Autore Topic: CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX  (Letto 41764 volte)

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #15 il: Marzo 20, 2016, 16:31:42 pm »
A proposito del "miracolo ungherese".

http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/06/news/ungheria_intervista_konrad-82879419/

Citazione
Lo scrittore Konrad: "Sotto Orban l'Ungheria ha più poveri e più diseguaglianze"

Dissidente sotto la dittatura, oggi emarginato dalla vita politica, il grande autore magiaro boccia il premier conservatore: "Ma stia attento a non stancare l'Europa"
06 aprile 2014

Lo scrittore Konrad: "Sotto Orban l'Ungheria ha più poveri e più diseguaglianze"
Gyorgy Konrad
BUDAPEST - "Ha polarizzato il paese come non mai, pensa solo ai suoi amici ricchi, ho sperato fino all'ultimo in un suo insuccesso". Così parla Gyorgy Konràd, forse il massimo scrittore ungherese vivente, dissidente sotto la dittatura comunista e dissidente oggi.

Perché Orbàn piace a tanti elettori?
"Attenzione, sorprese sono sempre possibili, ho la sensazione che potremo averle. O che egli perda, ed è meno probabile, o che vinca ma meno dell'altra volta, e questa è meno inverosimile. Che non raggiunga la maggioranza dei due terzi".

Sorprese possibili, perché?
"Perché speriamo che gli elettori se gli negheranno la maggioranza di due terzi indicheranno che non vogliono che lui dopo una vittoria troppo grande si vendichi contro l'opposizione. E lo costringano in qualche modo a negoziare con l'opposizione democratica. E'la migliore opzione possibile. Il caso più pessimista, cioè lui con di nuovo la maggioranza dei due terzi, sarebbe un male, ma renderebbe insicuri gli ambienti economici. E già ora lui appare insicuro, lo si sente dai suoi discorsi, dall'esagerata propaganda con lui e solo lui ovunque, quei poster col suo volto e poche parole, 'solo la Fidesz, Viktor Orbàn, premier d'Ungheria', come a dire lui per sempre: Io voglio sentirmi in Europa, non in Corea del Nord! E poi alla sua dimostrazione di sabato scorso, hanno portato gente dalle campagne e anche dalle comunità ungheresi all'estero: gita offerta per riempir le piazze. Si dice che ricevano anche soldi se vengono da fuori città".

Però l'economia tira, e questo aiuta il premier, no?
"Sì, ma povertà e disuguaglianze sono aumentate. Abbiamo bambini che soffrono la fame, non costerebbe molto sfamarli con pasti caldi a scuola anziché costruire stadi di calcio anche nel villaggio natale di Orbàn".


Orbàn che tipo di leader è: un pragmatico che vive nel mondo d'oggi, o un altro tipo di leader?
"Orbàn non vive nel mondo reale, dico di lui quello che Angela Merkel dice di Putin. Lui non vuole perdere e non guarda ai perdenti nella società, guarda e pensa solo ai vincitori, i favoriti che ricevono regali e favori da lui. Non ama negoziare, non ama condurre dibattiti né attacchi e critica, non ama persone che abbiano in pugno un'autorità indipendente ma solo quelli che ricevono autorità da lui. Non ama i poteri autonomi. Perché forse li ritiene nemici in quanto indipendenti da lui. Ama chi ha ricevuto potere da lui e quindi gli deve essere grato. Non è una dittatura ma è un po' un Fuehrerstaat, lui è un giocatore solitario. La legittimità emana da lui personalmente e solo da lui. E la gente ha paura di ritorsioni, magari di perdere il lavoro. Lo conosco dai decenni del dissenso contro il comunismo, lui è innamorato di se stesso. E crede in un governo forte guidato da un uomo forte".

Finora è stato popolarissimo, continuerà a riuscirci?
"Dipende da come si muoverà nell'Unione europea. Deve stare attento a non stancare ed esasperare la Ue. Può farcela se continua a ridurre il debito. Ma intanto fa accordi con Putin, per esempio col contratto per la centrale atomica, firmando un contratto per miliardi con Mosca. Il rischio che ha creato è di un'assoluta dipendenza energetica dalla Russia. Orbàn tiene ai rapporti con Mosca, con l'Arabia saudita, con autocrazie mediorientali, con Erdogan di cui è amico e altri autocrati come quelli delle ex repubbliche sovietiche. Una volta ha detto che siamo costretti a danzare la danza del pavone tra Occidente ed Est autocratico, a parlare con ciascuno il linguaggio che l'interlocutore ama di più ascoltare. E' un mentitore ben conscio di esserlo. E' il politico più popolare da noi, perché dà un grande senso di sicurezza ed identità nazionale specie ai poveri".


http://www.linkiesta.it/it/article/2014/04/05/ungheria-paese-dei-falsi-miracoli-economici/20528/

Citazione
Ungheria, Paese dei “falsi miracoli” economici
Come si presenta al voto
di Luigi Pandolfi

Domenica 6 aprile gli ungheresi vanno al voto per eleggere il nuovo parlamento. Sono le prime elezioni generali da quando è entrata in vigore la nuova costituzione. L’Ungheria è da qualche anno nel mirino della stampa internazionale per le virate autoritarie del governo in carica e queste elezioni, che si svolgeranno con una nuova legge elettorale sfacciatamente confezionata sulle esigenze del partito al potere, risentiranno anche degli strombazzi governativi sullo stato dell’economia.

Ma andiamo con ordine. Dal 2010 il Paese è guidato da Viktor Orban, capo indiscusso degli “arancioni” della Magyar Polgári Szövetség (Fidesz), un partito che negli anni Novanta si è fatto strada tra gli elettori magiari mostrando un volto liberale e progressista, fermamente anticomunista.

Oggi la Fidesz è membro del Partito popolare europeo (Ppe) e nei suoi documenti ufficiali non è dato alcun indizio della sua vena reazionaria e autoritaria. Sono però i fatti ad incaricarsi di denunciare l’anomalia incarnata da questo partito, che da alcuni anni persegue con impareggiabile tenacia il suo esperimento di “rivoluzione nazionale”. Di cosa si tratta? Presto detto. Una serie di modifiche alla costituzione, tre il 2011 ed il 2012, hanno decisamente cambiato il volto del Paese. È stato inserito nella legge fondamentale dello stato il principio che riconosce «il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione», che, unito all’invocazione della benedizione di Dio nel preludio al testo ed all’uso dell’espressione «Nazione magiara» in luogo di «Repubblica ungherese», evidenzia una deriva illiberale delle istituzioni repubblicane. Tanto più che da questi principi sono discesi, a cascata, una serie di provvedimenti che hanno inferto colpi durissimi alle libertà fondamentali e allo Stato di diritto.

Orban vinse le elezioni quattro anni orsono giovandosi della grave crisi economica che attraversava allora l’economia nazionale. È utile ricordare a tal proposito che l’Ungheria è stato uno dei primi stati europei ad essere contagiato dalla crisi finanziaria scoppiata oltreoceano nel 2007. Il Paese, allora governato dai socialisti, per evitare la bancarotta si rivolse al Fondo monetario internazionale e all’Unione europea, con i quali pattuì, in cambio di misure di rigore, un piano di aiuti da 20 miliardi di dollari.

Contemporaneamente furono adottate drastiche misure di austerità che, sommate ai sacrifici già chiesti alla popolazione in vista dell’ingresso nell’Unione, finirono per appesantire lo stato di salute dell’economia e la condizioni materiali di vita delle famiglie. Uno schema che si ripeterà presto anche in altri Paesi europei, a cominciare dalla Grecia per finire all’Italia.

E alla fine a rimetterci è stata anche la democrazia. L’Ungheria, da questo punto di vista, ha anticipato i tempi: crisi economica e austerità hanno fatto da brodo di coltura per il populismo più estremo e le tendenze più reazionarie presenti nel panorama politico del Paese.

Così, quando la Fidesz è ritornata al governo, si è mossa su un doppio binario: politica identitaria da un lato e riduzione degli spazi di libertà dall’altro. Un tentativo di uscire per via populistica dal pantano in cui si trovava immerso il Paese, mescolando liberismo economico, nazionalismo, anticomunismo e politiche repressive.

Il risultato?

Su alcuni media europei, e segnatamente sul web, si parla con insistenza di un presunto “miracolo” ungherese. Tanto che da parte di alcune correnti “sovraniste” e anti-euro del continente, questo Paese viene elevato al rango di modello. I contenuti della narrazione sono questi: l’Ungheria ha cacciato il Fondo monetario internazionale e recuperato la sua sovranità monetaria; cosi facendo ha rilanciato la sua economia e risolto una serie di problemi sociali, a cominciare dalla disoccupazione dilagante. Cosa c’è di vero? Molto poco.

È vero che il governo di Orban ha ripagato in anticipo (un anno prima) il debito che aveva col Fmi. L’ha fatto in tre valute: 1,7miliardi di dollari Usa, 570 milioni di euro e 255 milioni di sterline di Sua Maestà Britannica. In totale, Budapest ha ripagato in anticipo una somma che espressa in Sdr (Diritti speciali di prelievo, il metro di calcolo del Fmi) è circa 2,15 miliardi di euro.

Alcuni media europei, tra cui anche alcuni giornali italiani, hanno parlato di “mistero” a proposito della provenienza dei capitali che hanno consentito di estinguere anticipatamente quel debito. Oggi però si fa sempre più insistente l’ipotesi (per molti una certezza) che i soldi per fare l’operazione, Orban li abbia avuti da una finanziaria americana, per di più ad un tasso superiore di quello praticato dal Fmi.


In questo caso si sarebbe trattato di una mera operazione di facciata, di una trovata propagandistica, da dare in pasto all’opinione pubblica interna.


Anche con riguardo alla “ritrovata sovranità monetaria” le cose non stanno proprio come alcuni propalatori del mito ungherese vorrebbero darla ad intendere. Se da un lato è vero che il governo ha posto sotto il proprio controllo la Banca centrale, la stessa cosa non si può dire a proposito di politiche monetarie espansive che di fatto non ci sono mai state. Lo dimostra il tasso di inflazione, fermo al 2,3 per cento, il più basso di sempre. E ciò non tanto per un’encomiabile prudenza delle autorità di governo, quanto per il rapporto, mai veramente incrinato, che quest’ultime mantengono con la Bce e l’Unione europea.

Da questo punto di vista la strategia di Orban è chiara: usare la retorica della sovranità all’interno per fini politico-elettorali e mantenere rapporti più o meno corretti con Bruxelles, da cui provengono ingenti risorse per l’ammodernamento infrastrutturale del Paese.

E qui si apre un altro capitolo. C’è una società, la Közgép Zrt, una holding specializzata nella costruzione di strutture in acciaio e di grandi opere ingegneristiche, che fa capo a Lajos Simicska, ex responsabile finanze della Fidesz passato per incarichi di governo nel primo gabinetto Orban nel 1998, che, secondo i dati forniti dal giornale di sinistra Magyar Narancs, verificati anche da Reuter, avrebbe vinto appalti pubblici negli ultimi anni per oltre 200 miliardi di fiorini (circa un miliardo di dollari). Per la maggior parte opere finanziate con fondi europei. L’ipotesi che gira insistentemente in Ungheria è che una quota dei profitti miliardari della Közgép Zrt andrebbe proprio al partito di governo, che in questo modo si finanzierebbe attraverso proventi europei destinati allo sviluppo del paese.

Che Orban, al di là della retorica, non abbia alcuna intenzione di sganciarsi dall’Unione europea (Il suo ingresso nel club dell’Euro non avverrà comunque prima del 2020) lo dimostrano peraltro tutte le sue scelte in materia fiscale ed economica, che, sebbene abbiano destato qualche preoccupazione iniziale presso la Bce e la Commissione, sono tutte orientate a far rispettare al proprio paese i parametri imposti dai trattati, compreso quello che fissa la soglia del rapporto tra deficit e Pil al 3% (Dal 4,2 per cento del 2010 si è giunti all’attuale 1,9 per cento!).

Un’altra prova dei rapporti “sostanzialmente” cordiali tra Budapest e Bruxelles? Eccola. Nel gennaio del 2012 la Commissione europea aveva aperto contro l’Ungheria tre procedure d’infrazione, una riguardante l’indipendenza della Banca centrale, un’altra per la riforma della magistratura, la terza per le norme varate in tema di privacy e gestione dei dati personali dei cittadini. Il 1 agosto dello stesso anno due di esse erano già state chiuse, tra cui proprio quella sull’indipendenza della Banca centrale, a seguito dell’approvazione di alcuni emendamenti alla legge di riforma concordati da Orban direttamente con José Maria Barroso.

Per quanto riguarda le altre procedure rimaste aperte, relative alla riforma in senso autoritario della costituzione, il governo ungherese si è detto invece “disposto ad un compromesso”.

Tornando all’economia ed al presunto “miracolo”, alcuni dati ci permettono di inquadrare meglio la situazione e di smontare con facilità alcuni luoghi comuni.

Nel 2012 il Pil dell'Ungheria è arretrato dell'1,7 per cento, prolungando il ciclo negativo già registrato nel 2010 e 2011, rispettivamente con un -1,3 per cento e -1,6 per cento. Per il 2013 si stima una crescita intorno allo 0,2 per cento, mentre nel 2015 è prevista una crescita dell’1,2 per cento. Dati che la collocano dietro tutti i suoi vicini di casa, dalla Repubblica Ceca, alla Slovacchia passando soprattutto per la Polonia.

Un po’ meglio vanno le cose sul versante occupazionale, se è vero che nell’ultimo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione si è attestato al 9,1 per cento, dato più basso dal 2008 (La media europea è sopra il 12 per cento).

Molto controversa è invece la questione dell’aumento dei salari minimi, anch’essa presa a modello da alcuni per glorificare le politiche “sociali” di Orban. E’ vero, in base all’accordo siglato con i sindacati nell’anno appena trascorso è stato stabilito un aumento del 5,3 per cento, da 93mila a 98mila fiorini, per i lavoratori di base e del 5,6 per cento, da 108mila a 114mila fiorini, per le professioni che richiedono qualifiche specifiche. Tali aumenti, tuttavia, devono essere valutati alla luce della riforma fiscale che il governo Orban ha approvato nel 2011. Una “riforma” che ha cancellato la progressività della tassazione sul reddito delle persone fisiche attraverso l’introduzione di un’aliquota fissa del 16% (“Flat tax”).

Oggi l’Ungheria è uno dei pochi Paesi al mondo ad aver addirittura costituzionalizzato il principio della tassazione “piatta”, senza scaglioni di reddito. Il risultato è stato che più della metà dei cittadini ungheresi oggi vivono in condizioni di maggiore difficoltà economica rispetto al passato, con netto vantaggio per i redditi più elevati. Chi ci ha guadagnato da questa riforma fiscale sono stati certamente i grandi gruppi industriali, che si sono visti innalzare la soglia per la tassazione agevolata degli utili da 50 milioni di fiorini (180 mila euro) a 500 milioni di fiorini (circa 1,8 milioni euro).

A tutto ciò si deve aggiungere poi che tra le “riforme” fatte dal governo in nome della “rivoluzione nazionale” ci sono anche quelle sul mercato del lavoro, con le quali sono stati resi più facili i licenziamenti, soprattutto a danno di chi fa politica e di chi è impegnato nel sindacato, ma anche delle donne in gravidanza e delle madri.

E se da un lato sono state ridotte le bollette di luce e gas, questo risparmio è stato del tutto compensato dall’aumento dell’Iva (Afa) al 27 per cento (La più alta d’Europa) e dall’aumento del costo del trasporto pubblico, treni in primis (+15 per cento). La tanto sbandierata aliquota al 5 per cento si riferisce solo a medicinali, apparecchiature medicali e giornali e per gli alimenti di base l’aliquota è al 18 per cento, contro quella italiana, ad esempio, che è stabilità al 4 per cento.

In Ungheria, insomma, non c’è alcun “miracolo” da registrare, ma un mix di autoritarismo e di furbizia diplomatica che consentono al Paese di fare la voce grossa senza mai pestare i piedi ai poteri che contano, in Europa ed oltreoceano. Questo Bruxelles l’ha capito, per questo le sue “censure” sono rimaste finora solo grida manzoniane.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
Augusto, 18 a.C.

Offline Angelo

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #16 il: Marzo 20, 2016, 22:44:55 pm »
Frank, l'Ungheria ha tanti problemi ma non certo quelli elencati in questi articoli. Orban è un fastidio perchè è molto indipendente dalla politica da sguatteri degli altri stati europei. Tale indipendenza danneggia gli interessi dei soliti noti.
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Gilbert Keith Chesterton

Offline Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #17 il: Marzo 21, 2016, 00:30:02 am »
Frank, l'Ungheria ha tanti problemi ma non certo quelli elencati in questi articoli. Orban è un fastidio perchè è molto indipendente dalla politica da sguatteri degli altri stati europei. Tale indipendenza danneggia gli interessi dei soliti noti.

Sì, questo è chiaro, tuttavia l'Ungheria ha anche quei problemi, Angelo.
Mi riferisco al c.d. "miracolo economico" e alle diseguaglianze, di cui i nostri quotidiani nazionali non parlano mai.
I quotidiani italiani parlano solo delle magagne italiane.
Io, invece, nel mio piccolo mi sono preso l'onere di evidenziare anche quelle dei paesi stranieri, visto e considerato che delle nostre sappiamo già tutto.
Per cui è bene approfondire.
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #18 il: Maggio 12, 2016, 23:52:56 pm »
Sempre perché all'estero (Romania e zone limitrofe) funzionerebbe tutto a meraviglia.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=850785475048622&set=gm.1342675209079637&type=3&theater
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Offline Frank

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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #19 il: Maggio 15, 2016, 09:15:48 am »
Sempre perché all'estero (Romania e zone limitrofe) funzionerebbe tutto a meraviglia.

http://www.resistenze.org/sito/te/po/ro/porofe03-016262.htm
Citazione
www.resistenze.org - popoli resistenti - romania - 03-05-15 - n. 542
Disuguaglianza e illegalità: il 29% dei romeni guadagna meno del salario minimo legale e l'83% meno del salario medio

José Luis Forneo | imbratisare.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

24/04/2015

Secondo gli ultimi dati dell'Ispettorato del lavoro, pubblicati da Ziarul Financiar, dei 4,5 milioni di romeni che hanno attualmente un contratto di lavoro, l'83% deve sopravvivere con meno di 400 euro al mese. L'estrema e crescente disuguaglianza salariale degli ultimi tre decenni di capitalismo in Romania, si può nitidamente vedere nelle seguenti percentuali:

- il 29% dei lavoratori con contratto di lavoro sopravvive con meno di 975 lei lordi al mese (circa 215 euro): 180 euro netti.

- un 54% riceve ogni fine mese, in cambio della propria forza lavoro, tra i 975 e i 2.400 lei lordi (215-500 euro lordi): tra 180 e 400 euro netti.

- cioè, l'83% dei lavoratori della Romania guadagna meno di 400 euro netti al mese (l'imposta sul reddito in Romania, altra dimostrazione della disuguaglianza promossa dalle istituzioni capitalistiche, è unica, indipendentemente dal salario ed è del 16%).


- dall'altra parte, solo 200.000 privilegiati (il 4%) guadagnano più di 5.000 lei lordi al mese (circa 1.100 euro), cioè più di 900 euro netti al mese, la stragrande maggioranza nella capitale Bucarest, mentre il restante 15% riceve tra i 2.400 e i 5.000 lei lordi al mese (cioè 500-1.100 euro lordi, 400-900 euro netti).

Di seguito, possiamo vedere una mappa dei salari medi previsti per questo 2015 in Romania, divisi per province: a Bucarest, il salario medio arriva a 2.571 lei lordi al mese, circa 571 euro (2.100 lei o 470 euro netti) a fronte dei 1.202 lei lordi (circa 260 euro) della provincia transilvana di Harguita (1000 lei/220 euro netti).



Non bisogna dimenticare che le cifre della mappa precedente si riferiscono ai salari medi. La grande disuguaglianza esistente in Romania fa si che un piccolo numero di persone abbia salari molto alti, mentre la grande maggioranza percepisca salari vicini a quello minimo, che attualmente è di 975 lei lordi (819 netti, cioè 180 euro).

Vale a dire, riassumendo le conclusioni alle quali arriva il giornale Voxpublica dopo lo studio dei dati dell'Ispettorato del lavoro e che rimarca l'enorme disuguaglianza salariale della Romania in un articolo intitolato "L'osceno spettacolo dell'illegalità in Romania", approssimativamente l'83 % dei lavoratori romeni ha un salario inferiore al salario medio (2.400 lei lordi, 2000 netti) mentre solo il 17% si posiziona al di sopra di questo (senza dimenticare l'esplicativo dato relativo del 29% dei lavoratori romeni che riceve uno stipendio inferiore al salario minimo legale di 975 lei lordi, cioè 819 netti, con la consapevolezza ed ovviamente la complicità del governo, come si addice ad un regime capitalista al servizio unico ed esclusivo degli interessi dell'impresa, della classe capitalista).
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #20 il: Giugno 03, 2016, 16:35:21 pm »
Ogni tanto mi imbatto in qualcuno che ragiona in maniera molto simile alla mia...
Certo, son mosche bianche, ma niente non è.

http://www.lettera43.it/cultura/italiani-inguaribili-esterofili-e-ora-di-finirla_43675148670.htm
Citazione
Italiani inguaribili esterofili: è ora di finirla

Basta col modello giapponese, islandese, danese. Valorizziamo le nostre eccellenze.

di Franco Moscetti
24 Novembre 2014

Purtroppo il nostro è un Paese che non riesce ad avere una vera identità nazionale.
Gli italiani (in genere) sono abbastanza “auto distruttivi” e preferiscono mettere in mostra i propri vizi piuttosto che le proprie virtù.
Se chiedete a un francese di parlarvi della sua nazione vi dirà immediatamente: «Abbiamo il Louvre, la torre Eiffel, Parigi è la più bella città al mondo».
Se provate con qualunque altro Paese evoluto sarà identico: la prima cosa di cui vi parleranno riguarderà bellezze o eccellenze.
IN ITALIA «ABBIAMO LA MAFIA». E gli italiani? Be' gli italiani citeranno la mafia, i problemi politici e le nostre più belle città verranno presentate come latrine all’aperto.
Nessuno penserà di dire che in Italia abbiamo la Ferrari, le città più belle al mondo, il 75% delle opere artistiche esistenti al mondo, Leonardo, Tiziano.
Per gli italiani tutto quello che hanno gli altri è fantastico. Tutto quello che possediamo noi una schifezza.
Se qualcuno di Centocelle (quartiere di Roma) va a Parigi visita il Louvre e non la banlieue (periferia parigina) dove, in alcune zone, la polizia stessa ha difficoltà a entrare.
È normale che tornando a casa il confronto con la propria realtà gli sembrerà certamente impari.
Nella soluzione dei propri problemi gli italiani, inoltre, fanno sempre e comunque riferimento a soluzioni straniere.

NON DOVEVAMO DIVENTARE GIAPPONESI? Negli Anni 90 dovevamo diventare tutti giapponesi. La qualità totale era una religione.
Il libro The machine that changed the world, ovvero la storia della lean production alla Toyota, era diventata una sorta di Bibbia.
Toyota veniva presentata come la perfezione qualitativa, salvo poi essere obbligata a ritirare un po’ di anni dopo qualche milione di auto per difetti di costruzione; come sia andata più in generale in Giappone è sotto gli occhi di tutti.
Ma anche recentemente il Giappone per molti era tornato un benchmark perché continuava a stampare carta moneta per uscire dalla crisi.
Gli anti euro presentavano l’approccio giapponese (ma in alcuni casi anche quello argentino) come l’unico percorribile per risolvere i nostri problemi. Su come sia andata a finire stendiamo un velo pietoso.
VIVA IL MODELLO ISLANDESE, ANZI IRLANDESE. Sempre in epoca recente è stato presentato il modello islandese (l’Islanda non arriva a 350 mila abitanti, meno di un quartiere di Milano), saremmo dovuti tutti diventare spagnoli, avremmo dovuto trovare soluzioni fiscali simili all’Irlanda e naturalmente potrei continuare.
Risolvere il problema della disoccupazione in Italia? Semplicissimo: basta implementare il modello di “flexicurity” danese.
Andate in Danimarca, chiedete ai capi azienda come funziona e quanti anni ci hanno messo a mettere a punto questo modello in un Paese di neanche 6 milioni di abitanti che ha uno dei più alti livelli di scolarità a livello internazionale.
Prendete un taxi a Copenaghen per capire le differenze culturali (e di buona educazione) con il nostro Paese.
UN PO' AMERICANI E UN PO' SCANDINAVI. Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni è assurdo sognare un Paese che abbia contemporaneamente il modello economico americano (uno dei più destrutturati al mondo); il modello di welfare scandinavo (uno dei più socialisti al mondo); una burocrazia di stampo francese (uno dei modelli più centralizzati al mondo); una governance di stile anglosassone (basata su comportamenti da “civil servant” più che sulle leggi).
Come ulteriore paradosso noi vorremmo però mantenere “molto italiano” il sistema fiscale (che ha una delle evasioni più elevate al mondo) e un modello economico “relazionale” anziché basato sulla meritocrazia.
Crediamo realmente di poter andare lontano con criteri simili, per quanto io possa averli semplificati o addirittura banalizzati?
BASIAMOCI SULLE ECCELLENZE ITALIANE. Personalmente credo che debba essere perseguito un modello italiano che possa basarsi sulle molte eccellenze del nostro Paese.
Proviamo a ripartire assumendo come priorità i superiori interessi del Paese, ma in modo sistemico, convinto, determinato, oserei dire appassionato e spingendo tutti insieme nella stessa direzione.
Giro il mondo in lungo e in largo e noto che gli italiani, a livello individuale, sono i migliori al modo e potrebbero quindi vincere qualunque competizione.
Ma questo stesso individualismo diventa un grande handicap quando la competitività è sistemica. Dobbiamo quindi evolvere. Basta piangersi addosso o immaginare di essere titolari di tutti i mali del mondo.
TUTTI VORREBBERO AVERE IL NOSTRO GENIO. Chi si laurea in alcune delle nostre università (il Politecnico di Milano, la Bocconi, la Normale di Pisa) non ha nulla da invidiare a coloro che si laureano nelle università straniere. E quando vanno all’estero sanno farsi valere.
Tutti i Paesi cosiddetti emergenti vorrebbero avere la nostra intelligenza, la nostra creatività, le nostre bellezze.
Proviamo a valorizzarle in modo progettuale, tutti insieme, e smettiamola con questa esterofilia dilagante. Facciamo in modo che, almeno per una volta, l’erba del vicino sia meno verde della nostra.
«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #21 il: Luglio 01, 2016, 02:04:39 am »
Sempre perché al di fuori dei confini nazionali funzionerebbe tutto a meraviglia.
Perlomeno questo è ciò che crede l'esterofilo italiano medio.

http://www.askanews.it/esteri/transparency-piu-corruzione-in-cina-e-turchia-italia-stabile_71166136.htm
Citazione
Transparency: Più corruzione in Cina e Turchia, Italia stabile
Usa al 17esimo posto. Nordcorea e Somalia appaiate in coda

Berlino, 3 dic. (askanews) - Cresce la corruzione in Cina e in Turchia; aumentano le difficoltà di alcuni Paesi emergenti a contrastare le attività illegali. E se Danimarca, Nuova Zelanda e Finlandia sono da considerarsi come gli Stati più virtuosi, la maglia nera di questa speciale classifica va a Sudan, Corea del Nord e Somalia, fanalino di coda e Paese più corrotto al mondo. Stabile il ranking dell'Italia, al 69esimo posto. E' la speciale classifica di Transparency International, pubblicata questa mattina assieme a un rapporto in cui si chiede alle principali piazze finanziarie internazionali di contrastare più efficacemente il riciclaggio.

Transparency stila una classifica di 178 Paesi sulla base di un coefficiente da 0 a 100, facendo riferimento a pareri di esperti di alcune organizzazioni, tra le quali Banca mondiale, Banca africana per lo Sviluppo, Fondazione Bertelsmann.

La Cina, al 100esimo posto su un totale di 178 Paesi, ha fatto registrare una perdita di 20 posizioni rispetto allo scorso anno, mentre la Turchia è retrocessa di 11 posizioni, piazzandosi 64esima. Gli Stati uniti, con un coefficiente di 74, si trovano al 17esimo posto, preceduti da Germania (12esima) e Regno Unito (14esimo), seguiti da Francia (26esima) e Spagna (37esima). L'India è all'85esimo posto, il Messico al 103esimo, l'Iran al 136esimo. Nelle retrovie la Russia, solo 136esima con un coefficiente di 27 su 100.

Stabile l'Italia, che mantiene lo score del 2013 (43 punti) e si piazza al 69esimo posto, tra la Grecia e la Romania. Le ultime posizioni sono occupate infine, da Iraq (170esimo), Sud Sudan (171), Afghanistan (172), Sudan (173) e, appaiate in coda, Corea del Nord (174) e Somalia (174).
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #22 il: Luglio 01, 2016, 02:08:20 am »
A proposito del Messico.

http://paradisidellacensura.wordpress.com/messico/

Citazione
Messico: dove la corruzione uccide.
    Quando pensi al Messico, probabilmente pensi ad una bella vacanza. Ma, dietro gli splendidi templi, la spaventosa violenza del Messico sta uccidendo la Libertà di espressione.
    Dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 80 giornalisti.
    Per i media, il Messico è uno dei paesi più pericolosi del mondo. I cartelli della droga e i funzionari corrotti sono implicati nella maggior parte dei reati di violenza contro i giornalisti, che quasi sempre restano impuniti. Come risultato, i giornalisti spesso si autocensurano e alcuni sono stati costretti  a fuggire in esilio.
    Il Messico occupa il 136° posto della classifica mondiale della Libertà di stampa di Reporter senza frontiere.


http://www.liberainformazione.org/2014/11/03/narcos-polizia-e-corruzione-in-messico/

Citazione
Narcos, polizia e corruzione in Messico

    di Piero Innocenti il 3 novembre 2014. Internazionale

    La corruzione è, da molti anni ormai, il cancro che sta devastando il tessuto sociale e istituzionale del nostro paese e di molti altri. Quando, poi, riesce ad insinuarsi nei settori più delicati di uno Stato come sono quelli deputati a garantire la sicurezza pubblica, il rischio che un paese diventi un “fantoccio” nelle mani delle mafie è reale. E’ quanto sta accadendo in Messico dove non si contano più gli episodi di collusioni tra le varie polizie, federale, statali, ministeriali, municipali e la criminalità organizzata, in particolare quella del narcotraffico. L’ultimo episodio è di pochissimi giorni fa (30 0ttobre) con la destituzione di 230 agenti della polizia di Naucalpan, inclusi sei comandanti, su un organico di circa 2.400 unità. Per tutti l’accusa di detenzione di droghe, falsificazione di atti pubblici ed altri gravissimi delitti ( un comandante prestava le armi in dotazione ai malviventi per le loro scorribande). La credibilità delle polizie nei vari Stati messicani è compromessa da anni, al punto che il Governo federale, nel contrasto alla criminalità, in diverse regioni e città, ha fatto spesso ricorso, a partire dal 2007, all’impiego dell’esercito ritenuto più affidabile. Le “epurazioni” poliziesche, in conseguenza di indagini svolte, per lo più, dalla polizia federale e i mancati superamenti degli “esami di affidabilità”, cui vengono sottoposti periodicamente i poliziotti dei vari municipi, hanno fatto emergere casi davvero inquietanti.

    Tra questi vorrei ricordare la “chiusura”, da parte del governatore, nel maggio 2010, del comando di polizia di Panuco (Veracruz), con il licenziamento di 98 agenti che non avevano superato i test di “affidabilità” per svolgere la loro funzione pubblica. Sempre a maggio, il segretario della sicurezza pubblica di Nuevo Leon, informa che 215 poliziotti sono stati destituiti per “fatti gravi” e verranno rimpiazzati da 150 agenti dei federali. Alcuni giorni a dopo, militari dell’esercito occupano il comando di polizia di Amazucas arrestando 37 agenti ritenuti collusi con gruppi di narcotrafficanti. In un clima di sfiducia diffusa e di paure, molti poliziotti, in diversi municipi, presentano domanda di dimissioni. Armi e munizioni, si accerterà, vengono vendute dai poliziotti di Ciudad Juarez ai narcotrafficanti,città in cui, alla fine del 2010 si contavano circa tremila omicidi. Grande scalpore, poi, la rivolta di circa duecento poliziotti federali che, nell’agosto, bloccano alcune vie cittadine reclamando la “cacciata” del loro comandante soprannominato “Lo Sciamano”. Impietose le immagini televisive che mostrano alcuni ufficiali corrotti schiaffeggiati in strada dagli agenti. Il 2010 si chiude con le manette per 12 agenti accusati di complicità con il cartello dei Los Zetas. Tra gli episodi del 2011 va segnalato l’arresto, a febbraio, da parte di fanti della marina Militare, di 36 poliziotti in servizio a Manzanillo, Tecoman e Villa de Alvarez. Per tutti l’accusa è di favoreggiamento della criminalità del narcotraffico. Diverse decine i poliziotti arrestati nei mesi seguenti tra cui 23 di Tarandacuao implicati anche in tre omicidi e 66 agenti delle polizia di Acambaro, Jarecuaro e Coroneo in combutta con il cartello de La Familia Michoacana. In questo desolante scenario istituzionale che vede gli arresti di molti poliziotti per attività estorsive in danno di commercianti, rapine, furti, omicidi ed altri gravissimi delitti, la notizia, il  2 agosto 2011, della più grande epurazione mai avvenuta nella storia della magistratura messicana. Ventuno dei trentadue delegati statali della Procura Generale della Repubblica, “rinunciano” al loro incarico in conseguenza di indagini per corruzione.

    Intanto, grazie alla richiesta di informazioni avanzata nell’ottobre 2011 dall’Istituto di Accesso alla Informazione Pubblica, la Polizia Federale rende noti i dati che riguardano gli agenti sottoposti ad indagini per delitti vari: 4.559 nel 2010 e 4.175 nel 2011. I processi, in realtà hanno riguardato soltanto 75 poliziotti e solo per 27 si è avuta una sentenza di condanna. Naturalmente casi di corruzione accertati anche per le alte gerarchie con gli arresti, nel maggio 2012, dell’ex vice segretario della difesa nazionale e di altri due generali in pensione accusati di collusioni con il cartello dei narcos dei Beltran Leyva. Agli inizi del 2013 mentre si registrano violenti scontri a fuoco tra gruppi di narcos in diversi municipi a cavallo tra gli Stati di Coahuila e Durango, una sessantina di agenti delle polizie municipali di Lerdo e di Gomez Palacio, vengono arrestati per favoreggiamento di bande di criminali.  L’anno termina con l’arresto, a ottobre, di tredici federali che avevano organizzato una banda dedita ai sequestri di persona alcuni dei quali conclusi con la morte delle vittime. Nel 2014, tra i tanti fatti, vanno segnalati il gravissimo episodio di fine settembre verificatosi ad Iguala con una cinquantina di studenti bloccati e fatti sparire dai poliziotti in combutta con la gang di narcos di Guerreros Unidos ( una costola del cartello dei Beltran Leyva) e su indicazione del sindaco e del comandante della polizia municipale. Si stanno cercando ancora i loro corpi. A ottobre, 101 agenti di Ixtapan de la Sal vengono disarmati da militari dell’esercito e sottoposti a indagini per presunti collegamenti con la c.o. Due giorni dopo in carcere finiscono il sindaco e il direttore della sicurezza pubblica. E non è finita.
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #23 il: Settembre 11, 2016, 11:40:15 am »
A proposito delle forbici salariali esistenti in altri paesi del pianeta Terra.

http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/17/russia-la-forbice-salariale-sempre-piu-aperta-077989
Citazione
Russia: la forbice salariale sempre più aperta
di Fabrizio Poggi

Tempo di pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi 2015 in Russia. Almeno per le cariche ufficiali, politiche e istituzionali; che non danno davvero l’impressione di aver bisogno di attività offshore per sbarcare il lunario e vivere più che “dignitosamente”.

Nei palazzi del Cremlino, il primo vice-capo dell’Amministrazione presidenziale, Vjačeslav Volodin, batte tutti con 87,1 milioni di rubli: 24 milioni in più rispetto al 2014 e, stando ai documenti ufficiali, oltre dieci volte più del suo capo, Vladimir Putin, fermo a 8,9 milioni, o 741mila rubli al mese. Sembra che la gran parte dei guadagni di Volodin, secondo la Tass, venga da investimenti in azioni e le Izvestija hanno precisato che, comunque, Volodin ha donato in beneficenza quasi la metà dei suoi introiti. Stando alla rivista Finans, ripresa da Komsomolskaja Pravda, già 10 anni fa Volodin era classificato al 351° posto tra i miliardari russi, con un patrimonio stimato in 95 milioni di dollari; fino al 2006 egli deteneva infatti il pacchetto di controllo della holding “Prodotti solari”, dalla cui vendita, l’anno successivo, avrebbe ricavato 592 milioni di rubli. Secondo la Tass, il forte incremento di reddito registrato tra il 2014 e il 2015, sarebbe dovuto al sensibile aumento dei tassi sui depositi bancari.

Molto più modestamente, nel 2014, Vladimir Vladimirovič si era attestato a 7,6 milioni (nel 2013 il suo reddito era stato di 3,6 milioni, ma poi aveva firmato una direttiva per il raddoppio dello stipendio di Presidente e primo ministro) e continua a possedere un paio di appartamenti e un pezzetto di terra in Russia. Il primo ministro Dmitrij Medvedev ha guadagnato invece nel 2015, 8,8 milioni, contro i 4,2 del 2013. Crollati i redditi del leader della classifica precedente, capo dell’amministrazione presidenziale per la collaborazione economica coi paesi della CSI, Oleg Govorun: dai 114 milioni del 2014 ai “miseri” 9 del 2015. Il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, è passato da 9 a 36,7 milioni, che si aggiungono ai 90 milioni e ad alcuni appartamenti in USA della sua consorte Tatjana Navka. Il capo dell’amministrazione del Cremlino, Sergej Ivanov, è sceso da 16 a 10 milioni. I più bassi stipendi al Cremlino sono stati quelli di alcune collaboratrici presidenziali, ferme a circa 4 milioni di rubli.

Per Komsomolskaja Pravda alcuni “Ministri affittano ville in Europa, mentre i deputati si comprano l’elicottero”. Vengono affittati appartamenti e ville in Austria, Gran Bretagna, Svizzera, Italia, Spagna e così via, mentre nel garage di casa non mancano Mercedes, Bentley e Ferrari, oltre che elicotteri e yacht. In effetti, i redditi degli alti dirigenti del Cremlino sono briciole se paragonate a quelli di alcuni Ministri, con in testa il Ministro per le questioni del “Governo aperto”, Mikhail Abyzov – l’unica personalità pubblica inserita da Forbes tra i russi più ricchi – che nel 2015 ha intascato 455 milioni di rubli, il doppio del 2014. Anche nel suo caso, il patrimonio azionario avrebbe garantito il successo. I redditi di altri Ministri oscillano tra i 90 e i 150 milioni di rubli, ma in diversi casi, i patrimoni dei o delle consorti aumentano di molto il budget familiare.

Alla Duma invece, tra i capi di partito più ricchi sarebbe in testa il leader del PC Gennadij Zjuganov, con 6,5 milioni di rubli. Lo seguono il capo della frazione parlamentare “Russia Unita” (il partito presidenziale), Vladimir Vasilev con 5,6 milioni e dal leader del Partito Liberal-democratico Vladimir Žirinovskij con 5,3 milioni. Il presidente della Duma, Sergej Naryškin ha dichiarato per il 2015 9 milioni di rubli, rispetto ai 2,7 del 2013. Ma i maggiori introiti si registrano tra i “semplici” deputati, con redditi di alcune centinaia di milioni.

Usciamo dalla Duma e seguiamo i dati del Comitato statale per le statistiche, secondo cui, nel settore dell’insegnamento, la media generale per l’intero paese è di 30-32mila rubli (con una forbice tra le diverse regioni da 15 a 65 mila rubli, anche in ragione del livello di inquadramento: federale, repubblicano o municipale); su tali cifre si attestano anche il settore della cultura in generale e quello sanitario. Nella media generale del paese, all’ultimo gradino salariale si mantiene ben saldo il settore agricolo, con redditi medi di 15-17 mila rubli; mentre la posizione più alta è appannaggio del settore finanziario, con stipendi di circa 70-90 mila rubli, passando per il campo energetico (60-65 mila), amministrativo statale e militare (40-45 mila) ecc. Di regola, in ogni singolo settore, si riscontra una discreta disparità di salario tra regione e regione e, ovviamente, un’altrettanto notevole diversità di trattamento, anche di 4-5 volte, può esser data all’interno dello stesso apparato amministrativo dall’essere occupati ad esempio in un ufficio municipale, diciamo moscovita, o in una anticamera del Cremlino. Stando al sito Person-agency.ru, tra gennaio e dicembre 2014 i redditi monetari medi erano scesi del 7,3%. Secondo quanto riportato dalle agenzie, la maggiore preoccupazione espressa dai russi a Vladimir Putin durante il recente “botta e risposta” tra cittadini e presidente, è non tanto quella dell’alto corso delle valute estere (dopo il crollo di inizio anno, quando l’euro si comprava con oltre 90 rubli, oggi la media è di 70-75), quanto il continuo aumento dei prezzi dei principali prodotti, che mette in crisi anche gli stipendi non del tutto modesti. A marzo il livello di inflazione ufficiale è stato dello 0,46% (2,06% da inizio anno) e, sui 12 mesi del 2015, era stato del 12,91%.

Il negativo corso valutario pare abbia interessato di più, ovviamente, i russi ricchi, il cui patrimonio complessivo, secondo Forbes, è sceso dai 408 miliardi di $ del rating precedente, ai 360 di quest’anno. Una prece.

Più interessante sembra invece osservare le reazioni di alcuni lettori alla classifica Eurostat, riportata da Komsomolskaja Pravda, circa i paesi UE con più alta percentuale di popolazione povera, a partire da Bulgaria (con il 34% sull’intera popolazione) e Romania (24%), passando per Lettonia (16,4%) e Lituania (13,9%). Se un lettore paragona il livello salariale medio russo a quello messicano (in dollari: 250-300), corrispondente a circa 20 mila rubli mensili, un altro cita lo stipendio dei portalettere che, se a Mosca si aggira sui 17.000 rubli, in alcune regioni scende fino a 10 mila. Un altro aggiunge che lo stipendio dei medici va dai 10 ai 15 mila rubli, ricordando la riduzione di quasi il 20% per gli investimenti per sanità e istruzione pubbliche, con medici e infermieri che, soprattutto nelle città di provincia, si licenziano in massa dalle strutture pubbliche. “Ci sono tre tipi di bugie”, replica un altro lettore, “c’è la bugia, c’è la bugia sfacciata e c’è la statistica russa. Se secondo quest’ultima ci sono oggi 16 milioni di poveri, economisti indipendenti parlano di 23 milioni. Se il salario medio statistico è di 35 mila rubli, in realtà non si arriva a 20 mila. Ma, ciò che più conta, c’è oggi un tale abisso tra ricchi e poveri come non si era mai visto”.

Se oggi, a Mosca, si parla di 800 euro (60 mila rubli) come di un “buon stipendio” per occupazioni in uffici amministrativi o sportelli bancari, non si può non concordare con l’ultimo lettore: la voragine aperta nel 1991 è ben lontana dal richiudersi.

Fabrizio Poggi

17 aprile 2016

«Se potessimo vivere senza donne, faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro, né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della specie piuttosto che ricercare piaceri effimeri.»
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #24 il: Dicembre 16, 2016, 00:47:13 am »
http://euroregionenews.eu/corruzione-ue-romania-al-primo-posto-la-classifica/

Citazione
29/03/2016
CORRUZIONE UE: ROMANIA AL PRIMO POSTO. La classifica

E’ la Romania il paese più corrotto in Europa, seguita da Bulgaria, Croazia e Lettonia. L’Italia è al ventiduesimo posto. I dati sono stati elaborati da Rand Europa su incarico del Parlamento europeo.
I meno corrotti invece sono i Paesi scandinavi (la Danimarca al primo posto, seguita dalla Finlandia e dalla Svezia).

Tra i Paesi sopra la media europea per quanto riguarda il costo stimato della corruzione (il 4,9% del Pil dell’Ue-28) risultano anche Lituania (14%), Italia (13%), Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia con il 12%, Slovenia (10%) e Ungheria (9%).

Ai piedi della lista Lettonia con il 15% del Pil, Bulgaria con il 14.5%, Romania (13.5%) e Croazia con il 13%.
(fonte ANSAeuropa).
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #25 il: Dicembre 16, 2016, 11:05:38 am »
Ora cosa diranno i soliti italodisfattisti :lol: ?
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #26 il: Dicembre 16, 2016, 20:39:07 pm »
Ora cosa diranno i soliti italodisfattisti :lol: ?

Gli italiani popolo esterofilo erano, popolo esterofilo sono e popolo esterofilo resteranno. :sleep:
In tal senso c'è ben poco da fare.
Una esterofilia, unita ad una abissale ignoranza - per quanto riguarda la realtà di altri paesi di questo disgraziato pianeta -, che li porta ad autoflagellarsi continuamente e a considerarsi, sostanzialmente, il peggior popolo del mondo.
Ad esempio: nella vita di tutti i giorni, quante volte ti capita di incontrare qualcuno che, spontaneamente, ti parla delle magagne e dei difetti di altri paesi?
Sbaglio se affermo che non ti capita mai ? *

Con questo non sto certamente asserendo che in Italia funziona tutto a meraviglia e che gli italiani son degli autentici campioni di lealtà, onestà, affidabilità, etc (magari fosse così).
No, affatto, poiché conoscono bene i miei connazionali e i loro inestirpabili difetti.
Ma da qui a credere che il resto del mondo, sia una sorta di eden, ce ne passa.

@@

* Io conosco personalmente solo due uomini che ragionano come me.
Per il resto, buio assoluto.

@@

Per inciso: nonostante provengano da paesi che in quanto a corruzione non hanno proprio nulla da invidiare all'Italia (anzi), stai pur sicuro che non sentirai mai un albanese, un romeno o un bulgaro, fare dei discorsi disfattisti ed esterofili nei confronti della propria patria e dei propri connazionali.
Di certo non li ascolterai mai in pubblico, e in particolar modo se si tratta di albanesi.
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #27 il: Dicembre 16, 2016, 23:25:56 pm »
Citazione
Ad esempio: nella vita di tutti i giorni, quante volte ti capita di incontrare qualcuno che, spontaneamente, ti parla delle magagne e dei difetti di altri paesi?
Sbaglio se affermo che non ti capita mai ?

Capita, e molto raramente, solo se si parla di Francia o Spagna: ma il perché è dovuto ai soliti campanilismi a base calcistica trasposti in altri ambiti.
Altrimenti... niente di niente.
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #28 il: Dicembre 25, 2016, 03:46:16 am »
Capita, e molto raramente, solo se si parla di Francia o Spagna: ma il perché è dovuto ai soliti campanilismi a base calcistica trasposti in altri ambiti.
Altrimenti... niente di niente.


Ovviamente.
L'italiano medio apre bocca solo (o quasi) quando c'è il calcio di mezzo; altrimenti niente di niente.
Silenzio assoluto.
In tal senso gli uomini italiani son pure peggio delle donne italiane, perché ancora più disfattisti ed esterofili della suddetta controparte femminile.
Diciamo pure che l'uomo medio italiano è soventemente sottomesso a tutti e a tutte: alle donne in primis; agli stranieri in secundis.
Ed anche se quest'ultimi provengono da paesi di merda.

@@

A proposito delle meraviglie che si possono trovare al di fuori dell'Italia...
In confronto anche i "nostri" mafiosi sono angioletti.
http://www.tpi.it/mondo/colombia/10-storie-incredibili-ma-vere-su-pablo-escobar

http://www.ilfoglio.it/cultura/2016/09/29/news/altro-che-narcos-escobar-e-molto-peggio-di-cosi-dice-suo-figlio-104655/

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Altro che “Narcos”, Escobar è molto peggio di così, dice suo figlio
In un’intervista uscita ieri sul País Sebastián Marroquín rivela qual è il più grande problema della serie tv. “Mio padre mi ha sempre detto che era un bandito, un narcos. Quando guardavamo le notizie in televisione non gli tremava la voce a dirmi: quella bomba l’ho fatta mettere io… Mio padre ha sottomesso un intero paese con il terrore".

di Eugenio Cau

29 Settembre 2016 alle 06:15
Altro che “Narcos”, Escobar è molto peggio di così, dice suo figlio

Roma. Da quando, all’inizio di settembre, è uscita in tutto il mondo la seconda stagione di “Narcos”, la serie tv di Netflix che narra la storia e le gesta criminali del narcotrafficante colombiano Pablo Escobar, Sebastián Marroquín è stato intervistato dai media di tutto il mondo. Marroquín, al secolo Juan Pablo Escobar, è il figlio maggiore del narcotrafficante colombiano e il suo erede designato, che però ha abiurato la carriera criminale e l’eredità del padre, ha cambiato nome ed è diventato architetto, ritirandosi a vita privata fino a che il revival recente di Escobar, generato da “Narcos” e non solo, lo ha portato a rispolverare la storia di famiglia. Nel 2009 Marroquín, che oggi vive in Argentina, è stato protagonista del documentario “Sins of my father”, in cui gira la Colombia per chiedere scusa alle vittime dei crimini commessi dal genitore. Nel 2014, quando ormai la produzione della prima stagione di “Narcos”, uscita l’anno successivo, è alle battute finali, pubblica il memoir “Pablo Escobar: My Father”, e lo firma tornando al suo vecchio nome, Pablo Escobar, appunto.

Sebastián Marroquín, al secolo Juan Pablo Escobar, è il figlio maggiore del narcotrafficante colombiano (foto LaPresse)

All’inizio del mese, Marroquín ha pubblicato su Facebook un post in cui dice che la seconda stagione di “Narcos”, quella in cui si racconta la parte finale della carriera di Escobar, è piena di errori fattuali, e ne elenca 28, consigliando al posto della visione della serie la lettura del suo libro. Gli errori sono nomi sbagliati, fatti posizionati temporalmente in date diverse, e in generale ampie licenze artistiche che gli autori della serie si sono concessi nonostante uno stile documentaristico che alterna alla narrazione foto e filmati d’epoca. Ma solo in un’intervista uscita ieri sul País Marroquín rivela il più grande problema di “Narcos”: “Mio padre era molto più crudele di quello che si vede nella serie”.

In “Narcos”, Escobar è sì un criminale efferato ma anche un padre di famiglia premuroso, uno squilibrato violento ma affascinante della cui follia è tuttavia possibile ripercorrere le origini, e in un certo senso giustificarla. “Mio padre mi raccontava tutto”, dice invece Marroquín, che nella serie è rappresentato come un perenne bambino ma che in realtà alla morte di Escobar aveva già 16 anni. “Mi ha sempre detto che era un bandito, un narcos. Quando guardavamo le notizie in televisione non gli tremava la voce a dirmi: quella bomba l’ho fatta mettere io… Mio padre ha sottomesso un intero paese con il terrore”. Dopo “Narcos”, invece, “mi scrivono giovani di tutto il mondo che mi dicono che vogliono diventare narcos e chiedono il mio aiuto per farlo”. Come già notato su queste colonne, la serie di Netflix commette un errore tipico delle molte opere creative che narrano il mondo del narcotraffico latinoamericano: nel tentativo di dare spessore umano e tragicità ai loro protagonisti, li rendono fin troppo affascinanti. Ma il problema è che quasi sempre anche le figure più importanti della mitologia criminale di spessore umano ne hanno poco: figli di contadini poco istruiti o criminali comuni che hanno fatto fortuna, da Escobar al Chapo i narcos hanno sempre avuto poco da dire e molto da sparare – benché Marroquín sostenga che suo padre non abbia mai sparato un colpo in vita sua: lui ha solo dato gli ordini.

Così le rivelazioni di Marroquín sono in realtà il disvelamento della miseria di quella vita da supercriminale a cui di solito le “narconovelas” inneggiano. Quando eravamo in fuga alloggiavamo in tuguri disgustosi, dice Marroquín. La nonnina premurosa che si vede in “Narcos”, madre di Escobar, in realtà tradì suo figlio per salvarsi la vita. Il re dei narcos morì solo come un cane. La violenza nella vita di Escobar fu banale, non piena di passioni fortissime come si vede nella serie di Netflix, e per questo molto più terribile di quanto non appaia sullo schermo.

« Ultima modifica: Dicembre 25, 2016, 03:59:12 am da Frank »
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Re:CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX
« Risposta #29 il: Dicembre 25, 2016, 11:27:02 am »
Lo sapevo da me senza le rivelazioni del figlio che Escobar era un animale. Il male di queste docufiction come Narcos o Romanzo Criminale è il voler drammatizzare tutto, fregandosene della verosimiglianza e del rispetto per le vittime.
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