Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 68855 volte)

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #525 il: Marzo 19, 2023, 23:45:05 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Ilya-stanco-di-guerra-223765

Citazione
Ilya, stanco di guerra

Ilya, studente all’Università federale di Kazan (Russia), dopo aver manifestato più volte contro la guerra in Ucraina per non essere di nuovo arrestato fugge e arriva in Serbia, dove ha proseguito a manifestare contro la guerra. La testimonianza, raccolta a Belgrado da Chicco Elia

Proteste a Belgrado dell'Associazione dei Russi, ucraini, bielorussi e serbi contro la guerra (O.Hoffman/Shutterstock)

17/03/2023 -  Ilya Zernov
(Originariamente pubblicato da Q Code Magazine   il 24 febbraio 2023)

Il 24 febbraio 2022 il mio compagno di stanza all’Università federale di Kazan, in Russia, dove studiavo, mi ha svegliato con le parole: “La guerra è iniziata”. Allora avevo 18 anni.

Ero sopraffatto dalle emozioni: orrore, rabbia, collera. Naturalmente ho iniziato a pensare a come affrontare la guerra e Putin. Sono corso al negozio più vicino e ho comprato carta e colori. Tornato al dormitorio studentesco, ho disegnato tre manifesti contro la guerra e li ho affissi sui balconi dell’edificio, in modo che le persone che arrivavano dalla strada potessero vederli.

Ho scritto della mia azione sui blog degli studenti, poi sono andato nel centro di Kazan, con il manifesto “No alla guerra”. Mentre me ne stavo lì a congelare per strada, il mio compagno di stanza mi ha chiamato e mi ha detto che la polizia e l’amministrazione universitaria mi avevano individuato con le loro telecamere.

È successo tutto in fretta, a quanto pare l’amministrazione non ha gradito il fatto che io abbia realizzato la mia azione contro la guerra nel dormitorio studentesco e ne abbia anche scritto. In quel momento non mi preoccupavo molto dei problemi futuri, nella consapevolezza che la guerra, molto reale, era iniziata. La sera dello stesso giorno c'è stata una manifestazione contro l’invasione dell’Ucraina. Un gran numero di poliziotti ha respinto i manifestanti. Il mio amico è stato arrestato. La manifestazione è stata spontanea, l’ho scoperta per caso, pur partecipando alla vita politica del mio paese. A causa della cattiva organizzazione, dello choc e della paura, non c’erano molti manifestanti in strada, solo poche centinaia.

Sono tornato al dormitorio a notte fonda. I miei vicini erano depressi, alcuni esprimevano apertamente il loro sostegno alla mia azione contro la guerra. Sono passati due giorni di interminabile visione di filmati di guerra. Ricordo molto vagamente di aver frequentato l’università in quei giorni, la mia testa era altrove.

Il 27 febbraio ho partecipato nuovamente ad azioni contro la guerra. In primo luogo ho partecipato a un evento in memoria di Boris Nemtsov, il politico russo dell’opposizione assassinato che aveva organizzato manifestazioni contro la guerra con l’Ucraina nel 2014. A questo evento ho deposto dei fiori presso il monumento alla repressione politica di Kazan. Sono stato fermato dalla polizia, ma dopo aver preso nota dei dati del mio passaporto, mi hanno lasciato andare.

Sono andato alla manifestazione contro la guerra. Quando sono arrivato nella piazza dove avrebbe dovuto svolgersi la manifestazione, la polizia ha fermato gli ultimi partecipanti che erano rimasti. Sono uscito con una bandiera e un cartello davanti alla folla di poliziotti. Sono stato immediatamente arrestato e portato in un furgone della polizia.

Mi sono sentito a mio agio nel furgone: c’era un’atmosfera amichevole tra i manifestanti, tutti cercavano di sostenersi a vicenda.

Siamo stati portati alla stazione di polizia. Ho aspettato nel furgone per 6 ore, finché non mi hanno portato in una cella. Mi hanno preso le impronte digitali e mi hanno fotografato a tutto tondo e di profilo: mi sono sentito come un gangster di un telefilm.

Sono stato interrogato da un poliziotto, ma non mi hanno fatto del male.

Dopo l’interrogatorio mi hanno riportato in cella, ma non mi hanno lasciato solo a lungo. Mi hanno fatto uscire dalla cella, mi hanno ammanettato e mi hanno portato in un’altra stazione di polizia in un furgone con le luci lampeggianti. Nella stazione di polizia iniziale non c’era posto per dormire.

Non c’era abbastanza spazio per tutti, così ho passato la notte nella cella per i detenuti amministrativi su una stretta panca di legno senza lenzuola. Non ho dormito molto: i poliziotti erano sempre in giro, sentivo le notizie dalla televisione.

La mattina dopo mi hanno portato in tribunale. Mi hanno ammanettato di nuovo, come gli altri detenuti. Il tribunale era pieno di gente – tutti i manifestanti sono stati processati nello stesso momento e per questo ho aspettato 8 ore per avere l’ordine del tribunale. Mi è stata inflitta una multa di 5.000 rubli e sono stato rilasciato.

Mi hanno restituito il telefono, lo zaino e i lacci delle scarpe – tolgono i lacci ai prigionieri per evitare che si impicchino.

Con i miei compagni di classe si discuteva animatamente della mia detenzione, della guerra e di Putin: sembrava che tutti mi sostenessero e fossero solidali. Nei giorni successivi ho distribuito volantini contro la guerra, invitando a manifestare contro la guerra.

Il 6 marzo, al mattino, hanno bussato alla porta della mia stanza. Un vicino ha aperto la porta. La polizia ha fatto irruzione e sono venuti a cercarmi. Hanno iniziato a insultarmi, a un certo punto mi hanno preso per i capelli e hanno minacciato di picchiarmi. Mi hanno sequestrato tutte le mie cose. Mi hanno detto di fare le valigie per andare in prigione. Quando ho provato a chiamare un’organizzazione per i diritti umani, un poliziotto mi ha strappato il telefono dalle mani e ha iniziato a guardare tra le applicazioni, le chat, i messaggi.

Mi hanno portato via il telefono, il computer portatile, le carte bancarie, i manifesti e i volantini. Mi hanno portato alla stazione di polizia e mi hanno detto di scrivere una spiegazione sui miei interventi contro la guerra. Anche alla stazione di polizia sono stato minacciato, ma in modo gentile. Mi hanno detto di non parlare contro la guerra, altrimenti sarebbero venuti dai miei genitori e mi avrebbero espulso dall’università e sarei finito in prigione. Poi mi hanno lasciato andare, naturalmente senza i miei effetti personali.

C’era ancora il rischio di essere arrestato, così ho deciso di lasciare la Russia. Sono arrivato in Serbia. Qui ho lavorato in nero in una fabbrica e come lavapiatti. Ho partecipato a riunioni e raduni contro la guerra. Ora sto cercando di ottenere un visto per la Germania, ma finora non ho avuto molto successo. Quello che so, con certezza, è che non tornerò mai in un paese che ha scelto la guerra e l’isolamento: voglio vivere, studiare, lavorare, viaggiare, farmi una famiglia. Esattamente come i miei coetanei ucraini e qui a Belgrado ne ho conosciuti molti. Non è molto, ma è quello che so.

Se parliamo di ciò che volevo veramente era vivere fino al punto in cui le guerre sarebbero diventate inaccettabili e si sarebbero annullate, vorrei vivere in una Russia pacifica e libera.

Se parliamo di desideri più concreti, voglio continuare i miei studi all’università, cosa che ora sembra molto difficile – non posso farlo in Russia. Ora sto cercando di ottenere un visto umanitario per la Germania (Visum nach 22.2 AufengenthG); è da agosto che cerco di ottenere questo visto, ma il processo sembra fermo. E non so cosa fare.

Perché la Russia cambi in meglio, prima di tutto deve cambiare il presidente. Ora, oltre al fatto che un vero criminale che ha iniziato la guerra è salito al potere, ha anche un’enorme quantità di potere nelle sue mani, decide quasi tutto – non dovrebbe essere così. Una sola persona non può decidere per tutti gli abitanti del paese come vivere. In secondo luogo, dobbiamo smettere di mentire a noi stessi e iniziare a chiamare le cose con il loro nome, dobbiamo indagare sui crimini di guerra in Ucraina e consegnare i responsabili alla giustizia, dobbiamo indagare sui numerosi crimini di abuso di potere, sull’ingiusta persecuzione dei cittadini, liberare tutti i prigionieri politici.

E naturalmente, non ci può essere alcun miglioramento in Russia senza fermare la guerra e restituire i territori dell’Ucraina.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #526 il: Marzo 19, 2023, 23:48:51 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Georgia/Georgia-non-e-una-rivoluzione-colorata-224134

Citazione
Georgia, non è una rivoluzione colorata

Tbilisi, Georgia. Durante le proteste di marzo 2023

La Georgia ha già vissuto la sua rivoluzione "colorata" e fu venti anni fa. Fu chiamata "rivoluzione delle Rose" quella che portò al potere Mikhail "Misha" Saakashvili. Un commento

17/03/2023 -  Paolo Bergamaschi
Sgombriamo il campo da equivoci: quello che sta avvenendo in Georgia in questi giorni non è la ripetizione di un altro Majdan, cioè della rivoluzione pacifica che nel novembre del 2013 ha occupato la piazza centrale della capitale ucraina.

Non può esserlo per il semplice fatto che la prima delle rivoluzioni "colorate", come vengono definite in gergo le mobilitazioni di massa che hanno portato a cambi di regime nei paesi dello spazio post-sovietico, si è verificata proprio in Georgia alla fine del 2003. Allora a cadere fu il regime di Eduard Shevardnadze, l'ultimo ministro degli Esteri dell'Unione sovietica salito ai vertici dello stato dopo la guerra civile che aveva insanguinato il paese all'indomani dall'indipendenza da Mosca.

Fu chiamata "rivoluzione delle Rose" quella che portò al potere Mikhail "Misha" Saakashvili come presidente e Zurab Zhvania come primo ministro, un caro amico prematuramente scomparso in circostanze ancora da chiarire.

Mi trovavo anch'io tra la folla che assediava il parlamento in quei giorni lungo il corso Rustaveli, l'arteria principale di Tbilisi. La gente reclamava democrazia e trasparenza ma soprattutto la fine di un regime corrotto che stava trascinando la Georgia nel baratro. Dopo settimane di manifestazioni di massa il vecchio Shevardnadze, per certi versi incolpevole e inconsapevole di quello che stava accadendo, fu detronizzato e si inaugurò una stagione di rinnovamento che guardava all'Europa per uscire dall'orbita russa.

I georgiani non hanno mai amato i russi. È il classico stato d'animo di chi vive a ridosso di un vicino ingombrante che nutre ambizioni coloniali. Davanti al parlamento di Tbilisi risalta il monumento che ricorda la strage del 9 aprile 1989 quando i manifestanti pro-indipendenza vennero attaccati dai militari sovietici. Il venti per cento del territorio georgiano è di fatto occupato dalla Russia che controlla le due provincie di Abkhazia e Ossezia meridionale.

Proprio in Ossezia si è consumata l'ultima tragedia della Georgia con la guerra che nell'agosto del 2008 ha visto l'esercito russo avanzare fino alle porte di Tbilisi per ritirarsi, poi, grazie alla mediazione europea.

La guerra di Ossezia è ancora una ferita aperta nella società georgiana, specialmente in quella parte che si riconosce nell'ex presidente Saakashvili attualmente in carcere, in gravi condizioni di salute per i ripetuti scioperi della fame, dove è accusato di abuso d'ufficio e malversazione.

La voglia di rivincita non si è mai sopita anche se al potere oggi c'è una forza politica, il Sogno Georgiano, che ha cercato di trovare un modus vivendi con la Russia pur mantenendo saldo l'orientamento occidentale del paese.

Il 3 marzo dello scorso anno la Georgia ha presentato domanda di adesione all'Ue che a giugno ha risposto garantendo una prospettiva europea subordinata al rispetto di dodici priorità che riguardano anche la giustizia e lo stato di diritto.

Il progetto di legge sugli agenti stranieri votato in prima lettura e poi rigettato dal parlamento di Tbilisi dopo le imponenti manifestazioni di piazza complica il cammino della Georgia verso l'Unione. Polonia e Repubbliche Baltiche, inoltre, lamentano un atteggiamento troppo morbido di Tbilisi verso Mosca dopo l'aggressione all'Ucraina. C'è chi si spinge fino ad auspicare l'apertura di un fronte meridionale per circondare ed indebolire l'azione russa nel Donbass.

In questi mesi di guerra quasi 60.000 russi in dissenso con il Cremlino hanno trovato rifugio in Georgia trasferendo anche le attività di impresa e i conti correnti che hanno generato un piccolo boom economico.

I paesi europei che hanno adottato le sanzioni nei confronti di Mosca accusano, dietro le quinte, la Georgia, che non l'ha fatto, di arricchirsi sulla pelle degli ucraini. C'è una pratica costante nelle giovani democrazie dove chi vince le elezioni pensa di avere il diritto di occupare in toto le istituzioni dello stato appropriandosi anche dei suoi beni. Era accaduto nel 2004 con l'ascesa al potere di Saakashvili e succede oggi con il Sogno Georgiano al governo.

Democrazia, però, non vuol dire dittatura della maggioranza. La società georgiana, sia politica che civile, è spaccata, vittima di una polarizzazione lacerante che rischia di pregiudicare il percorso verso l'Ue. C'è bisogno di una mediazione esterna che solo l'Europa può offrire. Attendiamo le prossime mosse.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #527 il: Maggio 13, 2023, 17:36:27 pm »
Dice l'italiano medio, notoriamente affetto e afflitto da esterofilia cronica:
"Certe cose succedono SOLO in Italia!"
Ah no, cazzo, siamo in Kosovo...

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-caos-politico-dopo-l-arresto-del-direttore-dell-Azienda-energetica-225026

Citazione
Kosovo, caos politico dopo l'arresto del direttore dell’Azienda energetica

L'arresto del direttore dell'Azienda energetica del Kosovo (KEK) ha scatenato uno scontro tra partiti di opposizione e di governo - mentre una centrale elettrica a carbone è rimasta fuori uso e i dipendenti della KEK aspettano aumenti salariali

12/05/2023 -  Xhorxhina Bami ,  Egzon Dahsyla
(Originariamente pubblicato da Balkan Insight   il 1 maggio 2023)

Venerdì 28 aprile i dipendenti della Azienda energetica de Kosovo (KEK) hanno protestato chiedendo un aumento del salario e dei contributi per i pasti, sostenendo che la dirigenza sta ignorando i lavoratori che rischiano la vita quasi ogni giorno per fornire elettricità in tutto il paese.

Selatin Sadiku, dell'Unione dei Sindacati Indipendenti del Kosovo, ha dichiarato che solo quest'anno sono morti 12 dipendenti della KEK. Riferendosi all'arresto del direttore della KEK Nagip Krasniqi con l'accusa di corruzione, Sadiku ha affermato ironicamente che Krasniqi è riuscito a "unire tutti i dipendenti del sindacato", aggiungendo che i dipendenti della KEK sono "non solo stati ingannati ma anche derubati".

Dopo aver affermato che KEK da sola ha un budget più alto dell'intero Kosovo, Sadiku ha definito vergognoso che "i nostri soldi rimangano nei registri di cassa mentre la dirigenza viene indagata e imprigionata".

L'arresto di Krasniqi il 19 aprile ha causato agitazione all’interno della politica del Kosovo. I partiti di opposizione lo hanno definito come la prova dell'abuso del governo nel settore dell'energia mentre i membri del governo lo hanno definito un atto di "vendetta". Krasniqi è stato arrestato con l'accusa di abuso della propria posizione e conflitto di interessi.

"Siamo qui oggi perché abbiamo richiesto un aumento salariale un anno fa", ha affermato il capo del sindacato dei lavoratori della KEK, Nexhat Llumnica, sostenendo che Krasniqi stesso nel settembre 2022 aveva promesso un aumento dei contributi per i pasti giornalieri, attualmente fissato solo a 1,75 euro.

Il 22 dicembre Krasniqi aveva affermato: "Ora non possiamo [pagare l’aumento] perché potrebbe esserci un ritardo nei salari, perciò pagheremo a gennaio". Su questo Llumnica ha dichiarato: “Ancora una volta abbiamo avuto fiducia in lui, ma non è successo nulla. I dipendenti della KEK hanno un lavoro pesante ma un pasto leggero"

Llumnica definisce l’aumento salariale “meritato” perché i lavoratori sono riusciti a produrre così tanta energia da lasciare che solo il 10% dell'elettricità del Kosovo venisse importata. "Siamo riusciti a portare la luce in Kosovo; i dipendenti hanno raggiunto questo obiettivo, ma la direzione li sta ignorando", ha aggiunto.

L'arresto del direttore, Krasniqi, ha ulteriormente compromesso la situazione attuale della KEK. Venerdì 28 aprile i manifestanti hanno urlato "Fuori i ladri!". Nel frattempo, Krasniqi, che è stato sospeso come direttore dal consiglio di amministrazione della KEK il 25 aprile, rimane in custodia.

Amici che ottengono gli appalti
Krasniqi è stato arrestato con l'accusa di abuso d'ufficio o di autorità, esercizio di influenza e conflitto di interessi, principalmente riguardante degli appalti dal valore di circa 70 milioni di euro.

Uno dei capi di imputazione è legato ai contratti per la riparazione della caldaia del blocco A5 della centrale termoelettrica a carbone Kosovo A.

Il 13 giugno 2022, KEK aveva aperto un'asta per la riparazione della turbina e della caldaia del blocco A5 per 6 milioni di euro.

Durante il programma televisivo Kallxo Pernime di BIRN Krasniqi aveva dichiarato di aver chiesto che l'intera riparazione fosse parte di un'unica asta al fine di evitare problemi; infatti nel 2021 la caldaia era stata riparata in tre mesi, ma la riparazione della turbina era stata ritardata.

"Una società ha fatto il suo lavoro, ma l'altra no", aveva affermato Krasniqi, sostenendo che prolungare i lavori di riparazione si sarebbe rivelato costoso. Tuttavia, l'asta di giugno 2022 si era conclusa con un insuccesso. È stata chiusa l'11 luglio 2022 a causa della mancanza di offerte.

Successivamente è stata aperta un'altra asta, nella quale KEK aveva invitato 19 società a presentare offerte, divisa in due parti: una per la riparazione della turbina, la seconda per la riparazione della caldaia del blocco A5.

Il 21 novembre 2022 è stata cancellata la seconda parte dell'asta. KEK ha dichiarato che la società aveva affermato di non essere in grado di eseguire il contratto entro il periodo specificato, perciò solo la prima parte - la riparazione della turbina - era stata offerta ad una società con sede in Macedonia del Nord, Monting Energetike Doo. Il contratto per 5,136 milioni di euro è stato firmato il 5 dicembre 2022.

A gennaio 2023, KEK ha aperto una terza asta, questa volta solo per la riparazione della caldaia del blocco A5, per 3,6 milioni di euro. Le procedure si sono chiuse senza la pubblicazione di un contratto. Il lavoro quindi è stato affidato al consorzio Litwin SA per 3,4 milioni di euro per la "riparazione straordinaria d’emergenza della caldaia del blocco A5". Ora quel contratto fa parte del fascicolo dell'accusa contro Krasniqi.

Parte del consorzio Litwin SA appartiene alla società kosovara Limi-Plast, di proprietà di Bujar Shala, fratello di Naser Shala, ex direttore della Kosovo Property Comparison and Verification Agency,(KPCVA) conosciuto anche come Comandante "Ftyra" .

Bujar Shala ha dichiarato a BIRN che questo era il primo tipo di contratto che la sua azienda aveva con un'istituzione pubblica, spiegando che essa era diventata parte del consorzio "per adempiere agli obblighi legali". Shala ha anche aggiunto che "non importa di chi sia fratello".

Secondo la dichiarazione dei beni di Naser Shala del 2021, egli è stato co-proprietario di Limi-Plast con suo fratello fino al 2006. Shala si è dimesso dalla direzione del KPCVA nel febbraio 2022, a causa della mancata approvazione del suo rapporto di lavoro 2022 da parte del Parlamento del Kosovo

Il Comandante "Ftyra", era ritornato alla ribalta nel 2019 quando il parlamento del Kosovo lo aveva eletto direttore del KPCVA, nonostante gli osservatori dell'ambasciata britannica avessero valutato che non fosse adatto per la posizione.

A seguito della sua nomina, BIRN aveva riportato che nel gennaio del 2022 diverse famiglie del Kosovo temevano di perdere la propria casa dopo che l'agenzia aveva inviato loro avvisi di sfratto, sostenendo che non avevano acquistato le loro proprietà dal legittimo proprietario.

Oltre all’assegnazione di un appalto a una società di proprietà del fratello di una figura influente in Kosovo, un altro appalto, per cui Krasniqi è sotto indagine, è stato assegnato alla società legale Rexhepi Zeqiri Zejna. L'avvocato Isuf Zejna, uno dei tre azionisti di questa società, è stato l'avvocato personale di Krasniqi.

Zejna ha dichiarato a BIRN di aver "accompagnato Krasniqi alla polizia in due occasioni, relative ad una sua intervista come testimone" aggiungendo che la sua compagnia ha offerto consulenza legale pro bono a Krasniqi e alla direzione della KEK per oltre un anno.

"Bisogna sottolineare che abbiamo offerto tali servizi pro bono a diverse istituzioni pubbliche, a individui e a ONG in passato" ha aggiunto Zejna.

I partiti si dividono sull’arresto del capo della KEK
Meno di una settimana dopo che il tribunale di primo grado di Pristina ha ordinato la custodia di Krasniqi per 30 giorni, il 26 aprile il parlamento ha tenuto una sessione straordinaria.

Il deputato e presidente del partito di opposizione Partito Democratico del Kosovo,(PDK) Memli Krasniqi, ha accusato il primo ministro Albin Kurti e il partito Vetëvendosje al potere di proteggere "il suo [di Kurti] amico e compagno di partito, l’ora famoso Nagip Krasniqi, il quale di conseguenza sta iniziando ad attaccare e ricattare l'intero sistema di giustizia".

Il deputato Krasniqi si riferiva al fatto che Nagip Krasniqi era il precedente capo del Comitato per l'Energia nel Movimento Vetëvendosje.

In più Nagip Krasniqi era stato eletto direttore della KEK nell'ottobre 2021 da un consiglio temporaneo, nominato dal governo guidato da Kurti all'epoca, senza una gara pubblica. Nonostante avesse ricevuto il punteggio più alto dagli osservatori dell’ambasciata britannica. 

Kurti non ha partecipato alla sessione parlamentare, ma ha mostrato il suo sostegno a Krasniqi, il 20 aprile, un giorno dopo il suo arresto.

"Ci sono stati molti capi nella KEK in passato, ci sono state abusi sconcertanti, ma non sono mai stati affrontati dal sistema di giustizia, ovvero dall'Ufficio del Procuratore", ha dichiarato a riguardo Kurti.

Ha aggiunto che "la nuova dirigenza della KEK ha depositato decine di fatti e prove materiali per gli abusi che ha trovato lì, ma la volontà della procura di occuparsi del deposito di fatti e prove per gli abusi precedenti è stata zero". In più Kurti ha affermato che Krasniqi e la KEK hanno fatto entrare 107 milioni di euro in più.

Nel frattempo il 20 aprile il Consiglio Procedurale del Kosovo ha accusato "alcuni alti funzionari dello Stato" di "tentare di influenzare sistematicamente gli affari del sistema procedurale e di trasmettere messaggi politici tendenziosi, utilizzando un linguaggio denigratorio contro il candidato per il Procuratore Capo dello Stato, Blerim Isufaj, contrariamente a tutte le norme etiche, legali e costituzionali".

Kurti e i deputati del partito al potere Vetevendosje sostengono che l'arresto del capo della KEK sia stata una vendetta dell'attuale Procuratore Capo dello Stato Blerim Isufaj, che non ha il sostegno di Kurti e dei suoi alleati politici, la Presidente Vjosa Osmani e il Presidente del Parlamento Glauk Konjufca, per diventare Procuratore Capo dello Stato. Isufaj è stato votato come Procuratore Capo nell'aprile 2022, ma il suo fascicolo è ancora in attesa del decreto del Presidente.

Il capo del gruppo parlamentare di Vetëvendosje, Mimoza Kusari-Lila, ha detto alla sessione parlamentare del 26 aprile che "l'opposizione sta cercando di utilizzare un meccanismo in cui ha ancora influenza, quello della procura, per trasformare l'aula dell'Assemblea in un tribunale".

Il PDK ha detto che invierà 30 contratti della KEK all'Ufficio del Procuratore per l'indagine, sostenendo che sono stati usati in modo illegittimo più di 70 milioni di euro .

Un deputato e presidente di un altro partito di opposizione, l'Alleanza per il Futuro del Kosovo, AAK, Ramush Haradinaj, ha accusato il partito al potere Vetevendosje e il suo leader, Kurti, di corruzione.

"Kurti è il capo dei corrotti, il creatore del ‘modello amico'. Crede che solo i suoi amici siano incorruttibili, e se il procuratore non è un amico, è corrotto", ha detto al parlamento.

Al centro dei tumulti, il blocco A5 della centrale a carbone di Kosovo A  rimane ancora non funzionante.

Nel frattempo, è stata avviata una procedura di controllo nel sistema giudiziario da parte del governo. Nonostante all’inizio di marzo 2023, questa sia stata inviata alla Corte Costituzionale per commenti dal Presidente del Parlamento Konjufca.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #528 il: Maggio 13, 2023, 22:37:39 pm »
Penso che nessuno vorrebbe vivere in Kosovo. Il paragone è sempre con paesi avanzati, di cui l'Italia dovrebbe fare in qualche modo parte
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #529 il: Maggio 14, 2023, 01:09:11 am »
Affermare che "certe cose succedono SOLO in Italia", come è solito fare l'italiano medio, specie se di sesso maschile, significa includere implicitamente anche paesi come il Kosovo.
Voglio dire: "solo" ha un significato ben preciso, che non può essere oggetto di fraintendimenti.
Per esempio: in vita mia ho conosciuto una caterva di albanesi e rumeni, cioè uomini e donne provenienti da paesi che in un recente passato, quando l'Italia era la quinta potenza economica del pianeta (per un breve periodo fu anche la quarta potenza), erano nella merda più totale, ma ne ricordassi uno che abbia mai detto "certe cose succedono SOLO in Romania", oppure "certe cose succedono SOLO in Albania".
Niente di niente.
Darsi le martellate sui genitali è una specialità tipica di tantissimi italiani, convinti che al di fuori dei confini nazionali sia tutta una meraviglia e che anche luoghi di M. come il Burkina Faso o la Somalia siano migliori dell'Italia.
Non per niente li invito sempre a fare le valigie e a trasferirsi altrove, visto e considerato che nessuno obbliga nessuno a vivere nel bel paese.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #530 il: Maggio 21, 2023, 10:14:15 am »
Darsi le martellate sui genitali è una specialità tipica di tantissimi italiani, convinti che al di fuori dei confini nazionali sia tutta una meraviglia e che anche luoghi di M. come il Burkina Faso o la Somalia siano migliori dell'Italia.ì
Questo è un dato di fatto.
Secondo me la causa è soprattutto da addebitarsi alla marcata propaganda antinazionale sui media di regime.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #531 il: Maggio 21, 2023, 14:21:47 pm »
Inculcare l'odio di sé è cruciale per far implodere una nazione
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #532 il: Maggio 22, 2023, 01:37:20 am »
Questo è un dato di fatto.
Secondo me la causa è soprattutto da addebitarsi alla marcata propaganda antinazionale sui media di regime.


A mio parere c'è più di un motivo per cui accade questo.
Le origini sono da ricercare nel passato, ma non c'è dubbio che i media c'entrino molto.
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« Risposta #533 il: Maggio 28, 2023, 15:34:00 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Le-proteste-di-Belgrado-e-la-violenza-nei-reality-show-225382

Citazione
Le proteste di Belgrado e la violenza nei reality show

Dopo le stragi che hanno segnato la Serbia nelle settimane scorse, manifestazioni di piazza contestano il governo, puntando il dito soprattutto sulla situazione dei media nel paese, che secondo i critici hanno creato e fomentato negli anni un clima di intolleranza e di violenza

26/05/2023 -  Massimo Moratti Belgrado
Continuano le proteste a Belgrado. Dopo le manifestazioni del 8, 12 e 19 maggio, ci si prepara per un fine settimana ad alta tensione con la manifestazione del governo organizzata per il 26 maggio e un’altra manifestazione organizzata dall’opposizione per il giorno successivo.

Le manifestazioni sono riuscite a portare in piazza decine di migliaia di persone e bloccare le arterie principali della capitale serba. Se inizialmente prevaleva la compostezza e il dolore per le vittime delle stragi che hanno segnato il paese nelle ultime settimane, le proteste hanno pian piano articolato delle richieste precise al governo, sulle quali l'esecutivo fino ad ora si è però rifiutato di pronunciarsi.

Alcune riguardano la situazione dei media in Serbia e la passività delle istituzioni nel contrastare la violenza presente sullo spazio mediatico. Le richieste rivolte al governo chiedono la messa al bando di media e tabloid che promuovono violenza ed odio, e di porre termine ai programmi - come alcuni reality show - che promuovono comportamenti aggressivi, violenti ed immorali e infine si chiedono le dimissioni dell’intero Ente regolatore dei media (REM).

Il nesso tra le stragi e le richieste delle proteste a Belgrado
Mentre al momento appare difficile trovare un nesso causale diretto tra le stragi di massa e le richieste delle persone che protestano, le accuse rivolte al governo sono quelle di aver creato un sistema mediatico che non solo tollera, ma addirittura promuove la violenza.

Questo nesso emerge chiaramente nel caso della seconda strage. L’autore della strage di Mladenovac aveva come proprio idolo un certo Aleksandar “Kristijan” Golubović, noto protagonista di alcuni reality show, tra i quali “Zadruga”, trasmesso dalla televisione Pink.

Il “curriculum” di Golubović la dice lunga: pluripregiudicato per droga e rapine a mano armata, lottatore di MMA, si vantava, a torto o ragione, di amicizie con personaggi come Arkan, famigerato leader paramilitare durante i conflitti degli anni '90 e Ulemek “Legija”, il responsabile dell’uccisione del premier Zoran Đinđić.

Negli ultimi anni Golubović, è diventato una star dei reality show che facevano a gara per contenderselo. Nel corso delle sue partecipazioni ai reality, Golubović si è reso protagonista di numerosi episodi di violenza  , insulti, risse. In uno di questi episodi Golubović strangola la sua partner, fino a farle perdere i sensi. Quello di Golubović non è un caso isolato, episodi analoghi   sono presenti in abbondanza nei reality e sulla televisione serba. Non solo i delinquenti comuni sono ospiti dei reality tv, anche criminali di guerra vengono regolarmente ospitati in talk shows  come esperti di geopolitica o questioni militari in quella che è una vera e propria glorificazione della violenza.

Il ruolo delle TV private
Le televisioni private RTV Pink e Happy TV sono quelle maggiormente indiziate per la trasmissione dei reality show e per la programmazione violenta. Ciò nonostante, queste due televisioni, lo scorso luglio si sono viste assegnare per la seconda volta consecutiva una frequenza nazionale che consente loro di trasmettere sull’intero territorio della Serbia.

L’assegnazione di tali frequenze è stata criticata dalla società civile e dalle associazioni di categoria: il fatto che a suo tempo vi fossero state numerose denunce per incitamento all’odio e alla violenza  di alcune trasmissioni non era stato tenuto in conto dal REM che aveva per l’appunto assegnato di nuovo le frequenze a RTV Pink, a Happy TV oltre che a B92 e Prva TV, due altre TV private, sempre vicine al governo ma i cui contenuti non hanno attirato le stesse critiche di RTV Happy e Pink.

Tale decisione è stata criticata anche nel progress report  sull’adesione della Serbia all'UE e dal rapporto ODIHR sulle elezioni del 2022, che avevano sottolineato come il REM avesse tollerato le violazioni delle regole sulla campagna elettorale da parte delle quattro televisioni a frequenza nazionale.

In questi anni, le televisioni Happy e Pink sono state spesso al centro di polemiche e scandali ma non sono mai state soggette a sanzioni significative. La ragione per questo, molto probabilmente, è che queste emittenti hanno un legame molto stretto con la politica e sono considerate sostanzialmente degli strumenti personali  del potere politico in Serbia ed in particolare del presidente Vučić che è un ospite regolare di tali trasmissioni: una delle prime apparizioni  in TV di Vučić dopo le stragi è stata proprio sugli schermi di Happy TV.

In quest’ottica, come sottolineato dai docenti della Facoltà di Scienze politiche Jelena Đorđević e Rade Veljanovski in un’intervista per Radio Slobodna Evropa  , la violenza nei toni e contenuti delle televisioni non è nient’altro che il riflesso del discorso della politica e allo stesso tempo, queste televisioni sono i pilastri su cui si appoggia il regime di Vučić, in un modo analogo a quanto accadeva negli anni '90 con la televisione di stato.

I commenti del REM e delle televisioni in questione
Viste le richieste delle proteste, il REM si è arroccato su posizioni difensive. In una dichiarazione rilasciata l’11 maggio, la presidente Olivera Zekić ha detto  che mentre si dovrebbe discutere delle loro dimissioni in Parlamento, bisognerebbe anche discutere di come una parte della società e dei media vogliano presentare il REM come il colpevole di queste terribili tragedie in Serbia.

Zekić  ha poi ribadito che gli attacchi ripetuti contro il REM non solo sono vergognosi, ma addirittura potrebbero produrre ulteriore violenza. Alle dichiarazioni della presidente hanno fatto seguito dichiarazioni simili da parte del vicepresidente del REM, Milorad Vukašinović  alcuni giorni dopo: “Temo che gli ispiratori degli attacchi contro l’integrità del REM […] si trovino nei quartieri generali di qualche media”. Incalzato in seguito sul ruolo di Kristijan Golubović in televisione, la risposta di Vukašinović  è stata che gli enti regolatori dei media non possono limitare i diritti dei cittadini che hanno già scontato delle condanne, a meno che ciò non sia previsto da tali condanne.

Più critica è stata però un’altra componente del REM, Judita Popović, che ha ammesso che da anni i media hanno favorito incitamento all’odio, violenza e discriminazioni e che nessuno ha reagito, ma che anzi certi media sono stati premiati dall’assegnazione di frequenze nazionali. Le dimissioni non sono sufficienti  ha detto la Popović, i membri del REM dovrebbero esser responsabili per certe situazioni.

Alle parole dei componenti del REM ha fatto eco anche il ministro dell'Informazione, Mihailo Jovanović  che ha respinto come inaccettabili le richieste della piazza di chiudere sia RTV Pink che Happy TV, dato che tali richieste sarebbero contrarie alla libertà di espressione, pilastro fondamentale di ogni società democratica.

Un accenno di autocritica arriva da Željko Mitrović il proprietario di Pink che è entrato nella casa in cui si tiene il reality “Zadruga” e ha annunciato  che questa è l’ultima stagione del reality show, che dal prossimo anno si cambierà. Successivamente lo stesso Mitrović ha annunciato  che “Zadruga” cesserà di essere trasmessa entro dieci giorni al massimo e che questa è stata una richiesta fatta dallo stesso Vučić. Si vedrà se alle parole faranno seguito i fatti.

Conclusioni
Le proteste stanno creando parecchio nervosismo in seno al governo serbo e sembrano aver puntato l’indice contro la passività del REM e dell’approccio sensazionalistico delle televisioni private a frequenza nazionale, che sono spesso e volentieri il palcoscenico preferito dello SNS, il partito del presidente Vučić.

Il REM e il ministro dell’Informazione si sono trincerati dietro un approccio formale di difesa delle istituzioni e di libertà del diritto d’espressione, senza però sottolineare come lo stesso diritto d’espressione debba essere regolamentato all’interno della società serba. In questo senso è illuminante un articolo  del Centro per il giornalismo investigativo in Serbia (CINS) che spiega che i problemi non sorgono dal fatto che le normative non siano adeguate ma dal fatto che non vengano applicate.

Per fare un esempio, solo a gennaio di quest’anno, all’interno del famoso reality “Zadruga”, vi sono stati più di dieci episodi controversi come documentato in una denuncia presentata dall'Istituto per i media e la diversità (MDI). A tale denuncia non è stato dato seguito: negli ultimi 5 anni il REM non ha disposto alcuna misura contro RTV Pink per i suoi contenuti problematici e ciò succede perché la legge non viene applicata adeguatamente e le trasmissioni con alti indici d’ascolto come i reality sono considerate intoccabili. Come dimostrato dal CINS, il REM ha mantenuto il silenzio in questi casi. Ed è proprio contro tale silenzio che i cittadini ora protestano.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #534 il: Maggio 28, 2023, 15:45:00 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/La-lenta-scomparsa-della-Bosnia-Erzegovina-225201

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La lenta scomparsa della Bosnia Erzegovina

La Bosnia Erzegovina potrebbe perdere la metà dei propri abitanti entro i prossimi 50 anni. È ciò che emerge dai report statistici. Uno Stato che si svuota lentamente, soprattutto dei giovani, fino a rischiare di diventare un agglomerato di città fantasma

25/05/2023 -  Sara Varcounig Balbi
Il  “World Population Prospect” stilato dalle Nazioni Unite nel 2022 parla chiaro. Nonostante si assista ad un calo demografico all’interno di tutta l’area balcanica, in Bosnia Erzegovina la situazione è fra le più allarmanti. Secondo i dati  diffusi dal rapporto ONU, ogni anno lo stato perde circa l’1,5% dei propri abitanti. Osservando solo i dati relativi all’emigrazione, si profila una vera emergenza demografica. Negli ultimi 10 anni infatti si è assistito ad un forte incremento di coloro che lasciano la BIH: solo dal 2013 sono partite quasi mezzo milione di persone. Per fare un confronto, questa cifra equivale a più di tutta la popolazione del cantone di Sarajevo (413.593 abitanti secondo il censimento 2013  ).

Oltre ad una forte emigrazione, il paese ha anche uno dei tassi di natalità più bassi al mondo, rendendo difficile il rinnovamento naturale della popolazione. Difatti, il report segnala il progressivo invecchiamento della società. Osservando il grafico che pone a confronto lo sviluppo demografico delle diverse fasce d’età della popolazione, si può notare un netto incremento della curva dei cittadini di età superiore ai 65 anni e un forte calo di quelle riguardanti le fasce 0-15 e 15-24. Dati confermati anche dall’Agenzia di statistica della Bosnia Erzegovina (BHAS), che prevede  nel 2070 una maggioranza relativa nella popolazione da parte dei cittadini più anziani (circa il 40% degli abitanti).

Si prospetta quindi un quadro tetro: da una parte una popolazione sempre più anziana, dall’altra una società gravata da un esodo di massa.

La fuga dei giovani
Kerim è uno studente di Sarajevo di 23 anni ed è un attivista per i diritti umani. Ha deciso di andare a studiare a Berlino perché il sistema educativo bosniaco non gli offre gli strumenti necessari per ciò che vorrebbe fare, come riporta ISPI: “La più grande ragione per cui me ne vado è acquisire le conoscenze e le capacità per imparare a lottare per i diritti della nostra gente qui”. Kerim è tra coloro che sono costretti ad andarsene, ma vorrebbero invece poter restare.

Secondo l’Istituto per lo sviluppo giovanile  (KULT) di Sarajevo, la condizione di Kerim è condivisa da molti giovani. Dal rapporto del 2021 emerge che circa il 50% dei giovani bosniaci ha intenzione di andarsene in maniera temporanea o permanente. Dato condiviso anche dall’Agenzia dell’Onu per la salute sessuale e riproduttiva (UNFPA) che nel 2021 riporta  come ogni anno siano circa 23 mila i giovani tra i 18-29 anni che migrano dalla Bosnia Erzegovina, per lo più studenti universitari o lavoratori altamente qualificati.

La causa è legata alla mancanza di prospettive future nel paese. In entrambi i report emerge che i giovani lamentano la situazione interna, caratterizzata da un alto livello di corruzione e criminalità endemica, e da una situazione economica precaria. Gli intervistati hanno dichiarato che la BIH non è un ambiente adatto per costruire una famiglia o crescere professionalmente. Lasciare il proprio paese non è facile, ma diventa necessario quando non si vedono speranze per il proprio futuro.

Le conseguenze di questa “fuga di cervelli” potrebbero ripercuotersi negativamente sulla società per anni. Da una parte viene perso l’investimento delle risorse impiegate nell’istruzione di coloro che poi decidono di emigrare e che sfruttano altrove le conoscenze acquisite. Dall’altra, il paese viene abbandonato per lo più da giovani laureati e/o professionalmente qualificati, perdendo così la parte della popolazione che stimola la crescita e l’imprenditorialità necessarie per lo sviluppo socio-economico.

Future città fantasma
Gli effetti più gravi si rilevano nei comuni dell'entroterra bosniaco, dove il calo di popolazione è più incisivo e mette a rischio la sopravvivenza delle città stesse. Ad esempio il caso di Glamoč  , comune situato nella parte più occidentale della Federazione BiH. Ex centro turistico e regione industriale jugoslava, negli ultimi anni la cittadina ha perso il 75% degli abitanti e i locali temono che in futuro si svuoterà completamente.

Glamoč è già oggi una città vuota, con edifici abbandonati, serrande chiuse e attività che continuano a chiudere i battenti. L’età media dei residenti è di 60 anni e i pochi giovani rimasti scappano verso le città più grandi dopo aver finito le scuole. Blagoja Soldat, a capo di “Pučka kuhinja” (Mensa dei poveri), definisce la città come un “microcosmo di tutti i problemi che attanagliano la BIH”: mancanza di opportunità di lavoro, inquinamento, servizi pubblici carenti. Spera che i suoi figli una volta cresciuti se ne vadano altrove, ha raccontato  a Balkan Insight.

Le cause di questo svuotamento progressivo sono multifattoriali, tra le quali una chiara responsabilità politica. Secondo Draško Marinković, professore di demografia presso l’Università di Banja Luka, un elemento del crollo demografico potrebbe essere legato all’impotenza politica creatasi con gli Accordi di Dayton del 1995. I principi di decentralizzazione e di bilanciamento tra i tre popoli costituenti avrebbero creato un sistema congelato, in cui risulta difficile creare una strategia comune e condivisa su questioni riguardanti lo sviluppo demografico.

Rispetto alle responsabilità politiche Željko Trkanjec, corrispondente di Euractiv per la Bosnia Erzegovina e la Croazia, è ancora più critico. Secondo Trkanjec  i diversi governi non hanno mai spinto per il cambiamento, perché il loro interesse principale è restare ancorati al potere: “Le persone istruite se ne vanno e diventa quindi più facile per loro governare. E nei cittadini con livelli inferiori di istruzione, riescono a mantenere vive le retoriche nazionaliste”.

Per ora la situazione resta drammatica e l’instabilità politica bosniaca non sembra far sperare in una risoluzione nel breve periodo.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #535 il: Maggio 28, 2023, 17:35:52 pm »
E' lo specchio dell'Italia
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #536 il: Giugno 24, 2023, 12:30:12 pm »
E' lo specchio dell'Italia

Peggio dell'Italia.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #537 il: Giugno 24, 2023, 12:32:17 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Inguscezia/La-fuga-delle-ragazze-del-Caucaso-del-Nord

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La fuga delle ragazze del Caucaso del Nord
23 giugno 2023

La BBC, nel suo canale Youtube russo, ha recentemente pubblicato un documentario dal titolo "Когда я сбежала" (Quando sono fuggita)" che racconta le storie di ragazze provenienti dalla Cecenia, dall'Inguscezia e dal Daghestan fuggite dalle proprie famiglie a causa di violenza domestica, matrimoni forzati e minacce di morte.

Queste giovani donne non solo si allontanano definitivamente dalle loro famiglie, ma vivono costantemente nell'angoscia per la propria sicurezza. Molte famiglie sono disposte a fare qualsiasi cosa pur di rintracciare e ricondurre con la forza le fuggitive a casa, mettendo così le ragazze a rischio di subire un "delitto d'onore". Nel documentario viene narrata anche la storia di Marem Alieva, una giovane madre inguscia che è fuggita a Mosca con i suoi bambini grazie all'aiuto di un'organizzazione umanitaria. Successivamente, si è trasferita a Minsk, ma è stata raggiunta dal marito e riportata in Inguscezia. Poco tempo dopo il suo ritorno in patria, si sono perse le tracce di Marem ed è stata aperta un'indagine sul suo presunto omicidio.

Aminat Gazimagomedova che con le sue sorelle è fuggita dall’Ossezia del Nord verso la Georgia, ha dichiarato: "Non sarai mai abbastanza per loro, perché non esistono regole uniformi, e se sei una ragazza, sei sempre sbagliata. Devi adattarti completamente e, se ti distingui in qualche modo o hai una tua opinione, scoppierà un conflitto e ti impediranno di parlare e ti costringeranno a essere ciò che vogliono".

Secondo le associazioni di difensori dei diritti umani, per le vittime di violenza domestica, la fuga rappresenta spesso l'unico modo per salvare la propria vita.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #538 il: Giugno 24, 2023, 12:34:53 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Italia/Il-tram-14-e-le-lingue-monche-225202

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Un racconto sull’impatto che la migrazione ha sulla lingua e le lingue parlate, maturato durante una corsa su un tram romano

23/06/2023 -  Sielke Kelner
Un paio di anni fa ho letto Tongue Stuck  , un bellissimo racconto autobiografico di Irina Dumitrescu sulla sua difficoltà, lei figlia della diaspora romena in Canada, di esprimersi nella sua lingua madre.

Come Irina, e come tanti altri figli di immigrati, sono nata in un paese, e cresciuta altrove, condizione che pose ai miei genitori il dilemma della scelta del proprio lessico familiare. Optarono per l’italiano come lingua della quotidianità. Giunti in Italia nei primi anni Novanta, mia madre e mio padre subirono l’illusione della superiorità culturale, e quindi linguistica del paese ospitante. Nell’autunno del 1991, lasciammo una Romania che si era appena affacciata alla transizione democratica, impegnata a contrastare tensioni interetniche e gli strascichi della miseria che ci aveva imposto Nicolae Ceaușescu nel corso del decennio precedente. Eravamo andati via da Stoina, un minuscolo comune semi-industrializzato del sud della Romania, il cui paesaggio alternava ad un piccolo conglomerato di blocuri, celebre architettura abitativa comunista fatta di parallelepipedi di cemento, una pianura coltivata a girasoli, casupole ed una distesa di sonde petrolifere. Parte del distretto di Gorj, Stoina faceva parte di un’ampia area ricca di giacimenti petroliferi, sottoposti ad un'intensa attività di estrazione a partire dal secondo dopoguerra. Del resto, l’industria petrolchimica romena era stata uno dei vanti di Ceaușescu.

Le colline dell’Italia centrale che alternavano ordinati campi coltivati, ad uliveti e a benestanti cittadine umbre, non potevano che essere espressione manifesta del primato di questa cultura su quella del luogo da cui eravamo espatriati. Eppure, il mio primo ricordo dell’Italia non è legato alla grazia tardo medievale di Orvieto, ma ad un autogrill sull’Autostrada del Sole, ai miei occhi dimostrazione dell’opulenza occidentale: Tobleroni, confezioni colorate di dolci a me sconosciuti, refrigeratori colmi di salami, e videocassette delle Tartarughe Ninja. Difficile non lasciarsi convincere da tanta abbondanza.

Mi dicono sia stato per permettere a mia madre di imparare la lingua che abbiamo abbandonato l’uso del romeno e dell’ungherese in casa. Fino a quel momento, entrambi i miei genitori si erano rivolti a me nella rispettiva madrelingua. Oggi con più coscienza temo sia stata una resa ad un’assimilazione linguistica cui felicemente si sono abbandonati misto ad un desiderio di voler recidere i ponti con la propria vita precedente. E poi, come dar loro torto, in quegli anni nessun altro intorno a noi parlava le nostre lingue. L’abbandono della propria lingua è una dinamica talmente comune  tra le comunità migranti che gli è stata attribuita una definizione linguistica: bilinguismo sottrattivo. Una perdita che Graziella Favaro, pedagogista, definisce  come “generata anche da un vissuto di vergogna nei confronti del proprio idioma considerato non prestigioso, un tratto della propria storia da rimuovere”.

Che poi, che cos’è la lingua madre?

La lingua dei propri avi? La lingua della propria infanzia? La lingua che meglio si padroneggia?

Per ogni lingua che parliamo esprimiamo un bagaglio culturale interamente differente, con le proprie ironie, i propri sottintesi; per ogni lingua che padroneggiamo siamo uno, due, tre persone diverse, mi spiegò una volta intuitivamente Sándor, un prozio perfettamente bilingue, senza sapere di essere affatto pirandelliano.

Alla mia nascita, sono stata circondata da affetti che si rivolgevano a me in ungherese, nella sua articolazione seclera. Nessun suono m’è più dolce dell’idioma ungherese parlato dai secleri. È la lingua di mia mamma, mia zia e mia nonna, di tutte le donne e gli uomini che mi circondavano di attenzioni. Per i miei primi sei anni di vita, è stata la lingua di fiabe, filastrocche, e preghiere insegnatemi dalla mia mama, la nonna. Góg és Magóg fia vagyok én  . Sono il figlio di Gog e Magog, leggeva mia madre recitando uno dei suoi poeti preferiti, Ady Endre, ungherese di Transilvania, il quale intesseva versi che raccontavano di personaggi biblici che diventavano miti ungheresi. L’ungherese è l’idioma delle emozioni forti che, per mancanza di vocaboli, non posso esprimere; ma anche la lingua del conforto e delle cose semplici.

Quando intendo l’ungherese seclero, mi par di regredire ad uno stato infantile. Ne riconosco la cadenza tonda e dolce, mi cullano quelle parole che facevano inorridire la mia insegnante dell’accademia di Ungheria a Roma, la quale giudicava lemmi dialettali come csupor, tazza, o pityókák, patate, troppo grossolani per l’orecchio di una cittadina di Budapest. Vocaboli quali tazza e patate esprimono perfettamente la mia età linguistica in ungherese, ferma all’espressione dei miei bisogni primari, e corrispondente ai miei sei anni, età in cui ho smesso di praticarlo nella mia quotidianità.

Molto meglio il livello dell’altra mia madrelingua, il romeno, che ho potuto tenere in esercizio grazie alla presenza della grande diaspora romena che ha trovato casa in Italia a partire dagli anni 2000. Il mio romeno è una contaminazione di dialetti combinato ad un’inflessione che quando torno in Romania nessuno riesce ad attribuire, eppure etichettato come senz’altro straniero.

Non posso che amare la cadenza del romeno di Transilvania, inflessione che mi fa sentire sempre a casa. Servus, saluto transilvano di derivazione latina e tutti quegli intercalari, jaj, presi in prestito dall’ungherese, e che assumono di volta in volta un significato differente. Ho un debole per le declinazioni ed il dialetto dell’Oltenia, regione storica del sud della Romania, terra di mio padre. È lì che resiste l’uso del passato remoto nella lingua parlata (perfectul simplu), caduto in disuso nel resto del paese. Si dice infatti fusei, văzui, făcui, per indicare fui, vidi, feci. Mi piace molto il suono di lemmi quali platajele, pomodori, che in romeno standard hanno l’evocativo nome di roșii; e lubeniță, il cocomero, in altre regioni noto piuttosto come pepene verde. Del romeno standard, amo quella che a tratti può sembrare una formalità cerimoniosa, che impone ci si rivolga a chiunque non si conosca con il Dumneavoastră, voi.

Del romeno mi piace l’unicità di una lingua latina liberatasi dai vincoli romantici della cadenza poetica, tipica delle altre lingue romanze, per adottare, come si conviene a popoli dalle storie travagliate, una certa durezza del suono, raffigurata dalla voce roca, intonata e forte di Maria Tănase, che negli anni Quaranta cantava i versi di una ballata tradizionale di Romania  che la sua voce ha reso iconica. Lume, Lume, mondo, ma anche gente.

L’italiano è una lingua acquisita, eppure m’è materno. In italiano ho preso coscienza di me. A Dorotea, la mia insegnante di letteratura italiana del liceo, devo il lessico dell’adulta che sono e la comprensione del mondo attraverso il prisma della nostra letteratura. È Dorotea che mi ha fatto scoprire una lingua che varca i confini del quotidiano, immaginifica, arcaica, aulica, per fare il giro e tornare di nuovo quotidiana.

Tutte le mie lingue, più o meno materne, sono monche, recise. Mutilazioni dettate da interruzioni, spostamenti tra spazi geografici e linguistici. Eppure, ciò che manca ad una, lo ritrovo in un’altra, imperfezioni che si completano reciprocamente. Rosa Piro, linguista, afferma che dalla consapevolezza dei limiti della traduzione di concetti culturospecifici, e dalla contaminazione delle diverse realtà linguistiche, scaturiscono “feste delle lingue  ” che contraddistinguono le scritture migranti. Un pastiche di idiomi ed immaginazioni che ritroviamo nella letteratura di scrittrici come Elvira Mujčić  ed Igiaba Scego  . Che la loro scrittura rappresenti le sfumature di una lingua arricchita che è l’italiano del presente e del futuro, ed il superamento del monolitismo linguistico, lo dimostra l’umanità linguistica della linea di trasporto pubblico romano 14. È sufficiente un tour su questo popoloso tram il cui percorso parte da Viale Palmiro Togliatti ed arriva alla stazione Termini per intendere mille e più voci che parlano un italiano vivo, espressione delle numerose diaspore residenti nella capitale e dei tanti giovani italiani che in una stessa conversazione attraversano liberamente confini linguistici e culturali passando dal cinese, o dall’urdu, o dal romeno, all’italiano, con intromissioni necessarie del romanesco. Sul 14, in questo plurilinguismo fatto di tante madrilingue, mi sento a casa.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #539 il: Giugno 24, 2023, 12:36:37 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Armenia-una-storia-di-gestazione-per-altri-225887

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Ogni anno in Armenia nascono dozzine di bambini con l'aiuto di una madre surrogata. Sebbene non esistano statistiche chiare, gli esperti affermano che la cifra aumenta di anno in anno. Abbiamo raccolto la storia di Lilit, trentenne armena che ha aiutato una coppia a diventare genitori

22/06/2023 -  Armine Avetisyan Yerevan
Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, oltre il 16% delle coppie in Armenia è sterile. Le tecnologie di riproduzione assistita, compresa la gestazione per altri, aiutano queste famiglie ad avere un figlio. Ogni anno in Armenia nascono dozzine di bambini con l'aiuto di una madre surrogata. Sebbene non esistano statistiche chiare, gli esperti affermano che la cifra aumenta di anno in anno.

Lilit (il nome è stato cambiato), 33 anni, ha aiutato una coppia di sconosciuti a diventare genitori un anno fa. Dice che ci ha pensato per molto tempo.

“Tre anni fa stavo bevendo un caffè con la mia vicina, e le ho confidato che avevamo problemi economici in famiglia. Le ho detto che stavo cercando un lavoro per poter aiutare mio marito, avevamo dei debiti”, racconta la donna, aggiungendo che in quel momento ne aveva parlato solo perché era turbata e voleva alleviare le preoccupazioni parlandone, senza nemmeno immaginare che la vicina avrebbe provato a trovarle un lavoro.

“Nemmeno una settimana e la mia vicina ha chiamato e ha detto che aveva un'offerta vantaggiosa. Ci siamo incontrate, mi ha proposto di diventare madre surrogata. All'inizio non capivo cosa fosse, poi mi ha spiegato tutto”, ricorda.

La gestazione per altri è una tecnologia di riproduzione assistita che coinvolge tre persone: i genitori biologici e la donna che porta avanti la gravidanza. In Armenia, le madri surrogate devono sottoporsi ad un esame medico-genetico per escludere controindicazioni.

La madre surrogata non può essere contemporaneamente donatrice, quindi non ha il diritto di non consegnare il bambino ai genitori biologici.

Qualsiasi informazione relativa all'uso delle tecnologie di riproduzione assistita è riservata e può essere fornita solo su richiesta del tribunale, dell'ufficio del Pubblico ministero o di altri organi competenti, in conformità con la procedura stabilita dalla legge.

Una madre surrogata può essere una donna di età compresa tra 20 e 35 anni che ha almeno un figlio proprio. Se la donna è sposata, è necessario anche il consenso scritto del marito.

“Mi è stato offerto un compenso piuttosto alto, circa 30.000 dollari. Avrebbe coperto interamente i nostri debiti e sarebbero rimasti ancora molti soldi per dopo”, dice Lilit, aggiungendo che, oltre ai soldi, era interessata anche all'idea di aiutare una famiglia senza figli.

"Ho un bambino. Conosco benissimo la gioia di essere genitore. La famiglia che avrei dovuto aiutare non riusciva ad avere un figlio da circa 20 anni. Avevano provato molti trattamenti, i farmaci avevano quasi distrutto la loro salute senza risultato. A dire il vero, all'inizio li ho conosciuti di nascosto da mio marito, erano una coppia molto gentile, ho capito a prima vista che volevo aiutarli. Con mio marito è stato difficile, all'inizio non voleva, ma poi abbiamo trovato un accordo”.

Quando Lilit ha ricevuto il consenso del marito, la famiglia ha seguito tutti i passaggi legali e medici. Quando la gravidanza è stata registrata, si è trasferita in una casa separata.

“Io vivo in una regione, la famiglia invece è a Yerevan. Dovevamo essere sempre in contatto. Mio figlio è piccolo, gli abbiamo detto che sarei andata a lavorare all'estero e sarei tornata presto con dei regali. I mesi sono passati molto facilmente. Hanno avuto un bambino sano. Sono felice di averli aiutati. Quando ho visto la loro felicità, mi sono sentita la persona più felice del mondo”, racconta Lilit, aggiungendo di non aver avuto problemi psicologici.

“Ho fatto quel passo consapevolmente, capivo benissimo che non era mio figlio e stavo solo aiutando”.

Secondo la normativa vigente, la madre surrogata non deve assentarsi dal luogo di residenza noto alla coppia, e in generale dal territorio dell'Armenia, durante l'intero periodo della gravidanza. Questo può avvenire solo in caso di accordo con la coppia.

Secondo lo psicologo Martin Vardanyan, l'istituzione della maternità surrogata è un processo molto delicato, al quale la società armena ha appena iniziato ad adattarsi.

Secondo lo psicologo, solo di recente la società ha iniziato ad assumere un atteggiamento relativamente positivo, e l'approccio critico è dovuto solo alla mancanza di informazione.

“Le persone non hanno ancora una comprensione completa di questo fenomeno, non capiscono che cosa sia, questo è il motivo per cui c'è molta negatività. Anche la nostra mentalità nazionale gioca un ruolo importante”, afferma lo psicologo.

Eduard Hambardzumyan, fondatore e direttore del Fertility Centre, afferma che le madri surrogate si trovano principalmente attraverso la pubblicità.

“Prestiamo molta attenzione allo stile di vita e alla famiglia della donna. Ci sono molte storie. Abbiamo avuto un caso in cui la donna non voleva conoscere la madre surrogata: la clinica e gli avvocati si sono occupati dell'intero processo. Ci sono anche molti casi in cui le due donne hanno stabilito un rapporto stretto”, dice lo specialista.

Il costo di questo servizio va generalmente dai 15.000 ai 30.000 dollari. A seconda dell'accordo, sono coperte anche le spese correnti della madre surrogata durante la gravidanza e il cibo necessario.

“Non vedo il bambino dalla nascita, ma sono diventata amica di sua madre, parliamo spesso. Mi manda le foto del bambino. Sono orgogliosa del lavoro che ho svolto”, afferma Lilit.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.