emettono suoni conformi: Bibbiano è solo un raffreddore in un organismo sano, chi ha parlato di Bibbiano deve vergognarsi e chiedere scusa, Bibbiano è solo uno slogan e chi lo usa non ha cervello, lasciamo stare Bibbiano e parliamo di contenuti.

PARLIAMO DI CONTENUTI Parliamo di contenuti, sì. Cominciamo dunque parlando del contenuto del fascicolo che segna il termine dell’inchiesta “Angeli e Demoni” e contesta 108 capi di imputazione a 26 indagati tra: funzionari dei servizi sociali e loro amici, assistenti sociali e loro sodali, psicologi e psicoterapeuti e loro accoliti, amministratori pubblici e codazzo assortito. tutti costoro avrebbero cooperato alla dimostrazione e alla applicazione pratica del teorema fondamentale su cui poggiava il micidiale ingranaggio degli affidi: si trattava di provare che i bambini selezionati a tavolino per essere strappati alla famiglia, in famiglia venissero abusati, maltrattati, trascurati, e quindi andassero salvati, cioè presi, curati in apposite strutture e affidati ad amorevoli estranei.
Emerge che, pur di far tornare questo teorema, tutto era valido e tutto era permesso. Non si vede ombra di pietà, nemmeno quella minimale che normalmente si leva davanti a un qualsiasi cucciolo indifeso, fosse persino un cucciolo d’uomo. Gli assistenti sociali coordinati dalla onnipresente signora Anghinolfi, coadiuvati dai terapeuti del giro di Foti e della sua taumaturgica struttura “Hansel e Gretel”, coperti da amministratori disinvolti, da quanto risulta dagli atti della procura avrebbero attestato sistematicamente il falso ai periti o all’autorità giudiziaria riguardo alle condizioni dei minori e dell’ambiente in cui questi vivevano, riguardo ai loro comportamenti e a quelli dei loro genitori; avrebbero manomesso i loro disegni e i loro diari, alterato i loro racconti attraverso interrogatori suggestivi o addirittura impiantato nelle loro testoline falsi ricordi attraverso tecniche di manipolazioni della psiche; avrebbero nascosto messaggi e doni dei genitori per i figli e taciuto parole d’affetto dei figli per i genitori. Incuranti di nostalgie, paure, voragini di dolore e di sofferenza, ferite profonde e mai più riparabili.
Anche se per avere certezze bisogna attendere l’ultimo grado di giudizio, crediamo sia necessario, per capire la magnitudine dell’abominio cher sarebbe stato perpetrato sulla pelle degli innocenti e sulla vita di tante persone indifese, riportare integralmente alcuni stralci del documento di chiusura delle indagini preliminari redatto dalla procura di Reggio Emilia. E crediamo sia necessario fare lo sforzo di leggere integralmente almeno questi passi, tenendo presente che comunque si tratta solo di una piccola parte dei contenuti di cui dobbiamo continuare a parlare.

KATIA
Katia è la bambina affidata alle due signore lesbiche ormai diventate famose, Bassmaji e Bedogni, una delle quali ex compagna della signora Anghinolfi, dea ex machina di tutto il sistema. Ebbene, dalle indagini sono emersi appunti e disegni in cui Katia esprimeva quanto era costretta a subire. Per esempio «il disegno ove Katia raffigurava le affidatarie mano nella mano con un fumetto contenente la seguente frase: “vai via Katia perché se ci sei tu non possiamo fare l’amore”»; o «la frase scritta dalla bimba e datata 28.04.2018 “ieri mi ha dato fastidio quando la Fadia mi ha dato la buonanotte nuda” ovvero la frase scritta dalla bambina su un bigliettino “mi ha disgustata vedere la Dani che ha leccato il collo della Fadia che li ha morso l’orecchio sessualmente”».
Viceversa le educatrici che seguivano la bambina «attribuivano ai racconti di talune circostanze avvenute durante i colloqui [con i genitori: ndr] un inequivocabile significato negativo e di natura sessuale (i semplici baci di saluto tra il padre e la figlia ovvero l’affettività della madre, sempre nella fase dei saluti venivano descritti con “virgolettati” equivoci e veniva indicata una successiva agitazione della bambina a seguito di tali effusioni). Omettevano, invece, di riferire circostanze positive relative a tali incontri […]».
Gli assistenti sociali «comunicavano il rifiuto della minore di voler incontrare i genitori o avere contatti con gli stessi, circostanza contraria al vero come emerso dalle intercettazioni ambientali, dal diario della bambina e dalla documentazione sequestrata presso l’abitazione delle affidatarie (a titolo esemplificativo, alcuni dei bigliettini scritti dalla minore: “sono triste di non essere a casa con i miei”, “Sono triste quando mi sono svegliata e la mamma non c’era”, “stanotte ho pianto tanto perché mi mancavano i miei genitori”)»; «omettevano di riferire del desiderio espresso dalla bambina di incontrare il padre e delle sue [del padre: ndr] richieste di incontro»; «indicavano falsamente che la bambina, dal periodo post allontanamento, non aveva voluto avere alcun contatto con i genitori o sentirli telefonicamente, circostanza contraria al vero come emerso nelle sedute di psicoterapia della minore e in quanto dalla stessa appuntato sul proprio diario, omettendo altresì di riferire le distrazioni artatamente create, su indicazione della Anghinolfi, per distogliere la bambina dal ricordo dei genitori (come emerso dai messaggi di chat dei cellulari in sequestro, solo a titolo esemplificativo:
1) “è necessario che veda la mamma ora? Ci sono cose che Katia ama fare e che mettiamo a disposizione? Cioè… spostare l’attenzione per spostare l’emozione” – messaggio della Anghinolfi nel gruppo – “e come giustifichiamo la sospensione degli incontri protetti [con i genitori: ndr]?” – successivo messaggio del Monopoli [assistente sociale: ndr] – “relax della minore… vacanza…” – ulteriore risposta della Anghinolfi;
2) “Ciao Katia il papà non riesce ad avere risposte [dagli assistenti sociali: ndr] per portarti fuori a mangiare il sushi spero che stai bene e ti voglio un mondo di bene” – messaggio inviato dal papà…sul cellulare della educatrice…affinché quest’ultima lo comunicasse alla bambina – “bene… e questo messaggio non lo diremo alla bimba” – risposta della Anghinolfi;
3) invio messaggio vocale dal papà… alla educatrice…, per la successiva comunicazione alla figlia Katia “…ti voglio bene…mi manchi tanto” – e successivo messaggio della educatrice: “questo…non glielo facciamo sentire vero?”).
Ancora la Anghinolfi e Monopoli «attestavano il falso e in particolare:
•   Riportavano frasi “testuali” asseritamente pronunciate dalla bambina, indicandole tra virgolette ed in realtà frutto di sintesi ed elaborazioni dei due indagati, ad esempio “mia madre dice che papà mi ha rubato 5000 euro…mia mamma non fa più da mangiare perché dice che papà non le dà i soldi per la spesa”,
•   Indicavano che all’interno della abitazione era stato trovato “cibo avariato lasciato sui mobili da diversi giorni” circostanza risultata contraria al vero […];
•   Indicavano falsamente che la bambina, dopo essere stata lasciata sola a casa dalla madre, aveva riferito di aver chiesto aiuto (telefonico) al padre e quest’ultimo si era limitato a dirle di chiamare i CC senza prestarle soccorso: Circostanza non risultata vera […];
•   Attribuivano lo stato di abbandono “morale e materiale” della bambina, in particolare da parte del padre, omettendo un dato rilevante…ossia che il padre si trovava a Parma per lavoro e non era a conoscenza che la figlia fosse rimasta a casa da sola […];
•   Nel relazionare lo stato di abbandono della minore omettevano di indicare che la bambina, durante l’assenza della madre, veniva lasciata in custodia dalla baby sitter […]».
Da parte sua, la psicoterapeuta Nadia Bolognini, della “Hansel e Gretel” di Foti, «alterava lo stato psicologico ed emotivo della minore […]. A solo titolo esemplificativo attraverso le seguenti condotte:
•   dichiarava sistematicamente alla minore che quest’ultima aveva subito abusi sessuali quando era piccola “là e allora” da parte di un uomo di cui lei si fidava e che si era approfittato di lei, con inequivocabili riferimenti al padre, aggiungendo che si trattava di traumi presenti nella sua mente e che era necessario tirare fuori;
•   suggeriva ripetutamente la necessità di svuotare gli “scatoloni” metaforicamente presenti nella cantina dei propri ricordi alcuni dei quali chiamati “papà” e “sesso”, promettendo benessere e ulteriori vantaggi qualora la bimba li avesse “svuotati”;
•   ribadiva sistematicamente alla bambina il contesto pregiudizievole dalla medesima vissuto quando abitava con i genitori a fronte della richiesta esternata dalla minore di fornirle spiegazioni circa l’impossibilità di incontrare il padre;
•   sosteneva in più occasioni, anche con tono suggestivo e suggerente, che la madre di Katia fosse una prostituta, che nessuno dei due genitori si era mai occupato di lei, e che entrambi non sapessero alcunché delle sue esigenze e dei suoi desideri;
•   spiegava con convinzione che l’asserito comportamento di sadismo della bambina nei confronti del gatto delle affidatarie, comportamento in realtà non reale, era una conseguenza dell’essere stata lei stessa maltrattata dai genitori;
•   convinceva la minore che il suo “primo vero” Natale era quello vissuto presso le affidatarie ribadendole in più passaggi che presso l’abitazione di queste ultime era al sicuro rispetto a quando abitava con i genitori;
•   preparava sistematicamente la minore (ripetendole i contenuti dai quali emergevano condotte negative poste in essere dai genitori) in vista delle audizioni già fissate […] e chiedeva poi alla minore di riferirle il contenuto delle audizioni svolte;
•   mostrava alla bambina uno strumento terapeutico non riconosciuto in Italia dall’Ordine degli Psicologi quale la “macchinetta dei ricordi” mediante la quale avrebbe estrapolato i ricordi traumatici presenti nella sua mente sostituendoli con ricordi positivi […]».
Con riguardo a quest’ultimo rilievo, si legge ancora che la Bolognini «sottoponeva la minore a un trattamento sanitario non consentito, in specie consistente nell’utilizzo di uno strumento ad impulsi elettromagnetici con contestuali vibrazioni non idoneo alla commercializzazione in ambito europeo in quanto privo di marchio C.E. e il cui adattatore presentava evidente rischio di elettrocuzione per contatto diretto con parti in tensione e di corto circuito (Neurotek Tac Audioscan). Lo strumento veniva utilizzato con cavi che la minore doveva tenere tra le mani e spiegato alla bambina come una macchinetta capace di far riemergere ricordi e da utilizzarsi per le persone vittime di gravi traumi».
Intanto «Bassmaji e Bedogni, in qualità di affidatarie, mediante l’“attiva” partecipazione alle citate sedute di psicoterapia, in costante sostegno dell’attività persuasiva della Bolognini, insistevano con la minore ribadendo quanto da lei subito presso la famiglia di origine; colpevolizzavano la bambina, anche attraverso urla feroci e parolacce, di dover al più presto svuotare la cantina dei ricordi in quanto causa delle sofferenze che col suo comportamento infliggeva inconsciamente alle stesse affidatarie; denigravano sistematicamente le figure genitoriali di Katia; incutevano alla bambina la paura e il timore di casuali possibilità di incontro con i genitori, ordinandole di nascondersi all’interno dell’auto e di non frequentare determinati luoghi per evitare di essere vista dai genitori; le facevano compilare un apposito diario contenente le sue emozioni e in cui loro stesse formulavano domande suggestive e denigratorie rispetto ai genitori […]; raffiguravano sistematicamente possibili pregiudizi per la minore nel caso in cui questa non avesse “svuotato la cantina” ovvero nel caso in cui avesse emulato i comportamenti dei genitori naturali, le rappresentavano continuamente di avere comportamenti da loro ritenuti “adultizzati” (in realtà assolutamente banali, quali il voler scegliere autonomamente di indossare una data giacca e di ricordare lei stessa alle affidatarie di non dimenticare le chiavi prima di uscire) e rappresentati alla minore quali conseguenze dello stato di abbandono in cui la costringevano i relativi genitori, partecipavano ad alcune delle sedute psicoterapeutiche […] denigrando, assieme alla terapeuta, i genitori della piccola ed infondendole paure e timori assenti inizialmente nel dichiarato della bambina, anche sminuendo le emozioni positive vissute da Katia durante il periodo natalizio trascorso assieme ai genitori e valorizzando invece il Natale passato presso le affidatarie e caratterizzato da “abbondanza di regali”. In tal modo rafforzando gli elementi che giustificassero le ragioni della interruzione o comunque sospensione degli incontri protetti con i genitori».
D’altra parte, le medesime affidatarie Bassmaji e Bedogni «in concorso morale e materiale tra loro, maltrattavano Katia attraverso le seguenti condotte:
•   denigrando sistematicamente le relative figure genitoriali;
•   ingenerando sensi di colpa nella bambina, indicando nella sua omessa rivelazione degli abusi sessuali e/o maltrattamenti commessi dai genitori, la causa della sua sofferenza e della distruzione emotiva del nucleo affidatario;
•   incolpando la bambina di porre in essere attività masturbatorie e sadiche ai danni del gatto domestico indicandone la causa nei maltrattamenti dalla minore subiti da parte dei genitori;
•   partecipando alle sedute di psicoterapia ove, unitamente alla Bolognini, inculcavano nella minore la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata presso la famiglia di origine nonché affermando sempre durante tali sedute come dato certo che “un uomo nel suo passato si era approfittato di lei” ed infondendole paure e timori assenti inizialmente nel dichiarato della bambina, anche rispetto ai traumi di natura sessuale subiti nel suo passato e nascosti nella sua mente […];
•   riprendendo, con urla feroci e parolacce, la minore, per futili motivi, giungendo la Bedogni in una occasione a minacciarla con estrema rabbia di sbatterla fuori dall’auto sotto la pioggia fermando altresì l’auto ed aprendo lo sportello per poi desistere dall’azione e continuare con urla, denigrando i genitori naturali e affermando “io non ti voglio più”;
•   ingenerando in Katia sentimenti di paura e angoscia rispetto a condotte pregiudizievoli che i genitori avrebbero potuto tenere nei suoi riguardi (fino ad arrivare a rapirla), nel caso in cui la avessero trovata, facendola nascondere tra i sedili dell’auto (durante le soste in luoghi “sensibili”), impedendole la frequentazione di determinati luoghi ovvero, ancora, creando un clima di ansia al momento del ritiro della bambina da scuola (al punto da indurre le maestre a sospettare che la bambina fosse figlia di un “mafioso”);
•   intimandole, anche con toni autoritari, di compilare un apposito diario contenente le sue emozioni in cui loro stesse facevano domande suggestive e denigratorie rispetto ai genitori e rispetto ai ricordi “brutti” da cui doversi liberare;
•   negandole, attraverso l’alterazione dello stato psicologico ed emotivo rispetto ai relativi genitori, indicati quali maltrattanti (e abusanti), di poter incontrare nuovamente il padre nonostante le esplicite richieste fatte dalla minore».

AURORA
La psicologa del servizio di neuropsichiatria infantile «al fine di sviare le indagini, formava fraudolentemente un atto utile alla scoperta e agli accertamenti relativi ai presunti abusi sessuali asseritamente commessi da… [dal padre: ndr] ai danni della minore, artefacendo un disegno fatto dalla bambina e raffigurante il padre steso supino accanto alla minore, aggiungendo personalmente, anche attraverso la materiale “guida” del tratto grafico della bambina, le braccia e le mani del padre poggiate sull’area genitale della bambina, con il chiaro ed inequivocabile intento di attribuire al disegno, nel suo complesso, connotazioni sessuali ed utilizzarlo quale elemento di prova nell’instaurando procedimento penale».
Intanto la Anghinolfi «in qualità di dirigente del Servizio Sociale integrato della val d’Enza, attraverso forme di violenza consistite in indebite pressioni costantemente esercitate sull’assistente sociale… [come anche su altri assistenti sociali con le medesime modalità: ndr], approfittando della propria posizione di “dominanza” in virtù dell’immagine pubblica maturata all’interno del servizio sociale e della condizione di debolezza della controparte, assunta con contratto a tempo determinato, approfittando del ruolo dalla medesima rivestito…nonché sfruttando l’indicazione falsa circa la supposta esistenza di una setta satanica di pedofili (circostanza non confermata da alcun dato oggettivo) dai quali dover difendere i bambini e la sua stessa incolumità [dell’assistente: ndr] (le era stato detto di non rivelare a nessuno l’esistenza di tale setta, neanche ai suoi famigliari, e le era stato detto che gli appartenenti alla setta pedinavano gli operatori sociali) esercitava pressioni psicologiche sulla persona offesa…costringendo la stessa a redigere in poche ore la relazione datata 28.02.2018 sul conto della situazione famigliare di Aurora e imponendole di attestare le falsità di cui al successivo capo».
La stessa Anghinolfi, dopo l’audizione della bambina davanti al PM, durante la quale questa negava di aver subito abusi sessuali da parte del padre, con false motivazioni «in assenza di un valido consenso informato da parte degli esercenti la potestà genitoriale ovvero della competente A.G. [autorità giudiziaria: ndr]nonché al di fuori dei limiti prescritti da quest’ultima […], violando la capacità di autodeterminazione della minore infraquattordicenne…, con piena consapevolezza circa l’illegittimità di quanto disposto alla luce del parere contrario espresso dal medico legale […], costringevano la minore a sottoporsi ad un trattamento sanitario invasivo consistito in una visita ginecologica, con la sola finalità di verificare la sussistenza di abusi sessuali».
Uguale imposizione ha riguardato anche altre minorenni tolte alle famiglie.
Dal canto suo, la psicoterapeuta della ASL, al fine di indurre in errore l’autorità giudiziaria e il CTU, «alterava lo stato psicologico della minore rispetto al pregresso vissuto con i genitori e i nonni paterni e alle condotte di questi ultimi».
Ad esempio, «durante le sedute di psicoterapia:
•   convinceva con sistematicità ed autorevolezza la minore di aver subito abusi sessuali da parte del padre
, aggiungendo dettagli dei rapporti sessuali ipotizzati e suggeriti alla minore;
•   indicava alla bambina i vari passaggi degli abusi ipotizzati (dai toccamenti all’eiaculazione), chiedendole semplicemente di confermare i racconti così come da lei stessa interamente suggeriti;
•   dava consigli alla minore su come proteggersi la “patatina” in modo che il padre non potesse più farle del male;
preparava la bambina ai colloqui col PM e con il CT del PM sulle circostanze che la bambina avrebbe dovuto riferire circa gli abusi asseritamente commessi dal padre;
•   ribadiva più volte alla bambina che il padre era un uomo sporco e, abusandola, le aveva rubato l’infanzia».

CHARITY E SAMUEL
La Bolognini, sempre lei, «durante le sedute di psicoterapia intercettate:
•   mostrava alla bambina la “macchinetta dei ricordi” [di cui sopra: ndr], affermando che si trattava di una “cosa magica” che serviva ad ascoltare i racconti sulle cose brutte subite dalla bambina, utilizzando poi direttamente su di lei il predetto strumento [come altrove si legge nella relazione, si tratta di trattamento sanitario non consentito e utilizzato con evidente rischio di elettrocuzione: ndr];
•   suggeriva, con sistematicità e convinzione, che il padre le aveva pizzicato “la patatina” a fronte delle incongruenze nei parziali dichiarati “indotti” alla bambina, insistendo ripetutamente sui comportamenti abusanti e attribuendoli al padre;
•   effettuava un serrato interrogatorio condotto con modalità altamente suggestive e intrise di risposte “chiuse” suggerite dalla medesima terapeuta aventi l’unico fine di far dichiarare alla minore gli abusi sessuali commessi ai suoi danni dal padre;
•   dichiarava ripetutamente alla minore che i mancati ricordi su quanto (secondo la terapeuta) commesso dal padre erano motivati esclusivamente dal suo senso di vergogna per quanto subito; tali condotte avvenivano mentre la terapeuta utilizzava la “macchinetta dei ricordi” sulla piccola».
Nel frattempo la Anghinolfi e i suoi sottoposti «diradavano gli incontri tra i minori e i propri genitori per poi interromperli, anche per lunghissimi periodi, senza alcuna reale e legittima motivazione, isolandoli, ed impedendo, altresì, lo scambio di corrispondenza e regali anche in occasione di particolari ricorrenze; omettevano di informare i bambini della avvenuta nascita di un fratellino […] e di consegnare ai bambini regali e lettere in occasione del Natale appositamente consegnate ai Servizi dai genitori per la successiva consegna ai figli». E a proposito dei regali, ecco un messaggio di una coordinatrice dei servizi, tra quelli rinvenuti nei telefoni in sequestro: «“Avviso tutti i colleghi che i pacchi con regali per bambini allontanati dalle famiglie continuano ad aumentare sempre più e, siccome non vengono consegnati per diversi motivi anche nella maggior parte dei casi perché è meglio non farli avere ai bambini, direi che la regola per il 2019 è quella che per salvare capre e cavoli diciamo ai genitori che il servizio non accetta alcun pacco da consegnare ai propri figli, a meno che non lo facciano loro durante gli incontri protetti dove ci sono. Siete d’accordo?”».

NICHOLAS L’assistente sociale induceva Nicholas a «riportare asseriti dichiarati di natura sessuale relativamente alla mamma e al compagno di lei, relazionando come spontanee le rivelazioni del bambino in realtà generate a seguito di situazioni suggestive volutamente create (quali il suo nascondersi [dell’assistente sociale: ndr] sotto il lenzuolo con Nicholas e bisbigliando con lo stesso nonché introducendo racconti di natura sessuale ovvero suggerendo interamente al bambino)».
Lo stesso assistente sociale «dopo aver invitato la CTU, in un’occasione in cui la medesima si era recata presso la sede del Servizio per lo svolgimento delle operazioni peritali, di seguirlo in un luogo appartato e, dopo essersi disfatto dei telefoni cellulari (motivando tale condotta con la convinzione di essere intercettato dalla A.G. e dai Carabinieri), condizionava il giudizio del Perito narrandole che Nicholas era vittima di una setta di pedofili seriali, gravitanti nella Provincia e composta da personaggi “potenti”, e che tale era il reale motivo per il quale il minore era stato dal Servizio allontanato dalla famiglia naturale; l’assistente sociale aggiungeva (falsamente), a conferma di quanto dichiarato, che tali abusi sessuali rituali erano stati già oggetto di accertamento attraverso certificazioni mediche “inequivocabili” da cui si erano evinte “pratiche sessuali estreme” che avevano provocato lo svenimento di alcuni bambini».
Intanto la solita Bolognini «alterava lo stato psicologico ed emotivo di Nicholas» e, «durante le sedute di psicoterapia:
•   connotava sessualmente, in maniera univoca e sistematica, omettendo qualsivoglia lettura alternativa dei fatti, ogni singolo comportamento anomalo del bambino (come ad esempio farsi la pipì addosso, comportamenti indisciplinati a scuola, indolenza nel fare i compiti a casa, una singola parolaccia pronunciata mentre era intento a cantare una canzoncina) indicandoli in maniera suggestiva e suggerente allo stesso minore quali sintomatiche del trauma subito a causa degli abusi sessuali subiti presso la propria abitazione da parte della madre e del compagno di lei;
•   si travestiva da “lupo” o da altri personaggi “cattivi” tratti da racconti popolari, ed inseguiva Nicholas all’interno del proprio studio (presso la struttura) urlandogli contro ed inseguendolo, col dichiarato fine di “punirlo” e “sottometterlo” (anche con chiaro significato sessuale), associando, al termine del gioco, la figura del “lupo cattivo” a quella del compagno della mamma;
•   “preparava” il minore minuziosamente, affinché rivelasse con più dettagli possibili gli (asseriti) abusi subiti in vista del colloquio con la CTU […];
•   utilizzava sul bambino la macchinetta dei ricordi […]; lo strumento veniva utilizzato con cavi che venivano dalla psicoterapeuta posizionati alle caviglie del bambino e spiegato a quest’ultimo come una macchinetta capace di far riemergere ricordi e utilizzato per guarire i reduci di guerra;
•   in presenza della affidataria (la quale assisteva alla seduta), suggeriva all’orecchio del bambino risposte, aventi contenuti relativi agli abusi subiti dalla madre e dal compagno di lei, rispetto alle domande formulate da lei stessa (e alle quali il bambino non rispondeva spontaneamente), nascondendosi sotto un lenzuolo, per poi riferire all’affidataria, la quale non aveva sentito il loro precedente dialogo, che il bambino le aveva spontaneamente riferito la risposta (mentre in realtà Nicholas aveva completamente taciuto e la risposta gli era stata suggerita all’orecchio dall’indagata)».

ANTONIO E SOFIA
Di nuovo la Bolognini «alterava lo stato psicologico ed emotivo di Antonio rispetto al pregresso vissuto col padre e alle condotte asseritamente abusanti e maltrattanti di quest’ultimo. In particolare, durante le sedute di psicoterapia:
•   sosteneva in maniera serrata, suggestiva e risoluta che il padre di Antonio aveva abusato sessualmente del bambino (nonostante la conoscenza della archiviazione del procedimento penale a suo carico) esternando davanti al minore il suo giudizio sul padre e affermando ripetutamente che questi gli aveva fatto del male e che era stato crudele nei suoi confronti;
•   ribadiva sistematicamente al minore che il padre se ne era da sempre “fregato” sia di lui sia della sorella;
•   suggeriva al minore di intraprendere una terapia definita dall’indagata di “elaborazione del lutto” al fine di considerare definitivamente morto il padre, al punto di indicargli che occorreva fare un “funerale” ed indicando al minore tale percorso come necessario per un suo futuro benessere emotivo;
•   denigrava completamente la figura del padre indicandolo (falsamente) in diverse occasioni come ristretto in carcere e definendolo quale esclusiva fonte di rabbia e ostilità di Nicholas».
Nel frattempo la Anghinolfi e i suoi aiutanti «precludevano ai due minori e al padre qualsivoglia contatto e/o incontro, comunicando, altresì, alla minore Sofia che non poteva vedere il padre perché quest’ultimo aveva commesso delle “cose brutte” ai danni del fratello Antonio».
E, sempre la Anghinolfi, «attraverso la minaccia consistita nel prospettare al padre dei bambini la possibilità di incontrare i figli solo a condizione che egli rilasciasse ai servizi Sociali il suo consenso a che il figlio minore Antonio fosse sottoposto a un percorso di psicoterapia specialistica con Foti, compiva atti idonei diretti in modo inequivoco a costringerlo a prestare il predetto consenso, al fine di procurare a Foti Claudio un ingiusto profitto (pari al corrispettivo richiesto per le sedute terapeutiche di 135 auro ogni ora) con pari danno per il padre (le richieste di contributo spese avanzate dai Servizi Sociali ai genitori venivano fatte anche dopo la sospensione della responsabilità genitoriale); condotta posta in essere impartendo all’assistente sociale […] l’ordine di trasmettere al padre dei bambini la seguente mail (indirizzata al legale del padre): “Buongiorno dottoressa Bonaddio, rispetto alla richiesta del suo assistito di vedere i figli, dopo essermi confrontata in equipe, le comunico che il Servizio non è d’accordo a svolgere tale incontro. Lo stato di malessere per quanto successo è ancora molto presente e disturbante per la vita dei minori. Poiché si rende necessaria per Antonio una psicoterapia specialistica, chiedo che il suo assistito possa trasmettere, tramite il suo aiuto, un’autorizzazione al servizio scrivente ai percorsi terapeutici necessari, forse una volta avviato il percorso e ristrutturato il trauma subito ci potranno essere maggiori spazi. Aggiornerò il Tribunale per i Minorenni nelle prossime settimane”».

SERENA Ancora la Bolognini. «Alterava lo stato psicologico ed emotivo della minore sui fatti oggetti di procedimenti penali anche con riferimento al presunto abusante (il padre)». «A solo titolo esemplificativo, attraverso le seguenti condotte:
•   raccontava con convinzione, sistematicità e autorevolezza alla minore che lei stessa [la minore: ndr] aveva subito atti sessuali quando era piccola e maltrattamenti dal padre ovvero da parte di amici di quest’ultimo e che analoghe condotte erano state compiute dal padre ai danni dei fratelli;
•   suggeriva ripetutamente interi racconti relativi agli abusi sessuali e ai maltrattamenti, anche collocandoli temporalmente a quando la minore aveva circa un anno e mezzo, chiedendo talvolta alla bambina anche di confermarle che i suoi (della terapeuta) tentativi di aver “indovinato” fossero “azzeccati”;
•   prometteva benessere e ulteriori vantaggi qualora la bimba avesse “tirato fuori” i racconti di abuso e maltrattamenti subiti;
•   convinceva e ribadiva più volte e con convinzione alla bambina che all’interno del suo corpo, a seguito degli abusi e dei maltrattamenti subiti, si era creata una doppia personalità malvagia che riusciva a prendere il sopravvento sulla “parte buona” inducendola a compiere atti aggressivi e ingiuriosi nei confronti dei coetanei; effettuava, inoltre, anche una sorta di atto esorcistico in cui tentava di interloquire con tale entità malvagia presente nella bambina, chiedendo che quest’ultima autorizzasse “fisicamente” la bambina a rispondere alle sue domande muovendo una parte del corpo;
•   fomentava i racconti riportati alla terapeuta dall’affidataria (circa alcuni dichiarati a lei fatti da Serena) , inerenti incredibili omicidi plurimi e riti sessuali di gruppo su bambini da parte di uomini mascherati amici del padre (quando Serena aveva circa 4 anni), avvenuti la notte di Halloween (con il sangue dei bambini sarebbero stati poi truccati i bambini presenti ai fatti, i quali venivano poi accompagnati in giro presso altre abitazioni per il consueto rito del “dolcetto o scherzetto”). Con tali condotte l’indagata dolosamente attribuiva credibilità ai racconti, fomentandoli e sostenendoli senza esitazione, ed asserendo ripetutamente che trattavasi delle prove di quello che Serena nascondeva nella propria memoria e di ciò che di sadico e tremendo la bambina aveva vissuto in passato ormai in parte “dimenticato”;
•   ribadiva sistematicamente nella bambina del pregiudizievole vissuto presso l’abitazione dei relativi genitori, sottolineando che la sua era una “famiglia di m*rda”;
•   spiegava con assoluta convinzione che l’asserito comportamento di sadismo e aggressività della bambina sugli altri ospiti della comunità ove la bimba era collocata, era dovuto al suo essere stata a sua volta maltrattata dai genitori e l’aver sviluppato meccanismi di autodifesa che la sua mente aveva attivato».

Chi sia arrivato sin qui sappia che quanto trascritto è solo un florilegio dei contenuti dell’atto, per alcuni soltanto dei bambini in esso citati. Merita aggiungere che, in mezzo a questo inferno, pare qualcuno si ingrassasse. Per esempio il centro studi “Hansel e Gretel” «i cui membri Foti Claudio, Bolognini Nadia e Testa Sara esercitavano sistematicamente, a nessun titolo, il servizio di psicoterapia, a titolo oneroso [«135 euro l’ora, a fronte del prezzo medio di mercato della medesima terapia del valore di 60/70 euro l’ora e nonostante la ASL di Reggio Emilia potesse farsi carico “mediante i propri professionisti” e “gratuitamente” del predetto servizio pubblico»], con minori asseritamente vittime di abusi sessuali e/o maltrattamenti». Ai medesimi veniva concesso «l’utilizzo gratuito dei locali della pubblica struttura “La Cura” di Bibbiano messi a loro disposizione dall’Unione Comuni Val d’Enza (che pagava il canone annuale di locazione e connesse spese di gestione)», nonostante il predetto servizio fosse prerogativa della ASL di Reggio Emilia.
Il funzionamento del sistema, come risulta dalla relazione, sarebbe stato garantito dalla complicità degli amministratori pubblici, tra i quali due sindaci: Carletti (sindaco di Bibbiano) e Colli (sindaco di Montecchio Emilia e Presidente dell’Unione Val d’Enza tra il 2015 e il 2018).
In particolare «Carletti, sindaco di Bibbiano e delegato dell’Unione Comuni Val d’Enza alla specifica materia delle politiche sociali, in costante raccordo con la Anghinolfi e pienamente consapevole della totale illiceità del sistema sopra descritto e della assenza di qualunque forma di procedura ad evidenza pubblica volta all’affidamento del servizio pubblico di psicoterapia a soggetti privati, contribuiva, sfruttando la propria qualifica, nell’accreditare e quindi rendere possibile lo stabile insediamento di tre terapeuti privati della onlus Hansel e Gretel (Foti, Bolognini, Testa, all’interno dei locali della struttura pubblica della cura, della cui istituzione si era personalmente occupato e assunto la paternità in diverse occasioni pubbliche al fine dello svolgimento, a titolo oneroso e in assenza di qualsiasi titolo, della attività di psicoterapia con minori a carico dei servizi Sociali; sosteneva altresì, nella permanenza di tali illecite condizioni, la attività e l’ampliamento delle attribuzioni a favore del centro studi Hansel e Gretel anche attraverso pubblici convegni organizzati a Bibbiano di cui si rendeva egli stesso relatore e ai quali venivano invitati a partecipare (retribuiti) Foti e la Bolognini».
Tale il delirio di onnipotenza della Anghinolfi, che la signora riteneva di comandare persino la polizia municipale, se «con minaccia consistita nell’intimare, con toni imperativi e aggressivi, facendo valere il suo ruolo (da lei ritenuto sovraordinato) di dirigente del servizio Sociale Val d’Enza, pronunciando ad alta voce e con tono minaccioso la seguente espressione: “voi siete la mia polizia municipale e io vi ordino di arrestarlo” a quattro agenti di Polizia Municipale intervenuti a seguito della richiesta di intervento per una accesa discussione in atto, di carattere verbale, tra la Anghinolfi e un uomo presentatosi presso la sede dei Servizi per avere informazioni su moglie e figli i quali erano precedentemente stati allontanati dalla abitazione famigliare, usava in tal modo minaccia per costringerli a compiere un atto contrario ai propri doveri […]».

MACERIE DI VITA Gli ultimi capitoli del documento della procura sono un bollettino di guerra perché, contestandovisi i reati di lesioni personali ai danni delle vittime, si menziona per ciascuna di loro, in raggelanti termini clinici, quale “malattia nella mente” sia stata provocata dal trattamento subito. A causa dell’allontanamento dalla mamma e dal papà, della interruzione di ogni contatto con loro (compreso il mancato recapito di messaggi, lettere e regali), dalla sistematica denigrazione delle loro figure, dell’impianto di “falsi ricordi” su maltrattamenti e abusi subiti in famiglia, dell’utilizzo della tecnica dell’EMDR in totale violazione dei protocolli di riferimento. E di molto altro ancora. E viene solo da piangere.
Ricordiamo che qualche tempo fa, dopo le prime notizie di Bibbiano trapelate sui media, le autorità si erano premurate di organizzare una conferenza stampa per rassicurare il pubblico che non era stato praticato sui bimbi l’elettroshock, ora tabù di tanta psichiatria. Ma quello che emerge oggi da questi laboratori “umanitari”, a pensarci, è molto peggio: emerge una terra incognita, dove sono infranti tutti i tabù. Se sull’elettroshock c’è ampia letteratura, nulla è detto o scritto di questo nuovo programma integrato di manipolazione dell’infanzia che, impossessandosi dei bambini, mira a disintegrare la famiglia e a rifondare ab imis una società bollata come infetta dal virus plurimillenario del patriarcato.
Elisabetta Frezza
https://www.ricognizioni.it/a-sangue-freddo-bibbiano-parliamo-di-contenuti/
Difendiamo i bambini! Bibbiano è in casa tua e non lo sai. (consigliato dal Decimo Toro)
Cartoni animati per bambini che diventano d'un tratto inquietanti, raccontando trame poco adatte ai più piccoli. Scene di sesso, scurrilità di ogni genere e violenza inaudita. Questo è ciò che il pensiero unico "inietta" nell'interiorità dei nostri bambini.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:Bibbiano orrore "anti-patriarcato". Nel silenzio generale qualcuno parla
« Risposta #1 il: Gennaio 23, 2020, 16:57:11 pm »
Il silenzio continua... le femministe ringraziano, non gli pare vero di far dimenticare in breve tempo lo scacco di Bibbiano.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline JAROD72

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Re:Bibbiano orrore "anti-patriarcato". Nel silenzio generale qualcuno parla
« Risposta #2 il: Gennaio 24, 2020, 13:45:46 pm »
Comunque le sardine che sono femministe in erba difendono bibbiano.

Però dietro a queste storiacce le donne sono sempre molto numerose, guarda caso.

Offline Vicus

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Re:Bibbiano orrore "anti-patriarcato". Nel silenzio generale qualcuno parla
« Risposta #3 il: Gennaio 24, 2020, 14:40:30 pm »
Le sardine sono un prodotto in scatola del potere, una (tentata) rivoluzione colorata de noantri. E' scontato che difendano Bibbiano, seguono alla lettera le direttive della falsa sinistra del PD.

Come sempre le donne, che si cogliono incapaci di fare del male, abbondano quando si tratta di abusi e maltrattamenti su minori.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.