Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 67941 volte)

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #480 il: Agosto 02, 2020, 16:44:35 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/108693

Citazione
UCRAINA: Sulla scia russa, contro la cosiddetta propaganda LGBT
Claudia Bettiol 2 giorni ago

Da KIEV – Nei giorni scorsi, due deputati parlamentari del partito “Il servo del popolo”, Georgiy Mazurašu e Olena Lys, hanno registrato una proposta di legge anti-propaganda LGBT sul sito web della Verchovna Rada. L’idea viene da Mykola Hunko, cappellano della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno della città dell’Ucraina occidentale di Černivtsi, il quale ha proposto al parlamento ucraino un disegno di legge che vieterebbe qualsiasi forma di propaganda e promozione di eventi o azioni a sostegno della comunità LGBT.

Da Černivtsi alla Verchovna Rada: no alla propaganda LGBT

Mykola Hunko è un giovane sacerdote a capo della parrocchia della Chiesa avventista di Černivtsi (movimento religioso cristiano che crede nell’imminente seconda venuta di Cristo) piuttosto conosciuto dalla stampa locale in quanto attivista e fondatore dell’associazione “Černivtsi per uno stile di vita sano”. Le sue petizioni a favore della comunità locale, nonostante non sempre raccolgano il numero di firme necessario, sono molto popolari nella regione e attribuiscono a Hunko la fama di “gran riformatore”. Un riformatore, naturalmente, di stampo conservatore: Hunko si batte, in particolare, per la desovietizzazione della sua città, sostenendo di pari passo un’idea di famiglia tradizionale.

Recentemente, il cappellano ha proposto un disegno di legge in difesa della famiglia tradizionale e contro la “propaganda dell’omosessualità e del transgenderismo”. Dal 2018 si sono tenuti vari eventi ricorrenti a sostegno della comunità LGBT in città – tra cui la Marcia dell’orgoglio – e Hunko ritiene necessario combattere questa “propaganda” che si sta diffondendo in tutto il paese: nel maggio del 2019 ha, perciò, chiesto al consiglio comunale di Černivtsi di vietare qualsiasi evento a sostegno dei diritti della comunità LGBT. La sua petizione ha raggiunto le 250 firme richieste ma, nell’ottobre scorso, nonostante i deputati del consiglio comunale abbiano appoggiato Hunko, il sindaco di Černivtsi Oleksiy Kaspruk ha posto il suo veto dichiarando la decisione incostituzionale.

Gli oppositori di Hunko e i sostenitori dei diritti umani e dei diritti della comunità LGBT hanno risposto con una serie di proteste nella città di Černivtsi: gli attivisti del partito Ascia democratica (Demokratična Sokyra) hanno organizzato una manifestazione chiamata 365, presentando al consiglio comunale un programma di eventi a tema LGBT per l’intero anno 2020. Ma Mykola Hunko e i suoi sostenitori non si sono arresi e si sono rivolti direttamente ai deputati parlamentari, i “servi del popolo” Georgiy Mazurašu e Olena Lys, i quali hanno deposto il disegno di legge in parlamento lo scorso 22 luglio, sottolineando come la “propaganda di omosessualità o transgenderismo possa influire negativamente sulla salute fisica o mentale, sulla condizione morale o spirituale e sullo sviluppo dell’uomo”.

Le idee anti-LGBT di Hunko

Secondo le idee di Hunko, la “propaganda LGBT” rende impossibile crescere i bambini in rispetto dell’articolo 51 della Costituzione dell’Ucraina, che al primo comma dichiara: “Il matrimonio si basa sul libero consenso di una donna e di un uomo”. Citando questo articolo, il cappellano reputa che, se un bambino assiste alla Marcia dell’orgoglio o vede una coppia dello stesso sesso per strada, sarà affetto da una “dissonanza cognitiva“. Egli considera, inoltre, tutte le azioni pubbliche di massa – quali il Pride o altri eventi a sostegno della comunità LGBT – come pura propaganda e promozione di una “famiglia non conforme”; è anche contrario a qualsiasi immagine o informazione su coppie dello stesso sesso nei libri di testo scolastici.

Hunko afferma di non avere nulla contro i membri della comunità LGBT, ma mette omosessuali, pedofili e funzionari corrotti sullo stesso piano e, oltre a negare i termini “omosessualità” e “transgender”, il sacerdote suggerisce di escludere anche il termine “uguaglianza di genere” dalla legislazione ucraina, proponendo di sostituirlo con “uguaglianza dei diritti delle donne e degli uomini”. Un chiaro rifiuto nel riconoscere la diversità.

Il disegno di legge di Hunko ricorda la legge russa del 2013 “Sulla promozione di relazioni sessuali non tradizionali tra minori”, che proibisce qualsiasi attività a sostegno della comunità LGBT, nonché manifestazioni pubbliche di relazioni tra persone dello stesso sesso e punisce questi reati con pene amministrative e penali. Hunko e i due “servi del popolo” sono a favore dell’introduzione di sanzioni amministrative di un importo che va dalle 17 alle 136mila hryvne (da 525 a 4200 euro).

L’indignazione della comunità LGBT

“Il disegno di legge proposto è una sorta di omofobia delle caverne che sta tornando alla riscossa. E, guarda caso, le iniziative del governo attuale coincidono con le narrazioni della Federazione Russa. Sappiamo tutti che si concluderanno con la limitazione dei diritti umani, come è accaduto in Russia”, – ha affermato Boris Chmilevskyjil, presidente dell’associazione per i diritti umani Alleanza Globale (Al’jans.Global).

L’associazione per la difesa dei diritti LGBT Naš Svit ha criticato l’iniziativa di Mazuras e Lys, affermando che i due deputati “hanno chiaramente dimostrato il loro sostegno alla politica russa e si sono prontamente schierati con il movimento a favore dei valori tradizionali“. Si teme, infatti, che l’eventuale adozione di una simile legge contro la “propaganda LGBT” in Ucraina metta immediatamente fine all’integrazione europea.

La Verchovna Rada ha già chiuso la sessione estiva, quindi i deputati potranno iniziare a esaminare questo disegno di legge non prima di settembre.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #481 il: Agosto 02, 2020, 18:03:40 pm »

Mah, guarda, io non son mai stato a San Pietroburgo (conosco però una russa di San Pietroburgo che mi chiavavo 13 anni fa e che vive a Perugia da 25 anni), ma so per certo che le realtà rurali son ben diverse.
Da quelle parti le differenze tra grandi città e campagna sono molto marcate e in certe zone della Russia la povertà è ancora tanta
Sì è così
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, sebbene l'arrivo di Putin e i suoi metodi ne abbiano ridotto la diffusione rispetto a 20 anni fa.
Avercelo uno come Putin, che ha risollevato il Paese resistendo per decenni mentre da noi passano tutti al nemico o sono dei fake.
Può essere che nei Paesi dell'Est lo Stato Profondo non sia forte come in Occidente, ma di certo Putin è riuscito a superare enormi difficoltà, è un politico con le palle come ce ne sono pochi.
Citazione
Perciò già il fatto di condurre una vita di merda toglie gioia e allegria.
Se comminano l'ergastolo a chi ascolta radio italiane c'è poco da stupirsi.
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Per quanto riguarda le ungheresi non me le ricordo molto diverse dalle italiane.
Ho frequentato (socialmente) un'ungherese per un paio d'anni, ne ho conosciute altre, tutte piuttosto vivaci e intelligenti.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #482 il: Agosto 02, 2020, 18:05:36 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/108693
Bene, molto bene... Certe cose come il DDL Boldrini succedono solo* in Italia...

* Benevola provocazione. :lol: Ma è vero che all'Est di pride se ne vedono meno. Per esempio, quel deficiente del Berla ha mandato Luxuria in Russia con trucco e parrucco, l'hanno rimandato indietro a calci :censored:
« Ultima modifica: Agosto 02, 2020, 18:21:33 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #483 il: Agosto 02, 2020, 18:43:53 pm »
Avercelo uno come Putin, che ha risollevato il Paese resistendo per decenni mentre da noi passano tutti al nemico o sono dei fake.

Sì, ma Putin si trova in Russia non in Italia o in qualche altro Paese dell' Europa dell' ovest, perciò intorno a lui ha un "terreno fertile" che gli permette di agire in un certo modo...
Nemmeno se si trovasse negli USA avrebbe il potere che ha ora in Russia.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #484 il: Agosto 02, 2020, 20:13:52 pm »
Un paese dell'est che visitai molti anni fa è la Serbia.
Ci andai insieme al figlio di un mio ex datore di lavoro, che era (è) un cacciatore e ricordo che di povertà ne vidi tanta.
(Vidi anche luoghi bellissimi)


@@

ps:
http://www.terrelibere.org/1763-serbia-boom-suicidi-falcidiata-generazione-di-mezzo/
Citazione
Serbia: boom suicidi, falcidiata generazione di mezzo
   
Alessandro Logroscino | 5 Dicembre 2005
I serbi stanno perdendo la voglia di vivere. É questo l`allarme che viene dalle ultime cifre sul dilagante aumento del tasso di suicidi in un Paese al quale – fra tante contraddizioni – non aveva finora fatto difetto, tradizionalmente, un robusto patrimonio di vitalità.


Prostrati da una lunga e incerta transizione, reduci dalle guerre e dalle sconfitte che hanno segnato la dissoluzione della Jugoslavia, centinaia di persone si tolgono oggi anno la vita.

Un fenomeno che ha falcidiato inizialmente i vecchi di sesso maschile, ma che negli ultimi tempi – stando a quanto emerso in un simposio di psichiatri svoltosi in questi giorni a Belgrado – comincia a trascinare nel gorgo anche le donne e in generale coinvolge soprattutto i cinquantenni: una sorta di generazione perduta, ritrovatasi ad affondare a metà del guado.

Le statistiche parlano da sole. Nei primi otto mesi del 2005 in Serbia (7 milioni di abitanti) sono stati registrati 636 suicidi. A settembre e ottobre si è poi toccato il picco: il triplo dei casi rispetto a una media già preoccupante, più o meno doppia – a titolo d`esempio – dell`Italia. E dal dato resta escluso il piccolo Montenegro, dove nella sola cittadina di Bijelo Polje, sprofondata coi suoi 50.000 figli in una singolare cappa di lutto, si sono uccisi dall`inizio dell`anno 16 persone: un record forse mondiale, in rapporto alla popolazione.

Gli studiosi riunitisi a consulto a Belgrado mettono in relazione la catastrofe con diversi fattori: la crisi economica e sociale, in prima battuta, ma anche la perdita di riferimenti e l`insicurezza generale seguite al tracollo della vecchia Jugoslavia. Allontanato, almeno per ora, lo spettro della guerra, non sembra tuttavia colmato l`abisso di isolamento, di frustrazione e di diffusa povertà in cui la Serbia è precipitata fin dagli anni `90.

La transizione, dicono gli esperti, continua intanto a essere avvertita come “un peso“ – e per decine di migliaia di profughi come un`autentica tragedia – mentre le embrionali speranze d`integrazione europea non cancellano “la mancanza di prospettive che molti avvertono“.

Fino a qualche anno fa i suicidi erano concentrati fra gli anziani, alle prese con un Paese disgregato che non riconoscevano come loro, con pensioni da fame e famiglie non in grado di sostenerli. Ora, però, la vera `decimazione` riguarda i cinquantenni e non risparmia neppure le donne.

L`impatto è impressionante fra la miriade di disoccupati e fra i circa 200.000 lavoratori serbi che si arrabattano senza ricevere uno straccio di stipendio: nei casi limite, come quello del grande zuccherificio di Cuprija, senza essere di fatto pagati da 10 anni.

La psichiatra Svetlana Markovic, dal canto suo, sottolinea con inquietudine l`incremento degli episodi di suicidio femminile. “Sono aumentati di quattro volte nel giro di un paio d`anni“, nota, specificando che anche in questo caso si tratta quasi sempre di persone di mezza eta`: “Donne licenziate che non possono riciclarsi nel mondo del lavoro, madri che non vedono sistemati figli già grandi. Insomma, vittime di crisi d`identità e di profonde sindromi di fallimento“.

Secondo lo psicoterapeuta Petar Opalic, la vera emergenza riguarda però i rifugiati. Nel cuore dell`Europa e a un`oretta di volo da Roma, la Serbia ne è piena. Racchiude oggi il numero più elevato al mondo di sfollati interni in rapporto alla popolazione (in massima parte fuggiti dal Kosovo), su un totale complessivo di 350.000 profughi: vittime collaterali, ormai semi-abbandonate, di un decennio di guerre scatenate e perse.

Pochi sono quelli che sperano ancora di tornare in una casa pur che sia. E non può sorprendere di ritrovare proprio in questo esercito di disperati la percentuale più alta di coloro che vedono l`ultima via di fuga in una corda, in una finestra o in una pistola.

(ANSA) LR – 01/12/2005
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #485 il: Agosto 02, 2020, 20:21:41 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Est-Europa-emigrazioni-e-pensioni-199853

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Est Europa: emigrazioni e pensioni

I rapporti tra occupati e pensionati sono cambiati parecchio negli ultimi trenta anni. In Croazia per esempio da 4 a 1 si è passati a 1,25 occupato per 1 pensionato, con conseguenze drammatiche. A peggiorare il quadro contribuisce la massiccia emigrazione dai Balcani, soprattutto di giovani qualificati

04/03/2020 -  Anđelko Šubić
(Originariamente pubblicato da DWelle  il 20 febbraio 2020)

Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il sistema pensionistico croato godeva di ottima salute: all’epoca in Croazia si contavano oltre 2 milioni di occupati e poco più di 500mila pensionati. Quindi, il rapporto tra occupati e pensionati era di 4 a 1, mentre oggi – lo confermano anche le statistiche ufficiali – questo rapporto è di 1,25 a 1. La Croazia è tra i fanalini di coda nell’UE per quanto riguarda le pensioni, ma in altri paesi della regione la situazione è ancora peggiore: in Montenegro ad esempio – secondo quanto riportato dai media locali – il rapporto tra occupati e pensionati è quasi di 1 a 1.

Non ha senso discutere su quale sia il rapporto ottimale tra lavoratori e pensionati, ma una cosa è certa: quanto più alto è il numero di pensionati per ogni occupato tanto più basse sono le pensioni. Inoltre, nei paesi dove lo stipendio medio è molto basso, le persone anziane sono maggiormente esposte al rischio di povertà.

La solidarietà intergenerazionale, un valore che sta scomparendo
Nel XIX secolo molti paesi europei decisero di instaurare un sistema pensionistico pubblico proprio nel tentativo di arginare la povertà tra gli anziani  . I sistemi previdenziali rivolti agli anziani e alle categorie più deboli esistevano anche prima, ma erano perlopiù limitati ad alcune corporazioni artigianali. Anche oggi in Germania alcune categorie professionali hanno i propri fondi di previdenza complementare, ma è un fenomeno sempre più raro.

Oggi la maggior parte dei sistemi pensionistici pubblici si basa sul principio di solidarietà intergenerazionale. Durante la Grande depressione degli anni Venti, in molti paesi, compresa la Germania, i soldi pubblici “messi da parte” per le pensioni andarono in fumo. Gli Stati Uniti, sotto la guida di Roosevelt, furono il primo paese a riformare il sistema pensionistico pubblico, prevedendo che le risorse derivanti dall’occupazione venissero destinate alle pensioni.

L’idea di base era semplice: se cresce l’economia, aumenta anche la popolazione, così le future generazioni potranno garantire le pensioni a quelli che oggi versano contributi al fondo pensione.

Anche la riforma del sistema pensionistico tedesco del 1957 si basava su questo principio, poggiando, al contempo, su un “secondo pilastro”: aiuti dello stato. Questo sistema ha funzionato molto bene per decenni, finché le nascite non hanno iniziato a diminuire. Oltre che dal calo demografico – che in molti paesi sta mettendo a repentaglio i sistemi previdenziali basati sul principio di solidarietà intergenerazionale – , i paesi più poveri sono afflitti anche da una massiccia emigrazione di forza lavoro.

DOSSIER

Dai Balcani sono in tanti, soprattutto giovani e qualificati, a emigrare verso altri paesi europei. In tutti i paesi della regione lo spopolamento aumenta a ritmi allarmanti. Il nostro dossier "Via dai Balcani"

La situazione in Bosnia Erzegovina
Il presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) Suma Chakrabarti ha recentemente dichiarato  che circa 6 milioni di cittadini dei paesi dei Balcani – quasi un terzo della popolazione totale – attualmente vivono all’estero. Per alcuni paesi molto poveri, come la Moldavia, le rimesse degli emigrati rappresentano una delle principali fonti di reddito. Un dato poco consolante, perché la massiccia emigrazione, come quella con cui oggi devono fare i conti la Bosnia Erzegovina, il Kosovo e la Serbia, rappresenta un duro colpo all’economia nazionale. Secondo i dati di Eurostat, nel 2018 dalla Bosnia Erzegovina sono emigrate circa 53.500 persone, dal Kosovo 34.500 e dalla Serbia 51.000.

In un'intervista  rilasciata al quotidiano Dnevni avaz, il direttore dell’Istituto per l’assicurazione pensionistica e di invalidità della Federazione Bosnia Erzegovina Zijad Krnjić ha dichiarato che il sistema pensionistico bosniaco è “completamente stabile” e che non può “in alcun modo” essere messo a repentaglio, pur ammettendo che l’emigrazione dei giovani “potrebbe avere conseguenze a lungo termine”. Krnjić ha inoltre annunciato che nel 2020 in Bosnia Erzegovina ci sarà un aumento delle pensioni.

Tuttavia, l’emigrazione dei giovani ha almeno due effetti negativi sull’economia che si manifestano a breve termine. Il primo riguarda le risorse investite dallo stato nell’istruzione delle persone che poi decidono di emigrare: uno studente laureato costa allo stato fino a 50mila euro, anche di più se si tratta di laureati in medicina. Un investimento di cui alla fine traggono vantaggio i paesi in cui i giovani scelgono di emigrare, tanto che alcuni paesi ricchi non vogliono investire sulla formazione dei medici, contando sull’arrivo di medici da altri paesi.

L’emigrazione ha poi un altro effetto ancora peggiore: ad emigrare sono soprattutto persone giovani, istruite e propense all’imprenditorialità. Solo stimolando l’imprenditorialità dei giovani un paese povero, come la Bosnia Erzegovina, può evitare di trasformarsi in un paese di camerieri e addetti alle pulizie mal pagati che lavorano al servizio dei turisti. Abbandonare il proprio paese non è mai una decisione facile; i giovani decidono di emigrare quando si rendono conto che nel proprio paese non hanno alcuna possibilità di condurre una vita decente.

Nemmeno il calo del tasso di disoccupazione, che si è ultimamente registrato in tutti i paesi dei Balcani, può contribuire molto a migliorare la situazione. Questo calo è in gran parte dovuto proprio all’emigrazione, che inevitabilmente avrà conseguenze negative sia sul sistema pensionistico sia su quello di assistenza sanitaria.

Tuttavia, la massiccia emigrazione dai paesi dei Balcani è solo un tassello di un problema più ampio. Per quanto riguarda la disoccupazione dei giovani, i dati ufficiali non rispecchiano in pieno la realtà dei fatti. I giovani spesso lavorano “in nero”, e anche molte aziende che pagano regolarmente i propri dipendenti spesso “dimenticano” di versare i contributi, nonostante le leggi prevedano sanzioni draconiane per il mancato versamento dei contributi.

L’evasione fiscale
L’evasione fiscale non è un fenomeno raro nemmeno nei paesi più ordinati. Ma nei paesi dei Balcani, dove molti cittadini sono profondamente convinti che “quelli ai vertici” non utilizzeranno mai le risorse ottenute dalla tassazione per il bene comune, il lavoro nero e l’evasione fiscale sono diventati quasi uno sport nazionale.

Allora come aumentare le pensioni? In Croazia la pensione media ammonta a 2500 kune (circa 335 euro), mentre più di 160mila pensionati sono costretti ad affrontare quella che sembra una missione impossibile: sopravvivere con una pensione inferiore a 1000 kune (circa 134 euro). In altri paesi della regione la situazione è ancora peggiore, ed è difficile dire come potrebbe essere migliorata. Il cosiddetto “terzo pilastro” previdenziale – che in realtà consiste nell’investire in fondi pensione e in gran parte dipende dai dividendi – solo raramente può garantire un introito rilevante, soprattutto tenendo conto del fatto che ormai da qualche anno il tasso di interesse della Banca centrale europea è fermo a zero. Investire nella previdenza complementare può anche rivelarsi rischioso: negli Stati Uniti questo tipo di investimento è diventato prassi comune, ma oggi anche la più grande azienda statunitense che gestisce le prestazioni pensionistiche, California Public Employees’ Retirement System (CalPERS), sta attraversando una grave crisi finanziaria.

Capita troppo spesso che lo stato si trovi costretto ad attingere alle casse pubbliche per fornire un aiuto a quelli che, pur avendo lavorato tutta la vita, faticano a sopravvivere con la sola pensione. Ma non bisogna contare troppo sugli aiuti di stato, che inevitabilmente provocano un deficit di bilancio, soprattutto se si tratta di uno stato che si è impegnato a rispettare le disposizioni in materia finanziaria legate all’introduzione dell’euro.

Durante la crisi economica in Grecia, le prime misure di austerità introdotte dal governo hanno colpito il sistema di welfare pubblico. Uno scenario simile si è verificato anche in Spagna e in Portogallo. I pensionati greci hanno reagito con numerose e veementi proteste, il che non stupisce perché in Grecia molte famiglie – anche con bambini piccoli e giovani disoccupati – vivono di pensioni.

Allora come i paesi con un basso Pil pro capite possono garantire una pensione dignitosa ai giovani di oggi, ma anche alle generazioni future? Ci troviamo di fronte a una situazione assurda: a causa del calo delle nascite sempre più spesso si assiste al fenomeno della cosiddetta “piramide rovesciata” – in molte famiglie ci sono più anziani che bambini, bambini che un domani, con quello che riceveranno in eredità dai loro genitori, probabilmente non potranno nemmeno pagare le bollette e fare la spesa. Si tratta di un problema che deve essere affrontato seriamente.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #486 il: Agosto 02, 2020, 20:28:00 pm »
Sì, ma Putin si trova in Russia non in Italia o in qualche altro Paese dell' Europa dell' ovest, perciò intorno a lui ha un "terreno fertile" che gli permette di agire in un certo modo...
Nemmeno se si trovasse negli USA avrebbe il potere che ha ora in Russia.
E' quel che dicevo, lo Stato Profondo in Russia non è così ostile a leader che perseguono l'interesse nazionale
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #487 il: Agosto 31, 2020, 00:09:25 am »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Balcani-il-difficile-ritorno-a-scuola-204404

Citazione
Balcani: il difficile ritorno a scuola

Tutta l'Europa centrale e sudorientale si sta preparando al nuovo anno scolastico, ma i governi della regione sono ancora incerti su come riprendere l'insegnamento: in presenza, online o in entrambe le modalità

27/08/2020 -  Nedim Dervišbegović
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight  il 7 agosto 2020)

I paesi dell'Europa centrale e sudorientale si stanno preparando per il nuovo anno scolastico mentre sono alle prese con un picco di infezioni da coronavirus, e se alcuni dicono di essere (quasi) pronti, altri non hanno ancora deciso quale modalità di insegnamento impiegare e aspettano il parere degli epidemiologi.

Le opzioni comprendono lezioni più brevi, classi meno numerose, alternanza di lezioni in presenza e online o combinazioni di queste e altre soluzioni.

Balcani occidentali ancora indecisi
La Serbia non ha ancora deciso la modalità di insegnamento per il prossimo anno scolastico: il governo e il suo staff di crisi stanno valutando diversi modelli proposti dal ministero dell'Istruzione, ha dichiarato in conferenza stampa il primo ministro Ana Brnabić.

Brnabić ha detto che tutte le scuole opereranno allo stesso modo. "Vogliamo fornire criteri chiari in base ai quali le scuole decideranno come lavorare. Non le lasceremo decidere da sole", ha dichiarato.

Una proposta è quella di rimandare in classe gli alunni dalla prima alla quarta elementare in gruppi non più grandi di 15, con lezioni dai 30 ai 35 minuti e pause di 20 minuti per la disinfezione.

Il ministro dell'Istruzione Mladen Šarčević ha dichiarato al quotidiano Blic all'inizio di luglio che il ministero stava pensando ad un "modello combinato", ovvero "gli studenti farebbero lezione online, ma andranno anche a scuola ogni due settimane, per fare esercizi".

In Bosnia Erzegovina, le due entità (Republika Srpska e Federazione BiH) e i 10 cantoni presenteranno un piano dopo le consultazioni con epidemiologi, insegnanti, sindacati e genitori, visto l'aumento del numero di casi nelle ultime sei settimane.

Le tre opzioni sono ritorno a scuola, lezioni online e la combinazione delle due modalità.

"L'anno scolastico passato non si può assolutamente ripetere e lo sappiamo da molto tempo. Ora inizierà: in che modo e in che ambito lo definiremo”, ha dichiarato il direttore dell'Istituto di salute pubblica della RS Branislav Zeljković.

Merima Bećarevic, capo del consiglio dei genitori del cantone di Sarajevo, ha affermato che una proposta potrebbe essere quella di consentire ai genitori dei bambini dalla prima alla quarta elementare di rimanere a casa e aiutarli durante le settimane di lezione online. "Vedremo quanto ciò sia realistico, dato che i genitori sono impegnati a lavorare, sia nelle istituzioni private che in quelle pubbliche", ha detto.

Il ministero dell'Istruzione del Montenegro si è dichiarato pronto per il nuovo anno scolastico, ma previa consultazione con l'Istituto per la sanità pubblica. Nel frattempo, sta preparando lezioni in video nel caso in cui le scuole rimangano chiuse a causa dell'epidemia.

Il Kosovo sta valutando tre diversi scenari per il nuovo anno scolastico; riapertura parziale delle scuole a settembre, non riaprire affatto o posticipare la riapertura, ha spiegato il ministro dell'Istruzione Rame Lahaj. Il ministero ha "elaborato programmi per tutti i livelli di istruzione" e per tutti e tre gli scenari, compresi approcci diversi per comuni diversi in base al livello della pandemia.

Il ministero realizzerà video lezioni per la scuola dell'obbligo per l'intero anno. Le piattaforme di notizie locali Kallxo, BIRN Kosovo e Internews Kosovo sono state nuovamente invitate a far parte del progetto, come durante il lockdown.

In Albania, secondo le ultime informazioni le scuole riapriranno a settembre, ma questa decisione sarebbe stata presa all'inizio di giugno, quando il numero di contagi era sceso ad una cifra. Nel frattempo i numeri sono aumentati, con un record di 139 casi il 5 agosto e una media di 5 decessi correlati a COVID-19 al giorno nelle ultime settimane.

L'istruzione pubblica albanese era già stata colpita dal terremoto di novembre 2019 e attualmente circa 96 scuole sono chiuse o solo in parte operative a causa dei danni causati dal sisma, che secondo il ministero della Pubblica Istruzione ha colpito circa 40.000 alunni.

Ciò ha causato il trasferimento di circa 20.000 alunni nelle aree densamente popolate dell'Albania centrale nelle cosiddette "scuole ospitanti", già sovraffollate a causa dell'enorme spostamento della popolazione verso le aree urbane negli ultimi tre decenni.

La Macedonia del Nord non ha ancora deciso se aprire scuole e asili a settembre, ma il ministro della Sanità Venko Filipce ha dichiarato che "molto probabilmente" scuole e asili dovranno allineare tutti i protocolli prima della decisione finale.

Filipce ha dichiarato alla TV locale Kanal 5 che "fra le misure principali ci sono gruppi più piccoli, più turni e lezioni più brevi", aggiungendo che lo scopo è che i bambini rimangano in spazi chiusi il meno possibile e tutti con la mascherina.

Il ministero croato della Scienza e dell'Istruzione ha dichiarato a BIRN che "dal 7 settembre gli studenti frequenteranno le lezioni in aula nel rispetto di tutte le misure epidemiologiche", mentre le lezioni online saranno fornite in casi eccezionali agli studenti che non possono frequentare le aule per motivi di salute.

Zone semaforiche in Romania
In Romania, il presidente Klaus Iohannis ha annunciato che l'anno scolastico inizierà il 14 settembre e in presenza per la maggior parte dei bambini, ma saranno i comuni a decidere in base al numero di casi di COVID-19 individuati negli ultimi 14 giorni nella zona.

Le zone con meno di una infezione ogni mille residenti saranno considerate “verdi” e le scuole funzioneranno normalmente. I comuni fino a tre casi per mille saranno classificati “gialli” e i bambini frequenteranno le scuole solo per alcuni corsi. Nelle zone “rosse” con più di tre casi ogni mille abitanti tutte le lezioni si terranno online.

Secondo il presidente circa 50 comuni in Romania sarebbero probabilmente "zone rosse", centinaia di città sarebbero considerate gialle e la maggior parte dei comuni, compresa la capitale, sarebbe nella categoria verde.

La Moldavia aprirà le scuole il primo settembre con l'obbligo di mascherina per gli insegnanti, ma non per gli studenti, ha dichiarato il ministro dell'Istruzione Igor Sharov, aggiungendo che il piano è basato sulle proposte ricevute da parte di insegnanti, genitori, studenti e funzionari scolastici in diversi distretti.

Circa il 65% degli istituti scolastici si dichiara pronto a riprendere gli studi rispettando le norme di sicurezza, che comportano un solo bambino per banco e uno spazio di 1,5 metri tra i banchi.

In Turchia, il ministro dell'Istruzione Ziya Selçuk ha dichiarato che le scuole riapriranno come previsto il 31 agosto, nonostante le richieste di rinvio legate all'aumento dei casi di coronavirus.

"Tutti dovrebbero sentire sulle spalle il peso di 18 milioni di studenti", ha affermato Selçuk, invitando i cittadini ad essere più cauti e seguire tutte le misure di sicurezza del governo.

Tuttavia, la decisione del governo ha lasciato perplessi molti insegnanti. "Non sappiamo come procedere in questo ambiente rischioso. Il numero di nuovi casi aumenta ogni giorno e avere [gli alunni] che si riuniscono nelle scuole e nelle aule non sarà positivo in termini di diffusione del virus", ha fatto notare a BIRN un insegnante di Istanbul, chiedendo di non essere nominato.

L'Europa centrale spera nel ritorno alla "normalità"
La Polonia intende riaprire completamente le scuole dal primo settembre, ha detto il ministro dell'Istruzione Dariusz Piontkowski, nonostante una recrudescenza delle infezioni da coronavirus, che ha visto recentemente il paese registrare 680 nuovi casi in un giorno: il numero più alto dall'inizio della pandemia.

Il governo, osservano gli esperti, rischia di ripetere l'errore di allentare troppo presto le misure, che ha portato ai recenti picchi nei casi e alla diffusa negligenza.

La nazione di 38 milioni di persone ha registrato un totale di 48.789 casi e 1.756 decessi, il che è stato considerato un risultato positivo.

Piontkowski ha affermato che il ministero dell'Istruzione imporrà rigide norme di igiene e sicurezza per le scuole, ma non le mascherine, nonché criteri in base ai quali alcune scuole potrebbero passare all'istruzione online o ad un mix se le infezioni dovessero aumentare. I presidi avranno la facoltà di decidere per le proprie scuole.

Il governo intende obbligare i genitori a rimandare i figli a scuola anche se preoccupati, perché "un genitore non è un epidemiologo".

Anche in Ungheria il governo sta pianificando di avviare un normale anno scolastico, ma preparandosi a eventuali modifiche, ha dichiarato alla TV pubblica M1 Zoltán Maruzsa, Segretario di Stato all'Istruzione, aggiungendo che "l'anno scolastico inizierà in un modo tradizionale, aprirà a settembre, ma ove necessario verranno prese misure locali”.

Ciò è in linea con i suggerimenti degli esperti di istruzione e salute, che sostengono che dovrebbe essere evitata una chiusura universale delle scuole, poiché pone un enorme fardello sui genitori e contribuisce al ritardo degli studenti svantaggiati.

Se la pandemia dovesse ripresentarsi in autunno (attualmente l'Ungheria segnala un leggero aumento dei casi, ma ha ancora un basso numero di contagi), le scuole dove ricompare il virus dovrebbero essere chiuse, ma senza coinvolgere l'intero paese.

ELTE, la più grande università ungherese, sta optando per un "formato ibrido", in base al quale alcuni corsi minori avverranno in presenza, ma la maggior parte delle lezioni più frequentate verrà trasmessa in streaming. Le mascherine saranno obbligatorie negli edifici universitari.

Nella Repubblica Ceca, il 28 luglio il ministro dell'Istruzione Robert Plaga ha dichiarato che le scuole apriranno normalmente dal primo settembre, anche se nelle aule dovranno essere osservate norme sanitarie più severe.

Secondo il ministro, le scuole devono prestare maggiore attenzione alla disinfezione delle mani e, ad esempio, ad una migliore e più frequente ventilazione in classe. Se durante l'autunno il governo fosse costretto a imporre di nuovo le mascherine in tutta la società, le scuole non farebbero eccezione. In caso di contagio in una scuola, le autorità sanitarie regionali decideranno se chiudere la scuola, a seconda delle circostanze.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #488 il: Agosto 31, 2020, 00:12:21 am »
https://www.eastjournal.net/archives/109266

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BIELORUSSIA: Il 66° compleanno del presidente, tra arresti e violenza
Claudia Bettiol 9 secondi ago

Grandi manifestazioni per contro Lukashenko

Fiori e regali fai-da-te per festeggiare il 66° compleanno del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko: ecco l’idea originale e provocatoria della folla in protesta che oggi, 30 agosto, sfila nuovamente per le strade di Minsk e di tutta la Bielorussia in una marcia di protesta per la pace e l’indipendenza. “Vi suggeriamo di portare dei fiori e/o dei regali creativi fatti a mano per Lukashenko. Che l’usurpatore possa così vedere cosa gli regaleranno i bielorussi per il suo compleanno”, si legge nell’annuncio della marcia.

Autobus con poliziotti antisommossa (OMON) e carri armati erano già allineati sin dal mattino lungo le strade principali della capitale, dove stanno sfilando decine di migliaia di manifestanti. Nonostante la marcia sia appena iniziata, le forze di sicurezza hanno già arrestato diverse dozzine di persone.

Putin riconosce valide le elezioni bielorusse

Nel frattempo, la notte scorsa, il presidente russo Vladimir Putin – che si è detto pronto a intervenire militarmente in aiuto del governo di Minsk se la situazione dovesse peggiorare – ha ufficialmente riconosciuto come valide le elezioni presidenziali in Bielorussia tenutesi lo scorso 9 agosto. Putin è stato uno degli unici a congratularsi con Lukashenko per la sua vittoria, sottolineando che le relazioni tra i due paesi non potranno che rafforzarsi.

I paesi occidentali, tra cui Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e la maggior parte dei paesi dell’Unione europea  (Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia incluse) rifiutano, invece, di considerare queste elezioni come valide: l’11 agosto, l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a nome dell’Unione europea, ha dichiarato che le elezioni in Bielorussia “non sono state né libere né eque” e che le autorità ne hanno approfittato per usare la violenza contro i manifestanti.

Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – che ha chiuso proprio in questi giorni le frontiere con la Bielorussia -, se Lukashenko avesse avuto fiducia in se stesso e fosse stato sicuro della sua vittoria, avrebbe tenuto nuove e democratiche elezioni, in presenza degli osservatori internazionali (che, ricordiamo, non sono stati i benvenuti).

I giornalisti stranieri (e non solo) non sono i benvenuti

In seguito ai controlli di documenti e accrediti avvenuti venerdì scorso, le autorità bielorusse hanno revocato l’accreditamento stampa ai giornalisti che hanno seguito le proteste post-elettorali per i media stranieri. Lo stesso vale per una ventina di giornalisti locali che lavoravano per BBC, Reuters, Radio Svaboda, AFP, New York Times, Wall Street Journal, Deutsche Welle e altri. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo che diversi giornalisti erano stati arrestati prima di una protesta pacifica a Minsk. Il ministero degli Esteri bielorusso non commenta la situazione.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #489 il: Settembre 14, 2020, 00:35:00 am »
"Solo in Italia succedono queste cose!"
Ah no, cazzo!, siamo in Serbia...

https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Serbia-sommersi-dai-rifiuti

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Serbia: sommersi dai rifiuti
31/08/2020

In Serbia ogni cittadino produce mediamente un chilo di rifiuti al giorno. La maggior parte finisce in discariche abusive o fuori norma, con una produzione incontrollata di metano in atmosfera. Tutti devono, e possono, fare la loro parte. Un videoreportage

Questo video è tratto dal webdoc “Voices from the East  ”, realizzato da Marco Carlone, Francesco Rasero ed Eleonora Anello nell’ambito del progetto europeo “Frame, Voice, Report!  ”. Nei Balcani le tematiche legate ambientali sono rimaste in fondo alle agende pubbliche per lungo tempo, nonostante secondo l’IPCC l’Europa centro-orientale sia il primo grande “banco di prova” di fronte agli effetti della crisi climatica nel Vecchio Continente. Voices from the East vuole raccontare le cause e gli effetti dei cambiamenti climatici nei Balcani, nonché alcune strategie di contrasto e adattamento partite dal basso come i piccoli festival indipendenti di cinema ambientale di quest’area: veri e propri presidi eco-culturali nella sensibilizzazione locale di queste tematiche.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #490 il: Settembre 23, 2020, 19:45:13 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/109880

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ROMANIA: Gli studi di genere sotto accusa
Maria Savigni 6 giorni ago

Dopo la messa al bando in Ungheria nel 2018, lo scorso 16 giugno anche la Romania ha approvato una proposta di legge che proibisce l’insegnamento dei gender studies nelle proprie istituzioni scolastiche e universitarie.

Gli studi di genere tra “ideologia” e libertà accademica

Nato nel contesto anglosassone degli anni Sessanta, gli studi di genere sono un ramo accademico multidisciplinare che analizza la costruzione sociale della sessualità e identità di genere. Suddivisi in vari filoni tra cui women studies e LGBTQ+ studies, gli studi di genere si pongono l’obiettivo di esaminare altri campi del sapere come la storia o la critica letteraria attraverso la prospettiva e l’esperienza femminile o di genere.

Alla base dell’intervento legislativo in questione vi è l’accusa, nei confronti di tali studi, di essere uno strumento di propaganda politica: “Il mio emendamento cerca di fermare un’ideologia marxista tossica per lo sviluppo dei bambini. Secondo questa ideologia, il sesso biologico non può definire un bambino come uomo o donna, e quindi il bambino è costretto a decidere tra i 114 generi inventati dai sostenitori di questa teoria”, ha affermato il parlamentare romeno Vasile Cristian Lungu, promotore dell’iniziativa. Legato ad ambienti evangelical e neoconservatori americani, Lungu è un esponente del Partito Popolare (PMP) attualmente all’opposizione. La proposta, del tutto analoga a quella di Viktor Orbán che ha costretto la Central European University a spostare la propria sede a Vienna, è comunque riuscita ad ottenere il consenso della maggioranza.

Le Università di Bucarest e Cluj Napoca, che offrono master e corsi di specializzazione in studi di genere, saranno costrette a chiudere tali corsi ed eliminare qualsiasi riferimento al concetto di “genere” dai propri curricula universitari. Di fronte a tale prospettiva, la reazione del mondo accademico è stata netta: l’assemblea dei rettori si è espressa contro la legge, considerata un’ingerenza nell’autonomia dell’insegnamento lesiva della libertà d’espressione. Studenti e docenti universitari hanno lanciato una petizione per chiedere al presidente della repubblica, Klaus Iohannis, di porre il veto sulla legge.

Una legge incostituzionale?

La libertà accademica, ad ogni modo, non è l’unica ad essere minacciata. La nuova normativa elimina di fatto l’educazione sessuale dalle scuole di qualsiasi ordine e grado, dal momento che il testo proibisce in modo esplicito qualsiasi riferimento a sesso o genere dentro le istituzioni scolastiche. Affrontare questioni come l’omosessualità e il transgenderismo in ambito educativo diventerà, quindi, semplicemente un tabù.

La Romania ha depenalizzato l’omosessualità nel 2001, ma non prevede alcuna forma di riconoscimento nei confronti delle coppie dello stesso sesso ed è stata classificata da ILGA Europe tra gli ultimi posti in Europa sotto il profilo della tutela dei diritti LGBT. Oltre a rappresentare un pericolo per la libertà di ricerca, l’iniziativa finisce per costruire un velo di invisibilità e marginalizzazione sulla comunità transgender in Romania, che conta circa 120mila persone.

Le associazioni LGBT che si sono mobilitate contro la legge hanno sottolineato il passaggio sotto silenzio di questa proposta di legge, presentata già lo scorso autunno e approvata in piena crisi epidemiologica da Covid-19.

Non si tratta, del resto, dell’unica iniziativa contro la comunità LGBT in questi ultimi anni: nel 2018 il partito social-democratico (PSD) aveva proposto una riforma costituzionale per vietare il matrimonio omosessuale inserendo nella Carta costituzionale la nozione di matrimonio come legame tra un uomo e una donna, tentativo di riforma bocciato in sede di referendum.

La nuova iniziativa sposta il terreno di scontro sul piano accademico, con pesanti conseguenze per la libertà d’espressione in Romania. Gli appelli del mondo universitario e dell’associazionismo LGBT, però, non sono rimasti senza risposta. Il 10 luglio il Presidente Iohannis, di orientamento moderato sul tema dei diritti civili, ha presentato una questione di costituzionalità alla Corte Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi a breve sulla legittimità o meno della legge “anti-gender”.

Se una censura di incostituzionalità appare più probabile, rimane ormai il secondo caso in tre anni in cui uno Stato membro dell’Unione Europea tenta di mettere all’indice un corpus di teorie e studi accademici.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #491 il: Settembre 23, 2020, 19:47:14 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/110069

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POLONIA: Gli slogan anti-LGBT conquistano i cartelloni pubblicitari
redazione 1 giorno ago

di Alessandro Ajres, docente di lingua polacca dell’università di Torino e presidente del circolo culturale Polski kot

“La donna non indosserà abiti da uomo, né l’uomo indosserà abiti da donna, perché chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno, il tuo Dio” (Deuteronomio, 22:5). Questo è soltanto uno degli enormi tabelloni ispirati alla Bibbia comparso la scorsa settimana a Varsavia e finanziato dall’associazione Roty Marszu Niepodległości (Truppe per la Marcia dall’Indipendenza) che hanno animato gli ultimi mesi di scontro intorno al movimento LGBT in Polonia. A propria volta, Roty è soltanto una delle organizzazioni – il cui obiettivo è “mobilitare i polacchi a prendersi cura degli interessi nazionali, della sovranità statale e promuovere il patriottismo” – che abbia optato per questo tipo di comunicazione. È da tempo, infatti, che le associazioni schierate sui due fronti utilizzano gli spazi normalmente riservati ai messaggi pubblicitari per sostenere le proprie idee.

Andando a ritroso, risalgono a più di due anni fa ormai le prime camionette messe in circolazione dall’associazione Pro – Prawo do życia (Pro – Diritto alla vita), su cui facevano mostra di sé alcuni slogan anti-abortisti. Da quel momento in poi, via via le strade della Polonia sono state sempre più attraversate dai furgoni e popolate dai tabelloni di organizzazioni contrapposte.

In particolare, i tragitti percorsi dalle camionette degli attivisti pro-life hanno scatenato con frequenza crescente la proteste della società civile e portato talvolta all’aggressione degli autisti e al tentativo di distruzione dei mezzi (l’arresto della nota attivista Margot Szutowicz è formalmente dovuto proprio a uno di questi episodi). Le ultime “sortite” dei furgoni organizzati dai pro-life (a Cracovia ce n’è stata una il 29 agosto con la scritta: “Stop pedofilia. La lobby LGBT in Polonia vuole insegnare ai bimbi di 4 anni la masturbazione e a quelli di 6 ad acconsentire al sesso”) sono state costantemente scortate dalla polizia e rigidamente perimetrate. La reazione talvolta rabbiosa della controparte nasce dalla frustrazione di dover continuamente subire l’esposizione di messaggi omotransfobici e fuorvianti, come la correlazione insistita tra omosessualità e pedofilia, che pure vengono autorizzati dalle amministrazioni delle varie città.

Anche le associazioni a difesa dei diritti civili hanno provato a veicolare i loro messaggi con gli stessi mezzi. Tuttavia, il tentativo non si è rivelato altrettanto efficace. Teatro di uno scontro di questo tipo è la città di Białystok, sede nel luglio 2019 di un Pride connotato da violenze contro i manifestanti. Proprio in ricordo di quei fatti, alla metà di luglio di quest’anno l’organizzazione Tęczowy Białystok (Białystok Arcobaleno) ha affittato una serie di grandi tabelloni affiggendo slogan di tolleranza e uguaglianza: “Dopo la tempesta arriva sempre l’arcobaleno” con sfondo proprio sui colori dell’arcobaleno. L’iniziativa ha causato la reazione di un altro gruppo informale, ovvero Milcząca Większość (Maggioranza Silenziosa), che ha risposto con altrettanti tabelloni contenenti slogan di segno opposto: “Bene contro odio” (una scritta bianca in campo nero, dove però la parola “odio” è caratterizzata invece dai colori arcobaleno), oppure ancora “La verità non la occulti con la menzogna” (in questo caso, è la parola menzogna a contenere i colori arcobaleno).

lgbt polonia
Milcząca Większość, i cui tabelloni sono stati fatti oggetto di attacchi, racconta difendendosi: “Il tentativo di distruggere i nostri cartelloni è solo un’altra prova di quanto aggressivi e intolleranti verso le opinioni altrui siano gli attivisti di sinistra. La distruzione dei cartelloni pubblicitari non è avvenuta da parte di un movimento congiunto di residenti, ma ha rappresentato solo l’azione di alcuni singoli individui che non hanno affatto il sostegno generale della città”. Il gruppo anti-LGBT si dice convinto della giustezza delle proprie azioni, spiegando anzi che i cartelloni infondono “fiducia” nelle persone e questo, a loro avviso, “è particolarmente necessario in tempi in cui la sinistra cerca in ogni modo di limitare la libertà di parola”.

“Gazeta Wyborcza”, principale quotidiano polacco, ha paragonato Milcząca Większość al Ku Klux Klan, accusando i suoi membri di trincerarsi dietro all’anonimato, dato che rifiutano di lasciare i riferimenti di qualsiasi rappresentante. Loro, invece, giudicano l’azione di Tęczowy Białystok come una provocazione tanto più offensiva perché avallata dalle autorità locali: “Una maggioranza consistente degli abitanti aveva già mostrato nel 2019 [con le violenze contro il Pride] che nella nostra città non ci può essere sostegno per tali eventi”.

Su tutto questo si posano le recenti dichiarazioni di Ursula von der Leyen, che ha promesso che nell’Unione Europea, e tanto meno in Polonia, non ci sarà più posto per zone dichiarate LGBT-free. È auspicabile e doveroso, anche se da queste parti il percorso sembra ancora piuttosto lungo.

Foto: “Non lasceremo che le famiglie vengano distrutte” – Milcząca Większość / Fakty.interia
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #492 il: Settembre 23, 2020, 19:48:44 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/109124

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Pillole di filosofia russa/1: Le origini del pensiero russo
Arianna Marchetti 30 minuti ago

Con il presente articolo East Journal lancia una nuova rubrica, curata da Arianna Marchetti, dedicata alla filosofia russa, dalle origini ai tempi moderni.

Ci sono diversi fattori che hanno determinato nel tempo il destino e il carattere della Russia: in primo luogo, la sua posizione e conformazione geografica; più storicamente, l’adozione del cristianesimo nella sua forma ortodosso-bizantina e l’invasione tataro-mongola. Anche alla luce di questi elementi è possibile comprendere l’origine e lo sviluppo di una specifica atmosfera quasi psicologica entro cui si è enucleato il pensiero russo. È anche questa atmosfera ad aver fatto sì che alcuni temi filosofici di origine europea occidentale si sviluppassero qui in maniera originale, “alla russa”.

La filosofia è stata, in Russia come altrove, uno strumento di autocoscienza nazionale: il pensiero si è arrovellato nei secoli sui cosiddetti valori fondamentali, sulle prospettive di sviluppo nazionale e sul posto della nazione nella storia e civiltà mondiale. Per questo motivo, è particolarmente interessante rivolgere l’attenzione ai maggiori prodotti della filosofia russa al fine di comprendere appieno le particolarità che caratterizzano questo paese, la sua storia e la sua realtà politico-culturale attuale.

La filosofia russa (o meglio, slava orientale), intesa come fenomeno intellettuale storico, ha assunto una sua forma delineata nel lungo periodo che va dal IX al XVII secolo. La Rus’ di Kiev del X secolo importò da Bisanzio, assieme alla religione, anche diversi concetti di filosofia classica, incorporandoli attraverso il filtro del cristianesimo. Contrariamente alla scolastica occidentale, la cui lingua era il latino (nella sua variante medievale), la filosofia della Rus’ si orientò nella direzione segnata dai monaci missionari Cirillo e Metodio, che nobilitarono nel IX secolo la “lingua degli slavi” dandole dignità liturgica, sacra (non solo i due fratelli monaci crearono un alfabeto adatto ai suoni slavi, ma favorirono anche la traduzione della Bibbia). Pertanto, il pensiero di questi secoli si contraddistingue, in primo luogo, per l’utilizzo della lingua slava ecclesiastica e, in secondo luogo, come ragionamento eminentemente religioso, il cui fine ultimo era avvicinarsi a Dio. La filosofia non era concepita come una costruzione logico-concettuale, bensì come una pratica meditativa volta al raggiungimento di un’unità con il divino tramite il raccoglimento interiore.

Il pensiero medievale slavo orientale è particolarmente affascinante e ha prodotto diversi importanti testi, opere che hanno influenzato nel tempo la cultura. Tra questi, spiccano il Sermone sulla Legge e la Grazia (Slovo o zakone i blagodati, XI secolo) attribuito a Ilarion di Kiev e il Sermone sulla Saggezza (Slovo o premudrosti, XII secolo) attribuito al vescovo Cirillo di Turov.

La ricerca morale di Dostoevskij, come la filosofia della storia di Tolstoj, sono tra gli esempi più noti dell’influenza della tradizione medievale, che fu ripresa più volte come ispirazione proprio per il suo carattere “puro”, privo di influenze razionali associate alla tradizione classica e occidentale. Il rifiuto di ogni speculazione razionale su Dio precluse al patrimonio filosofico latino medievale di mettere radici nel suolo russo: pur noto, questo corpus di testi non influenzò gli sviluppi stilistici nella Rus’. Anche la dominazione tataro-mongola — che si protrasse nell’area dal XIII al XV secolo — contribuì a rendere più difficile lo scambio di idee e testi tra i territori slavi e quelli europeo-occidentali. Fino alla ritirata dei tatari e l’ascesa di Ivan III nel 1478, la scolastica medievale rimase pressoché sconosciuta ai monasteri di Kiev e delle altre città dell’area: il pensiero slavo orientale rimase fortemente ancorato alla patristica greca e alla tradizione bizantina.

Nel Settecento, grazie alle riforme di Pietro il Grande, imperatore russo che promosse un’europeizzazione forzata nel paese proseguendo e approfondendo l’orientamento dei suoi predecessori, la religione, che fino a quel momento aveva permeato tutti gli strati della sfera intellettuale, iniziò a perdere il suo primato, aprendo il campo alla scienza. Questo fu un periodo di forte europeizzazione delle élite russe, caratterizzato dalla ricerca della modernizzazione in tutti i campi, dalla scienza alle discipline umane. Nel 1725 fu istituita un’Accademia delle Scienze e delle Arti, alla quale furono invitati a insegnare professori dall’Europa occidentale; l’illuminismo tedesco, ma non solo, si diffuse allora in maniera estesa.

Tre intellettuali della “dotta compagnia” di Pietro il Grande contribuirono in maniera particolare allo sviluppo della filosofia russa del tempo: Feofan Prokopovič, Vasilij Tatiščev e Antioch Kantemir, ferventi sostenitori dell’assolutismo illuminato e delle riforme pietrine. Ebbero quindi un ruolo centrale nel far progredire la filosofia verso nuove frontiere e nel promuovere l’idea della modernizzazione come forza del progresso storico.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #493 il: Settembre 23, 2020, 23:09:55 pm »
Frank per curiosità: hai qualche esperienza di donne polacche, o di italiani che si sono sposati polacche nel loro Paese? Pura curiosità, ormai ho tirato i remi in barca sulla questione.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #494 il: Novembre 15, 2020, 19:54:09 pm »
Frank per curiosità: hai qualche esperienza di donne polacche, o di italiani che si sono sposati polacche nel loro Paese? Pura curiosità, ormai ho tirato i remi in barca sulla questione.

Leggo solo ora la tua domanda.
No, non ho alcuna esperienza con donne polacche, né conosco italiani che si sono sposati delle polacche nel loro Paese.
Conosco di vista un uomo ultra cinquantenne che convive con una polacca 37enne, e tramite un elettricista di mia conoscenza conosco la storia di un suo zio, ormai deceduto da anni, che si era "accollato" una badante polacca più giovane di lui di almeno 20 anni, che ogni tanto lo picchiava... anche perché lui non reagiva (era pure anziano).
So anche che lo "salassò", da "brava" femmina (parassita) dell' est quale era.
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