Autore Topic: Il "maschio" inutile...  (Letto 2603 volte)

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Offline Frank

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Il "maschio" inutile...
« il: Marzo 07, 2019, 00:46:32 am »
http://www.bandaosiris.it/il-maschio-inutile?fbclid=IwAR0FkSuhePMrFt67--Cr2e0222ROg0jxsLo112Hnm-nzUnZssN2q__JsjS8

Citazione
Il maschio Inutile

IL MASCHIO INUTILE Banda Osiris – Telmo Pievani – Federico Taddia Che cosa significa essere maschi oggi? La condizione femminile è da tempo sotto i riflettori, ma pochi parlano della crisi mondiale del maschio. Antiche certezze si vanno sgretolando. Nell’età della pietra, i maschi facevano i maschi e le femmine facevano le femmine, o almeno così sembra. Adesso è tutto più complicato e si affaccia la novità scientifica sconcertante secondo cui, in natura, il sesso debole è proprio quello maschile. Negli animali non umani si scoprono storie raccapriccianti. In certi pesci, i maschi sono diventati “nani parassiti”, appendici penzolanti dal corpaccione della femmina, scroti ambulanti. Neanche in un film di fantascienza femminista ci sarebbero arrivati. In altri casi ancora le femmine fanno tutto da sole auto-fecondandosi come amazzoni, o cambiano sesso all’occorrenza. Decidono tutto loro. I maschi invece si ammazzano di fatica per farsi scegliere dalle femmine, lottando gli uni contro gli altri o esibendo costosissimi ornamenti. Una vitaccia. Ne Il maschio inutile i quattro uomini della Banda Osiris decidono per la prima volta di costituire un gruppo di auto-aiuto. Con il contributo di un narratore di storie, Federico Taddia, e di uno scienziato dell’evoluzione, Telmo Pievani, attraversano i gironi infernali della mascolinità. E’ una terapia d’urto, una catarsi. Scoprono così che i loro cromosomi stanno invecchiando, che il corpo maschile è pieno di parti inutili, che per non fare la pipì fuori dal vaso hanno bisogno di una mosca finta dipinta nell’orinatoio, e che in natura c’è veramente di tutto: eterosessualità, omosessualità, bisessualità, transessualità. Insomma, un’esplosione di diversità in cui il maschio tradizionale si sente piccolo e periferico. Poco male: il mondo trabocca di inutilità e gli uomini rientreranno a buon titolo nella categoria del superfluo. A meno che non decidano di smettere di fare i maschi da cartolina, i maschi tutto testosterone. Ecco allora che emerge la domanda fatidica: perché nonostante tutto i maschi sopravvivono? Nella parte finale del loro viaggio, i quattro maschi anonimi scopriranno il segreto scientifico della loro esistenza, che qui non possiamo anticipare. Il futuro sta tutto nella diversità e la categoria maschile sarà forse salvata proprio da quei maschi strambi e sorprendenti, un po’ assurdi e teneramente umani, raccontati da Federico. Essere imperfetti tutto sommato non è così male, la perfezione è noiosissima. La natura ci sta dicendo che “il” maschio non esiste nemmeno. Esistono i maschi, e non ce n’è uno uguale a un altro. Linguaggi differenti come la musica, le storie (tutte vere!), la comicità, la scienza, la satira sociale, conditi da una forte dose di auto-ironia, per la prima volta insieme per raccontare l’evoluzione del sesso e le sue stranezze.

... sarebbe veramente bello poterli prendere a calci in culo.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.

Offline Vicus

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Re:Il "maschio" inutile...
« Risposta #1 il: Marzo 07, 2019, 01:12:54 am »
E' davvero fantastico come dietro l'apparenza di elogiare i maschi l'autore riesca a mettere in una luce negativa la virilità.
Come dicevo da tempo, la mascolinità è considerata sempre più "tossica", sospetta e pericolosa. All'estero sono un già un bel po' avanti, se non metti in ogni frase parole antimaschili come apertura, dialogo, accoglienza e tolleranza* ti fanno il vuoto intorno.
Il genere maschile non è solo periferico, è bandito (le stesse donne sposano solo eunuchi). Altro aspetto cruciale totalmente negletto dai siti maschili.

* Il significato di queste parole oggi è diventato quasi l'opposto di quello originale.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Massimo

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Re:Il "maschio" inutile...
« Risposta #2 il: Marzo 07, 2019, 01:29:29 am »
Tranquilli: tra poco il collasso economico-finanziario metterà le cose a posto. E questi poveri imbecilli che scriveranno simili stronzate si dilegueranno come scarafaggi quando si accende la luce all'improvviso.

Offline Frank

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Re:Il "maschio" inutile...
« Risposta #3 il: Marzo 07, 2019, 20:56:37 pm »
Citazione
La condizione femminile è da tempo sotto i riflettori, ma pochi parlano della crisi mondiale del maschio.

"... crisi mondiale del maschio".
A qualcuno di voi risulta che nei paesi musulmani esista una "crisi del maschio" ?
Peraltro di questa presunta crisi del "maschio"  :sick: se ne parla da decenni.
Basta fare delle ricerche sul web - ed in particolar modo su uomini3000 - per rendersene conto.

@@

PS: invece le femminucce tutto a posto, vero ?
Certo, come no.
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Offline Frank

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Re:Il "maschio" inutile...
« Risposta #4 il: Marzo 07, 2019, 21:10:33 pm »
Per dire...

http://lafrusta2.homestead.com/rec_rise.html

Citazione
Claudio Risè -  Essere uomini, la virilità in un mondo femminilizzato -  red edizioni, Como, 2000, pp133

 Ci vuole molto coraggio, confessiamolo, in un momento in cui ogni stupro sortisce una risonanza mediatica sempre più allarmata ed allarmante, dedicare un libro - come questo di Risé (che è un guru dei "maschi selvatici") - alla "spinta fallica" e alle ragioni che l'hanno indotta ad arretrare in questo nostro mondo sempre più femminilizzato. Poiché non voglio passare tra i bersagli di Risé, ed essere accomunato fra coloro che hanno trasformato il Fallo da "temibile e sacro" in "oggetto ridicolo" - come Risè sostiene abbia fatto Rousseau -,  avanzo con  tutta circospezione qualche distinguo. Innanzi tutto quello di levare a Rousseau (che pure ha tante fautes ) la colpa di essere uno dei padri dell'Illuminismo e di restare  dunque coinvolto nell'accusa  (di origine adorniana e che Risé  ripete stancamente ) rivolta a quel grande moto di idee,  di essere cioè  il principale responsabile e il rovinoso  ispiratore di  quel  potere-sapere della Modernità capitalistica che, fondandosi sul principio utilitaristico, da un lato tenderebbe a stritolare ogni individuo  non omologato, dall'altro, inducendolo al  consumo e al soddisfacimento dei bisogni - che per Risè è un principio di tipo materno-infantile, per nulla virile -, rintuzzerebbe   anche la sua residua "spinta fallica" di ricerca, di invenzione, di rivolta.
Ora, Rousseau, è ormai chiaro, non era un illuminista, ma un protoromantico...reazionario, un reazionario di sinistra (come Pasolini!). Sicuramente egli è  all'origine di molta della sensibilità moderna e forse anche (ma come romantico però!) di qualche  arretramento (con la sua sensiblerie un po' femminea) della possanza del Fallo, sia come forza simbolico-culturale che, può darsi,  come pratica  sessuale. (Che poi Rousseau-persona fosse anche cornuto e non il legittimo padre dei propri figli, in seguito abbandonati,  mi sembra una labile ricostruzione di Risè, affidata solo alla testimonianza della ... nonna di George Sand che "lo conosceva bene").

Ciò detto, passo a chiedermi: qual è il nucleo teorico  di questo libro? L'illustrazione della perdita, nel mondo moderno, della forza simbolica del Fallo: "che è slancio, dono, rischio, passione" e, di contro,  la vittoria del "pene-cervello", ossia per dirla in termini extra-psicoanalitici, la sconfitta per mano del processo di civilizzazione  - e anche in virtù del guadagno di terreno della controparte femminile - di quell'elemento sorgivo e aurorale  e archetipico ma "forte" che è la mascolinità selvaggia e dominatrice (incarnate nelle figure- simbolo del Guerriero, dell'Amante, del Ribelle), mascolinità che dopotutto ha  permesso all'uomo di uscire dalle caverne e di dominare il mondo; e tutto ciò a favore di un "pensiero debole" (ce n'è anche per Vattimo) ossia  di una mascolinità affievolita e resa slombata  dalla rincorsa femminile, come anche, si diceva,  dal processo di civilizzazione sfociato miserabilmente nel consumismo.

Tutto il libro di Risè è un accorato e "virile" rappel à l'ordre  al maschio ( e forse perciò  avrebbe dovuto essere intitolato "Essere maschi"), con qualche tono di aspro rivendicazionismo di genere che ci tonifica un po' dopo tanto femminismo bellicoso e trionfante.
E tuttavia, se  il problema della crisi del maschio c'è ed è molto serio - considerato  che  molti maschi, a detta dei terapeuti  (e anche delle donne che sempre più lamentano la sparizione  del maschio d'antan),  si sono "rotti"-, resta in piedi qualche dubbio circa l'indicazione delle vie d'uscita suggerite da Risè.
Più che appellarsi alla carica simbolica del Fallo sarebbe bene fare i conti con la condizione "storica" raggiunta dalla donna visto che - tranne  al tempo zero della storia se mai c'è stato - il rapporto fra i due sessi, lungi dall'essere solo un'astrazione simbolica (archetipi), è sempre stato una continua  lotta/dialettica storico-socio-culturale oltre che biologica, di cui le configurazioni attuali - che a parer mio vedono entrambi i sessi in evidente impasse - sono, appunto, l'esito ultimo.

 Si resta perplessi, poi, circa la tesi dell'affievolimento della forza fallica dovuta alla condizione passivo-femminea del consumo. Secondo Risé il consumo acquieta "maternamente" il maschio, lo sazia e lo doma. Ci si  dimentica, infatti, che dal lato della produzione e dei produttori, nulla della vecchia spinta maschile è stata persa: la "guerra"  è tuttora in piedi, si è traferita nelle imprese e negli imprenditori per nulla docili e arrendevoli. E non sarà difficile, allora, per restare nella terminologia di Risè, vedere sotto i gessati e le grisaglie i vecchi istinti dell'Errante (con tutti quegli aerei da prendere), del Guerriero (con le teste da tagliare e i mercati da conquistare) e dell'Amante (con le storie multiple da mantenere)...

Fuor di metafora il libro è da leggere  con molta attenzione non privo com'è di  fascino argomentativo, assecondando anche qualche tono fazioso e bellicoso, perché  à la guerre comme à la guerre insomma (e Risè è docente di polemologia, dopotutto) ma anche  allontanando il più possibile dalla mente - mentre si legge di Virilità, di Volontà di Potenza, di Fallo -,   la micidiale battuta di Woody Allen ( un altro, forse,  roussoviano pene-cervello) secondo il quale  Freud si sbagliava quando imputava alle donne l'invidia del pene, invidia spesso tutta maschile.

Alfio Squillaci

(maggio 2001)
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:Il "maschio" inutile...
« Risposta #5 il: Marzo 07, 2019, 21:37:47 pm »
Va bene ma ricondurre la virilità alla barbarie è davvero semplicistico, gli esempi contrari non mancano.
Risé non può ignorare che l'assenza di civiltà che lui vagheggia consiste nell'orda che commette razzie in stile Arancia Meccanica (film che fa esplicito riferimento alle fratrìe primordiali). Ci sono tracce di questo stato pre-civile in tutte le culture: nei romani (ver sacrum in cui si espelleva la gioventù mandandola a saccheggiare le popolazioni vicine, ratto delle Sabine), nei "riti di passaggio" degli adolescenti giapponesi, nei matrimoni delle popolazioni amazzoniche o siberiane in cui la sposa viene "rapita", nel dio-teppista Rudra dei Veda.
La civiltà è emersa da quel caos informe; ne parla anche Ortega y Gasset ne L'Origine Sportiva dello Stato.

In realtà il regresso nell'inciviltà, lungi dal liberare la virilità, segna lo scacco delle nuove generazioni che non hanno né uno scopo né un posto e dissipano la loro esistenza nello sballo del sabato sera. Per chi volesse approfondire:

Già nei Veda un dio-teppista, Rudra, comanda una banda di semidei adolescenti scatenati al saccheggio gratuito, alle imprese guerresche, che si eccitano col soma: una bevanda di cui sappiamo solo che era uno stupefacente. E il mito di Romolo e dei suoi primi romani, tutti maschi giovani che rapiscono per bravata le Sabine, non vi dice niente? Pensateci: la scoperta del sesso come fatto di gruppo, fra risate masnadiere e ribalderie. Il mito evoca una psicologia che anche noi abbiamo conosciuto: la banda giovanile esisteva anche nella preistoria. Anzi, non esisteva altro.

È infatti dalla banda giovanile - non dalla famiglia come crede chi non ci ha mai pensato - che ha origine il primo gruppo umano organizzato, la prima forma di Stato. I nomi delle più antiche formazioni politiche, in Grecia e a Roma, tradiscono quell’origine: eterìe o fratrìe, gruppi di “eguali” o di “fratelli”, rigorosamente maschili; la curia, o co-viria, drappello di giovani maschi armati. I coetanei formano un gruppo solido e pericoloso, appartato dalle altre generazioni, segregato dai suoi rituali “segreti” che servono a saldare l’identità di ciascuno con quella del collettivo: a Sparta, il pasto comune degli Spartiati; nelle società dell’Africa o dell’Asia, la “casa degli uomini” riservata ai maschi prima delle nozze, club, tempio e covo della banda giovanile, luogo di riti che le donne della tribù non devono vedere, pena la morte.

Nel mondo italico restano tracce incerte di un rito antichissimo e tremendo, il ver sacrum. Quando la popolazione di un gruppo arcaico diventa eccessiva sulla sua terra, le messi vengono lasciate sui campi; e la verde messe dell’uomo, i maschi adolescenti, viene ugualmente mandata a perire. Il grano biondo è consacrato agli dei inferi; la bionda gioventù espulsa ritualmente, come morta, con il divieto di tornare indietro: dovrà conquistarsi una propria terra nelle tenebre esteriori, nell’ignoto infestato da fiere e da nemici mostruosi. La poplazione indoeuropea si sparse quasi certamente così, con espulsioni periodiche di eterie, tra l’Asia e l’Europa. La fiaba di Pollicino e dei suoi “fratelli”, mandati a perdere nella foresta primordiale dai genitori incapaci di nutrirli, conserva il ricordo angoscioso di questa dura usanza.

I vecchi, i patres che così la espellevano, sapevano bene che cosa avrebbe sostenuto la banda dei ragazzi esposta alle violenze e alle magie delle terre selvagge: precisamente l’ardimento scervellato, il gregarismo che, crudele verso i “diversi”, si fa disciplina militare; l’esagerata baldanza di tutti che copre la paura di ognuno, l’essere “tutti per uno e uno per tutti”: personalità incipienti, ancora senza identità, e perciò fungibili. È l’età in cui la vitalità accetta alla leggera il rischio mortale, in cui capita di perire per eccesso di voglia di vivere, di farsi uccidere per gioco. O per sport.

È facile manipolare la vitale stoltezza giovanile. Per millenni, i patres l’hanno sfruttata solo per esigenze estreme e superiori, con pia mancanza di scrupoli. I patres hanno sempre saputo che la banda giovanile, pericolosa nella tribù, “serviva” nelle durezze della guerra: dove la morte degli amici, l’ascesi atletica e militare, avrebbero infine fatto delle giovani belve - quelle sopravvissute - degli uomini adulti. Da sempre, sono i quindicenni e i diciottenni che combattono le guerre più sanguinose; e nel pericolo estremo della patria sono loro che la comunità butta in linea, a perdere. Persino la Chiesa di prima, quella saggiamente dura, lo ha fatto a modo suo. L’adolescenza è l’età a cui si può chiedere tutto: anche il sacrificio supremo da cui l’uomo adulto, sposato, il padre, arretra. La Chiesa arruolava a quell’età: chiedeva ai ragazzi, imperiosamente, la vocazione. Solo loro potevano accettare la chiamata nel senso militare, a morire a se stessi.

Nel nostro secolo, sempre più spesso, del tesoro greggio della vitalità giovanile si sono impadroniti gli stregoni delle masse, i dittatori. Hitler che nelle sue ultime ore decora i quindicenni chiamati a difendere Berlino, rinnova in senso satanico l’antico ver sacrum; ma c’è in lui ancora un barlume della pietas arcaica. I senescenti gerarchi cinesi, che hanno eccitato la ferocia gregaria delle giovani Guardie Rosse, per usarla come mero strumento del loro potere, fanno più ribrezzo. E ancor più i cattivi maestri che, senza esporsi, hanno mandato a perire e ad uccidere l’adolescenza dei nostri anni di piombo.

Ma anche quelli furono, almeno, anni di fuoco. Nell’oggi freddo in cui le ideologie sono morte, l’uso malvagio della gioventù ha raggiunto un gradino più abbietto, e senza l’ombra di una giustificazione. La società “s’interroga” sulle stragi del sabato sera; ma non sul fatto che il patrimonio della vitalità giovanile, da millenni estrema riserva di sventato eroismo per casi estremi, essa l’ha ceduto a mani oscene. Le troppo tenere mamme che impazziscono all’ipotesi che i loro figli adolescenti possano morire in grigioverde sui confini, li consegnano senza fiatare a loschi gestori di sale da ballo, al marketing del “consumo giovanile”, ai sinistri sciacalli del mercato. I preti stessi esitano ad esigere per Dio quelle vite giovanilmente stolte; non hanno di questi scrupoli le camorre che spacciano a quelle vite, per venalità, narcotici da schiavi. Le droghe spacciate al dettaglio ai nostri ingenui, stupidi, defraudati ragazzi hanno nomi che alludono - sardonicamente - a quello cui la gioventù aspira da sempre, fin dalle fratrie primordiali: eroina, ecstasy. Surrogati di eroismi, di erotismi, di visioni estatiche ormai inattingibili.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.