Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 69294 volte)

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #495 il: Novembre 15, 2020, 19:57:46 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/112321

Citazione
BALCANI: Un bosniaco nello staff del presidente Biden
redazione 2 giorni ago

di Dino Huseljić e Marco Siragusa

Questo lavoro è frutto di una collaborazione tra East Journal e Nena News.

Elvir Klempić è un nome che ha iniziato a circolare fra i media bosniaci, croati e sloveni pochi minuti dopo che Joe Biden ha vinto le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Klempić ha partecipato attivamente alla campagna elettorale in favore del candidato democratico, gestendo i rapporti con le diverse comunità etniche presenti nel paese. Il suo operato ha contribuito a spostare un importante numero di elettori di origine bosniaca e polacca dalla parte di Biden, che, come lui stesso ha dichiarato, potrebbero essere stati decisivi in Wisconsin e Pennsylvania.

Da Srebrenica alla Casa Bianca

Nel 1995 Klempić aveva quattro anni e si trovava a Srebrenica, dove poco dopo sarebbero iniziate le operazioni di pulizia etnica dell’esercito serbo-bosniaco culminate nel genocidio della popolazione di etnia bosgnacca, cui la sua famiglia appartiene. Insieme alla mamma e alla nonna, Elvir è uscito dalla città su un camion diretto nella zona sicura di Tuzla, dove qualche giorno dopo avrebbe incontrato il padre, fuggito attraverso i boschi in una lunga e pericolosa marcia per sfuggire ai militari.

Dopo sei anni da profugo nella cittadina di Banovići, Klempić è arrivato negli Stati Uniti nel 2001, costruendo la propria vita nell’Iowa, dove si è laureato in Relazioni Internazionali e Scienze Politiche e da dove Biden ha iniziato la campagna che lo ha portato alla Casa Bianca.

Grazie a un importante lavoro di dialogo con le varie comunità etniche del paese e all’intercettazione dei loro interessi, Klempić ha contribuito ad attrarre nell’orbita democratica interi gruppi nazionali che in passato non erano stati molto coinvolti nella vita politica statunitense. Per la prima volta la comunità bosniaca ha partecipato in massa alle elezioni, garantendo importanti voti a Biden in Georgia e Pennsylvania, e altrettanto hanno fatto gli 11 milioni di cittadini di origine polacca che Klempić ha coinvolto nel progetto democratico, allontanandoli da Donald Trump che nel 2016 aveva ottenuto la maggioranza dei voti della comunità.

Klempić ha annunciato un cambio di direzione nella politica statunitense nei Balcani, più attiva e diretta da persone con un’ampia conoscenza della regione, ma anche una continuità nel sostenere l’adesione della Bosnia Erzegovina alla NATO, che sembra però ancora lontana. Il giovane bosniaco ha anche definito Biden un “amico” di Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro e Macedonia del Nord, non includendo nella lista Slovenia e Kosovo.

Una dichiarazione che forse svela qualche fastidio della parte democratica nei confronti dei governi di Janez Janša, il premier sloveno che ha supportato Trump nei mesi passati e che si è detto favorevole alla sua iniziativa giudiziaria per denunciare presunti brogli elettorali, e di Avdullah Hoti, capo del governo kosovaro che si è probabilmente compromesso fin troppo con il presidente uscente.

L’elezione di Biden è stata invece salutata con entusiasmo a Sarajevo, dove la Vijećnica, la storica biblioteca cittadina, è stata illuminata con la bandiera americana e la figura del nuovo presidente. La parte bosgnacca non ha dimenticato l’impegno dell’allora senatore Biden che, nel 1994, sostenne fortemente le istanze della Bosnia-Erzegovina al Congresso, instaurando legami con il primo presidente del Paese, Alija Izetbegović, e il primo ministro degli anni di guerra, Haris Silajdzić.

La presenza di Klempić nell’entourage di Biden ha soltanto rafforzato questo entusiasmo, espresso soprattutto dall’ala del centro-destra bosgnacco, quella più vicina al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Una convergenza che trova un punto interessante nel passato dello stesso Klempić.

I legami con la Turchia

Prima di assumere il ruolo di responsabile per le minoranze etniche nello staff di Biden, Klempić è stato infatti Direttore Esecutivo della Turkish Heritage Organization (THO). Formalmente registrata negli Stati Uniti nel 2014 come organizzazione non-profit e non politica con il compito di promuovere le relazioni bilaterali tra USA e Turchia. Nel 2016, prima dell’arrivo di Klempić, la THO è stata al centro di un’indagine dell’FBI per i suoi legami con il regime di Erdoğan. Secondo quanto trapelato da alcune mail pubblicate da WikiLeaks, la THO sarebbe stata creata grazie al coinvolgimento diretto di Berat Albayrak, genero di Erdoğan e ora dimissionario ministro delle Finanze.

Al centro dell’inchiesta, cui Klempić risulta del tutto estraneo, l’attività di lobbying condotta segretamente dagli esponenti della THO, in violazione delle norme che regolano le organizzazioni non politiche. L’allora presidente, Halil Danişmaz, aveva rassegnato le dimissioni dopo esser stato interrogato dall’FBI con l’accusa di lavorare come agente segreto per il governo turco e per il mancato rispetto delle regole sulla registrazione degli agenti stranieri in territorio americano. Il sito della THO riporta tra i principali finanziatori la Turkish Airlines e la Turkish Emlak Bank Investment Company, notoriamente vicine ad Erdoğan e al suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP).

Tra i partner con cui la THO ha collaborato in questi anni risulta il Syrian American Council, un gruppo nato nel 2005 e apertamente sostenuto dagli Stati Uniti contro il presidente siriano Bashar al-Assad. Proprio riguardo alla guerra in Siria, in un’intervista rilasciata all’emittente turca TRT World nel gennaio 2019 Klempić parlava della Turchia come di un “attore chiave per il raggiungimento della pace”, sostenendo un approccio più cooperativo con Washington.

Sebbene Klempić in passato abbia lavorato per avvicinare le due potenze, recentemente è stato costretto a prendere le distanze dalla THO per le posizioni espresse dall’organizzazione contro il riconoscimento del genocidio armeno. In una breve dichiarazione ripresa da The Armenian Mirror-Spectator, Klempić ha affermato di essere totalmente in linea con le dichiarazioni del presidente Biden, favorevole a riconoscere il genocidio, e non con quelle dei suoi precedenti datori di lavoro.

Nonostante i suoi passati legami con la fitta rete internazionale creata da Erdoğan, è difficile ipotizzare che Klempić possa agire come agente del presidente turco. Molto più probabile invece che possa contribuire ad alleggerire le tensioni tra i due presidenti. Biden non ha mai nascosto la sua ostilità nei confronti di Erdoğan, molto vicino al presidente Trump e al suo genero e collaboratore Jared Kushner. Klempić, qualora dovesse esser confermato nello staff presidenziale, potrebbe giocare un importante ruolo di mediazione, per quanto non decisivo nelle scelte di politica estera del futuro presidente.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #496 il: Novembre 15, 2020, 22:12:45 pm »
Già la Turchia, una bella gatta da pelare per gli USA e anche l'Europa.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #497 il: Novembre 22, 2020, 23:58:15 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Macedonia-del-Nord/Macedonia-del-nord-amministrazione-gonfiata-ed-equilibrio-etnico-206649

Citazione
Macedonia del nord, amministrazione gonfiata ed equilibrio etnico
aree  Macedonia del Nordita eng

In Macedonia del nord, le istituzioni garantiscono quote etniche nella pubblica amministrazione: un principio che però ha avuto anche ricadute negative e gonfiato il numero degli impiegati nel settore pubblico, che spesso non si recano neanche al lavoro

20/11/2020 -  Aleksandar Samardjiev Tetovo
Con una popolazione di circa 2 milioni di abitanti, la Macedonia del nord conta attualmente oltre 130.000 persone impiegate nell'amministrazione statale: non c'è da stupirsi che l'opinione pubblica e i media sollevino costantemente la questione della reale necessità ed efficienza dei dipendenti pubblici. Da decenni, sebbene i partiti al potere parlino costantemente di riforme, il numero dei dipendenti è in costante crescita: secondo i dati ufficiali del ministero dell'Informazione, Società e Amministrazione di marzo 2020, nel 2019 l'amministrazione statale contava 132.900 dipendenti.

Lavoro e rappresentanza etnica
Tra i motivi del numero esorbitante di dipendenti nell'amministrazione statale c'è la pratica, risultante dall'accordo quadro di Ohrid  , di impiegare diverse migliaia di persone: cosa che i partiti al governo spiegano con la necessità di raggiungere la cosiddetta “equa rappresentanza” delle comunità etniche secondo la percentuale della popolazione del paese.

Questa politica è in vigore da quasi vent'anni: una delle conseguenze più controverse di questi cosiddetti "lavori quadro" è che molte delle persone assunte non vanno a lavorare, ma ricevono comunque lo stipendio.

Secondo una ricerca condotta dall'Istituto per gli studi sulla comunicazione attraverso la piattaforma online Samoprashaj.mk  , in Macedonia del nord dal 2008 al 2020 questi dipendenti erano registrati nell'ex Segretariato per l'accordo quadro, che un anno e mezzo fa è stato trasformato nel ministero del Sistema politico. Vi erano impiegate esattamente 3.525 persone. Oggi l'istituto ha 1.410 dipendenti, il che significa che molti sono già stati trasferiti in altri ministeri, ma la maggior parte di loro riceve ancora uno stipendio senza lavorare. Alcuni invece lavorano effettivamente nell'amministrazione dei ministeri, delle imprese pubbliche e di altri tipi di istituzioni statali.

Secondo un sondaggio della piattaforma, su 1.410 dipendenti del ministero del Sistema politico, la grande maggioranza proviene dalla comunità etnica albanese (1.231) e 179 appartengono ad altre comunità etniche: turchi (82), rom (61), bosniaci (22) ecc.

Dato che alcuni luoghi di lavoro devono avere quote etniche nello staff, molte persone dichiarano un'affiliazione nazionale diversa da quella segnalata dal proprio nome e cognome. Ad esempio, i macedoni si dichiarano albanesi o rom per ottenere un lavoro per il quale hanno la qualifica professionale e non ci sono altri candidati che soddisfino i criteri etnici.

L'ex ministro delle Finanze Dzevdet Hajredini ha detto ai media locali che, sebbene nell'accordo quadro di Ohrid ci sia una disposizione per un'equa rappresentanza delle comunità, da nessuna parte viene affermato che qualcuno debba ricevere uno stipendio senza lavorare. “Penso che ci sia un pagamento illegale di stipendi dal bilancio dello Stato a chi non va a lavorare: i più responsabili di questa situazione, e quindi i più colpevoli, sono l'ex premier Nikola Gruevski e l'attuale Zoran Zaev".

Ridimensionare l'amministrazione, una necessità
La riduzione dell'amministrazione rimane una delle sfide per il nuovo governo formato ad agosto 2020, che nel suo programma elettorale ha promesso di occuparsi dell'amministrazione sovradimensionata e ridurre il numero dei dipendenti del 20%. La necessità di riforme in questo settore viene discussa da diversi anni e fa parte dei capitoli negoziali per l'adesione all'Unione europea.

Borce Davitkovski, professore della facoltà di Giurisprudenza di Skopje, sostiene che, sebbene l'esistenza di un ministero del Sistema politico non sia problematica da un punto di vista puramente formale, si dovrebbe collocare nel contesto più ampio degli sforzi del governo per un'amministrazione più razionale ed efficiente. Il professore ritiene che la soluzione migliore sarebbe quella di abolire il ministero stesso, o almeno di accorpare molti dei suoi uffici con organi con competenze uguali o simili, al fine di razionalizzare l'amministrazione statale.

"Secondo me, se il ministero [del Sistema politico] dovesse continuare ad esistere, allora quello della Società, dell'Amministrazione dell'Informazione dovrebbe essere abolito, trasferendo la parte amministrativa a questo ministero", afferma Davitkovski.

Le riforme della pubblica amministrazione  sono incluse nel primo nucleo del quadro negoziale sviluppato secondo la nuova metodologia dell'UE. Questo nucleo copre diversi capitoli chiamati "basi", compresa l'amministrazione, ed è considerato il più importante. Copre i capitoli sulla giustizia e i diritti fondamentali, la libertà e la sicurezza, il funzionamento delle istituzioni democratiche, la riforma della pubblica amministrazione, i criteri economici della pubblica amministrazione e degli appalti pubblici, nonché il controllo finanziario, e dura per tutto il processo di negoziazione.

Il professor Temelko Risteski della facoltà di Scienze Sociali è sicuro che la Macedonia del nord sarà sottoposta a pressioni da Bruxelles per riformare l'amministrazione prima di aderire all'UE e poter spendere soldi europei. “L'Europa non permetterà che il proprio denaro vada a un'amministrazione inefficiente e improduttiva. Il sistema europeo non tollera sottosistemi costosi, incompetenti e inefficienti, e la nostra amministrazione infatti diventerà un sottosistema di quello europeo. Penso che l'UE ci costringerà a riformarla prima della fine dell'intero processo negoziale”, ha dichiarato Risteski ai media locali.

Incentivare il passaggio dal pubblico al privato
Una delle misure proposte dal vecchio-nuovo governo, con Damjan Manchevski ministro dell'Informazione, Società e Amministrazione, è il trasferimento dei dipendenti in eccesso dal settore pubblico a quello privato, offrendo alcuni vantaggi alle aziende che vogliono assumere. Sono stati anche annunciati incentivi in vista delle elezioni, in modo che i dipendenti pubblici che firmano un contratto con un'azienda privata ricevano un TFR, mentre il nuovo datore di lavoro riceverà dei sussidi.

Nei citati 132.900 dipendenti dell'amministrazione statale non rientrano le persone assunte tramite agenzie di lavoro interinale, perché non hanno lo status di dipendenti pubblici (3.222 secondo il ministro), né gli 8.800 dipendenti delle società per azioni interamente statali. Sono quindi 144.922 in totale le persone stipendiate dallo Stato.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #498 il: Dicembre 09, 2020, 21:54:29 pm »
Dice l'italiano medio:
"Solo in Italia succedono certe cose!"

Ah no, cazzo!, siamo in Serbia...

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-malati-di-reality-206694

Citazione
Serbia, malati di reality

Insulti, risse, minacce di morte, pornografia, turpiloquio e simili. I reality in Serbia sembrano sfuggiti di mano. C’è chi li guarda ma c’è anche chi ne chiede la regolamentazione, quanto meno che li si sposti in fasce orarie protette ai minori

09/12/2020 -  Nicola Dotto Belgrado
Il reality show come format televisivo è un esperimento sociale ben noto nella maggior parte dei paesi del mondo, anche in quelli più sviluppati e a tradizione democratica più avanzata che tutelano i diritti fondamentali e le libertà. Ciò che si vede in Serbia è tuttavia lontano dalla sua definizione primaria che punta all’osservazione del comportamento quotidiano di persone conosciute o sconosciute in situazioni reali e non sceneggiate.

Qui infatti, sotto la firma di accordi spesso incostituzionali o discriminatori e false promesse di lauti guadagni, vengono consentiti, anzi incoraggiati, comportamenti di ogni genere a partecipanti perlopiù con un passato o un presente “discutibile”, se non addirittura criminoso. Non solo, ma la messa in onda di tali show su canali a frequenza nazionale a tutte le ore del giorno e senza nessun tipo di censura scuote e divide sempre più le coscienze: tra chi vorrebbe vietarne completamente la messa in onda o almeno limitarne l’orario nelle fasce notturne, e chi non riesce a dire no a un pruriginoso bisogno di osservare le vite degli altri.

In realtà, i motivi per mettere completamente al bando i due reality show serbi più popolari, “Zadruga” e “Parovi”, sarebbero molti: violazioni dei diritti umani, scene di violenza gratuita, favoreggiamento della prostituzione, incitamento all’uso di droghe, turpiloquio… La decisione, anche a metà del guado e più blanda per non scontentare nessuno, come la limitazione nella programmazione alle fasce d’orario notturne perché più protette, spetterebbe al Consiglio dell’Organo Regolare dei Media Elettronici (REM  ), che però al momento decisivo ha sempre fatto spallucce.

“Zadruga” e “Parovi”
“Zadruga” (Cooperativa), sicuramente il più seguito e costoso reality show della storia serba, va in onda dal settembre 2017 sul canale “Pink” di proprietà del discusso magnate serbo Željko Mitrović. Lo spettacolo, grandioso, e per la cui preparazione sono stati coinvolti specialisti da Hollywood, viene trasmesso da Šimanovci, un sobborgo di Belgrado; qui su oltre due ettari di terreno, i partecipanti o soci della cooperativa, vengono rinchiusi e isolati dal resto del mondo per nove o dieci mesi ingolositi da un premio finale di 50.000 euro; della scenografia, imponente e che impegna ogni giorno decine di maestranze, fanno parte un lago artificiale, una sorta di enorme ”Casa Bianca”, casinò, bar, cinema, teatro, ristoranti e saloni di bellezza. Naturalmente, come in tutti i reality che si rispettino, ogni settimana il pubblico da casa ha la facoltà di decidere le nomination o le eliminazioni dei partecipanti.

Fin qui niente di strano, ma se scorriamo il curriculum del format di questi anni c’è da rabbrividire: un partecipante arrestato perché sospettato di aver ucciso la moglie, una minorenne coinvolta nel giro della prostituzione prima di entrare nella casa, un altro concorrente squalificato perché reo di aver attaccato fisicamente dei partecipanti e condannato a un anno di domiciliari. Infine, proprio pochi giorni fa, l’entrata nel gioco di un uomo finito in carcere per risse e problemi di droga. Come se non bastasse in questi mesi lo show non si è fermato nemmeno durante la pandemia da Covid-19 scoppiata a marzo, sebbene vari concorrenti eliminati dal gioco e gli stessi addetti ai lavori avessero prima negato e poi ammesso di essere stati contagiati dal virus durante la loro permanenza.

“Parovi” (Coppie) è l’altro reality show che va in onda (24 ore al giorno), con successo dal dicembre 2010, sul canale “Happy”. Le dinamiche sono più o meno le stesse. I concorrenti vivono insieme, sotto costante sorveglianza, in una grande villa che si trova nella municipalità di Zemun; hanno a disposizione una grande camera da letto da 24 posti, una cucina attrezzata, un ampio soggiorno, una stanza segreta, tre stanze di isolamento, una grande piscina e un ampio cortile. Per le prime due stagioni il reality ha visto la partecipazione di coppie vere, ma dalla terza stagione il format è cambiato a causa delle difficoltà nel trovare delle coppie nella realtà. “Parovi” non ha purtroppo un curriculum migliore: molestie, intimidazioni, violenza, discorsi osceni, razzismo, violazione dell'integrità fisica e mentale sono solo alcune delle accuse rivolte alla TV che ne possiede i diritti, la quale ha ricevuto ammonimenti, diffide e una volta anche un divieto di andare in onda.

I tentennamenti dell’Organo regolatore dei media (REM)
L’unico Organo che potrebbe fermare o almeno limitare questa rappresentazione umiliante, mistificatoria e pericolosa della società serba è il REM (Organo Regolare dei Media Elettronici), il cui Consiglio più volte è stato chiamato a una decisione sull’opportunità della messa in onda di questi spettacoli nelle tv a frequenza nazionale durante le ore del giorno. Vida Petrović Škero, ex presidente dell’alto tribunale serbo, sostiene che “le leggi e i regolamenti esistono già. Molti problemi sarebbero stati risolti finora se gli atti normativi, che abbiamo, fossero stati applicati in modo coerente e se ci fosse una reale volontà da parte dell’Organo di applicarli”.

La procedura prevede che il Consiglio in riunione decida prima sulla bozza da adottare, la quale viene poi mandata al ministero della Cultura e dell'Informazione per una valutazione di legalità e passa a un dibattito pubblico della durata di 15 giorni dopodiché lo stesso Consiglio deve decidere. L’ultima sessione, in ordine di tempo, era prevista verso la fine di ottobre, e dopo l’ennesimo rifiuto di maggio, sembrava certa una decisione per lo spostamento della programmazione dei reality alle ore notturne, cioè dalle 23 alle 6 di mattina.

Tuttavia, il 2 novembre arriva il colpo a sorpresa e il documento finale non viene approvato dalla maggioranza del Consiglio dell'Organo: sono infatti quattro i voti a favore e quattro quelli contro tra cui quello di Aleksandra Janković, la quale ritiene che l’atto “risulterebbe illegale e porterebbe a una sorta di censura della tv”. Le colleghe Višnja Aranđelović e Judita Popović, di parere opposto, invece ribattono che “non si può reagire a risse, insulti e violenze dicendo solo ai cittadini di cambiare canale” e che “nessuno parla di cancellare un programma, ma di spostare i reality show alla fascia notturna. Secondo la legge sui media elettronici, è un obbligo dell’Organo regolatore proteggere i minori in tutti i modi possibili”.

Un altro membro votante, Zoran Simjanović, afferma che “i reality show dovrebbero essere limitati ad alcune fasce orarie perché hanno un effetto negativo sui minori”, e Aleksandar Vitković, pur d’accordo con lui, vota però contro a “un documento che non è legalmente valido". Aleksandra Janković e Radoje Kujović alla fine della sessione propongono quindi un ulteriore monitoraggio dettagliato dei reality show per prendere eventuali nuove decisioni dopo averne esaminato i risultati, dimenticando forse che l’Organo li monitora già da otto anni.

I minorenni quelli più a rischio
Dal 2015 esiste nel paese un regolamento sulla protezione dei minori e dei diritti umani nei media, il che significa che avvertimenti, divieti temporanei di trasmissione e persino revoche della licenza all'emittente, dovrebbero poter essere applicabili uniformemente a tutti. Tuttavia, il “REM” è accusato da molti di debolezza  per non aver utilizzato negli anni scorsi le possibilità legali atte a punire le varie emittenti e avviare procedimenti dinanzi alla magistratura.

Maja Divac, esperta di regolamenti dei media, ritiene che anche l’ultima non-decisione danneggi i cittadini e violi i regolamenti a favore delle emittenti televisive: “La decisione purtroppo era attesa, conoscendo la pratica vergognosa di lunga data di questo Organo di non lavorare nell'interesse dei cittadini ma di potenti gruppi che difendono i loro ristretti interessi economici e politici attraverso il REM. È ovvio che nel Consiglio dell'Organismo di vigilanza ci sono forze dispiegate secondo la volontà politica dell'attuale regime”.

Goran Petrović, che ne è il vicedirettore, è accusato di aver cambiato idea all’ultimo; lo stesso, pur ammettendo che i programmi di reality sono quelli in cui vengono mostrati più spesso contenuti che possono danneggiare lo sviluppo dei minori, pensa che “un simile atto verrebbe annullato dopo la valutazione di costituzionalità e legalità ed è inoltre contrario alla direttiva europea”.

Secondo Zoran Gavrilović, rappresentante dell'Ufficio per la ricerca sociale (BIRODI - Biro za društvena istraživanja  ), la decisione di non spostare la programmazione di questi reality nelle ore notturne consentirà alle televisioni di trasmettere a tutte le ore del giorno immagini che potrebbero portare a lungo tempo a disturbi sui comportamenti, sugli atteggiamenti, sui valori della popolazione, soprattutto tra i minorenni e pone una domanda importante: “Oltre al monitoraggio che il REM dovrebbe assolutamente fare, sarebbe importante avere un’analisi dell'impatto che hanno i programmi di reality sul comportamento delle persone; la questione cruciale è se diventiamo più aggressivi guardando dei programmi che promuovono violenza, sesso, insulti, turpiloquio e simili”.

Una lettera a Maja Gojković
L’ultima iniziativa civica in ordine di tempo è stata lanciata pochi mesi fa sul sito “Kreni-promeni” (Agisci-cambia) e chiede al parlamento, tramite una petizione  , di adempiere all'obbligo costituzionale di deliberare su un disegno di legge sostenuto da 30.000 cittadini e decidere consapevolmente e responsabilmente sulla questione dei reality; la lettera è indirizzata alla (ex ormai) presidente del parlamento serbo, Maja Gojković, e conclude così: “Ogni giorno di attesa è un giorno in più verso la distruzione di generazioni di giovani. Violenza, attacchi e insulti alle donne, privazione della libertà; non sono questi i valori che dovrebbero far parte della nostra società. Lei ha la possibilità di scegliere, di contribuire alla restrizione dei reality show o di schierarsi dalla parte della violenza e della distruzione della società. La scelta ora è sua”.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #499 il: Dicembre 09, 2020, 22:53:01 pm »
Che sia in Italia o in Serbia, i galeotti femmine comprese fanno parte del palinsesto.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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« Risposta #500 il: Dicembre 16, 2020, 22:01:54 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/113666

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ALBANIA: La polizia uccide un ragazzo, proteste e scontri a Tirana
Marco Siragusa 5 giorni ago

Un nuovo problema travolge il governo albanese guidato da Edi Rama, leader del Partito Socialista (PS), già alle prese con la complicata gestione della pandemia, la ricostruzione post terremoto e l’avvio dei negoziati d’adesione con l’Unione europea. L’uccisione di un ragazzo da parte della polizia ha provocato dure proteste e rischia di alimentare le già tante tensioni nel paese. E il prossimo 25 aprile sono in programma le elezioni parlamentari.

I fatti

Era da poco passata la mezzanotte di martedì 8 dicembre quando Klodian Rasha, 25 anni, stava tornando a casa sua nel quartiere di Lapraka, a circa 4 km dal centro della capitale Tirana. Da due ore era scattato il coprifuoco imposto dal governo, tra le 22:00 e le 5:00, per limitare la diffusione del coronavirus. Non si sa ancora perché Klodian si trovasse in strada in quel momento, quello che è certo è che nel suo percorso verso casa ha incontrato una pattuglia della polizia che gli ha intimato di fermarsi. Klodian ha provato a scappare e, secondo le prime ricostruzioni, è stato raggiunto alle spalle da due proiettili, che lo hanno ucciso.

Secondo il padre, Qazim Rasha, il figlio era uscito per comprare le sigarette e non aveva con sé la mascherina. Il padre ha inoltre parlato di “testimoni che hanno visto la polizia picchiare Klodian”. Per la polizia, il ragazzo era invece armato e pericoloso. La magistratura ha già aperto le indagini contro l’agente coinvolto.

Proteste e scontri

La vicenda ha scatenato immediatamente le proteste dei cittadini che, sin dal mattino di mercoledì, sono scesi in strada. La giornata è proseguita tranquilla almeno fino alla prima serata, quando centinaia di persone, dopo un passaparola sui social, si sono ritrovate davanti al ministero degli Interni per chiedere verità e giustizia. Nei cartelli si leggevano frasi come “Giustizia per Klodian”, “Dimissioni” rivolto al ministro degli Interni Sandër Lleshaj, ma anche messaggi più duri come “E’ un buon giorno per una rivoluzione”.

La situazione è presto degenerata e sono scoppiati violenti scontri tra polizia e manifestanti che hanno prima incendiato l’albero di Natale posto in Piazza Skanderbeg, poi hanno travolto gli agenti con pietre e fumogeni. La protesta si è quindi spostata davanti al palazzo del primo ministro Edi Rama, in visita a Washington per incontrare i vertici della multinazionale farmaceutica Pfizer e ottenere le dosi del vaccino contro il virus. La polizia, cui si sono aggiunti uomini dei reparti speciali, ha risposto con idranti e lacrimogeni.

Le proteste sono continuate in maniera ancora più violenta nella serata di giovedì, con i manifestanti che hanno dato fuoco a cassonetti, tentato l’assalto al ministero delle Finanze e rotto i vetri di entrata della sede del Partito Socialista a Tirana. Le manifestazioni hanno coinvolto anche Durazzo, Valona, Scutari e altri piccoli centri del paese. Decine le persone arrestate dalla polizia, che ha già fatto sapere che altri partecipanti agli scontri verranno ricercati e fermati per non aver rispettato il coprifuoco e per aver provocato disordini.

Le reazioni politiche

Non sono mancate le immediate reazioni politiche. In Albania, difatti, lo scontro tra maggioranza e opposizione è già da tempo piuttosto acceso. Giovedì sera il ministro degli Interni Sandër Lleshaj ha rassegnato le dimissioni ammettendo che il ragazzo è stato “ucciso ingiustamente” ma anche accusando gli oppositori di “lanciare un nuovo attacco al Paese”. Il primo ministro Rama, tornato dagli USA, si è ufficialmente scusato con la famiglia e ha chiesto l’avvio di un’indagine completa per un “evento senza precedenti”.

Le opposizioni stanno cercando di utilizzare l’accaduto per attaccare il governo in quella che sembra una prova generale della prossima campagna elettorale. L’ex primo ministro Sali Berisha, già leader del Partito Democratico albanese (PD) di centrodestra, ha parlato di “omicidio di stato premeditato” legato a un regolamento di conti tra narcotrafficanti vicini al governo. Il Presidente della Repubblica Ilir Meta, del Movimento Socialista per l’Integrazione e da tempo forte oppositore di Rama, ha posto l’accento sull’eccessiva violenza utilizzata negli ultimi anni dalla polizia accusando direttamente “alti funzionari e dirigenti della polizia di Stato, nonché del ministero degli Interni”.

Altrettanto dura la presa di posizione della sezione albanese del partito kosovaro di sinistra Vetëvendosje! che unendosi alle richieste di dimissioni del ministro e del capo della polizia Ardi Veliu ha denunciato lo “stato di polizia”, descrivendo la rabbia della piazza come una “chiara espressione della rivolta dovuta a una profonda ingiustizia”. L’Ambasciata statunitense a Tirana ha rilasciato una nota dove mette in guardia i propri cittadini presenti in Albania dalla possibilità che le violenze si estendano in altre aree del paese.

Anche se le elezioni del 25 aprile sono ancora lontane, il rischio è che il paese scivoli in una spirale di contrapposizioni e in un clima di tensione crescente. Proprio mentre l’Albania si appresta ad avviare i negoziati con l’Unione europea. Non proprio un buon biglietto da visita.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #501 il: Dicembre 16, 2020, 22:06:46 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Venticinque-anni-dopo-Dayton-c-e-ben-poco-da-gioire-207284

Citazione
Venticinque anni dopo Dayton, c’è ben poco da gioire

Ad un quarto di secolo dalla fine della guerra in Bosnia Erzegovina, il paese è ancora ostaggio di élite politiche nazionaliste. Ora spetta ai cittadini ridiventare protagonisti. Il commento della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa

16/12/2020 -  Dunja Mijatović
(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle  , il 14 dicembre 2020)

Quando, venticinque anni fa, fu firmato l’Accordo di Dayton, in Bosnia Erzegovina si avvertì un grande sollievo. L’accordo di pace mise fine a uno dei capitoli più sanguinosi e bui della storia dell’Europa contemporanea. Grazie a quell’accordo, un’intera generazione è cresciuta senza dover nascondersi nei rifugi o temere di essere uccisi aspettando in fila per prendere l’acqua. Ma a parte questo, c’è ben poco di cui gioire.

Ancora oggi, a venticinque anni di distanza, la Bosnia Erzegovina è impantanata in seri problemi strutturali e funzionali. La Costituzione della Bosnia Erzegovina prevede un sistema politico e amministrativo complesso e costoso, il cui funzionamento è ostacolato da un’eccessiva tutela degli interessi etnici e da vari meccanismi che hanno permesso ai politici nazionalisti di porre il veto su alcune decisioni importanti che avrebbero potuto spingere il paese verso il progresso.

Tuttavia, la tendenza a scaricare tutte le colpe sull’Accordo di Dayton è solo una foglia di fico per nascondere problemi molto più gravi.

È vero che l’Accordo di Dayton ha creato un sistema complesso che deve essere riformato, ma la Bosnia Erzegovina non è l’unico paese ad avere una struttura istituzionale complessa. Il problema è che varie agende politiche tendono ad abusare del vero spirito della democrazia consociativa – caratterizzata da una condivisione del potere basata sulla collaborazione – introdotta dall’Accordo di Dayton, per trarne vantaggi politici.

Combattere la discriminazione
L’Accordo di Dayton ha fornito alcuni elementi chiave per costruire una società fondata sul rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, compresa la diretta applicabilità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la sua prevalenza su tutte le leggi [nazionali], la tutela costituzionale dei diritti umani e la nascita delle istituzioni per i diritti umani che hanno adottato alcune decisioni cruciali in materia di tutela dei diritti dei ritornanti e delle minoranze.

A impedire al paese di progredire è stata una visione politica profondamente radicata che continua a capitalizzare le persistenti tensioni etniche allo scopo di mantenere il potere e lo status quo discriminatorio.

Un esempio emblematico è quello del sistema elettorale. Con la sentenza Sejdić-Finci del 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il sistema elettorale della Bosnia Erzegovina è discriminatorio perché prevede che chi non appartiene a uno dei popoli costituenti, ovvero non soddisfa certi requisiti relativi all’appartenenza etnica e al luogo di residenza, non possa essere eletto alla Presidenza [tripartita della Bosnia Erzegovina] e alla Camera dei popoli. Undici anni dopo, quella sentenza, così come altre sentenze della Corte di Strasburgo sulla stessa questione, rimane lettera morta, principalmente a causa della mancanza di volontà politica.

Confrontarsi col passato
Ed è sempre la mancanza di volontà politica ad ostacolare il processo di confronto con il passato e di guarigione delle ferite ancora fresche. Persiste l’impunità per i crimini di guerra, migliaia di persone scomparse durante la guerra non sono ancora state ritrovate e i progressi nel garantire riparazione alla vittime civili della guerra sono ancora lenti.

L’attuale discorso politico è caratterizzato dal revisionismo, dalla negazione del genocidio e dalla glorificazione dei criminali di guerra, nonché dai tentativi di minare la legittimità del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Persistono anche le divisioni etniche nell’istruzione, con un sistema scolastico basato sulla segregazione dove i ragazzi frequentano le cosiddette due scuole sotto lo stesso tetto o le scuole monoetniche.

Questi problemi allarmanti richiedono una svolta radicale nel modo di fare politica in Bosnia Erzegovina. Invece di usare le loro funzioni istituzionali per consolidare gli interessi privati, i politici dovrebbero affrontare la sfida di costruire una società più coesa e prospera. La risposta del sistema giudiziario al dilagare della corruzione è debole, portando all’aumento della sfiducia dei cittadini nella magistratura e rendendo loro incapaci di abituarsi all’idea di una società basata sullo stato di diritto, sul principio del giusto processo e sull’uguaglianza davanti alla legge. Inoltre, i cittadini sono preoccupati per la grave situazione economica, caratterizzata da un livello di qualità della vita e dei servizi pubblici estremamente basso.

I cittadini bosniaco-erzegovesi dovrebbero ispirarsi ai giovani. Gli studenti di Jajce lottano contro la segregazione nell’istruzione, mentre altri giovani stanno conseguendo risultati impressionanti nello sport, nella scienza e nell’ambito dell’impegno umanitario. Diverse organizzazioni non governative e singoli cittadini continuano a costruire ponti tra le comunità e a impegnarsi per superare le divisioni e l’odio che la guerra ha lasciato dietro di sé.

Queste iniziative devono essere sostenute. La comunità internazionale, in particolare l’Unione europea e il Consiglio d’Europa, devono sostenere pienamente le riforme istituzionali ed economiche in Bosnia Erzegovina. Devono sostenere le aziende e le iniziative dal basso che promuovono l’inclusione e appoggiare i difensori dei diritti umani nella loro tenace ricerca della giustizia e delle riparazioni.

Tuttavia, i principali protagonisti del futuro della Bosnia Erzegovina sono i cittadini e le istituzioni bosniaco-erzegovesi. Sono loro a dover impegnarsi con maggiore tenacia per contrastare le recrudescenze nazionaliste, per rafforzare le relazioni interetniche e la cooperazione, e per combattere la corruzione e il nepotismo.

L’Accordo di Dayton ha fornito la chiave per un futuro più luminoso. Ora spetta ai cittadini bosniaco-erzegovesi prendere il timone e portare avanti il paese.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #502 il: Dicembre 17, 2020, 01:59:42 am »
Tutte cose che la gente dell'Est si guarda bene dal dirci. Anzi, persino quando dicono "vado a Natale in Romania" usano un un tono, come se fosse il posto migliore del mondo.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Duca

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #503 il: Dicembre 17, 2020, 07:50:25 am »
Tutte cose che la gente dell'Est si guarda bene dal dirci. Anzi, persino quando dicono "vado a Natale in Romania" usano un un tono, come se fosse il posto migliore del mondo.
:lol:
Peggio ancora gli albanesi, che da quel che dicono sembra che la civiltà planetaria sia sorta tra Durazzo e Tirana.
Ora io non dico di denigrare la patria come fanno i sinistrati nostrani, però insomma c'è un limite a tutto...

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #504 il: Dicembre 17, 2020, 23:06:44 pm »
Beh, non a caso in quasi sette anni di partecipazione in questo forum ho scritto spesso roba come questa.

https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/topic,12074.15.html

Citazione
December 16, 2016, 20:39:07 PM »

 
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from: Sardus_Pater on December 16, 2016, 11:05:38 AM
Ora cosa diranno i soliti italodisfattisti :lol: ?

Gli italiani popolo esterofilo erano, popolo esterofilo sono e popolo esterofilo resteranno. :sleep:
In tal senso c'è ben poco da fare.
Una esterofilia, unita ad una abissale ignoranza - per quanto riguarda la realtà di altri paesi di questo disgraziato pianeta -, che li porta ad autoflagellarsi continuamente e a considerarsi, sostanzialmente, il peggior popolo del mondo.
Ad esempio: nella vita di tutti i giorni, quante volte ti capita di incontrare qualcuno che, spontaneamente, ti parla delle magagne e dei difetti di altri paesi?
Sbaglio se affermo che non ti capita mai ? *

Con questo non sto certamente asserendo che in Italia funziona tutto a meraviglia e che gli italiani son degli autentici campioni di lealtà, onestà, affidabilità, etc (magari fosse così).
No, affatto, poiché conoscono bene i miei connazionali e i loro inestirpabili difetti.
Ma da qui a credere che il resto del mondo, sia una sorta di eden, ce ne passa.

@@

* Io conosco personalmente solo due uomini che ragionano come me.
Per il resto, buio assoluto.

@@

Per inciso: nonostante provengano da paesi che in quanto a corruzione non hanno proprio nulla da invidiare all'Italia (anzi), stai pur sicuro che non sentirai mai un albanese, un romeno o un bulgaro, fare dei discorsi disfattisti ed esterofili nei confronti della propria patria e dei propri connazionali.
Di certo non li ascolterai mai in pubblico,
e in particolar modo se si tratta di albanesi.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #505 il: Dicembre 18, 2020, 00:24:34 am »
:lol:
Peggio ancora gli albanesi, che da quel che dicono sembra che la civiltà planetaria sia sorta tra Durazzo e Tirana.
Ora io non dico di denigrare la patria come fanno i sinistrati nostrani, però insomma c'è un limite a tutto...
Meno male che non ne ho mai conosciuti
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #506 il: Dicembre 26, 2020, 13:35:37 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/113869

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Orban alla conquista dei media in Slovenia e Macedonia del Nord
Andrea Zambelli 2 giorni ago

Lo scorso ottobre, investitori ungheresi hanno ottenuto il controllo del canale sloveno Planet TV per quasi 5 milioni di euro. Si è trattato dell’ultimo episodio in una serie di acquisizioni mediatiche in Slovenia e Macedonia del Nord da parte di uomini d’affari vicini a Viktor Orbán, come nota un’inchiesta di BIRN.

Gli uomini di Orbán acquistano media di destra in Slovenia e Macedonia del Nord

L’espansione ungherese nei media dei Balcani ha preso il via nel 2017 con l’acquisto della slovena Nova24TV, di co-proprietà di membri del Partito democratico sloveno (SDS) dell’attuale premier Janez Jansa. Vi ha fatto seguito il controllo di Nova obzorja, editore di Demokracija, settimanale politico di proprietà SDS.

Ugualmente, in Macedonia del Nord, gli investimenti ungheresi si sono concentrati sui media vicini all’ex premier Nikola Gruevski, un altro alleato politico di Orbán, prendendo il controllo dei siti web kurir.mk, denesen.mk e vistina.mk; di republika.mk e netpress.com.mk; e del canale AlfaTV. Una rete mediatica transnazionale che è stata accusata di favorire la diffusione di disinformazione e fake news contro il governo macedone di Zoran Zaev.

Le reazioni in Europa

Le mosse di questi investitori ungheresi vicini al partito Fidesz, che è ostile ai media indipendenti e ha già messo sotto controllo la stampa critica in patria, ha inevitabilmente causato preoccupazione.

Quattro eurodeputati – Kati Piri, Tanja Fajon, Tonino Picula e Andreas Schieder – hanno presentato varie domande alla Commissione europea, chiedendo se tali investimenti ungheresi nei media rappresentino un’interferenza nel processo democratico nei Balcani. Il 25 novembre il tema è stato discusso al Parlamento europeo, e la Commissaria europea alla giustizia Vera Jourova ha confermato che “è necessaria una maggiore trasparenza sulla proprietà dei media e una possibile concentrazione illegale dei media”.

Secondo Kati Piri, eurodeputata liberale olandese di origini ungheresi, “sappiamo tutti molto bene che gli oltraggiosi sforzi di propaganda di Orbán nella Macedonia del Nord e in Slovenia sono solo la punta dell’iceberg. Che sia a Bruxelles, Lubiana o Skopje, Orbán ha un solo obiettivo: minare l’Unione europea per il proprio guadagno personale”. Sempre secondo Kati Piri, Orbán “Ha cercato di rovesciare il governo del primo ministro Zoran Zaev, ha concesso asilo a Gruevski, sta cercando di impedire l’integrazione della Macedonia del Nord nell’UE”.

“Se è vero che aziende ungheresi vicine alla cerchia ristretta del premier Viktor Orbán in almeno un’operazione – parliamo di almeno 4 milioni di euro – hanno finanziato acquisti di media in Macedonia del Nord in vista delle elezioni per aiutare l’ex premier macedone Nikola Gruevski, si tratta di una grave interferenza nel processo democratico”, ha detto l’eurodeputata socialdemocratica slovena Tanja Fajon.

L’europarlamentare liberale slovena Irena Joveva ha sottolineato che il governo sloveno, senza sostegno pubblico, cerca di trasformare la Slovenia in una società illiberale, mette in pericolo i media e forma strutture parallele finanziate da Orbán per minare i valori fondamentali dell’UE.

D’altra parte Balazs Hidveghi, eurodeputato ungherese del partito Fidesz, ha affermato che tali società abbiano investito capitali nei media di altri stati membri esclusivamente a scopo di lucro, in linea con il principio di libera circolazione dei capitali, e che “non hanno nulla a che fare con la politica”.

Una situazione finanziaria stabile – ma cosa ci sta dietro?

I dati raccolti da BIRN confermano che i media di proprietà ungherese se la passano meglio dei concorrenti, a livello finanziario: il loro fatturato nel 2018 è stato di oltre 10 milioni di euro. I ricavi di AlfaTV in Slovenia sono esplosi da 27.400 euro nel 2017 a 640.000 euro nel 2019 (quelli del canale Sitel, il più seguito nel paese, sono scesi da 770.000 a 460.000 nello stesso periodo). Anche i ricavi del gruppo macedone sono triplicati.

Ma da dove arrivino i fondi che tengono a galla questi media non è chiaro. In Macedonia del Nord, i principali inserzionisti pubblicitari dei media orbaniani sono piccole aziende ungheresi che non esportano nemmeno nel paese balcanico. L’investitore ungherese Peter Schatz è finito sotto inchiesta per evasione fiscale in Macedonia del Nord per l’acquisto di AlfaTV. In Slovenia, la polizia ha confermato di avere aperto un’indagine.

Il precedente governo sloveno aveva nominato una commissione parlamentare d’inchiesta sul  sospetto finanziamento estero illegale della campagna elettorale dell’SDS nel 2018. Ma il nuovo governo sloveno in carica da Marzo 2020, guidato proprio dall’SDS di Janez Jansa, ne ha sostituito il presidente; i lavori da allora si sono arenati.

Un’impatto ancora limitato sulle società di Slovenia e Nord Macedonia

Dall’altra parte, tali investimenti non stanno ancora avendo un grande impatto. Secondo un’analisi della società Bakamo, commissionata da BIRN, i media di proprietà ungherese generano meno coinvolgimento rispetto alle loro controparti locali su argomenti come l’UE, la Russia, la Cina e lo stesso Orbán. Gli unici due argomenti in cui il pubblico si è coinvolto di più con i media collegati all’Ungheria riguardavano storie relative alla migrazione e alle comunità LGBT.

I media orbaniani tentano di farsi spazio nella sfera pubblica con una produzione di contenuti molto spinta, al limite dello spam, nel tentativo di aumentare la propria visibilità. E, almeno in Slovenia, sono riusciti a generare conversazioni più accese, con contenuti emotivamente più carichi, sempre secondo Bakamo.
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #507 il: Dicembre 26, 2020, 13:36:59 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/114147

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Natale 1979: Quando la Russia invase l’Afghanistan
Gianmarco Riva 2 giorni ago

La vigilia di Natale a Kabul è un evento speciale. Ogni inverno, da 41 anni a questa parte, la giornata viene ricordata come l’incipit di uno dei capitoli più bui della storia afghana. Fu infatti in quell’occasione che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ordinò al suo esercito di invadere il paese asiatico, dove sarebbe rimasto per quasi un decennio. Contrariamente alle aspettative, tale atto di veemenza si rivelò ben presto essere un’inane tragedia (raccontata anche dalla scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievič nel suo Ragazzi di zinco), uno sventurato “Vietnam russo”, a suo modo preludio della definitiva caduta dell’URSS.

L’antefatto

Prima che l’armata rossa fece incursione, la stabilità della vita politica afghana era garantita da un’armoniosa convivenza tra società civile e religione. Tuttavia, dal 1964 al 1978, tale equilibro fu rotto da una seria di colpi di stato che destrutturarono profondamente il tessuto sociale del paese. Il terzo di questi, noto con il nome di Rivoluzione di Saur, vide l’assassinio dell’allora presidente in carica Mohammed Daoud Khan e l’ascesa al potere del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA), d’ispirazione sovietica. Con esso nacque la Repubblica Democratica d’Afghanistan: una nuova forma di governo socialista presieduta da Nur Mohammad Taraki, un uomo la cui politica di stampo marxista fu poco gradita alle autorità religiose.

Presi i poteri, il nuovo PDPA avviò un’importante campagna di secolarizzazione della società, mettendo fin da subito in atto un programma di riforme socialiste. All’interno di questo erano previste una politica agraria e significative innovazioni di matrice laica, tra le quali il riconoscimento del diritto di voto alle donne e il divieto dell’uso del burqa afgano. Tutto ciò si tradusse in un sentimento di generale malcontento da parte delle gerarchie ecclesiastiche, le quali non esitarono a organizzare un’opposizione armata contro il regime di Taraki. Il nuovo anno si aprì con ripetuti conflitti tra l’esercito e la resistenza dei mujaheddin – i cosiddetti “combattenti per la fede” – organizzata dagli islamisti afghani e supportata da Islamabad e Teheran.

Taraki venne destituito nel settembre dell’anno seguente con un golpe ordito dal suo rivale e primo ministro, Hafizullah Amin, il quale diede inizio a uno dei regimi più sanguinari nella storia del paese. Durante i primi mesi della sua presidenza, furono infatti eliminati quasi 10 mila oppositori politici, tra i quali numerosi esponenti di spicco della classe media borghese.

Mosca, l’invasone della vigilia di Natale

Le vicende interne afgane, così come i rapidi cambiamenti in corso nella regione – da un lato l’Iran, che in seguito a sconvolgimenti sociopolitici interni, si era da poco trasformato da monarchia a repubblica islamica sciita; dall’altro lato il Pakistan di Zia ul-Haq, filoamericano e intento ad abbracciare un processo di crescente islamizzazione – erano guardate con molta apprensione da Mosca. L’allora presidente del Comitato per la Sicurezza dello Stato (KGB) e i vertici militari iniziarono così a comprendere che un regime sanguinario come quello di Amin non poteva beneficiare del supporto sovietico.

A questo si aggiunsero i tentativi di modernizzare il paese adottati dal PDPA, i quali non fecero altro che approfondire le disuguaglianze fra la capitale e le aree rurali circostanti, alimentando ulteriormente i duri conflitti intestini in corso. Con l’approssimarsi della fine dell’anno la situazione degenerò e per non perdere il controllo del paese, la sera del 24 dicembre 1979, il Cremlino decise di intervenire direttamente nel conflitto. Ebbe così avvio l’Operazione Štorm 333, la quale segnerà l’inizio di una guerra decennale. Amin venne ucciso e giustiziato insieme alla sua famiglia e ai suoi ufficiali.

Conquistata Kabul, i sovietici posero Babrak Karmal a capo dello stato. Successivamente, nel 1986, egli verrà sostituto da Mohammad Najbullah, più vicino alle posizioni russe. L’azione di Mosca venne ampiamente criticata da molti paesi arabi ed europei, Stati Uniti in primis, i quali decisero infine di boicottare le olimpiadi russe del 1980 come gesto simbolico. Allo stesso tempo, tuttavia, essi erano consapevoli che da quel momento in poi l’opposizione islamica avrebbe avuto piede libero nel paese.

La sconfitta e il ritiro

Con l’intervento sovietico in Afghanistan iniziò una nuova fase del conflitto civile. Da un lato, il Cremlino auspicava che il regime mettesse sotto scacco i ribelli islamisti, i quali, a loro volta, erano sostenuti dagli Stati Uniti e dai paesi arabi del Golfo. Fu proprio per merito dell’aiuto delle forze internazionali che i gruppi di mujaheddin riuscirono di fatto a contrastare ogni tipo di offensiva da parte di Mosca. Alle difficoltà sul campo, quest’ultima dovette inoltre fare i conti con l’instabilità domestica di quel periodo: la fine dell’era Breznev, unitamente all’avvento del riformismo rampante di Michail Gorbačëv, furono infatti tra le principali cause del crollo dell’Urss.

Per quest’ultima, che contò circa 15 mila caduti, giungeva così al termine l’ultima prova di forza della sua storia. Per l’Afghanistan, invece, il cui bilancio ammontò a quasi due milioni di morti e a oltre 5 milioni di profughi, iniziava un periodo di profonda instabilità politica e di nuovi drammi. La decisione di Mosca di disimpiegarsi dal conflitto a partire dal 1987 non lasciò infatti alcuna prospettiva di crescita per il paese asiatico, creando le premesse per l’ascesa dei talebani nel 1996, i quali colmarono il vuoto politico che le truppe sovietiche avevano creato. A distanza di tre decenni, l’Afghanistan reca ancora su di sé i segni di una tragedia fra le più crudeli della seconda metà del XX Secolo.
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« Risposta #508 il: Dicembre 26, 2020, 13:42:49 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Kosovo-governo-illegittimo-nuove-elezioni-anticipate

Citazione
Kosovo: governo illegittimo, nuove elezioni anticipate

Il Kosovo andrà alle ennesime elezioni anticipate dopo una sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato decaduto l'attuale governo. Una decisione che conferma il clima di forte confusione politica nel paese. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [24 dicembre 2020]

L'attuale governo kosovaro è illegittimo, ed entro quaranta giorni il paese deve andare a nuove elezioni anticipate. Con questa decisione, resa pubblica lunedì scorso, la Corte costituzionale di Pristina ha messo fine al travagliato esecutivo di Avdullah Hoti, in carica dallo scorso giugno.

L'attuale governo era nato col voltafaccia della Lega democratica del Kosovo, partito del premier, che aveva abbandonato l'alleanza col movimento Vetëvendosje per creare una nuova maggioranza, più incline ad approvare un accordo con la Serbiafortemente sponsorizzato dall'amministrazione Trump e firmato poi a Washington a settembre.

La fiducia al governo Hoti, dopo roventi polemiche, era infine passata in parlamento per un solo voto. Dopo un ricorso di Vetëvendosje, però, la Corte ha stabilito che uno dei parlamentari ad appoggiare la nuova maggioranza, Etem Arifi, non aveva diritto al voto, essendo stato condannato in via definitiva per truffa a quindici mesi di reclusione.

Con la caduta del governo la situazione politica in Kosovo si fa ancora più ingarbugliata, dopo che a inizio novembre il presidente Hashim Thaçi ha rassegnato le proprie dimissioni, dopo essere stato accusato di crimini di guerra dalla Corte Speciale sui crimini dell'UÇK.

La parola viene quindi data ancora una volta agli elettori, che si erano recati alle urne appena diciotto mesi fa. Allora la vittoria era andata a Vetëvendosje, che aveva promesso lotta alla corruzione e riforme. Oggi, dopo le complesse e controverse manovre politiche degli ultimi mesi, è però davvero difficile fare qualsiasi previsione su strategie e parole d'ordine della prossima campagna elettorale.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #509 il: Dicembre 26, 2020, 13:46:23 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Europarlamentari-in-difesa-delle-foreste-rumene-207367

Dice il solito italiano medio:
"Solo in Italia succedono certe cose!"
Ah no, cazzo!, siamo in Romania...

Citazione
Europarlamentari in difesa delle foreste rumene

Su iniziativa della tedesca Viola von Cramon, 83 membri dell'Europarlamento chiedono alla Commissione europea di agire perché si metta un freno al disboscamento illegale in Romania

21/12/2020 -  Paola Rosà
A qualche mese dall'avvio della procedura di infrazione del 12 febbraio scorso, nulla pare cambiato: il disboscamento illegale continua a deforestare vaste aree della Romania, anche zone protette dalla rete Natura 2000 e patrimonio UNESCO, mentre gli attivisti vengono intimiditi, denigrati e intimiditi. A denunciare la situazione, insieme a Greenpeace e a una ventina di associazioni raggruppate nella Federația Coaliţia Natura 2000 România, sono 83 europarlamentari che su iniziativa di Viola von Cramon hanno inviato una lettera ai commissari ad agricoltura, e ambiente, oceani e pesca.

Una lettera la cui pubblicazione sul sito dell'eurodeputata ha sollecitato una piccata replica dell'associazione dei taglialegna rumeni  , che scrivendo anche a tutti i firmatari accusano la von Cramon di aver manipolato un'ottantina di colleghi e di essere lei stessa vittima di una campagna di disinformazione orchestrata da un oligarca rumeno a capo di un'associazione ambientalista.

Ma gli interessi in gioco sono altri.

“Secondo stime di esperti, non meno di due terzi delle foreste primarie d'Europa sono in Romania. Ampie zone intatte nei Carpazi e sui monti Făgăraș sono sopravvissute finora, un patrimonio europeo, se non globale, di valore ambientale inestimabile”, scrivono gli europarlamentari, tra cui solo 4 sono i rumeni. Tra i firmatari, 17 sono i conterranei di Viola von Cramon, tutti del partito dei Verdi, così come dei Verdi sono i 3 italiani Ignazio Corrao, Rosa D’Amato ed Eleonora Evi, ma non mancano iscritti ad altri gruppi, dai popolari ai socialisti, di quasi tutti i paesi membri, dalla Polonia alla Francia, dall'Ungheria a Slovenia e Finlandia.

“Un'avidità senza scrupoli e una corruzione su larga scala hanno seriamente compromesso questi tesori europei ed abbiamo ormai poco tempo per adottare misure di tutela – prosegue la lettera – se non si agisce subito, le foreste sopravvissute saranno perdute per sempre. Dall'avvio della procedura di infrazione  il 12 febbraio 2020 sono stati devastati migliaia di altri ettari, che si aggiungono alle decine di migliaia di ettari già disboscati illegalmente negli anni precedenti. Si stima che almeno 80 milioni di metri cubi di legname siano andati perduti”.

Gli eurodeputati condividono la preoccupazione delle associazioni ambientaliste rumene che in un documento ricordano come in Romania il settore del taglio del legname non sia incluso nelle attività potenzialmente impattanti per l'ambiente, “per cui non servono permessi, tranne poche eccezioni nelle aree protette”. Aree protette dalla cui gestione, nel 2018, sono state escluse le organizzazioni ambientaliste. “Ci sono forti pressioni, e si delegittimano quelli che si oppongono”, riferisce anche Greenpeace.

Dal 2014, come si ricorda anche nella lettera inviata ai commissari europei, sono state uccise 6 guardie forestali e sono stati denunciati centinaia di casi di violenza ai danni anche di associazioni, ambientalisti e civili. La Romania è l'unico paese della UE dove vengono uccisi i difensori dell'ambiente.

“Mi preoccupano molto anche i sempre più numerosi attacchi alla società civile e a organizzazioni attive nella tutela delle foreste – riferisce Viola von Cramon in un comunicato – campagne di disinformazione e denigrazione, intimidazioni e minacce sono purtroppo pane quotidiano per gli attivisti in Romania. Questo deve finire”.

Molte delle aree in cui continuano le attività di disboscamento illegali si trovano in zone protette dalla rete Natura 2000 o sono patrimonio UNESCO, per cui a febbraio la Commissione aveva avviato una procedura di infrazione contro la Romania; ma la lampante inerzia del governo di Bucarest in questi mesi fa tornare la questione urgente.

“Il sistematico disboscamento illegale in Romania delle ultime foreste originarie sta causando enormi danni a questi ecosistemi, particolarmente importanti per la lotta al riscaldamento climatico. Incombe la minaccia di una distruzione irreversibile di un patrimonio naturale particolarmente prezioso, con un danno enorme alla biodiversità”, continua l'eurodeputata.

I paradossi in Romania non mancano: il budget dell'agenzia statale che si occupa della gestione delle foreste, la Regia Nationala a Padurilor, ad esempio, dipende dalla produzione di legname, il che costituisce un disincentivo a tutelare la biodiversità mentre si è portati a massimizzare la produzione di legname per finanziare l'apparato burocratico. Ma la devastazione e gli intrecci con la criminalità organizzata sono assodati, come emergeva da un video dello scorso aprile  in cui EuroNatur, Agent Green e ClientEarth fornivano alla Commissione elementi concreti di denuncia dell'inerzia – se non complicità – del governo di Bucarest. Governo che già a febbraio era stato chiamato a rapporto dalla Commissione Europea tramite la procedura di infrazione.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.