Autore Topic: "Train to Busan" + "Seoul Station"(Corea del Sud 2016), Yeon Sang-Ho  (Letto 1685 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Suicide Is Painless

  • Moderatore
  • Veterano
  • *****
  • Post: 2061
  • Sesso: Maschio
  • Le donne non voglion mai passare per puttane,prima
"Train to Busan" + "Seoul Station"
Horror- animazione, 2016, [Corea del Sud], Yeon Sang-Ho.

Un altro virus zombesco si scatena in Corea del Sud trasformando le persone in mostri velocissimi e rabbiosi che danno la caccia alle persone per divorarle. I film d’azione zombesca non sono più una novità ma anzi sono un genere ormai fin troppo abusato, eppure ogni tanto continua ugualmente ad uscire qualcosa di emozionante.  Train to Busan è veramente il migliore film di zombi da oramai qualche tempo, e forse riuscirà ad apportare persino nuova linfa per il futuro di questo filone.  Dopo il ritorno al successo commerciale con pellicole come:  “Resident Evil” (2002) e “28 giorni dopo”(2003) in poi, sono stati fatti centinaia di film e serie TV con protagonisti gli zombi, alcuni prodotti sono diventati famosissimi e di grande importanza commerciale (The Walking Dead), la maggior parte solamente di sfruttamento commerciale. Train to Busan raccoglie le coordinate regolari del genere di oggi, ovvero degli infetti iper-cinetici, rielaborandole in modi talmente vibranti che alla fine della visione ti lasciano frastornato. Possiede anche una delle sequenze di apertura più emozionanti e memorabili degli ultimi anni. L’attenzione al dettaglio sugli angoli di ripresa, sulla fotografia, su i dialoghi e la narrativa, è attiva per l’intera durata e non l’abbandona mai. La stessa proseguirà ad accompagnare il ricordo nello spettatore anche una volta finito per la sua precisione e perfezione. Non parliamo di piccoli dettagli ma di ciò che lo rendono un’esperienza emozionante e rimarchevole.

Abbiamo quattro personaggi principali, divisi in due coppie: una relazione padre- figlia e un marito con la moglie incinta. Questi quattro personaggi rimarranno i protagonisti del film, con altri che entreranno e usciranno per impegnarsi nella battaglia contro gli zombi, assieme ai quattro di cui sopra. Personaggi in perenne fuga dal virus zombie in un ambiente così ristretto come pochi altri, un treno diretto nella città portuale più grande della Corea, Busan. Mentre cercano di sopravvivere i personaggi hanno una realizzazione alla vita, interagendo anche con diverse classi sociali e diverse vedute, il che rende il tutto significato molto attuale e di aperta critica sociale e politica, come nella visione romeriana originale dei film di zombi. Il significato metaforico è mantenuto fin dagli aspetti personali delle vite dei protagonisti, ed è custodito nella questione dell’aiuto e del coraggio; il tuo dovere di aiutare i bisognosi nel contesto di una società estremamente competitiva e classista, fondamentalmente disumana come quasi tutte quelle orientali. Un altro significato di Train to Busan è il mantenere la famiglia unita, forse l’aspetto più importante per lo sviluppo di un bambino. Nel film c’è molto sui rapporti, il significato di famiglia, e quella piccola parte di esso che rimane nei personaggi, nel loro amore verso sé stessi e verso gli altri. Tuttavia, per non restituirlo alla gente che ne avrebbe più bisogno.

Un film in cui tutti vengono inseguiti, ovviamente, è assedio zombesco tuttavia l’ansia che ogni personaggio porta con sé, il tutti contro tutti e la perenne concitazione della fuga, rendono Train to Busan uno dei film d’azione più emozionanti tra quelli usciti dalla Corea del Sud negli ultimi anni. L’unica annotazione critica che gli si può imputare è forse la durata troppo elevata e alcune ripetizioni con momenti prolissi. Parti che potevano essere anche rimosse, la trama sarebbe rimasta esattamente identica. Anche così Train to Busan rimane un’opera entusiasmante e molto attanagliante. Sollecita e fa scaturire numerose emozioni a causa dei suoi diversi significati. Senza dubbio è un film brillante che mantiene l’interesse dall’inizio alla fine.
La creatura mitica che abbiamo decodificato con la definizione di zombi, è sempre stata intesa come portatrice di profondi significati, spirituali e metaforici. George A. Romero ne ha ridefinito il mito e ri- contestualizzato il significato con il suo leggendario film “La Notte dei morti viventi”(Night of the Living Dead)(1968) . Negli ultimi tempi, tuttavia, lo zombie nella finzione moderna ha avuto ridotta la sua portata politica e simbolica, essendo relegato a figura crivellata di proiettili in pellicole d’azione o senza background interpersonali dei personaggi, basati sulla scrittura dei caratteri.

“Seoul Station”, è invece un prodotto che funge da prequel di Train to Busan e mira a inserire nuovamente la metafora nel mostro con un commento sociale di dannazione, avvolto in un racconto di sopravvivenza disperata. La storia si sviluppa soprattutto attraverso gli occhi di tre personaggi: una giovane in fuga di nome Hye-Sun, il suo manipolatore Ki-Woong e suo padre Suk-Kyu che è venuto in città per trovarla. Mentre Ki-Woong cerca di costringere alla prostituzione Hye-Sun, attraverso un annuncio erotico,  il padre Suk-Kyu li rintraccia e affronta il pappone per liberare sua figlia.

La vicina Stazione di Seoul, il terminal principale della nazione nella capitale della Corea del Sud, serve come ground zero per la pandemia zombesca in arrivo. Nella scena di apertura del film, un uomo ferito ci viene incontro attraverso la passeggiata della stazione. Un paio di persone cercano di aiutarlo ma quando vedono e soprattutto sentono dall’odore di un senza tetto, si allontanano con disgusto. Assistiamo così alla prima di molte critiche sociali pungenti che ci vengono presentate – in questo caso come un ammonimento sulle convenzioni in apparenza cortesi di una società coreana che lascia scivolare semplicemente via chi ne rimane emarginato ed estromesso. Nella scena seguente vediamo Hye-Sun che si imbatte per la prima volta con una folla di non-morti insieme a un gruppo di senzatetto che vive nelle vicinanze. Il gruppo trova rifugio in una stazione di polizia ma i poliziotti vedono nei sopravvissuti soltanto dei reietti sconfitti dalla società e non offrono loro alcun rifugio. Più tardi, Suk-Kyu e Ki-Woong incontrano un blocco stradale forzato e fortificato, mentre cercano di raggiungere Hye-Sun. Un gruppo di diverse dozzine di sopravvissuti è intrappolato in un vicolo tra il blocco della polizia e la loro stessa barricata improvvisata creata per mantenere gli zombi a bada. A questo punto, l’allegoria ingrana molto bene il proprio meccanismo e diventa una dura condanna della brutalità della polizia, della militarizzazione governativa e dell’apparenza / apatia dell’autorità in quanto la gente viene tenuta in una quarantena forzata grazie agli idranti antincendio, ai gas lacrimogeni e anche alle letali armi da fuoco.

Al culmine del film, il commento sociale si dipana ancora una volta, questa volta in una breve condanna della divisione economica in rigide classi. Dopo essere appena sfuggiti da una legione di zombie rabbiosi, uno dei nostri eroi si scompiglia attraverso la finestra aperta di quello che sembra essere un edificio per cercare aiuto. Le grida non servono, perché l’edificio è in realtà una sontuosa sala per mostrare arredi interni, uno show-room per altre alte ville e condomini che possono essere acquistati a grosse somme. La lotta disperata per sopravvivere sia all’orda dei non morti che alla crudeltà dei vivi è un riflesso diretto della lotta per la sopravvivenza e per far fronte ai propri limiti di classe.Con tutte queste metafore da mostrare sul piatto, “Seoul Station” non dimentica mai anche di offrire in diretta l’orrore inarrestabile dei film di zombi. Una volta che costruisce la tensione e prende lo slancio il pubblico viene coinvolto in ogni situazione pericolosa che diventa palpabilmente tesa, in cui ogni uccisione diviene terribilmente inquietante. La natura inquietante della violenza e della tensione è resa ottimamente dalla sceneggiatura anche se l’effetto non è immediatamente evidente.

Il regista Yeon Sang-Ho, è famoso per i suoi due precedenti a acclamati film d’animazione, “The King of Pigs” (2011) un’esplorazione inquietante e violenta del bullismo infantile e del trauma che ti lascia, e “The Fake”  (2013) una critica rovente della religione organizzata. Mentre “The King of Pigs” ha uno stile piuttosto fluido in linea con l’animazione contemporanea, “The Fake” ha un approccio ancora più caricato ma ancorato alla sua animazione che produce un effetto volutamente inquietante rispetto all’estetica minimalista del successivo “Seoul Station”. Ci vuole un po ‘di tempo per abituarsi al movimento non molto rotoscopico messo in mostra, specialmente quando i personaggi compiono esagerate e colloquiali gesticolazioni con le mani, (o emettono melodrammatici e sovraccarichi versi gutturali nelle loro fraseologie originali), che si suppone sarebbero stati meglio serviti da un movimento più fluido. Tuttavia, questo valido effetto flou serve a mantenere costantemente alta la tua attenzione e la soglia di percezione, inducendoti la sensazione che qualcosa di profondamente sconvolgente sia in atto per tutto il tempo della durata del film, e che in ultima analisi rafforza l’allegoria di una società in disfacimento. “Seoul Station” è in realtà la prima parte di una saga coreana di Zombie che ancora non si è conclusa. E’ il prequel del su affrontato Train to Busan, debutto nel cinema in live-action dello stesso  Yeon Sang-Ho, e che si svolge un giorno dopo gli eventi di “Seoul Station”. Train to Busanè stato premiato a Cannes lo scorso anno e ha guadagnato notevoli giudizi positivi. Sono stati effettuati diversi confronti con il capolavoro “Snowpiercer” di Bong Joon-ho, e non c’è dubbio che Yeon abbia padroneggiato lo stesso tipo di marca allegorica, basandosi sul suo lavoro fino ad ora. “Seoul Station” infonde una nuova vita alla genia dell’usurato cinema di zombie, con sanguinose emozioni e dando un incisivo punto di vista coreano che lo fa stagliare nettamente dalla marea di titoli simili degli ultimi anni.

Suicide Is Painless
Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.